lunedì 30 marzo 2015

EDIZIONI NAZIONALI

MUSSOLINI E LA GUERRA NON VOLUTA

Opera postuma dell' indimenticabile architetto Filippo Giannini, infaticabile storico che ha dedicato la sua vita allo studio della figura di Benito Mussolini e alla storia dell' Italia fascista, sfrondando ogni falso luogo comune della storiografia ufficiale.

In questo studio Giannini analizza come le potenze capitaliste occidentali spinsero alla guerra un Mussolini riluttante a scendere in armi e che aveva in tutti i modi cercato di salvare la pace mondiale. Uno studio serio e documentato che costituisce un omaggio alla  figura e all' opera insostituibile di Filippo Giannini.


Link ufficiale del libro :


http://www.lulu.com/shop/filippo-giannini/mussolini-e-la-guerra-non-voluta/paperback/product-


                                                                                                                                                                                                                                                                          
        

AVV. E LONGO

PONZIO PILATO


di Anonimo Pontino.
La figura di Ponzio Pilato nella cultura dominante, nei discorsi che capita spesso di sentire ovunque, è diventata il simbolo di chi si sottrae alle proprie responsabilità, del menefreghismo, della viltà. La cosa che mi rattrista maggiormente è vedere molti cattolici, anche sacerdoti, accogliere con leggerezza queste posizioni.
Ma le cose stanno realmente così?

Ponzio Pilato ha amministrato la Giudea per circa un decennio dal 26 al 36. Gesù ha iniziato il  suo  ministero  pubblico  nel  30  ed  è  stato  condannato  a  morte  nel  33.

All’epoca del processo a Gesù , la Giudea non era provincia romana, bensì  “federata”. Il procuratore Ponzio Pilato aveva quindi giurisdizione politico-militare soltanto sui delitti di infedeltà  a quel “foedus”, mentre,  per  tutti  gli  altri,  e  a  maggior  ragione  quelli  di  sacrilegio  contro  la  legge mosaica, la competenza  esclusiva  era  dell’autorità   locale  ebraica,  e  cioè   del  Sinedrio. 

Inoltre Pilato era stato in un certo senso sconfessato da Tiberio.

Infatti dopo il suo arrivo in Palestina Ponzio Pilato fece appendere  nel  suo  palazzo in Gerusalemme gli scudi d’oro dedicati  a  Tiberio,  muniti  d’iscrizioni  e  privi  di  simboli  che  potevano  essere ritenuti idolatrici (Filone  d’Alessandria,  De  legatione  ad  Cajum,  par.  38,  n.  299-305).  I giudei si rivolsero  a Tiberio chiedendo la rimozione degli scudi, e Pilato dovette cedere (cfr. G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, cit., II vol., pp. 439 ss.)

Pilato detestava il Sinedrio, ma non aveva più l’appoggio del suo Imperatore. Di fatto il Sinedrio mediante Tiberio aveva in mano Pilato.

Quando Pilato interrogò  accuratamente l’imputato,  la sua sentenza fu: “Io trovo quest’uomo immune da colpa”.

Quando sentì  che il presunto delitto di sedizione politica, a carattere continuativo, sarebbe iniziato in Galilea, Pilato esattamente  applicando  il  rito  vigente,  si dichiarò incompetente  per  territorio  e  rimise  la  causa  al  tetrarca  di  Galilea,  Erode  Antipa. Ebbene – registra  l’evangelista  –  quando  anche  Erode  dichiarò   Gesù   innocente  “da  quel giorno Pilato ed Erode,  che  erano  prima  in  pessimi  rapporti,  divennero  amici”.

Ma il procuratore non si fermò  li. Si impegnò  per salvare Gesù  anche al di là  del proprio dovere istituzionale tanto da compromettere il proprio “cursus honorum”. Pilato sapeva bene che Gesù  era molto popolare (non poteva essergli sfuggita la domenica delle Palme, proprio in Gerusalemme), e sapeva anche che il Sinedrio lo odiava.

Si  illuse  però  che,  ricorrendo  al  popolo,  egli  sarebbe  riuscito  –  senza  violare  la  legge  – a strappare  il  perseguitato  dalle  grinfie  del  suoi  nemici.  Sottovalutava  l’astuzia  o  la perfidia dei vertici ebraici, che, prevedendo la sua mossa, avevano provveduto a far affluire per tempo nella non grande piazza una folta schiera di loro servitori e clienti. Accade contro ogni logica che il risultato della consultazione popolare fosse “libera Barabba!”; sebbene Pilato fosse ricorso anche all’espediente  di far comparire il suo protetto in pubblico conciato in modo da indurre a compassione chiunque.

Pilato,  allora,  costatata  l’impossibilità   di  smuovere la folla obbediente al Sinedrio, grida “io sono innocente del sangue di questo giusto.” Affermazione inconciliabile con l’ipotesi che egli stesso lo avesse condannato poco prima a morte e spiegabile soltanto col fatto che la condanna fosse stata decisa e pronunziata da “altri”.

Arriviamo  alla  famosa  “lavata  di  mani”.

Il gesto di lavarsi le mani non va inteso come un non curarsi di ciò che stava per accadere. Infatti in Giudea  ci  si  lavava  le  mani  se  ci  si  imbatteva  in  un  cadavere per significare di non essere colpevole della sua uccisione (cfr. Deut., XXI, 6). L’atto di Pilato voleva significare ai giudei: “io sono innocente della morte di Gesù” (v. 24). E loro capirono benissimo e risposero: “che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (v. 25), cioè essi presero su di sé come popolo la  responsabilità  della  condanna  a  morte  di  Gesù.

Gesù  stesso  scagiona  Pilato  quando  gli  dice:  “chi  mi  ha  consegnato  a  te  è colpevole di un peccato  gravissimo.  Tu  non  avresti  nessun  potere  su  di  me  se  non  ti  fosse  stato dato dall’alto” (Jo.,  XIX,  11) ( 1) .  Gli  esegeti  interpretano  questo  versetto  nel senso che il Sinedrio  avrebbe fatto ricorso a Tiberio dal quale Pilato aveva ricevuto il potere. Pilato è solo un delegato dell’Imperatore ed il  Sinedrio  che  ha  consegnato  Gesù  a  Pilato  lo  costringe  a  condannarlo  sotto minaccia di ricorrere  all’Imperatore  del  quale  Pilato  è  solo  il  delegato (cfr. M. De Tuya, Biblia Comentada, Evangelios, vol. V, Madrid, 1964, p. 1289).

I  cattolici  greci  venerano  la  moglie  di  Pilato  (Claudia  Procula)  come  santa,  mentre i Copti venerano anche Pilato, la cui conversione non è storicamente testata, ma la tradizione copta vuole  che  Pilato  abbia  terminato  la  sua  vita  nel  pentimento  e  nella  pratica  delle virtù cristiane (F. Spadafora, Pilato, Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1973).

Al gesto pubblico di Pilato di lavarsi le mani, soprattutto i protestanti hanno attribuito invece il  significato  di disinteressarsi,  di  tirarsi  fuori  vilmente.

Il cinema di Hollywood ha fatto il resto, cambiando  la  realtà  storica  sulla  responsabilità  del  Sinedrio  nella  morte  di  Cristo. Ma Hollywood lo sanno anche i muri che obbedisce alla lobby ebraica.



Secondo i fratelli Lémann (A. e J. Lémann, Valeur de l’assemblée qui prononça la peine de mort contre JésusChrist, ed. Lecoffre,Parigi, 1876) il  Sinedrio  era  risoluto  sin  dall’inizio ed a  priori  a  condannare Gesù,  indipendentemente  dalla  sua  innocenza.  Questi  fatti  sono  le tre decisioni prese dal Sinedrio  nelle  tre  riunioni  anteriori  a  quella  del  Venerdì  Santo:  la  condanna  a  morte  di Gesù, prima ancora che comparisse come accusato.

•          La prima riunione si tenne dal 28 al 30 settembre (Tisri)dell’anno 781 di Roma (32 d. C.). Il Vangelo parla de “l’ultimo giorno della festa dei Tabernacoli” (Io., VII, 37), che in quell’anno cominciava il 22 settembre e terminava il 28. S. Giovanni ci riferisce che Gesù aveva guarito miracolosamente un cieco nato e che “i suoi genitori, temevano i giudei; poiché i giudei avevano congiurato che se qualcuno avesse confessato che Gesù era il Cristo sarebbe stato scomunicato” (Io., IX, 22). Il decreto di scomunica era stato lanciato tra il 28 ed il 30 settembre. Ora tale decreto prova due cose:1°) che vi era stata una riunione solenne del Sinedrio, che solo aveva il potere di lanciare la “scomunica maggiore”; 2°) che in tale riunione si era parlato della morte di Gesù. Infatti l’antica Sinagoga aveva tre tipi di scomunica: la separazione (niddui ); l’esecrazione (choerem) e la morte (schammata).La separazione condannava qualcuno a vivere isolato per trenta giorni. Essa non era riservata al Sinedrio. L’esecrazione comportava una separazione completa dalla società giudaica: si era esclusi dal Tempio e votati al demonio. Solo il Sinedrio di Gerusalemme poteva infliggerla, e la pronunciò contro chiunque asserisse che Gesù era il Messia. La morte era riservata ai falsi profeti. “Ora tutto lascia supporre che il Sinedrio, il quale non esitò a lanciare l’esecrazione contro i seguaci di Gesù, dovette nella medesima riunione, deliberare se pronunciare o no contro Gesù stesso […] la pena di morte. Una vecchia tradizione talmudica dice che fu proprio così” (A. e J. Lémann, Valeur de l’assemblée qui prononça la peine de mort contre Jésus Christ, ed. Lecoffre,Parigi, 1876, pagg. 50-51).

•          La seconda riunione ebbe luogo nel febbraio (adar) del 782 dalla fondazione di Roma (33 d. C.), circa quattro mesi e mezzo dopo la prima. Fu in occasione della resurrezione di Lazzaro. S. Giovanni scrive: “Da quel giorno, risolsero di farlo morire” (Io., XI, 50).
Perciò nella prima riunione la condanna a morte era stata proposta, ma nella seconda la decisione è presa.

•          La terza ebbe luogo 20-25 giorni dopo la seconda, il mercoledì Santo, 12 marzo (nisan) 782 ab Urbe condita. S. Luca scrive: “Allora i Capi e gli Anziani tennero consiglio, per sapere come potersi impadronire di Gesù e farlo morire. E dicevano: non bisogna che sia durante la festa, per paura che scoppi un tumulto” (Lc ., XXIII, 1-3). Questo terzo consiglio non aveva come oggetto la condanna a morte di Gesù, poiché la sua morte eragià stata decretata nel secondo consiglio. Ora si trattava soltanto di stabilire il tempo e il modo della sua uccisione, e si decise di aspettare che fosse passata la festa di Pasqua; ma un avvenimento imprevisto li fece tornare su questa decisione: “Giuda, l’Iscariota, venne dai sommi Sacerdoti per consegnare loro Gesù” (Lc ., XXII, 3-4). Giuda, il traditore, toglie ogni incertezza al Sinedrio, la condanna di Gesù non sarà più rinviata adun giorno indeterminato dopo Pasqua, ma al primo momento favorevole.

Anonimo Pontino

                                                                                                                                                        
              

venerdì 27 marzo 2015

ADRIANO VISCONTI -- UN EROE DIMENTICATO


"Piuttosto morire per mantenere una parola che morire da traditore!"



Non meno di 220 furono i piloti - ufficiali, sottufficiali e allievi - caduti fra i ranghi dell'ANR nei 20 mesi della RSI. Oltre il 20% del personale navigante disponibile nella RSI si era sacrificato per adempiere al proprio dovere di aviatori e di italiani, nel tentativo forse impossibile ma generoso, di difendere l'Italia e i suoi cittadini.
Fra tutti questi indimenticabili soldati dell'onore, abbiamo scelto simbolicamente due storie legate ad altrettanti personaggi, ma tutti sarebbero a nostro giudizio meritevoli di menzione, poiché ricordare questi aviatori significa ricordarne molti altri ed onorarli tutti - i più conosciuti ma soprattutto gli sconosciuti - spesso emarginati, anonimi pur anagrafati, semplici nelle loro manifestazioni quotidiane.
La storia del primo - un giovane sottotenente pilota di nome Sergio Orsolan - si concluse tragicamente al suo esordio in combattimento con l'ANR; la storia del secondo - maggiore pilota Adriano Visconti - ebbe ugualmente tragico epilogo con una raffica di mitra alle spalle, dopo essere sopravvissuto a cento e cento combattimenti ed essersi ritrovato a fine guerra casualmente vivo ma col destino segnato da uomini vili.
La vita di aviatore di Sergio Orsolan inizia nel gennaio 1940 alla scuola di volo di Grosseto, prosegue nell'Accademia Aeronautica di Caserta da cui esce sottotenente in SPE nel febbraio 1943, continua con la scuola caccia di Gorizia e l'assegnazione al 3° Gruppo autonomo CT dislocato in Sicilia.
Il 3 marzo abbatte in combattimento un P. 38 "Lightning", lotta strenuamente alla difesa dell'isola invasa dal nemico e si ritrova nel settembre a Caselle torinese in attesa di ricostituire il suo reparto decimato e privo di aeroplani.
Rientra a casa dopo molte peripezie, si presenta nell'ANR e viene assegnato al 2° Gruppo CT nella squadriglia del capitano Drago, dove ritrova i vecchi compagni della Sicilia e rinnovato entusiasmo per tornare a combattere.
Nella primavera del 1944 il reparto può considerarsi pronto a riprendere la lotta e il 25 maggio decolla su allarme da Cascina Vaga di Pavia con altri 9 G.55 per intercettare bombardieri scortati da caccia diretti dal mar Tirreno in Lombardia: sono B. 24 "Liberator" scortati dai soliti P. 38 già conosciuti in Sicilia.
Il combattimento si accende ad oltre 5000 metri d'altezza, si fraziona in duelli e attacchi ai quadrimotori con l'abbattimento di un "Lightning" ad opera proprio di Orsolan, di un "Liberator" per attacchi di Feliciani e mitragliamenti agli altri aerei da parte di Drago, Fagiano, Mingozzi, Camerani, Luziani, Marin.
Nella mischia il "Centauro" di Orsolan rimaneva colpito e precipitava nei pressi di
Travo/Bobbiano in provincia di Piacenza distruggendosi in frammenti così minuti da rendere particolarmente difficile la pietosa opera di recupero fatta da un umile fabbro del posto - Luigi Bozzarelli. Egli raccolse in una cassettina di legno pochi resti e la seppellì poco distante dal punto in cui era caduto l'aereo. Soltanto due anni più tardi, a guerra finita, fu possibile rintracciare con fatica la cassetta e consegnarla ai familiari per una cristiana sepoltura.
Sergio, giovane eroe del cielo, moriva a 26 anni per una Italia che intendeva difendere e che non meritava il suo sacrificio, poiché 10 anni più tardi, dimostrando indifferenza e ingratitudine vergognosa, concedeva ai familiari dello sfortunato pilota, una pensione di L. 10.000. Tanto valeva la vita di un aviatore per l'Italia della resistenza e della corruzione generalizzata.
"Chiedi infinito cielo d'ogni bellezza adorno, so che a chi doni l'ali, la vita chiedi in dono" scriveva quasi come un presagio Sergio Orsolan in una delle sue ultime poesie.
La storia di Adriano Visconti ugualmente tragica, si concludeva non nel cielo, suo naturale elemento, ma nel tetro cortile di una caserma milanese il 29 aprile 1945: una fine amara, non certamente quella riservata agli aviatori, avvilente per chi a 47 anni da quei fatti, dimostra ancora, ignorandoli volutamente, viltà, grettezza d'animo, opportunismo. Visconti non fu un pilota come tanti altri, ma l'Asso indiscusso dell'Aviazione italiana nella 2^ guerra mondiale con 26 abbattimenti accreditati: pochi se rapportati a quelli degli assi più famosi, ma ottenuti però con aerei impossibili, quasi disarmati, sicuramente obsoleti anche trattandosi di MC.202, nel confronto con Spitfire, Mustang, Zero, Messerschmitt, Yakovlev con cui operarono i piloti stranieri.

Visconti potrebbe benissimo identificarsi per audacia e comportamenti con Baracca, Ruffo di Calabria, Scaroni Assi della 1a guerra mondiale - che meritarono ugualmente per il loro valore ricompense e medaglie, onori particolari, intestazioni di reparti e aeroporti, monumenti e strade cittadine con la trascrizione onorifica del loro passato sui libri di storia e nei testi ufficiali dell'Aeronautica.

Visconti, combattente della R.S.I., non ebbe niente di tutto questo se non la voluta dimenticanza del suo nome e delle sue gesta da parte dei responsabili al vertice dell'aviazione italiana con l'accurata estromissione del suo passato da ogni celebrazione ufficiale. L'ipocrita osservanza della politica manichea e la congiura imbarazzata del silenzio evitavano rischi di carriera per chi allora comandava. Eppure si consideri che alcuni dei suoi assassini sono assurti immeritatamente a rappresentanti del popolo, mentre la viltà di chi si è prestato ad una politica spregevole è stata ripagata con la vergogna e l'emarginazione: avvilente conclusione dell'omertà anche il disprezzo dei potenti di turno.
Mentre il giovane Orsolan imparava a volare Visconti iniziava a combattere volando per 1400 ore di attività bellica, partecipando a 591 missioni di guerra con 72 combattimenti, abbattendo 19 aerei prima e altri 7 dopo l'armistizio, due volte abbattuto in battaglia, ferito, menomato fisicamente per postumi; un risultato di grande rilevanza morale compendiato dall'assegnazione di 6 medaglie d'argento, 2 di bronzo, due promozioni per meriti di guerra, le croci di ferro di 1 e 2 classe e soprattutto il meritato titolo di Asso dell'Aviazione italiana nella 2^ guerra mondiale conquistato a 30 anni di età al comando del 1° Gruppo Caccia dell'A.N.R.
Una grande sala dedicata al settore aeronautico del Mall Memorial Lincoln di Washington è dedicata agli Assi della 2^ guerra mondiale, suddivisi per nazione e con a fianco il numero degli abbattimenti e le indicazioni necessarie a corredo della foto esposta. Per l'Italia figurano degnamente Adriano Visconti e Franco Bordoni-Bisleri (24 vittorie). Come tutti gli altri, sono stati selezionati e designati come rappresentanti delle singole nazioni da una commissione internazionale di piloti (l'Italia ufficiale non ebbe alcun componente nella commissione) ma la scelta di quegli aviatori stranieri non venne offuscata dal dubbio scegliendo Visconti per l'Italia.
Conosciuto e onorato all'estero, negletto ed emarginato in patria da una antistorica viltà è visto annualmente da milioni di visitatori stranieri, che ammirano gli uomini più valorosi nella guerra nei cieli.
Noi continueremo a ricordarlo e onorarlo come sempre, poiché viviamo del suo passato e delle sue gesta, sapendo che Adriano riposa finalmente in pace confuso fra conosciuti o sconosciuti combattenti dell'onore nel suggestivo campo 10 del Musocco di Milano; la città dove venne vilmente ucciso da partigiani con una raffica sparata alle spalle. Secondo il loro abituale comportamento.
Nino Arena


LE ONORIFICENZE 

Medaglia di bronzo al Valor Militare
«Ufficiale pilota di grande calma e sangue freddo, provato in numerose e rischiose ricognizioni e in audaci attacchi contro autoblinde nemiche, durante una missione bellica veniva attaccato da tre caccia nemici che danneggiavano gravemente il velivolo. Con abile manovra atterrava su un campo di fortuna organizzando subito, con spirito combattivo, la strenua difesa dell'equipaggio.»
— Cielo di Sidi Omar - Amseat - Sidi azeis, 11-14 giugno 1940

Medaglia d'argento al Valor Militare


«Pilota d'assalto, durante un'azione di spezzonamento e mitragliamento contro mezzi corazzati nemici, attaccato da numerosi velivoli, persisteva nell'azione sino al completo successo. Nonostante il rabbioso fuoco di un caccia che lo seguiva da presso, si addentrava in territorio avversario recando l'offesa contro altre autoblindo avvistate e riuscendo, con le ultime munizioni, a distruggerne una in fiamme. In successiva operazioni contro mezzi meccanizzati nemici riconfermava le ottime dote di combattente audace ed aggressivo, infliggendo al nemico gravi perdite e rientrando spesso alla base con il velivolo gravemente colpito.»
— Cielo della Marmarica, giugno - settembre 1940


Medaglia d'argento al Valor Militare


«Capo pattuglia di formazioni d'assalto lanciate, durante aspra battaglia, a mitragliare e spezzonare forti masse meccanizzate nemiche, partecipava con impetuoso eroico slancio a ripetute azioni a volo radente, contribuendo a distruggere ed a immobilizzare numerose autoblindo e carri armati avversari, più volte rientrando alla base con l'apparecchio colpito dalla violenta reazione contraerea. Alto esempio di coraggio, dedizione assoluta al dovere e superbo sprezzo del pericolo.»
— Cielo di Sidi Barrani, Bug Bug, Fayres, 9 - 12 dicembre 1940

Medaglia di bronzo al Valor Militare


«Partecipava, quale pilota da caccia, alla luminosa vittoria dell'Ala d'Italia nei giorni 14 e 15 giugno nel Mediterraneo. Durante lo svolgimento di una battaglia navale si prodigava dall'alba al tramonto in voli d'allarme, di scorta e di ricognizione abbattendo un velivolo da combattimento avversario e recando preziose notizie sui movimenti delle unità navali nemiche»
— Cielo del Mediterraneo, 14 e 15 giugno 1942


Medaglia d'argento al Valor Militare


«Valoroso pilota da caccia, già distintosi in numerose azioni di guerra, durante un volo di scorta ad un apparecchio da ricognizione fotografica operante su unità navali nemiche, attaccava da solo quattro caccia avversari e, dopo vivacissimo combattimento, ne abbatteva due in fiamme e costringeva gli altri alla fuga, permettendo al ricognitore di svolgere regolarmente la sua missione.»
— Cielo del Mediterraneo centrale, 13 agosto 1942


Medaglia d'argento al Valor Militare


«Valoroso comandante di squadriglia, già distintosi in precedenti periodi operativi, partecipava nel breve volgere di tempo durante l'attuale ciclo, a quattro violenti combattimenti nello svolgersi dei quali confermava le sue doti di abile e valoroso combattente e durante i quali abbatteva sicuramente un velivolo, uno probabile e ne danneggiava altri sei. Il 29 aprile, mentre coi propri gregari faceva parte di una nostra esigua formazione attaccante oltre sessanta velivoli nemici da caccia, di protezione a bombardieri che tentavano un'azione contro naviglio nazionale, con indomito spirito aggressivo si lanciava sugli avversari e con il fuoco delle proprie armi ne sconvolgeva la formazione collaborando all'abbattimento di numerosi velivoli nemici ed alla realizzazione di una fulgida vittoria dell'Ala Italiana che veniva citata all'ordine del giorno.»
— Cielo della Tunisia, 29 aprile 1943






MILANO CIMITERO MAGGIORE -CAMPO X- LE TOMBE DEI CADUTI DELLA R.S.I. DOVE E' SEPOLTO IL MAGGIORE ADRIANO VISCONTI


IL CACCIA DEL MAGGIORE ADRIANO VISCONTI



LA SENTENZA DI CONDANNA A MORTE



Aprile 1944, Visconti a bordo di un Macchi C.205

L'Aeronautica Nazionale Repubblicana
L'istituzione di un'aviazione per la nascente repubblica fascista risale alla nomina del tenente colonnello Ernesto Botto a sottosegretario per l'aeronautica il 23 settembre 1943, durante la riunione del consiglio dei ministri della RSI.
Botto si insediò nel suo ufficio al Ministero dell'Aeronautica il 1º ottobre e si trovò di fronte una situazione assai ingarbugliata, le cui cause erano da ricercare nella mancanza di collegamenti e nelle iniziative tedesche: il comandante della Luftflotte 2, il Feldmaresciallo Wolfram von Richthofen, aveva già iniziato a radunare il personale della Regia Aeronautica da arruolare nella Luftwaffe. Il Feldmaresciallo Albert Kesselring, a sua volta, aveva nominato il tenente colonnello Tito Falconi "ispettore della caccia italiana", con il compito di rimettere la suddetta caccia in condizione di combattere. Per di più Richtofen aveva nominato un comandante per l'aviazione italiana nella persona del generale Müller.
Tra reciproche incomprensioni, distanze e differenze di vedute, la costituzione dell'Aeronautica Repubblicana dovette attendere l'autorizzazione personale di Hitler in novembre, dopo che le proteste ufficiali di Botto avevano risalito l'intera scala gerarchica tedesca. Nel gennaio del 1944 si iniziava così la formazione dei reparti: un gruppo per ogni specialità ,caccia, su Macchi M.C.205 Veltro, aerosiluranti, su Savoia-Marchetti S.M.79 e trasporto, con una squadriglia complementare. Il tutto, per le operazioni, dipendeva dai comandi tedeschi. In aprile veniva formato un ulteriore gruppo di caccia, su Fiat G.55 Centauro.
Nel giugno dello stesso anno iniziò il passaggio ai velivoli tedeschi Messerschmitt Bf-109G-6, che avrebbero dovuto armare anche il nuovo 3º Gruppo. Questa espansione della caccia fu dovuta sia al crescente disimpegno della Luftwaffe dal settore meridionale, sia dai buoni risultati conseguiti inizialmente. Ma questi terminarono ben presto ed il tasso di perdite cominciò a farsi in breve tempo superiore al numero di abbattimenti ottenuto.
Complessivamente nel periodo tra il 3 gennaio 1944 e il 19 aprile 1945 il 1º gruppo registrò 113 vittorie sicure e 45 probabili nel corso di 46 combattimenti. Il 2º gruppo, entrato in linea nell'aprile 1944, all'aprile 1945 registrò nel corso di 48 combattimenti ben 114 vittorie sicure e 48 probabili.
L'aeronautica della RSI, che comprese anche l'artiglieria contraerea ed i paracadutisti, era costituita da tre Gruppi Caccia, che contrastarono per quanto possibile la superiorità dell'aviazione nemica, il gruppo aerosiluranti Faggioni , caduto col suo aereo durante la battaglia di Anzio, e due gruppi di aerotrasporti.
Il Gruppo Aerosiluranti "Buscaglia-Faggioni", comandato da Carlo Faggioni subì forti perdite mentre attaccava la flotta alleata che supportava la testa di ponte di Anzio. Nonostante le numerose navi colpite,  la vita operativa del gruppo fu piuttosto avara di riconoscimenti: l'unico siluro messo a segno dopo tanto impegno, fu quello che danneggiò un piroscafo britannico, colpito a Nord di Bengasi, nel periodo in cui il reparto operava da basi ubicate in Grecia, e un piroscafo al

largo di Rimini il 5 gennaio 1945. Da segnalare dopo la morte di Faggioni il raid che il gruppo fece contro la piazzaforte di Gibilterra, guidata dal nuovo comandante Marino Marini. Quanto al gruppo dei trasporti ,al quale se ne aggiunse un secondo, fu utilizzato dalla Luftwaffe sul fronte orientale e poi sciolto nell'estate del 1944.
Anche gli altri reparti, in sostanza, subirono la stessa sorte nello stesso momento: in quei mesi i rapporti fra i vertici militari della RSI e quelli tedeschi erano peggiorati notevolmente, i cui mezzi e piloti subivano un eccessivo logorio. Von Richtofen, che doveva ridurre ulteriormente la presenza aerea tedesca in Italia, pensò di risolvere la questione sciogliendo i reparti della RSI e sostituendoli con una sorta di "legione aerea italiana", strutturata secondo il modello del Fliegerkorps tedesco, il cui comandante sarebbe stato il generale di brigata aerea Tessari, che avrebbe così lasciato la carica di sottosegretario che ricopriva dopo l'esonero di Botto. Le solite rivalità interne e incomprensioni fecero bloccare il piano, lasciando la RSI di fatto senza aviazione fino a settembre, quando si riuscì a rimettere in moto il processo. Da ottobre fino al gennaio del 1945, quando il 1º gruppo tornò dall'addestramento in Germania, il 2º fu l'unico reparto di caccia disponibile per contrastare l'azione degli Alleati. Ma l'arrivo della nuova unità mutò di poco la situazione complessiva.
Le ultime missioni di volo vennero svolte il 19 aprile, quando i due gruppi intercettarono dei bombardieri e dei ricognitori, probabilmente statunitensi: uno dei ricognitori venne abbattuto, a prezzo di un caccia; quanto allo scontro con i bombardieri, questo fu disastroso e gli aerei della RSI, colti di sorpresa dalla reazione della scorta, subirono cinque perdite. Nei giorni successivi, impossibilitati a compiere decolli per mancanza di carburante e sottoposti a continui attacchi, i reparti distrussero il materiale di volo e si arresero.



BERGAMO REPUBBLICANA 13 MARZO 1944