giovedì 26 febbraio 2015

IL " VERDONE " DI ABRAHAM LINCOLN

IL " VERDONE " DI ABRAHAM LINCOLN


di : Anonimo Pontino

“Ogni governo può creare, emettere e far circolare tutta la valuta ed il credito necessari per soddisfare le proprie necessità di spesa ed il potere d’acquisto dei consumatori “.

( Abraham Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti.)

Quando Benjamin Franklin venne chiamato a relazionare al parlamento britannico nel 1757 e gli venne chiesto di dar conto della prosperità delle colonie americane, rispose: “E’ semplice. Nelle colonie emettiamo la nostra moneta, chiamata biglietto coloniale (Colonial Script). Lo emettiamo in proporzione alla domanda commerciale ed industriale per facilitare il passaggio dei prodotti dal produttore al consumatore. In questo modo, creando noi stessi la moneta, ne controlliamo il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno”.

Fu la lotta per la sovranità finanziaria che dette origine alla rivoluzione americana, quando la Banca d’Inghilterra, obbligando le colonie ad abbandonare i loro biglietti e ad adottare esclusivamente la sterlina inglese, precipitò le colonie in un profondo stato di povertà e di crisi economica. Quella guerra non è mai finita. Durante la loro vita politica, Thomas Jefferson, James Madison e Andrew Jackson combatterono contro i tentativi dei banchieri europei di controllare la fornitura della moneta degli Stati Uniti attraverso una banca centrale.



Quando Abraham Lincoln emise i verdoni (greenback) che toglieva ai banchieri privati il monopolio dell’emissione e del controllo monetario, egli venne presto assassinato. I banchieri internazionali hanno combattuto per un secolo per ottenere il diritto esclusivo all’emissione monetaria da scambiare col debito pubblico, negli Stati Uniti, e ci riuscirono finalmente nel 1913 con l’istituzione della Federal Reserve, attraverso la legge Federal Reserve Act. Questa legge autorizzava un cartello privato a creare moneta dal nulla e a prestarla ad usura (interesse) al governo statunitense, controllandone la quantità che il cartello poteva espandere o diminuire a piacere. Il deputato Charles Lindbergh definì la legge “il peggior crimine legislativo di tutti i tempi”.

Cinquant’anni dopo, il presidente John F. Kennedy sfidò i banchieri centrali emettendo dei biglietti di stato liberi dal debito. Anche lui finì assassinato. L’operazione effettuata con la legge del 1913 con la quale si fondava la Federal Reserve era incostituzionale, così come lo è stata la sottoscrizione e recezione del Trattato di Maastricht da parte dell’Italia ottant’anni dopo, perché trasferiva il potere sovrano dell’emissione monetaria ad un cartello bancario privato. Il debito pubblico esponenziale che ne seguì è quello che ha portato gli Stati Uniti alla bancarotta, attraverso l’appropriazione indebita delle enormi risorse economiche e vitali del popolo nord-americano. Questo sistema monetario parassitario, basato sull’usura, da allora è diventato il modello del sistema bancario occidentale ed è stato adottato in 170 paesi del mondo.

mercoledì 25 febbraio 2015

Invecchiano al coperto le "pietre dell'Etna"

Invecchiano al coperto le "pietre dell'Etna" al sicuro (perché credo non abbiano alcun valore per i ladri) nelle sale del fu "Museo Vulcanologico" di Nicolosi (cittadina ai piedi del più alto vulcano d'Europa).
Dalla mia segnalazione dell' ottobre scorso,ripresa da stampa e testate telematiche varie,non è accaduto proprio niente.
Le "autorità" (si fa per dire) preposte,ex Provincia di Catania in testa),si guardano bene dallo informare cittadini e visitatori eventuali di quale possa essere la reale situazione del museo e se davvero verrà riaperto.
Un mistero,uno dei tantissimi che infestano la gestione dei beni culturali in Sicilia e,questo spiega perché la presente sia indirizzata pure a testate nazionali,della Italia tutta visto ciò che accade anche in musei piú grandi e famosi.
Ma può essere mai che non si riesca a sapere ufficialmente il perché una struttura pubblica venga dismessa senza comunicazione alcuna e pure con l'arroganza di non chiarire i dettagli della "operazione" ??
Ci sono o meno ancora beni e fondi della comunità in ballo ??
Le "pietre dell'Etna",così interessanti per gli appassionati di vulcanologia, saranno nuovamente visibili oppure si perderanno nell'oblio del tempo ??
Quasi,quasi rinuncerei a questa nuova segnalazione se non fosse che,giorni addietro,mi ha chiesto informazioni (davanti il portone sprangato) una intera famiglia con bambini.
Letto il foglietto allegato in foto sono rimasti di stucco nel sapere da "quanto" il museo fosse chiuso e come eta fosse indicata la data di riapertura.
Mi è presa una rabbia impotente...ma poi mi sono reso conto come sia necessario cercare di segnalare tutto : per i nostri figli o nipotini che siano.

Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello
                                                                                                                                                

giovedì 19 febbraio 2015

BANKSTERS, STATI FALLITI E LA TRUFFA DEL DEBITO

BANKSTERS, STATI FALLITI E LA TRUFFA DEL DEBITO



Di : Reporter
 <<C’è un grande potenziale di rovina nei governi >>scrive Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni (1776) e poi: <<Una volta che i debiti nazionali siano stati accumulati fino ad un certo livello, credo che non ci sia forse un solo esempio in cui essi siano stati regolarmente e completamente pagati>>.
Le cose non sono cambiate. Una volta i governi si indebitavano soprattutto per sostenere le spese per la difesa mentre oggi si indebitano per finanziare sprechi, sussidi e rivendicazioni di ogni tipo di un numero crescente di interessi particolari per mantenere il consenso e continuare a governare. Quindi i debiti che i governi accumulano hanno gli stessi effetti distruttivi di quelli del tempo di guerra. A causa degli eccessi di spesa, gli stati, non hanno mai avanzi primari, sono costantemente in deficit e non potendo aumentare la pressione fiscale all’interno senza provocare esplosioni di collera, cercano di collocare il debito all’estero.
La politica dei deficit è il nocciolo della politica economica moderna: indebitarsi e spendere per creare potere d’acquisto, sviluppo ed occupazione. Che la spesa improduttiva dei governi crei prosperità è ridicolo. Semmai è vero il contrario, è la prosperità a rendere possibile la spesa improduttiva. Ma per quanto tempo? Nell’economia non esiste un fondo permanente da cui attingere senza limiti, va continuamente rinnovato con la spesa produttiva che crea sviluppo solo se supera quella improduttiva.
Ora se è chiaro che il debito esterno non rappresenta altro che l’anticipo del gettito di tasse future, la teoria dello stimolo economico crolla con un esempio elementare. Tizio, che non ha soldi, chiede un prestito a Caio per fare la spesa da Sempronio. Tizio quindi si trova in deficit rispetto a Caio. Ora sarebbe assurdo che Tizio, dopo aver fatto la spesa da Sempronio pretendesse da quest’ultimo l’estinzione del debito verso Caio. Ma non è più assurdo se Tizio è il governo che si indebita con Caio, ossia col mercato del debito, obbligando poi Sempronio, ovvero l’economia, a rimborsargli il debito. Tizio, dunque, è sempre libero di spendere ed estinguere il debito verso Caio con le tasse pagate da Sempronio.
 Come è dunque è possibile che il deficit di Tizio aumenti il reddito di Sempronio?
 Ovviamente non può e quindi il deficit non stimola l’economia ma la deprime in quanto il totale del debito di Tizio che è la somma di tutti i suoi deficit passati, viene pagato sempre da Sempronio. Se non si capisce che questa è la conseguenza del deficit non si capirà mai perché tale politica sottragga le risorse di un paese fino al collasso.


Nonostante l’evidente fallimento, questa politica mantiene la sua popolarità sia perché l’opinione pubblica non ne comprende in pieno il meccanismo e le conseguenze, sia perché le élite al governo rendono seducente il deficit giustificandolo con spese per obiettivi sociali, che in realtà riguardano interessi particolari che non allignerebbero mai in un’economia sana.
Se le élite al governo invece di perseguire tale politica abbattessero le tasse, raggiungerebbero realmente lo scopo di migliorare l’economia ma perderebbero il potere di gestirla, di corrompere l’elettorato, sottometterlo, acquisire privilegi permanenti e continuare nell’opera di spoliazione dei contributi. Così la politica di deficit finisce per governare tutta l’azione politica rischiando di portare a un sistema totalitario.
Incapaci di porre freni alla spesa i governi sono costretti a fare altri debiti portandoli ad una altezza tale che saranno necessarie nuove dosi di debito solo per pagare gli interessi. Si giunge pertanto alla situazione di debito perpetuo e di insolvenza definitiva che comporta l’impossibilità di ottenere ulteriore credito. 
Nell’economia privata questa impossibilità si chiama fallimento ma nel caso dei governi si chiama default. Uno stato, in affetti, non fallisce mai in senso formale come un privato perché non c’è tribunale che nomini un giudice che, dopo aver cancellato i suoi debiti amministri il patrimonio del paese per soddisfare i creditori secondo diritti di prelazione. Pertanto la procedura fallimentare degli stati si risolve sempre in un piano si salvataggio che consiste, alla fine, nella ristrutturazione del loro debito cioè in una riduzione consistente del suo valore nominale. L’altro modo di ridurre il debito si attua, se il debitore ha la sovranità monetaria, pagandolo con moneta svalutata. Si tratta sempre di default ma nella forma di deprezzamento valutario che però è il più pericoloso perché può annientare il mezzo di scambio dell’economia.
I creditori sono corresponsabili dei default dei debitori. Ad esempio, Argentina e Grecia costituiscono casi paradigmatici di governi predatori con una tradizione secolare di default diventata prassi istituzionalizzata finanziata dall’esterno. Questi due paesi, infatti, hanno ottenuto credito non per l’intrinseca affidabilità delle loro obbligazioni ma perché, nel caso argentino, era il Fondo Monetario internazionale a dare le garanzie, mentre in quello greco, era la banca centrale europea. I creditori non potevano ignorare che gran parte del credito erogato a questi paesi non avrebbe finanziato il sistema produttivo, vero garante della restituzione del debito, ma i centri di potere politico e finanziario. Il fatto è che, essendo la politica di debito anche il pilastro delle economie dei paesi creditori, che sono allo stesso tempo debitori, la negoziabilità del debito globale postula un potere bancario e finanziario illimitato e interconnesso a tal punto da essere costretto ad avallare, con la tacita complicità di tutti, le operazioni più inaffidabili. Questo è il motivo per cui anche la crisi di un piccolo paese come la Grecia desta preoccupazione: un “contagio” porterebbe al crollo di tutto un sistema che non ha più nessuna base di ricchezza concreta. In ogni caso sono le popolazioni a fallire perché subito dopo un default, il credito non circola più, il sistema industriale si ferma, l’apparato amministrativo e finanziario si blocca, lo stato non può pagare stipendi e pensioni e tutto precipita nel caos. Ai creditori quindi non rimane altra scelta che “salvare” il debitore accollandosi perdite, erogando nuovi prestiti ma rinnovandone il deficit. Così il sistema creditizio, mentre innesca un nuovo ciclo dissipatore, diventa sempre più tossico con conseguenze incalcolabili.
Conclusione. Adam Smith aveva ragione: c’è un grande potenziale di rovina nei governi. La causa della rovina è il debito, sempre crescente e impossibile da liquidare. La dottrina del deficit spending come cura è assurda: non si cresce spendendo e tassando. Più i governi spendono, più l’economia diventa instabile e gravita verso la depressione con costi sociali enormi. Ma è grazie ai deficit che le élite al governo rafforzano la posizione di potere, aumentano i propri privilegi, finanziano la corruzione e alimentano un sistema che, nel caso argentino, si chiama peronismo, nel caso greco cleptocrazia (dal greco: governo del furto). Entrambi rappresentano il culmine della corruzione politica. In tutti gli altri paesi, invece, alimentano un sistema che si chiama oligarchia che dalle prime due forme differisce solo di grado. Porta sempre alla rovina, ma in tempi più lunghi.
  

lunedì 16 febbraio 2015

Quando gli italiani difesero Buenos Aires



STORIA

Quando gli italiani difesero Buenos Aires

Questa è una storia poco conosciuta, quasi inedita. Silvino Olivieri era un militare nato in Italia, discendente da una famiglia di nobili origini. Partecipò sin da giovane ai successi politici del suo paese arrivando a comandare un corpo di volontari nella rivoluzione del 1848. Perseguitato, emigrò a Montevideo, passando da Caseros, a Buenos Aires.
Durante il periodo in cui fu sottomessa questa città nel 1852, il governo autorizzò agli stranieri la possibilità di armarsi e Olivieri si mise a capo di 300 compatrioti che integrarono un corpo chiamato Legione italiana.
Questo corpo militare non si limitò ad esercitare un’azione di polizia, ma si battè eroicamente in varie lotte, meritando grazie a lui il titolo di Legione Valorosa e una decorazione consistente in una medaglia d’Onore.
Le donne del posto resero omaggio ad Olivieri con una bandiera che gli era servita per guidare la Legione.
Quando terminò il soggiorno a Buenos Aires il battaglione fu congedato e il suo capo tornò in Italia per prendere parte ad una nuova rivoluzione.

Scoperto, incarcerato, e condannato a morte, il governo di Buenos Aires intercesse per lui.
Nel 1855, gli venne affidato un’altra volta il comando di una colonia agricolo-militare, conseguenza di un suo progetto, nelle prossimità di Baja Blanca. Il 28 settembre del 1856 fu tradito e assassinato da un gruppo di suoi soldati subordinati. Alla sepoltura dei suoi resti avvenuta a Buenos Aires,il generale Mitre pronunciò l’orazione funebre.

Il soggiorno di Buenos Aires

Dopo il suo soggiorno a Caseros, la guerra civile tornò ad accendersi “per la pressione ardente degli accanimenti del partito”questo secondo uno storiografo. Il 30 ottobre 1852,fu designato governatore titolare il dottor Valentin Alsina.
Uno dei suoi primi provvedimenti fu di decretare un’amnistia e di nominare comandante del dipartimento del centro della provincia il colonnello Hilario Lagos, che accettò esprimendo il suo riconoscimento per la “ profonda fiducia” che il governo gli dispensava.
Tuttavia, da parte sua, Lagos si mise in contatto con il governatore di Santa Fe, Domingo Crespo, per neutralizzare questo fronte mentre otteneva la collaborazione dei capi militari sul campo e, allo stesso tempo iniziava la marcia su Buenos Aires, esigendo dal governatore Alsina la rinuncia al suo incarico. Il 6 dicembre 1852 finì formalmente il suo incarico.
La guardia nazionale sotto l’ordine di Mitre ottenne da subito l’incarico per la difesa . La disorganizzazione militare di Buenos Aires era tale, che gli abitanti penetrarono indisturbati isolatamente o in gruppi. Fu disposto che tutti gli abitanti prendessero il loro posto nelle barricate e nelle trincee. Queste comprendevano una linea difensiva dal basso del Retiro, a piazza Lorea fino a Conceptiòn e alla Residencia , rientrando in essa le piazze Libertad, Parque e Monsterrat.
Conservare l’ordine pubblico

Il 9 dicembre il governo della provincia decretò: “tutti gli abitanti della città, indifferentemente dalla loro nazionalità, sono autorizzati a prendere le armi volontariamente, se lo desiderano al solo scopo di conservare l’ordine pubblico in pericolo”. La popolazione straniera, riunita dalle varie nazionalità, chiese armi e si organizzò in legioni.

La Legione italiana fu veramente agguerrita, intervenendo in parecchi combattimenti, mentre le restanti fecero solo un servizio di polizia. Collaborarono con Silvino Olivieri i suoi connazionali, il maggiore Eduardo Clerici, i capitani Vialardi e Rodini, i tenenti Lorea, Erba, Mombelli e il sergente Josè Guerrini, ecc-

I legionari si riunirono a lato di piazza Lorea, insieme al reggimento delle guardie nazionali agli ordini del colonnello Domingo Sosa. Il suo battesimo di sangue fu il 9 gennaio 1853 contro forze superiori, riuscendo a vincerle. Parlando del comportamento di Olivieri in quest’incontro,un contemporaneo riferisce: “la sua audacia si innalzò fino spingerlo in combattimenti corpo a corpo… con il nobile proposito di proteggere e salvare uno ad uno i suoi compagni… si precipitò con ammirabile valore mescolandosi tra le lance e le baionette degli abitanti”.

Una conseguenza di questo combattimento fu la perdita del tenente Erba, il cui corpo venne ricomposto nella cattedrale. La sua sepoltura fu indubbiamente la dimostrazione di un forte apprezzamento tributato alla Legione italiana da parte del popolo della capitale.

Con questa bandiera vincerai

Il 2 febbraio,Olivieri cacciò da piazza Lorea un nutrito gruppo di truppe formate da cittadini che si erano arroccati in quel luogo. E il 21 aprile,la legione si distinse per una brillante carica con la baionetta guidata dal generale Urquiza, liberando la medesima piazza dagli ultimi residui nemici.

Come premio per quest’azione fu consegnata ad Olivieri una splendida bandiera azzurra e bianca con lo scudo bordato in oro ed un’iscrizione in italiano: CON QUESTA BANDIERA VINCERAI.
Una targa commemorativa accompagnava il riconoscimento con il seguente testo:”Offriamo questa bandiera all’invincibile Legione italiana da parte di Alcuni abitanti”

Corruzione.

La fama della Legione italiana fece sì che il nemico cercasse di corromperla. Prima della sua inattaccabile condotta il generale Hornos rivolse a questa valorosa compagine il seguente discorso: “ Italiani, sono soddisfatto di voi che fate in modo che il popolo e il governo riconoscano la vostra nobile condotta e i vostri valori, che alcuni malvagi con infami seduzioni hanno tentato di corrompere, pretendendo di far dimenticare la gloria che avete ottenuto. Mi rivolgo a voi e ai vostri valorosi capi i quali vi mandano le loro congratulazioni: siete degni della stima di questo popolo generoso”.
Il 28 di quello stesso mese ci fu un altro combattimento di pari intensità contro di abitanti e soltanto dopo tre ore si riuscì a ricacciare l’incessante fuoco. Il 9 maggio Olivieri si distinse alla testa dei suoi bravi legionari, nel combattimento del cimitero inglese. Il generale Mitre a proposito di questa giornata si espresse così: “La Legione italiana, diretta dal comandante Olivieri, avanzò con coraggio indomabile, caricando con la baionetta il nemico… costringendolo alla completa disfatta”. E il generale Hornos, aggiunse: “Mi resta solo da dire che l’ intrepida Legione italiana, con i suoi valenti capi in testa, è invincibile”.

Galloni per i “ valorosi”

Il 30 maggio la Legione italiana meritò il titolo di “valorosa” per essersi battuta contro forze sei volte superiori alla propria e ad ogni soldato fu riconosciuto un titolo onorifico. Il generale Mitre si espresse così in un paragrafo: “Questi soldati si sono battuti uno a sei ed hanno dato prova di grande serenità e valore individuale tutti insieme ed ognuno di loro individualmente ”.

Il nobile comportamento della Legione in questo giorno motivò il seguente decreto: “Considerando il governo, il valoroso comportamento della Legione italiana durante la presente guerra e, in particolare la straordinaria bravura che questa ha dimostrato nell’odierno combattimento, per aver travolto le postazioni nemiche che tenevano il fronte, e per aver perlustrato grandi spazi di terreno che occupavano la sua linea resistendo vittoriosamente a forze sei volte numericamente superiori così abbiamo accordato e decretato che: la Legione italiana, al comando del colonnello Silvino Olivieri, abbia nel prossimo incarico il titolo di CORAGGIOSA,titolo con il quale si distinguerà sempre negli atti ufficiali”.

Discorso


Il giorno 5 giugno, fu benedetta la bandiera della Legione. In queL momento, il colonnello Olivieri si rivolse ai suoi soldati con queste parole: “A soldati valorosi come voi siete , non ho bisogno di ricordare il vostro dovere”.

Il giorno 11 giugno, il colonnello Olivieri, nell’ultimo incontro con solo 40 uomin,attaccò un distaccamento nemico numericamente superiore , disperdendolo. In questo combattimento furono feriti Olivieri, Clerici e l’aiutante Calzadilla. Risultò morto con azione valorosa il tenente Mombelli. La presenza militare di Olivieri durò fino al 13 giugno del 1853, non subendo altri attacchi.

l Governo volle tributare stima rispetto e gratitudine alla Legione italiana che si era battuta con il proprio sangue per difendere le istituzioni della Provincia.Accordò dunque che sulla bandiera vi fosse la seguente iscrizione in oro ornata da foglie di alloro:
“combatterono con gloria per la difesa di Buenos Aires. Anni 1852 e 1853 “

Il 14 agosto, la Legione italiana restituì le sue armi e il Governo apprezzò nuovamente incensando i servizi prestati e accordando agli ufficiali l’uso dell’uniforme e del cordone distintivo.

Olivieri, come sappiamo, tornò in Italia. Rientrato in Argentina nel 1895, assunse il controllo di un’impresa molto più grande di protezione, che gli costò la vita e della quale ci occuperemo in un’altra occasione.

Questo articolo è stato pubblicato in “Storia della città-una rivista di Buenos Aires” (2, dicembre del 1999), che autorizza la sua riproduzione alla difesa del popolo città di Buenos Aires.
 
 

Cuando los italianos defendieron a Buenos Aires


Por Juan Carlos Arias Divito *

Esta es una historia poco conocida, casi inédita. Silvino Olivieri fue un militar nacido en Italia, descendiente de una familia de nobles. Actuó desde joven en los sucesos políticos de su país, llegando a comandar un cuerpo de voluntarios en la revolución de 1848. Perseguido, emigró a Montevideo, pasando después de Caseros, a Buenos Aires. Durante el sitio a que fue sometida esta ciudad en 1852, el gobierno autorizó a los extranjeros para que pudieran armarse y Olivieri se puso al frente de 300 compatriotas que integraron un cuerpo llamado Legión Italiana.

Este cuerpo no se limitó a ejercer una acción de policía, sino que se batió heroicamente en varios combates, mereciendo por ello el título de Legión Valiente y una condecoración consistente en un cordón de honor. Las damas porteñas obsequiaron a Olivieri una bandera para el cuerpo que comandaba. Cuando terminó el sitio de Buenos Aires, el batallón fue licenciado y su jefe volvió a Italia para tomar parte en una nueva revolución.

Descubierto, encarcelado v condenado a muerte, el gobierno de Buenos Aires intercedió por él. En 1855, otra vez aquí, se le confió el mando de una colonia agrícola militar, consecuencia de un proyecto suyo, en las proximidades de Bahía Blanca. El 28 de setiembre de 1856, fue traidoramente asesinado por un grupo de sus soldados sublevados. Al sepultarse sus restos en Buenos Aires, pronunció una oración fúnebre el general Mitre.

El sitio de Buenos Aires

Después de Caseros la guerra civil volvió a encenderse "por la presión ardiente de los enconos de partido", según dice un historiador. Había sido designado, el 30 de octubre de 1852, gobernador titular el doctor Valentín Alsina. Una de sus primeras medidas fue decretar una amnistía y nombrar Comandante del Departamento del Centro de la Provincia al coronel Hilarlo Lagos, quien aceptó expresando su reconocimiento por la "profunda confianza" que el gobierno le dispensaba.

Sin embargo, desde su puesto, se comunicó con el gobernador de Santa Fe, Domingo Crespo, para neutralizar ese frente mientras recababa la colaboración de los jefes militares de la campaña y, al mismo tiempo que iniciaba la marcha sobre Buenos Aires, exigía al gobernador Alsina la renuncia de su cargo. El 6 de diciembre de 1852, quedaba formalizado el sitio.

La Guardia Nacional, bajo las órdenes de Mitre, tuvo a su cargo la defensa en los primeros instantes. Pero la desorganización militar de Buenos Aires era tal, que aisladamente y en grupos, penetraban los sitiadores sin ser molestados. Se dispuso que todos los habitantes tomaran su puesto en las trincheras. Comprendían éstas una línea defensiva desde el bajo del Retiro, plaza Lorea, Concepción y de la Residencia, entrando en ella las plazas Libertad, Parque y Monserrat.

Conservar el orden público

El 9 de diciembre, el Gobierno de la provincia decretó: "Todos los habitantes de la ciudad, sea cual fuere su nacionalidad, están autorizados a tomar las armas, si voluntariamente lo desean, al solo objeto de conservar el orden público en peligro". La población extranjera, reunida por nacionalidades, pidió armas y se organizó en legiones.

La Legión Italiana fue la verdaderamente aguerrida, interviniendo en combates, mientras que las restantes no hicieron más que un servicio de policía. Colaboraron con Silvino Olivieri sus connacionales, e1 mayor Eduardo Clérici, los capitanes Vialardi y Rodini, los tenientes Lorea, Erba, Mombelli, el sargento fosé Guerrini, etc.

Los legionarios guarnecieron el cantón de la plaza Lorea, conjuntamente con el Regimiento de Guardias Nacionales a las órdenes del coronel Domingo Sosa. Su bautismo de sangre fue el 9 de enero de 1853 contra fuerzas superiores, consiguiendo vencerlas. Hablando de la actuación de Olivieri en ese encuentro, un contemporáneo refiere: "Su arrojo le llevó hasta pelear cuerpo a cuerpo... con el noble propósito de proteger y salvar a algunos de sus compañeros... se precipitó con admirable valor mezclándose entre las lanzas y bayonetas de los sitiadores".

Una consecuencia de este combate fue la pérdida del teniente Erba, cuyo cuerpo fue depositado en la Catedral, dando lugar su sepelio a una demostración de aprecio a la Legión Italiana por el pueblo de la Capital

Con questa bandiera vincerai

El 2 de febrero, Olivieri desalojó de la plaza Lorea a un nutrido conjunto de tropas sitiadoras que se habían hecho fuertes en ese sitio. Y el 21 de abril, formalizado ahora el sitio por las tropas al mando del general Urquiza, la Legión se distinguió por una brillante carga a la bayoneta.

Al regresar de esta acción, le es entregada una hermosa bandera azul y blanca con el escudo bordado en oro, asta forrada con terciopelo verde y galones plateados, rematada en una moharra de plata, de la cual descendía una cinta de seda verde con la siguiente inscripción en italiano: CON QUESTA BANDIERA VINCERAI.

Una tarjeta que acompaña la ofrenda decía: "Ofrecemos esta bandera a la invicta Legión Italiana. Algunas porteñas".

Soborno

La fama de la Legión hizo que el enemigo tratara de sobornarla. Ante su intachable conducta, el general Hornos les dirigió esta arenga: "Italianos, estoy satisfecho de vosotros v pondré en conocimiento del pueblo y gobierno la noble conducta y valor vuestros, que algunos malvados con infames seducciones han tentado empañar, pretendiendo haceros olvidar las glorias que habéis obtenido.. Dirijo a vosotros y a los valientes jefes que os mandan mis congratulaciones: sois dignos de la estima de este pueblo generoso".

El 28 del mismo mes, sostuvo otro combate desigual contra los sitiadores, a quienes consiguió rechazar después de tres horas de incesante fuego. El 9 de mayo, Olivieri se distinguió a la cabeza de sus bravos legionarios, en el combate del Cementerio Inglés (Hipólito Yrigoyen entre Pasco y Pichincha). El general Mitre dice en su parte de ese día: "La Legión Italiana, dirigida por el comandante Olivieri, avanzó con su bravura acostumbrada, cargando a la bayoneta al enemigo... poniéndolo en completa derrota". Y el general Hornos, al elevar este parte al Superior Gobierno, dice: "Sólo me resta decir a VE. que la atrevida Legión Italiana, con sus dignos jefes a la cabeza, es invencible".

Cordones para los "Valientes"

El 30 de mayo, la Legión mereció el título de "Valiente" por haberse batido contra fuerzas seis veces superiores y a cada integrante se fe concedió un cordón honorífico. El parte del general Mitre, expresa en un párrafo: "Habiéndose batido uno contra seis y dado pruebas de mucha serenidad y valor individual todos v cada uno de los que la componían".

El notable comportamiento de la Legión en ese día motivó el siguiente decreto: "Considerando el Gobierno, el valeroso comportamiento de la Legión Italiana durante la presente guerra y, particularmente la extraordinaria bravura que ha ostentado en el combate de hoy, en que después de arrollar los puestos enemigos, que tenía a su frente, ha recorrido triunfante un gran espacio de terreno, del que ocupaban su línea, resistiendo victoriosamente a fuerzas séxtuples, ha acordado y decreta: La Legión Italiana, al mando del coronel Silvino Olivieri, tendrá en lo sucesivo el título de VALIENTE, con el cual se le distinguirá siempre que se le nombre en actos oficiales".

Arenga

El día 5 de junio, fue bendecida la bandera de la Legión. En ese momento, el coronel Olivieri dirigió a sus soldados tan sólo las siguientes palabras: "A soldad valorosi come voi siete, io non ho bisogno di recordare il vostro dovere" (A soldados valerosos como ustedes, no necesito recordarles su deber).

El 11 de julio, el coronel Olivieri, en el último encuentro, con sólo 40 hombres atacó a un destacamento enemigo superior en número, dispersándolo. En ese combate fueron heridos Olivieri, Clérici y el ayudante Calzadilla. Resultó muerto en acción valeroso el teniente Mombelli. Como el sitio duró hasta el 13 de julio de 1853, no hubo más acciones.

Considerando el Gobierno el mérito especial que habían contraído al defender con su sangre las instituciones de la Provincia, quiso darle una muestra de la estimación que le merecían sus relevantes servicios, como asimismo la gratitud a que se le habían hecho acreedores. Acordó que llevarían en su bandera la inscripción siguiente, en letras de oro orlada de un laurel: "COMBATID CON GLORIA EN DEFENSA DE BUENOS AIRES. AÑOS 1852 Y 1853".

El 14 de agosto, la Legión Italiana devolvió sus armas y el Gobierno agradeció nuevamente en una proclama los servicios prestados, acordando a los oficiales el uso del uniforme y el cordón distintivo.

Olivieri, como sabemos, volvió a Italia. A1 regresar en 1855 a la Argentina, asumió la conducción de una empresa de mucha mayor proyección, que le costó la vida y de la que nos ocuparemos en otra oportunidad.

* Este artículo fue publicado en "Historias de la Ciudad – Una Revista de Buenos Aires" (N° 2, Diciembre de 1999), que autorizó su reproducción a la Defensoría del Pueblo de la Ciudad de Buenos Aires.




                                                                                                                                 

sabato 14 febbraio 2015

L'ANTROPOFAGO - di Ida Magli




EDITORIALI

L'antropofago


di Ida Magli
ItalianiLIberi
| 11.02.2015

  L’Italia vive ormai da anni fuori da qualsiasi norma democratica. Siamo giunti perfino all’assurdo che il Presidente della Repubblica è stato eletto da un Parlamento da lui stesso dichiarato illegittimo. Ma la responsabilità maggiore della situazione attuale è da attribuirsi alla politica fallimentare di Berlusconi, fallimentare per il suo partito che è praticamente diventato la ruota di scorta di Renzi, ma soprattutto per l’Italia dato che una democrazia dove non esiste opposizione diventa dittatura.

 L’ormai famoso “patto del Nazareno”, invenzione berlusconiana sotto la quale poteva passare qualsiasi cosa dato che non era pubblica, è diventato immediatamente, appena proposto, la maggiore leccornia per scatenare l’istinto antropofago che, come spiega Jonathan Swift nelle sue satire, sonnecchia in ogni essere umano, ma che nella lotta politica assume le vesti visibili del principio su cui è basata la società del profitto e del diritto di appropriazione: il più bravo è colui che mangia di più. Per ogni consenso espresso da Berlusconi alle mosse di Renzi nel nome del fantomatico patto del Nazareno, l’antropofago Renzi si è mangiato un pezzetto di Berlusconi, fino a quando, con l’elezione di Mattarella, non è rimasto più nulla da mangiare. Sembra incredibile che Berlusconi non se ne sia ancora accorto e che Forza Italia, pur consapevole, almeno nella maggioranza dei suoi membri, degli errori della politica berlusconiana, non abbia avuto la forza per imporre un cambiamento, una strategia di vera opposizione. Oggi però questo cambiamento è indispensabile. Prima di tutto per cercare di riequilibrare la “dittatura Renzi”, della quale è inutile accusare Renzi: nell’astenia politica creata dal consenso berlusconiano e dalla passività dei cittadini, totalmente esclusi, con il termine “riforme”, perfino dall’informazione su ciò che viene deciso, la sicurezza autoritaria di Renzi ha assunto un particolare fascino: il fascino trasmesso dalla deviazione dal codice della normalità  e della morale comune, quella che non permetterebbe di affermare: “Chiacchierate pure tanto io faccio quello che voglio”. È successo quindi che quanto più Renzi si rivela antropofago, tanto più piace alla massa dei cittadini, antropofagi repressi.

 I mezzi consensi offerti da Berlusconi sono quanto di peggio si possa immaginare per un partito come Forza Italia ormai privo di identità e di scopi. Senza aggressività, senza combattere contro qualcuno o qualcosa, non si può vincere nessuna battaglia. Se Berlusconi è un uomo ormai domato, sono i politici all’interno di Forza Italia a dover imporre una linea di assoluta determinazione: contro la politica di Renzi che ha comportato la perdita della democrazia (il ricorso alle elezioni viene presentato come uno spauracchio); contro la politica dell’Ue che, attraverso la moneta unica e il peso del debito ha fatto perdere agli Stati la sovranità e l’autonomia di governo. Il ricatto della Bce nei confronti della Grecia ha parlato chiaro; spetta all’Italia, se è ancora una nazione, condannarlo.

Ida Magli
09 febbraio 2015
       


                                                                                                                                           

venerdì 13 febbraio 2015

VIA AL DEMANSIONAMENTO



 ECONOMIA 2015
 
Jobs Act: Via al demansionamento

di Federico Dal Cortivo
 
Il vergognoso governo banco-finanziario di Renzi si appresta a colpire ancora una volta i lavoratori italiani.

La parola d’ordine è : Demansionare!

Punto finale di un disegno iniziato anni fa con la Legge Treu e che ha poi raggiunto la sua apoteosi con quella Biagi, ora si vuole colpire di fino i dipendenti delle aziende dando in mano ai padroni uno strumento in più.

Ciò sarà possibile, è quello che vuole attuare il governo , in modo diretto dal datore di lavoro nei casi di: riorganizzazione o ristrutturazione aziendale, ove siamo in presenza ragioni tecniche – oggettive (e chi le stabilisce giacché nessun rappresentante dei lavoratori siede nei CdA?), o per una inidoneità sorta durante la vita lavorativa a svolgere la mansione superiore.

 Oggi la legge prevede la possibilità di demansionare, ma nei limiti dell’equivalenza professionale, solo nei casi come i motivi di salute o per evitare il licenziamento. Nessun accordo può essere fatto in deroga.

Si vuole anche ampliare il campo della modifica delle mansioni mediante accordi con il sindacato o presso la Direzione Provinciale del Lavoro, oltre ai casi già previsti per legge si aggiungerebbero i motivi di vita-lavoro, la richiesta espressa del dipendente per un proprio interesse,oppure per inidoneità a ricoprire la mansione.

É facile intuire come oltre alla precarietà sempre più diffusa, che sta contraddistinguendo i contratti di lavoro in Italia, vi sia la chiara volontà di riportare le lancette dell’orologio indietro di oltre 100 anni, ai tempi dei cosiddetti “padroni delle ferriere”, dando carta bianca ai datori di lavoro e relegando i lavoratori al mero ruolo di merce da utilizzare nella più completa libertà di sfruttamento.

La vulgata neoliberista, grazie al controllo tout court dei media, oramai da qualche tempo ci recita la falsa storiella che “solo il mercato debba regolare la vita delle Nazioni”, mercato nel quale gli uomini sono considerati eufemisticamente “risorse”, come le materie prime.

Ora grazie al centrosinistra renziano, si sta per assestare un altro fendente contro una delle poche garanzie ancora rimaste del “fu Stato Sociale” d’anteguerra e del primo dopoguerra.

Falsamente i pifferai magici indicano nelle garanzie poste a tutela dei lavoratori dipendenti, i lacci e i lacciuoli che frenano lo “sviluppo” e “l’occupazione”italiana, si vuol far passare la sicurezza del contratto a tempo indeterminato come un “privilegio” di pochi contro i molti, come freno all’occupazione, come una bestemmia contro “l’illuminata guida dei guru del mercato”.

Si vuole far credere, che sia obsoleta e anacronistica ogni tutela contrattuale di chi lavora, arrivando finanche a stravolgere il significato della parola licenziamento, fatta apparire come d’incanto come una ”opportunità in più per misurarsi con se stessi e crescere”, cercando e adattandosi a sempre nuove occupazioni, possibilmente peggio inquadrate e retribuite della precedenti.

Stiamo andando verso una africanizzazione del lavoro, una globalizzazione dei poveri, con masse di immigrati che accetteranno ogni tipo di lavoro e contratto, e così anche i nostri connazionali senza più tutela saranno costretti ad accettare ogni forma di precariato e ribasso salariale, da tempo anche il sindacato ha smesso di rappresentarli, la politica invece rappresenta ben altri interessi, quelli dei nemici della Nazione e del nostro Popolo.

11/02/2015

martedì 10 febbraio 2015

STORIE DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE ITALIANA

 

STORIE DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE ITALIANA 

Equitalia è una s.p.a. posseduta per il 51% dall’Ufficio delle Entrate e per il 49% dall’Inps. Già questo mi sembra un grande caso di conflitto d’interesse, perché il creditore (ossia l’Agenzia delle Entrate o l’Inps) non può essere al tempo stesso creditore, esattore e addetto alla riscossione forzata dei debiti insoluti. Insomma non si può essere allo stesso tempo giudici, giuria e boia come invece è Equitalia!

Se poi scopriamo che l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia sono  dirette dallo stesso personaggio, cioè Attilio Befera (che, occupando due poltrone, percepisce così la bella somma di oltre 500.000 euro/anno) allora il conflitto d’interessi diventa ancora più palese ed è una tragica certezza. Tralascio di parlare di Antonio Mastropasqua, che ricopre ben 25 incarichi (!) fra cui quello di vicepresidente di Equitalia e di presidente dell’Inps, percependo così ben 1.300.000 euro/anno!

 La volontà inquisitoria, la bramosia di voler perseguire ad ogni costo chi è debitore o presunto tale verso lo Stato, SENZA TENER CONTO delle motivazioni che hanno causato lo stato d’insolvenza, è talmente forte che si è disposti a passare sopra ad ogni considerazione di buon senso, affidando un enorme potere ad un uomo solo (Befera) che così detiene nelle sue mani il destino di diversi milioni di Italiani. Per fare un esempio dei poteri enormi di Equitalia, si sappia che chiunque vanti un credito, necessita prima di riscuotere, di un decreto ingiuntivo del magistrato e poi dell’azione di un giudice che sentenzi il pignoramento dei beni del debitore.

Tutti, ma NON Equitalia, perché se la scrive, se la canta e se la suona da sola. E’ al di sopra delle leggi, perché è un soggetto libero da ogni vincolo giurisprudenziale e per il pignoramento non necessita di un decreto del magistrato! Inoltre il sig. Befera, conscio del potere di cui dispone, non manca occasione per lanciare messaggi inquietanti e minacciosi proclami del tipo: “gli Italiani sono evasori, adesso li raddrizziamo!”.

 Mia madre lavorava all’Agenzia delle Entrate prima di andare in pensione,MA lei stessa lo ha definito un novello “Torquemada”, visto che sembra garantire persecuzioni a tappeto contro tutti coloro che lui ritiene evasori fiscali. Recentemente quando fu richiesto al “neo-Torquemada” di esprimere un parere sull’impressionante numero di suicidi che sta sconvolgendo l’Italia, ha risposto con arroganza, dicendo che chi non è in difetto, non viene perseguito e che se chi viene perseguito, prende decisioni drastiche, forse ha molto da temere e che in ogni caso lo Stato non si fermerà. E così mentre il popolo deve essere tassato, anzi tartassato, Befera sembra abbia favorito un suo parente stretto. Infatti da Il Giornale.it ho appreso una notizia interessante.

Cosa hanno in comune il Coni ed Equitalia? Sembra che non abbiano nulla, se non la medesima origine pubblica. In realtà i top manager del Comitato Olimpico Nazionale e di Equitalia, Raffaele Pagnozzi ed Attilio Befera, hanno provveduto a sistemare i rispettivi figli con assunzioni incrociate. Questo intreccio, più simile ad uno scambio azionario che ad un favore fra amici, viene riportato anche dal quotidiano economico Italia Oggi. I protagonisti sono Marco Befera, figlio dell’amm.re delegato di Equitalia, assunto al Coni ed inserito nei servizi legali e Flavio Pagnozzi, figlio del segretario generale del Comitato Olimpico, assunto nell’organico della s.p.a. del fisco. Il dato interessante è che Raffaele Pagnozzi è anche amm.re delegato della Coni servizi s.p.a., società controllata dal Ministero dell’Economia che, guarda caso, controlla anche Equitalia attraverso l’Ufficio delle Entrate. L’operazione a vantaggio dei due figli dei manager di Stato non ha nulla di irregolare e sarebbe passata inosservata, se i soggetti coinvolti operassero in ambito privato. Ma la cosa fa notizia, se sotto i riflettori finiscono due top manager del cosiddetto “pubblico” con tutte le polemiche che ne conseguono. Il vecchio modello della provvidenziale “raccomandazione” insomma non tramonta mai! Se è vero che in Italia, al contrario di altri Paesi europei, c’è sempre stata un’evasione fiscale molto elevata, il che è indegno di una nazione civile, lo è altrettanto dire che il nostro Stato non eroga servizi sociali di livello alto come è nei paesi scandinavi. Eppure in Italia c’è una pressione fiscale superiore anche a quella del Nord Europa. Ma soprattutto non è accettabile che Befera si faccia passare come l’archetipo del fustigatore della morale pubblica dopo aver sistemato il figlio col più vecchio dei metodi usati nel nostro Paese!

Setefi  s.p.a è una società delle banche del gruppo Intesa S. Paolo e Monte dei Paschi di Siena, specializzata nei pagamenti con moneta elettronica, cui si rivolge la maggioranza dei gestori di pompe della benzina. Detta società, benché la legge vieti le commissioni bancarie sugli acquisti di benzina inferiori a 100 euro in moneta elettronica, pretende  comunque di applicare tali commissioni. In caso contrario il contratto coi gestori verrà disdetto, poiché la giustificazione è “non possiamo elargire prestazioni gratuite”. Ci sono anche dei cittadini con l’acqua alla gola che non possono pagare le tasse o la rata del mutuo, ma non per questo motivo la banca o Equitalia rinunciano a prendersi le loro case, anche se ne hanno una sola, sbattendo così in mezzo ad una strada intere famiglie!

Quale provvedimento, se mai ci sarà, allora verrà preso verso la Setefi, che rifiuta di rispettare un impegno? Che la legge sia uguale per tutti, io non ho dubbi. Ho invece il sospetto che di fronte alla Giustizia, siamo tutti diversi…. Altre società di servizi, invece, hanno rispettato le regole, non applicano le commissioni e neppure disdicono i contratti. La Faib - Confesercenti, associazione di categoria dei benzinai, il cui vice presidente a Forlì è Fausto Lambruschi che conosco personalmente, è sul piede di guerra nei confronti del Monte dei Paschi di Siena (banca molto vicina al PD!) e di IMI – S. Paolo (molto vicina al PdL) che, con la solita arroganza che caratterizza le banche, ha spedito lettere ai gestori di pompe di benzina nelle quali minaccia di sospendere il servizio, se i benzinai non accetteranno di pagare le commissioni bancarie!

Per i benzinai, che ormai dalla vendita della benzina non guadagnano più nulla, perché il guadagno è fortemente ridotto dalle accise imposte dallo Stato e dall’esigenza di garantire la sicurezza sugli impianti, i problemi non finiscono qui. Infatti presto la Conad anche a Forlì comincerà a vendere la benzina ad un prezzo leggermente inferiore rispetto ai benzinai, che così finiranno tutti quanti al tappeto! Non so come la pensiate voi, ma vedere che il P.D. è amico delle banche (come il PdL, che tanto critica…), che favorisce sfacciatamente la grande distribuzione e che non si preoccupa affatto se gli altri crepano, beh…il disgusto che provo di fronte a chi si professa di sinistra ed in realtà è di destra, mascherato da sinistra, è grande! Ma presto la maschera che copre il loro viso cadrà e il popolo finalmente capirà! Io andrò a fare benzina dall’amico Lambruschi, anche se spenderò un po’ di più, voi fate pure quello che vi pare!


Andrea Mantellini
                                                                                                                                                             

sabato 7 febbraio 2015

La famiglia Rothschild ha acquistato Charlie Hebdo a Dicembre 2014





La famiglia Rothschild ha acquistato Charlie Hebdo a Dicembre 2014
Tratto da http://luniversovibra.altervista.org/la-famiglia-rothschild-ha-acquistato-charlie-hebdo-dicembre-2014/
Parigi si trova al centro dell’attenzione dei media internazionali dopo la sparatoria avvenuta nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo.
I tiratori, al grido di “Allahu Akbar” (in arabo “Dio è [il] più grande”), hanno ucciso undici persone e ferito altre undici durante il loro attacco. Poco dopo hanno ucciso un ufficiale della polizia francese.
Gli uomini armati, si sono identificati come appartenenti al ramo Yemenita di Al-Qaeda (Al-Qaeda nella penisola arabica).
E come al solito, quando s’indaga più in profondità sugli eventi false flag  tipo 11/9, la mano ebreo sionista fa la sua comparsa, infatti, i Rothschild, sembrano ancora una volta avere delle responsabilità dal momento che la famiglia di gran lunga più ricca del mondo ha acquistato la rivista Charlie Hedbo pochi giorni prima dell’attentato, nel Dicembre 2014!!!
Sembra che questa acquisizione sia stata oggetto di aspre discussioni tra i membri della famiglia, secondo il barone Philippe de Rothschild, che di recente ha rilasciato un’intervista alla rivista Quote pubblicata a gennaio.
“C’è stata una discussione riguardante l’acquisizione completata da mio zio il barone Edouard de Rothschild”, ha detto Philippe. “Alcuni membri della famiglia volevano impedire l’acquisto, perché sentivano che l’acquisto di questa rivista sarebbe stata vista come un tentativo per aumentare l’influenza dei Rothchilds nella politica. Non vogliamo essere notati per essere coinvolti nella politica, almeno non in modo così trasparente! Alla fine la reticenza della famiglia è stata superata”.
Così il Barone Philippe Rothschild ha informato Quote che l’acquisizione di Charlie Hebdo è stata perfezionata nel mese di Dicembre 2014.
Non c’è bisogno di molta immaginazione per vedere il collegamento tra l’attacco e l’acquisizione, avvenuta solo poche settimane prima dell’attacco, di questa rivista satirica che, tra l’altro, era già una piattaforma sionista conosciuta per incitamento all’odio.
L’intera vicenda mi ricorda la vendita delle Torri Gemelle del World Trade Center a Larry Silverstein nell’estate del 2001, seguita dalla loro distruzione in un presunto attacco “terroristico”, nel Settembre dello stesso anno. In particolare, come è ormai noto, Silverstein assicurò le torri, precisamente contro attacchi terroristici inaspettati condotti per via aerea, solo sei settimane prima dell’attacco.
Queste informazioni non possono essere presentate come prova categorica del coinvolgimento sionista negli attacchi di Charlie Hebdo, ma deve far riflettere e considerare tutte le possibilità. Certamente deve farci mettere in dubbio il racconto dei media mainstream.
Comunque: “I Rothschild sono i proprietari di Charlie Hebdo? Non ho altre domande da fare”.

Fonte informazione: http://www.quotenet.nl/Nieuws/De-Rothschild-s-drukken-Charlie-Hebdo-Wij -twijfelden-of-we-krant-moeten-uitgeven-142940

                                                                                                                                                                              

venerdì 6 febbraio 2015

IGNORANZA INDOTTA E IL VORTICE MONETARIO

IGNORANZA INDOTTA E IL VORTICE MONETARIO


Di Anonimo Pontino

Molti anziché fare lo sforzo di istruirsi sul reale funzionamento del sistema bancario, preferiscono ascoltare i vari organi di partito, cioè i media, che raccontano come si potrebbe tagliare fuori l’evasione fiscale eliminando il denaro liquido. Nel nostro futuro è prevista l’eliminazione del contante, e indovinate per chi sarà vantaggiosa?

Le banche ovviamente…!

Aumenterà quello stato di controllo, tanto auspicato, perché ogni passaggio di denaro, sarà memorizzato su un terminale, e monitorato dal sistema computerizzato. Se il sistema agisce così, è anche perché teme che si aprano gli occhi. Nell'eventualità che ci si accorga della truffa, devono averci in pugno…

I  soldi, una volta diventati numeri su un monitor, saranno garantiti da quella piccola carta di plastica, la carta di credito. L’oro, se lo vendiamo a quegli strozzini, si trasforma anch’esso in numeri luminosi, e in mano ci ritroviamo con nulla di concreto, a parte quel rettangolo di plastica  da  pochi  centesimi. Però,  una  volta  bloccata  (per  bancarotta,  per  ricatto,  per  disegno  di  legge,  per  truffa) quella carta non servirà neppure come paletta per raccogliere le cacche del cane. Se sopraggiungerà il programmato collasso dell’economia non avremo più  nulla  da  scambiare  con  il  cibo!  Arriveremo  ad  assaltare  i  supermercati  e  ad  azzannarci  tra  di  noi,  come  cani inferociti.

Sono 85 milioni gli americani che possiedono almeno una carta di credito.

Di questi, il 60 % è «in rosso», ossia non paga interamente il debito contratto ogni mese.

Il debito medio di ciascuno di loro si aggira sui 9 mila dollari.

Non è una cifra enorme.

Ma, ha calcolato la Federazione dei Consumatori USA, basta per agganciarli nella trappola.

Le banche consentono di pagare solo il 2% mensile del «rosso»: il che significa che per ripagare i 9 mila dollari, ci vogliono - al tasso del 18% - ben 42 anni.

Per gli usurai è questo il cliente ideale: quello che lavora tutta la vita per arricchire loro. I privati americani, nel complesso, sono in rosso sulle carte di credito per 800 miliardi di dollari, cifra pari a quasi una volta e mezzo il PIL della Cina.

E questo debito è aumentato del 31% nei soli ultimi cinque anni.

Con  il  nostro stile di vita stiamo alimentando  un  sistema  perverso  che  ci  mantiene  in  uno  stato  di schiavitù silenziosa.  Indirizzato  da  una  politica  economica  ben  precisa  ed  ingannati dalle menzogne  propinate  quotidianamente  dai  mass-media.



Per possedere una trappola per topi di 50 mt2 al centro, abbiamo acceso un mutuo che ci  costringerá  per  tutta  la  vita  ad  essere  prigionieri  del  sistema  che  tanto  critichiamo nelle  manifestazioni  di  protesta  nelle  piazze.  Dentro  queste  abitazioni  anguste  e lugubri  accumuliamo  le  merci  che  dovrebbero,  secondo  i  messaggi  pubblicitari   portarci  la  felicità  perfetta. 

L’invenzione  della  disoccupazione  moderna  è  lì  per spaventarci e farci ringraziare la generosità  del  potere. A  differenza degli antichi schiavi che venivano catturati, oggi siamo noi stessi che abbiamo scelto il nostro padrone.

Molte persone non associano le  crisi economiche, la  disoccupazione  o  le  guerre,  al sistema  finanziario,  e  quindi  non comprendono la vera natura del potere che oggi vessa il mondo intero. Anche il terrorismo fa parte di questo gioco. Se le organizzazioni del terrore continuano ad agire, e la criminalità non  muore  mai,  è  perché  sono  anelli  del  potere. Fossimo meno idioti ci saremmo accorti che attentati terroristici servono a giustificare maggiori e più severi controlli, quindi, a stringere più fortemente il collare alle popolazioni. Le restrizioni sociali sono utili alla subordinazione della  società strumentalizzata che,  in questo modo, è espropriata  dei  propri diritti. Molti soprattutto i giovani sfogano la loro ribellione al sistema in vari modi: modo di vestire, modi di esprimersi, tatuaggi, body piercing. Si  ribellano  contro  il  sistema usando purtroppo l’ignoranza. Un'ignoranza che non nasce da sola, ma che è frutto di un’accurata propaganda. Così  si realizza il  più  grande  paradosso  della storia:  schiavi  ignoranti, e  magari sedicenti "ribelli", posti  sotto  il  giogo  della  moneta-debito si ritrovano a pagare il prezzo della propria schiavitù senza neppure averne cognizione.