lunedì 2 gennaio 2017

IL FASCISMO E LA LIBERTA'

IL FASCISMO E LA LIBERTA'



di Franco Franchi



Il Fascismo fu anche libertà. Non piena, non totale come in un sistema occidentale: ma piena per chi volle conservarla, difenderla e praticarla con il coraggio della dignità. Così garantiscono le eccezionali testimonianze di Benedetto Croce e Francesco Flora, i nostri grandi (antifascisti) della filosofia e della letteratura.

La "dittatura" fascista è fondata sul consenso delle masse, palese, convinto, a volte gridato con entusiasmo, e porta ad una conclusione difficilmente negabile: Mussolini non usava i metodi tradizionali della democrazia per rilevare il consenso popolare sulla politica del proprio governo, ma poneva pur sempre il consenso, comunque raccolto o individuato, alla base delle decisioni fondamentali, fuorché all'interno del Parlamento dove venivano rispettate - al di là del metodo elettorale - anche le forme della democrazia, sia pure in un diverso rapporto costituzionale tra Governo e Parlamento, più efficiente e più adeguato alla nuova velocità della politica: il rapporto di cooperazione delle Camere con il Governo per la formazione delle leggi. I tempi esasperanti della democrazia prefascista vengono travolti dai nuovi movimenti culturali e politici che hanno raccolto l'esigenza di dinamismo impressa alla vita delle società europee dalla prima guerra mondiale. Tutto è trasformato dall'immane conflitto e, al bisogno di dare risposte immediate ai nuovi problemi sotto l'incalzare della scienza, della tecnologia, delle rivoluzionarie invenzioni come la radio che porta la comunicazione al cosiddetto "tempo reale", può ben essere sacrificata qualche formalità della vecchia democrazia, per altro squalificata dall'inefficienza. Ma Mussolini non rompe mai con il principio di democrazia, tanto che definirà il Fascismo una "democrazia organica", ma ne inventa una nuova fondata sul consenso sostanziale che si avvicina alle antiche forme della democrazia diretta. È vero che l'esercizio della democrazia diretta è più adeguato alla città-stato, con il popolo-corpo elettorale convocato in piazza, ma l'avvento della radio, la creazione di impianti sempre più potenti, la capillare distribuzione degli apparecchi riceventi, la diffusione della stampa trasformano lo Stato in una grande, unica piazza dove simultaneamente arriva la voce del governo e il governo raccoglie le reazioni del popolo. Non ci sono "garanti", ma la garanzia c'è ed è insita nella cultura del dovere dei governanti e, soprattutto, nella volontà di un Capo che vuole governare con il consenso, che controlla tutto l'apparato statuale, anche il rispetto dell'orario di lavoro nei ministeri.1

Al tempo stesso la dottrina elabora la moderna tesi costituzionale della "elezione come designazione di capacità". La vecchia democrazia prefascista, infatti, anche nella piatta restaurazione operata dopo il secondo conflitto mondiale, non ha mai garantito l'effettiva capacità dell'eletto rispetto alle funzioni pubbliche cui è chiamato: ossequio ad una forma che si esaurisce nell'apparenza, ma con violazione di una sostanza che si traduce in danno per la società. Ma se nel Fascismo permane questo principio democratico del consenso, pur discutibilmente interpretato, vi permane di conseguenza il principio fondamentale della libertà. Ora, però, la libertà si afferma a fianco dell'altro elemento fondante: l'autorità, che trova il massimo riferimento nell'ordine, nella Nazione, sintesi di tutti i particolari; in un Paese che di questo binomio inscindibile aveva soprattutto bisogno per conseguire l'interesse nazionale, altro concetto nuovo da cui tutti gli interessi particolari discendono ed in cui tutti gli interessi particolari trovano soddisfazione. Il Fascismo trova lo Stato in piena crisi dell'autorità che significa- come afferma Giuseppe Capograssi nelle sue "Riflessioni sull'autorità e la sua crisi" - "assenza dell'autorità... la società rimasta senza autorità vive senza pensiero e lo Stato è ridotto a un accidente e quasi materiale rapporto di forze... La crisi dell'autorità poiché è mancanza di autorità e crisi di coscienza è dunque crisi di libertà".2

In queste nuove 6 Tesi, a noi interessa più semplicemente riscontrare, esaminando aspetti essenziali della vita in regime fascista, come sussistano vaste aree di libertà, a riprova che il regime non solo non rendeva obbligatorio il consenso come qualcuno sostiene, ma ammetteva, o tollerava, il dissenso proprio nei settori più delicati e più idonei a influenzare l'opinione pubblica.

In primo luogo spicca la libertà nell'insegnamento universitario, quello, cioè, che forma la classe dirigente, le professionalità e la stessa classe politica. E si dovrà proprio a questa rispettata libertà se il dissenso potrà assumere le forme aperte dell'antifascismo che pur restò in cattedra, in parallelo allo svilapparsi di una classe politica fascista, colta, preparata e coerente che saprà affrontare anche il sacrificio supremo andando volontariamente alla guerra. È noto a tutti che Concetto Marchesi, grande latinista e grande stalinista, rimase in cattedra per tutto il Fascismo fino agli albori della Repubblica Sociale Italiana.

E di libertà si parla in un altro settore caratterizzante: la Magistratura. A dispetto di tutta la propaganda di quest'ultimo cinquantennio, la toga del giudice non è mai stata asservita al regime. Ci sono, è vero, magistrati che ostentano la camicia nera, pochi per fede, di più per servilismo, ma sono una minoranza, restando la stragrande maggioranza dignitosamente indipendente, spesso sfidando lo stesso regime senza contraccolpi.

Nel Parlamento, costituito dalla Camera dei Deputati (solo nel gennaio del '39 trasformata in Camera dei Fasci e delle Corporazioni) e dal Senato del Regno, vengono invece rispettate anche le forme della democrazia, con il voto segreto sulle leggi fino alla riforma del 1939, con ampi dibattiti rigorosamente verbalizzati dove emerge il dissenso, con atteggiamenti tipici dell'opposizione. L'odioso assassinio di Matteotti ha solo l'occasione parlamentare, ma le vere cause, di origine extraparlamentare e in parte ancora oscure, svelano una congiura contro Mussolini e il suo governo protesi verso la normalizzazione e impegnati nel ripudio della violenza delle vecchie squadre per l'affermazione dello Stato e delle sue leggi. È noto, infatti, che da quella ignobile colpa Mussolini verrà assolto due volte: una dalla magistratura di allora, e l'altra - ben più significativa - dalla magistratura di questa Repubblica antifascista nella revisione del processo del 1947. Ancor più nota e riconosciuta è l'area di libertà riscontrata nelle riviste dei G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti) e nelle cosiddette riviste "ereti-che", dove più forte si manifesta il dissenso e si pratica la critica più dura. Le testate, molte e arcinote, sono un vero tormento per il regime e soprattutto per la gerarchia, tenuta sotto tiro da giovani intellettuali fascisti che vogliono colpire per migliorare, ma anche da altri giovani intellettuali che trovano in quei fogli la palestra per approdare all'antifascismo. Nei G.U.F. si forma e si sviluppa quella critica al regime fascista che è prova di libertà, e la chiusura di alcune testate universitarie o di alcune riviste "eretiche" non si deve a provvedimenti dell'autorità, ma al fatto che i direttori o i titolari delle testate preferirono, di fronte alla guerra, abbandonare la critica e andare a combattere, con l'impegno, a vittoria conseguita, di ripulire il fascismo dai difetti del gerarchismo, dall'acquiescenza alla vita comoda del potere, dalla corruzione, per restituire al movimento la fede delle origini. E la più famosa rivista antifascista, di scontro aperto contro il regime, resta "LA CRITICA" di Benedetto Croce che continuò ad uscire per tutto l'arco di vita del fascismo, e che cessò spontaneamente nel 1943 a regime fascista caduto. Lo stesso cammino parallelo di un'altra Critica, la "CRITICA FASCISTA" di Bottai, che da un punto di vista fascista lottò tenacemente per la libertà, e per l'apertura a tutte le voci e a tutti gli apporti. A conclusione di queste nuove Tesi sul Fascismo si colloca quella della libertà nella Repubblica Sociale Italiana, affermata da molti ma costituzionalizzata da Vittorio Rolandi Ricci, il grande giurista ligure, monarchico liberale, senatore nominato da Giolitti, il quale, a ottantatre anni, approda alla Repubblica di Mussolini. Il fascismo repubblicano, duramente impegnato nella guerra e nella guerra civile, scopre pienamente il valore eterno della libertà, colto nel suo più alto significato dal Capograssi in sintesi indissolubile con l'autorità; mentre Gentile, nella sua ultima opera "scritta a sollievo dell'anima", così individua il rapporto tra i due valori: l'autorità non deve recidere la libertà, la libertà non può pensare di fare a meno dell'autorità.

In questo difficile equilibrio tra autorità e libertà si sviluppa il Fascismo, non sempre trovando la giusta misura - spesso in danno della libertà - ma sempre ritenendone la inscindibilità in un sistema politico costituzionale fortemente innovatore, e mai in rottura con la democrazia, della quale contesta non il principio ma il sistema: quel sistema costituzionale tradotto nel vecchio e ovunque fallito "parlamentarismo".

E infine, fuori Tesi, è posta una breve conclusione del quaderno sulla "libertà dalla paura": perché gli Italiani, durante il ventennio fascista, non conobbero la paura, come qualcuno goffamente si ostina a sostenere, ma vissero una vita intensa di lavoro, di straordinarie conquiste giuridiche e sociali, di entusiasmi, di controllato benessere, di edificanti costumi, di progresso e di rinverdite tradizioni, di-manifesta partecipazione alla vita pubblica, di quasi totale adesione alla volontà di un Capo che trasformava la Penisola in un febbrile cantiere di opere della civiltà, e che trasmetteva l'orgoglio dell'italianità ritrovata.

E di un altro immenso bene godettero gli Italiani: quello della sicurezza e dell'ordine, tanto desiderato e invocato dopo il caos violento dell'Italia prefascista.

"Libertà dalla paura", dunque, come primo segno e fondamento di tutte le libertà.

1 Vedi telegramma di Mussolini in Circolare dell'Istituto nazionale fascista infortuni sul lavoro, 23 maggio 1941-XIX, n° 48/41 (2190/C.G), "orario di ufficio": "È ormai diventato un sistema quello adottato da Ufficiali e Fun-zionari che consiste nell'avviarsi all'ufficio alle 8 il che significa essere al tavolo di lavoro non prima delle 8 et 15 e forse più tardi alt Esigo che questa deplorevole abitudine tipica manifestazione di quel pressapochismo deleteria tara del carattere di troppi italiani abbia immediatamente a cessare alt Alle 8 chi non è già al suo tavolo di lavoro ha perduto la giornata con le relative conseguenze alt Farò controllare quanto sopra alt - MUSSOLINI".



2 Capograssi pubblica il Saggio sullo Stato nel 1918; le Riflessioni sull'autorità e la sua crisi nel 1921; La nuova democrazia diretta nel 1922. Le Riflessioni sono ripubblicate da Giuffrè nel 1977, e nella Presentazione a cura di Mario D'Addio si legge: "Stato, Autorità, democrazia: Capograssi si impegnò nello studio dei problemi centrali della vita politica in un periodo come quello immediatamente susseguente alla fine della prima guerra mondiale, in cui il tradizionale ordine politico, sconvolto dal conflitto, sembrava aver perduto il suo centro di stabilità e di equilibrio". Le Riflessioni furono scritte "quando nella situazione politica italiana maturava la crisi profonda dello Stato liberale che, posto improvvisamente dinanzi ai grandi problemi economici e sociali della democrazia di massa, alle esigenze di profondo rinnovamento fatte valere proprio da quelle masse popolari che avevano sostenuto il sacrificio della guerra e che sulla base del suffragio universale reclamavano una più diretta partecipazione al governo della cosa pubblica, vedeva negata da più parti la sua stessa esistenza, misconosciuta la sua ragion d'essere. Ma la forza speculativa dell'autore, la capacità di saper vivere la situazione politica al livello dei grandi problemi della filosofia moderna e contemporanea, di saper parlare di politica in una prospettiva teoretica senza perdere il contatto con le concrete esigenze del momento politico, ne fanno uno degli scritti più originali e più penetranti sul complesso e delicato problema dell'autorità".




Nessun commento:

Posta un commento