giovedì 28 settembre 2017

POVERTA' : UNA VORAGINE IN AUMENTO

POVERTA' : UNA VORAGINE IN AUMENTO



 Centinaia di migliaia di  famiglie, che insieme raggruppano il numero spaventoso di quattro milioni di individui, oggi vivono in Italia in povertà assoluta, espressione con la quale si intende la condizione per cui non si è  in grado di acquistare beni e servizi ritenuti necessari per condurre uno stile di vita degno e accettabile.

A questa cifra va aggiunta quella ben più grande, superiore alle otto milioni di unità, di coloro che trascorrono la vita in una situazione di povertà relativa, ovvero quella in cui una famiglia o un individuo singolo possono spendere meno della metà di quanto dovrebbero per garantirsi un’esistenza decorosa.
I dati sono in costante aumento anno dopo anno e la tendenza non è certo quella di un’evoluzione positiva della questione.

Se ciò non bastasse ci sono poi da analizzare due fatti fondamentali, che aiutano meglio ad identificare le radici di un problema ormai diventato atavico: per prima cosa c’è da dire che le famiglie più povere sono quelle più larghe, ovvero quelle che hanno deciso di mettere al mondo più figli; in secondo ordine è da osservare come ad essere in stato di indigenza sia la fascia giovane della nostra nazione, infatti, come dimostrano le statistiche, il tasso di povertà diminuisce con l’aumentare dell’età del campione di persone preso in esame.

Da queste due considerazioni ne discendono svariate altre: cominciamo analizzando il perché è la gioventù ad essere maggiormente colpita.

Domandarselo finisce per sfiorare il retorico se si conosce l’involuzione degli ultimi anni sul tema del lavoro e della tutela stessa dei lavoratori.

In sintesi il giovane è più povero perché è precario, il che significa che guadagna denaro, che spesso sarebbe comunque insufficiente nella sua quantità, ad intermittenza, e ci sono dei mesi nei quali è costretto a fare di necessità virtù.

La persona adulta o anziana invece è economicamente più sicura, in quanto o protetta da contratti stipulati in tempi nei quali, pur vigendo il capitalismo, non si era ancora giunti ai livelli attuali, o al sicuro grazie ad una pensione ottenuta prima che riforme assurde e radicalmente padronali ne posticipassero il termine per poterne avere diritto fino a livelli ridicoli.

Gli effetti di tutto ciò sono un mercato del lavoro stagnante, dove non c’è ricambio in quanto da un lato chi è più avanti con l’età non rinuncia al proprio accordo aziendale e quindi al suo  stipendio e aspetta fino all’ultimo che scattino i termini per essere pensionato, visto che sa che la pensione ha una consistenza economica di molto inferiore rispetto ad un’ordinaria mensilità lavorativa, dall’altro l’azienda, nelle persone del datore di lavoro e degli altri azionisti se essa è quotata in borsa, è ben felice di questo gioco, in quanto non è costretta a rinnovare l’organico con assunzioni a tempo indeterminato e può avvalersi di collaborazioni saltuarie retribuite di tanto in tanto.

La situazione non migliorerà di certo, anzi tutto il contrario, se i governi continueranno, per mezzo di provvedimenti scellerati e privi di ogni logica che non sia quella del profitto, l’unica che il capitalismo ha dimostrato negli anni di seguire, a far salire l’età pensionabile, avvalendosi della patetica scusa costituita dall’allungamento dell’aspettativa di vita.

Più si seguirà questa perversa logica meno posti di lavoro si sbloccheranno e meno giovani avranno la possibilità sia di realizzarsi personalmente facendo esperienza in un contesto sociale che sia diverso da quello domestico e li ponga a contatto diretto col mondo esterno e le dinamiche che gli appartengono, sia di avere le possibilità finanziarie per costruire un nucleo familiare se possibile ampio, che dia nuova linfa ad una comunità nazionale ormai ridotta ai minimi termini come quella italiana.

Se ciò è vero, se cioè della nostra comunità è rimasto ben poco lo si deve a un sistema onnivoro e ad uno Stato che, rappresentandolo degnamente, si disinteressa totalmente della prosperità non solo morale, valoriale o economica del popolo che è chiamato ad amministrare, ma anche solo semplicemente numerica.
Torniamo allora alla seconda considerazione espressa nella fase iniziale dell’articolo, che consisteva nel prendere confidenza con il fatto che il grado di povertà aumenti a dismisura con l’aumentare dei componenti di una famiglia.

La motivazione per cui questo accade risiede nella conseguenza di quanto espresso poche righe sopra: se il giovane non riesce ad entrare nel mondo del lavoro in pianta stabile si vede sensibilmente ostacolato nel perseguire lo scopo di costruire una famiglia.

Ovviamente se questo già è difficile figuriamoci cosa accade se i figli da sfamare sono più di due, si va incontro a situazioni ai limiti della disperazione sociale.

Durante il corso delle legislature i diversi esecutivi che si sono avvicendati hanno tutti fatto promesse riguardo all’introduzione di agevolazioni per le famiglie numerose e cose simili.

La realtà è che nella maggior parte dei casi degli aiuti promessi non si è vista nemmeno l’ombra, mentre quando sono arrivati essi si sono limitati a provvedimenti dalla scarsa utilità concreta, in quanto non davano di certo un aiuto determinante che avesse riscontro nella vita quotidiana di una famiglia chiamata al compito di occuparsi di più bambini, ma offrivano nel migliore dei casi una soluzione limitatissima nel tempo e di scarsa consistenza.

Se questo accade è perché non c’è nessun tipo di volontà da parte di chi ci governa di agevolare la crescita del popolo italiano, sotto qualsiasi forma il termine crescita possa essere utilizzato.



Al contrario c’è invece quello di assecondare il disegno capitalista che vede nell’immigrazione la soluzione anche al problema delle nascite, concetto espresso più volte dalla nostra classe politica do governo durante i tanti inviti all’accoglienza incondizionata di cui si è resa protagonista.

E’ chiaro infatti che un progetto capitalista come quello che stanno attuando sulla nostra pelle prescinde da ogni considerazione di ordine valoriale che vada oltre la più strisciante materialità.

In questo senso non viene guardato per nulla il modo nel quale vengono raggiunti determinati obiettivi, l’unico aspetto sul quale viene riposta attenzione è quello finanziario.

Ne consegue che anche la disintegrazione di una nazione sotto ogni sua forma per la logica liberista non solo arriva ad essere  comprensibile, ma addirittura necessaria se preclude all’avanzare del mondialismo, approdo ultimo di chi oggi detiene il potere sul nostro pianeta.

Se a tutto questo servisse un’ennesima conferma è il calendario dei lavori delle nostre due aule parlamentari a fornircela:  il governo infatti si è proposto di approvare in fretta e furia il decreto con il quale si impegna a salvare le banche venete, insomma, non proprio una priorità degli italiani, che preferirebbero di gran lunga vedere i loro organi istituzionali, peraltro nemmeno eletti, occupati a discutere su come migliorare la condizione economica di un popolo ormai martoriato.

Dobbiamo renderci conto che le nostre priorità non coincidono affatto con quelle che ha chi amministra purtroppo il nostro destino, che è assai più impegnato ad aiutare una cerchia di poche personalità grazie al sostegno delle quali tuttavia esso si garantisce l’esistenza e la durata.

La domanda che ogni cittadino dovrebbe porsi è come mai ogni giorno chiudono piccole attività, schiacciate dalla concorrenza sleale e dalla tassazione elevata, e non ricevono nessun aiuto dallo Stato nei momenti di difficoltà proprio perché si tratta di aziende private, mentre per gli istituti bancari questo discorso non vale?
Per questi ultimi infatti la logica è che i profitti li intascano i privati, mentre se c’è da fare un’operazione di salvataggio viene invocata la collettività, solo ed esclusivamente per preservare le posizioni personali di pochi giganti capitalisti e non quella dei correntisti, esposti giornalmente agli sbalzi di umore propri di un sistema instabile come quello capitalista.


E’ passato poco tempo da quando è stato chiesto a questo governo di intervenire per risolvere la questione di Alitalia, nella quale c’erano in ballo molti posti di lavoro, e con essi il futuro di altrettante famiglie, e la risposta fu negativa, argomentata con il fatto che non c’erano i fondi necessari e dovevano pensarci solo ed esclusivamente gli azionisti.

La copertura economica per salvare una o più banche però stranamente si trova sempre, magari togliendo fondi agli ambiti strutturali cardine del paese come ad esempio l’istruzione o la sanità, oppure attraverso il nuovo ente pubblico economico Agenzia delle Entrate- Riscossione, che dal mese di luglio sostituirà Equitalia mantenendone al cento per cento gli intenti e le caratteristiche.

Evidentemente siamo entrati in campagna elettorali, e porta più consensi far scrivere ai giornalisti amici titoli come:” Sparisce Equitalia” tranne non fare menzione della costituzione di questo nuovo soggetto, che di diverso rispetto a Equitalia  ha solo il logo e la modulistica piuttosto che spiegare bene le cose in tutti i loro aspetti.

Continueremo ad essere invasi da cartelle figlie di questo sistema che rasenta l’usura, e seguiteremo a dover fare i conti con la povertà fino a quando il sistema non cambierà i suoi principi generali e tutto il suo impianto, ma nessuno, tranne voci libere come le nostre, ve lo dirà.

D’altronde, come recitava il testo di una celebre canzone riferendosi agli organi di informazione dietro a cui si celano i grandi gruppi finanziari: “Il giornalismo insegna, quando serve non spiega”.

Daniele Proietti





DELLO STESSO AUTORE : “ DITTATURA INVISIBILE” , EDIZIONI DELLA LANTERNA :





                                                                                                                                                  

lunedì 25 settembre 2017

“Armi di distrazione di massa”! …

“Armi di distrazione di massa”! …come si attua l’agenda pluto-massonica senza problemi!

Mentre in questi giorni viene data in pasto alla massa l’immancabile spazzatura elettorale antifascista, ad esempio, con gli “inasprimenti penali” dei reati di opinione, proposti e attuati dal “signor” Fiano e dai suoi dis-onorevoli colleghi del parlatoio, atti che costituiscono un vero e proprio atto intimidatorio in perfetto stile mafioso, i pluto-massoni mondiali, che tirano i fili dietro le quinte, hanno continuato induisturbati ad attuare la loro agenda. Usando le consuete “armi di distrazione di massa”, a base di “campagne elettorali” fasulle, alimentando divisioni altrettanto fittizie, come quelle tra i presunti gruppi politici fascisti (inesistenti) e quelli antifascisti (servi dei padroni!), o come quelle tra i presunti innovatori populisti e gli inveterati frequentatori del parlatoio da tante legislature, mentre lo svolgimento della tirannide oligarchica mondialista, intanto, prosegue a ritmi sempre più serrati e in modo assolutamente indisturbato!
In questa edificante cornice, non ci stupisce affatto quel che i cosiddetti pseudo-contestatori “pentastellati” hanno recentemente affermato (qui), insieme al loro opposto/uguale Salvini. Che cosa? …ma ovviamente che “NON SI PUO’ USICRE DALL’EURO”!! La parabola dei movimenti cosiddetti “contestatori democratici”, da sempre, non è funzionale ad altro che a questo! Incanalare lo scontento; gridare “RIVOLUZIONE!”… per poi inserirsi nelle file “demoliberali” in bell’ordine…. Vecchia storia questa! Ve li ricordate i contestatori presenti nei partiti degli anni 70? Li ritroverete quasi tutti tra gli attuali “vecchi onorevoli” del parlatoio o tra quelli ormai pensionati, nei comitati di redazione dei giornali che ci imboniscono le cosiddette verità ufficiali propinate dal sistema plutocratico, o quali docenti universitari nel ruolo di quelli che essi stessi, anni addietro, qualificavano col titolo sprezzante di “baroni”!  Ed è sconsolante vedere come le masse siano tranquillamente eterodirette, perfettamente manovrate, per essere condotte in buon ordine negli ovili, anticamera del macello, appositamente preparati dagli oligarchi. I potentati, ormai, sono perfino spudorati nell’ostentare le loro manovre, tanto sono certi che nessuno li potrà mai fermare! Lo stesso “percorso manovrato” si evince chiaramente anche per l’altra grandissima messinscena  plutocratica, strombazzata dai media del sistema, la cosiddetta presunta “uscita” della Gran Bretagna dall’Euro ( qui e qui ). I plutocrati, dopo il classico polverone sollevato ad arte, adesso stanno già calibrando la forma del messaggio da propinarci che stupirà il mondo, presentando la classica soluzione che deve salvare capra e cavoli. In ogni dove, nel “mondo globalizzato”, la strategia è la medesima. Distrarre, in vari modi (anche terribili: vedere le “frizioni” con la Corea del Nord); per condurre e, in ultima analisi, schiavizzare le masse sapientemente distratte. Ad esempio, la “beffa-Trump”, denunciata da noi fascisti fin dal principio, prevista esattamente così come si è inverata, ha messo in pratica il “metodo alternativo” (si fa per dire) alla eventuale “vittoria” dei “nuovi taliban” (vi ricordate come erano “bravi” quelli che hanno messo in rotta l’URSS? Allora andavano bene per i paladini della democrazia!). Trump, proseguendo in modo lineare l’agenda di Obama (e quella di tutti gli altri pseudo-presidenti, poiché di fatto tutti pupazzi, ESECUTORI di ordini altrui!), sta semplicemente usando l’ “opzione curda”, ora che la regione è completamente destabilizzata. Assad sta vincendo, ma disgraziatamente nelle condizioni in cui è la Siria, l’unica certezza è il caos. I Curdi, ora sono il “Nuovo Isis” (qui): Verrano usati contro Assad, Putin e l’Iran. E come se non bastasse anche contro il presidente turco Erdogan, compagnuccio di merende, preso e scaricato a convenienza. Ora, dopo la buffonata del “finto-golpe”, e il cambio (l’ennesimo) di casacca (solo di facciata, ovviamente), ha mangiato la foglia. Il “doppio standard” americano gli ha impedito di fare quello che voleva sin dall’inizio: creare uno stato cuscinetto anticurdo. Ma gli americani hanno usato sia l’Isis che i Curdi per distruggere la Siria, e non si possono permettere di mollarli entrambi. Ora è il turno delle milizie “progressiste, LGBT, anarchiche e liberali” del Kurdistan Iraqeno e Siriano. Erdogan può tranquillamente andare all’inferno…finchè non servirà di nuovo, ovviamente!
Nella “repubblica delle banane nata dalla resistenza”, invece, si sta peggio che se fossimo foglie sugli alberi, d’autunno. La risibilità della nostra esistenza e la subalternità dell’ex Italia, la cui servitù ai “padroni a stelle e strisce” appare sempre più marcata, ci relega al ruolo di pedine di infimo livello. E dunque, dopo la “pantomima Fiano” per riempire il tempo d’estate, si sono “scatenate” le altre pantomime di fronte “opposto/uguale”, per portarci nel giusto clima che deve precedere l’appuntamento elettorale. In questo bailamme, purtroppo, ci vanno di mezzo i martiri veri, come Giuseppina Ghersi (qui); la ragazza, tredicenne, ammazzata come una bestia, stuprata e trucidata dai “prodi combattenti della libertà” è finita nella spirale della strumentalizzazione. La “gloriosa” Anpi – dove si trastullano nipotini o giovinastri fancazzisti della 65 ora, a spese del contribuente, invece che reduci (perchè ormai scomparsi) – rivendica “virilmente” tale ignobile e disgustoso “gesto” (sapete, la bambina era Fascista! Del resto è la stessa tesi che sta a monte delle elucubrazioni dei vari Fiano di turno!) : “Giuseppina Ghersi – dice Samuele Rago, presidente provinciale dell’Anpi – al di là dell’età, era comunque una fascista! Eravamo alla fine di una guerra, è ovvio che ci fossero condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili. Era una ragazzina, ma rappresenta quella parte là. E una iniziativa del genere ha un valore strumentale: protesteremo col Comune di Noli e con la prefettura”. L’unica cosa vera di questa disgustosa, orribile e vergognosa prosa , di tale inutile e indecoroso ed “eroico ente”, riguarda il fine strumentale di tale pur lodevole e condivisibile iniziativa. L’operazione politica, poiché, purtroppo, a questo si riduce, serve a creare un contraltare a Fiano. In realtà il martirio di Giuseppina, interessa solo a chi, come noi fascisti, vede la strumentalità delle “ventate antifasciste a orologeria” e  denuncia l’antifascismo pratico degli stessi “pseudo-simpatizzanti”, che in realtà fanno il gioco “sporco” dei “padroni”del sistema. E’ il solito stratagemma del “poliziotto buono-poliziotto cattivo”. Il fine è uno solo… riportare alle urne la parte di popolo che si è proprio rotta quel che non si può nominare… ridurre la marea montante dell’astensionismo ed a tal fine, per il sistema antifascista, ogni mezzo va bene… non gli importa chi votate, tanto sono tutti pupazzi compiacenti che fanno parte del sistema medesimo, dall’estrema sinistra all’estrema destra, passando per il centro, i cosiddetti democratici e le cinque, le venti o le cento stelle!

Ci rivolgiamo, dunque, a voi che leggete. Continuerete a chiudere gli occhi, le menti ed i cuori, davanti questa ignobile farsa? Continuerete a farvi usare, a procedere come pecore belanti condotte placidamente al macello dai pluto-massoni? OPPURE VI SVEGLIERETE, E COMINCERETE A COMPRENDERE?
SVEGLIA! IL TEMPO DI BELARE E’ FINITO!

    IL COVO
                                                                                                                                 

giovedì 21 settembre 2017

Bergoglio e pregiudizio





Bergoglio e pregiudizio

Quando sono le stesse autorità religiose a citare le Sacre Scritture in maniera truffaldina per far passare messaggi falsi e ingannatori, assecondando per esempio l’attuale invasione dell’Europa da parte delle immense masse di negri africani facendosi forti dell’«ama il prossimo tuo come te stesso», vuol dire che il processo sovversivo è giunto alla sua fase finale, dimostrando costoro tutta la loro ignoranza e mala fede, già dal semplice punto di vista geografico e grammaticale, essendo i termini “prossimo” e “distante” due contrari che si escludono l’un l’altro, ed essendo stato un padre della Chiesa come Sant’Agostino a parlare di «coloro che ci sono prossimi per legami di sangue e di cittadinanza». Figuriamoci se poi si volesse guardare al significato esoterico di quella affermazione, dove “il prossimo tuo” è solo colui che si trova sulla tua stessa Via e condivide il tuo stesso cammino spirituale; anche perché altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui Colui che ha pronunciato quella frase è lo stesso che ha intimato di «non dare perle ai porci!»



Ma per capire che l’attuale pontefice non fosse del tutto “a posto” dal punto di vista dell’ortodossia cattolica sarebbe bastato valutare in tutta la sua gravità la famosa affermazione rilasciata ai giornalisti durante un volo in aereo, a proposito di omosessuali, dove chiedeva a se stesso: «Chi sono io per giudicare?». Proprio quella sorprendente dichiarazione conteneva infatti il tarlo distruttivo dell’intero pontificato di Francesco, per come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. La risposta a quella domanda retorica avrebbe dovuto essere «il Papa»; ma evidentemente questo ruolo non veniva nemmeno preso in considerazione, riducendo la questione a un problema personale del signor Bergoglio, il quale, allora sì, non è effettivamente nessuno per poter giudicare. Eccola dunque l’accusa principale che può essere mossa all’attuale Vicario di Cristo: non essersi egli, al momento della nomina, spogliato della “persona” Bergoglio per indossare gli abiti di Pontefice e assumere una funzione che si sovrapponeva, cancellandola, all’individualità del prescelto.  

Questo grave handicap è stato del resto confermato da tutta una serie di atti e decisioni del Papa, che lo hanno portato a privarsi di prerogative e simboli funzionali al ruolo da svolgere, mostrando di ritenere che a beneficiarne non dovesse essere il Papa Francesco ma il Monsignor Jorge. Per rimanere in ambito ispanico, perfino le due prostitute che Don Chisciotte incontra nell’osteria in cui si farà armare cavaliere, che lui considera nel suo delirio «due vaghe donzelle», vengono purificate e trasfigurate dal ruolo assegnatogli in quella circostanza! Evidentemente l’io della persona Bergoglio è talmente radicato nell’esistente ordinario da non consentirgli di trascenderlo e metterlo da parte, come del resto confermerebbero le recenti dichiarazioni in cui il Papa ci ha fatto sapere di essersi sottoposto, quando era a capo della Compagnia di Gesù in Argentina, ad un ciclo di sedute psicanalitiche presso una terapeuta ebrea. Rivelazione che potrebbe fornire, se si considera il ruolo sinistro svolto dalla “catena” controiniziatica stabilita da Freud, tante risposte chiarificatrici agli innumerevoli interrogativi che l’operato dell’attuale pontefice pone a una parte del suo gregge. 

'HELIODROMOS'
                                                                                                                                          

lunedì 18 settembre 2017

Asmara città fascista


Asmara monumenti fascisti

Asmara città fascista: l’Unesco tutela ciò che la Boldrini vorrebbe distruggere

Asmara, 12 lug – La piccola Roma, perla coloniale dell’Impero fascista, è stata dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha definito Asmara, capitale dell’Eritrea, “eredità mondiale”, giudicando gli edifici costruiti negli anni Trenta dagli italiani “un esempio eccezionale di urbanizzazione modernista”. Un prestigioso riconoscimento ottenuto anche grazie al fatto che una volta raggiunta l’indipendenza il governo eritreo non ha abbattuto nessun monumento risalente alla dominazione italiana, anzi, ha deciso di salvaguardarli tutti perché simbolo di un passato grandioso da preservare anche dal punto di vista simbolico.
Con buona pace della Boldrini e degli odierni autolesionisti di casa nostra che accusano il colonialismo di essere la causa del mal d’Africa e di conseguenza somma colpa da scontare da noi europei, in particolare subendo tacitamente i flussi migratori. Al contrario delle sparate boldriniane, nessuno in Eritrea si è mai sentito offeso dai monumenti fascisti, nessuno ha mai deciso di distruggere le fontane, i bar, i cinema, i palazzi pubblici razionalisti, le villette immerse nel verde. Segno di rispetto, ammirazione e pure una certa lungimiranza nel capire che un giorno Asmara, grazie alla tutela del suo patrimonio artistico coloniale, avrebbe ottenuto un conferimento di importanza unica a livello mondiale, con tutto quello che ovviamente ne consegue in termini di crescita turistica e di finanziamenti economici. Ad Asmara “la popolazione negli anni Venti arrivò a sfiorare le 100mila unità con oltre il 50% di italiani che rimodellarono la città secondo il loro stile con il corso, i caffè, i mercati e i luoghi di culto”, ha spiegato l’urbanista eritreo Gabriel Tzeggai.
Dalla piccola Roma, proclamata “città ideale fascista”, partiva la Strada di Dogali che metteva in collegamento il centro della capitale coloniale con la barriera corallina e sempre da Asmara si poteva imboccare facilmente la Strada della Vittoria verso Addis Abeba e da lì l’SS 12 alla volta di Mogadiscio. In pratica l’Italia fascista riuscì in pochissimi anni a costruire un complesso ma efficacissimo sistema di strade che consentiva agli autocarri di viaggiare in tempi ragionevoli e senza rischi dall’Oceano Indiano al Mar Rosso, evitando di far passare i mercantili dal Golfo di Aden, sottoposto alle sanzioni inglesi. Fiorirono fabbriche, laboratori, attività artigianali. I vicoli delle città coloniali fasciste erano disseminati di bar, gelaterie, pasticcerie. E l’Eritrea divenne ben presto la colonia con il maggior numero di italiani che trasformarono Asmara in una vera e propria fucina di urbanistica d’avanguardia.
L’architettura religiosa non trascurò nessun culto, prova ne furono la realizzazione della sinagoga, della splendida cattedrale cattolica in stile romanico e di quella ortodossa con il campanile che riprendeva lo stile “conico” degli edifici tradizionali eritrei, seguendo l’esempio romano: assimilare, elaborare, superare. Ma soprattutto la grande moschea di Asmara, opera maestosa in stile moresco con la cupola centrale in cemento e vetro. E poi il sontuoso palazzo del governo, la piscina Mingardi, i cinema (straordinario il Cinema Impero, esempio mirabile di Art Decò realizzato dall’architetto Mario Messina nel 1937), il magnifico teatro con portico in stile rinascimentale e l’interno liberty affrescato finemente da Saverio Fresa, le innumerevoli abitazioni classicheggianti, le ville moderniste e gli alberghi come l’Hotel Salaam, esempio notevole di architettura razionalista. E poi la Fiat Tagliero, stazione di servizio futurista chiamata “l’astronave coloniale”. Un’opera incredibile, giudicata da molti critici la più bella del mondo, che ha ispirato innumerevoli iniziative culturali internazionali E ancora, il bar Zilli che ricorda una radio d’epoca con le finestre simili a manopole, l’elegante Farmacia Centrale, le decine di caffè cittadine che portano ancora nomi italiani: su tutti il Capri Bar e l’Odeon Bar, tuttora dotati di banconi e sgabelli coloniali.
Praticamente tutte le costruzioni coloniali si possono ancora apprezzare ad Asmara. L’architetto eritreo Naigzy Gebremedhin, coordinatore del Progetto Beni Culturali, parla di “400 edifici italiani” ben conservati. Il britannico Guardian ha definito Asmara “un parco giochi di architettura futurista”. In realtà è molto di più, è l’esempio della bellezza artistica prodotta dal fascismo che qualche idiota di casa nostra vorrebbe negare e distruggere.
Eugenio Palazzini

                                                                                                                                                                       

venerdì 15 settembre 2017

I CRIMINI DEI ROSSI E DEI LIBERAL DEMOCRATICI !

"Il fascismo femminile che porta bravamente la gloriosa camicia nera e si raccoglie intorno ai nostri gagliardetti, è destinato a scrivere una storia splendida, a lasciare tracce memorabili, a dare un contributo sempre più profondo di passioni e di opere al fascismo italiano. "
- Benito Mussolini
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Raffaella Duelli, Ausiliaria scelta del Btg. Barbarigo della Decima Mas, ...non è più tra noi
E' venuta a mancare Raffaella Duelli, Ausiliaria scelta della Xa Flottiglia Mas, instancabile testimone dell'epopea del Btg Barbarigo, artefice ed anima, insieme ad altri Decumani del Campo della Memoria, che raggiunge ora le schiere dei Combattenti dell'Onore, Eroi senza medaglia, che l'hanno preceduta.
Raffaella Duelli, l’anima dolce di una ragazza di Salo`


Ha dedicato una vita alla solidarietà, alla pietas, al volontariato. Raffaella Duelli ha vissuto una vita avventurosa, ha attraversato le tempeste d’acciaio del Novecento e le difficoltà “da esule in patria” nell’ Italia del dopoguerra. Per anni si è impegnata in prima linea, dove ci sono gli ultimi, i disagiati, i poveri dei poveri, a favore di chi ha bisogno di assistenza, donando consigli o conforto a chi le andava incontro. Testimonianza reale di come un nobile spirito civico possa sopravvivere nel welfare state decadente dell’Italia del 2008 solo grazie a esempi di impegno e dedizione al prossimo. “Nel dopoguerra ho studiato presso la scuola per il servizio sociale e poi ho frequentato la facoltà di psicologia. Ho lavorato per undici anni presso la scuola speciale per subnormali a Roma, per diciannove nella struttura degli assistenti sociali di quartiere a Ostia, e infine come assistente sociale nella Città dei ragazzi di Roma. Per quanto tempo? Per altri sette anni”. Raffaella Duelli è una italiana volitiva, energica a dispetto dell’età che avanza e affronta con il cuore libero gli acciacchi dell’età. Facendo una breve somma degli anni della sua vita nei quali è stata in prima linea nel volontariato, il numero complessivo è di trentasette.
Una vita spesa in prima linea, ma c’è un preambolo essenziale. La dolce Raffaella è stata una ausiliaria della Repubblica sociale italiana, una volontaria “per l’Onore d’Italia” nel Battaglione Barbarigo della Decima Flottiglia Mas, agli ordini del comandante Junio Valerio Borghese. Prima di arruolarsi era stata una giovane appassionata di arte e letteratura, aveva anche scritto un’opera teatrale, Il richiamo del cuore, dedicata alla storia di una famiglia siciliana sotto i bombardamenti americani. La fine del conflitto mondiale, oltre a tante incertezze − condivise con il resto degli italiani − le “regalò” anche un periodo di detenzione nei campi di concentramento allestiti dagli angloamericani a Terni e Spoleto. Nel libro scritto dallo storico Luciano Garibaldi, Le soldatesse di Mussolini (Mursia), tra i più toccanti ricordi di guerra c’è un affresco di umanità che la riguarda, una pagina di un’umanità perduta che torna a comporre la memoria nazionale. “Raffaella Duelli, ausiliaria della Decima Mas − scrive il giornalista romano − bambolotto di pezza azzurra, compagno delle notti infantili”, ha raccontato che “quando i colpi delle mitragliatrici si facevano vicini i ragazzi ci coprivano con il loro corpo, poi si alzavano, scusandosi, rossi in volto”. Donne e uomini si stringevano gli uni agli altri, le mani nelle mani, ma in quegli abbracci e in quelle carezze di guerra non c’era sesso”. “Con Silvana Millefiorini del Battaglione Lupo, ci siamo dedicati alla ricerca dei soldati italiani dispersi sul fronte di Nettuno e Anzio. Tante mamme – racconta con trasporto la Duelli − ci chiedevano notizie dei propri figli, caduti in guerra. Ambivamo a dare loro una tomba sulla quale portare fiori, insieme alla creazione di un luogo nel quale fosse testimoniato l’eroismo di chi ha combattuto per difendere il suolo patrio”. Con questi intenti è sorto il Campo della
Memoria di Nettuno, un sacrario militare, nel quale riposano sessantatre militari e nove eroi senza medaglia, combattenti sul fronte laziale per i quali non è stato possibile compiere alcun riconoscimento. Nel 2005 Raffaella Duelli ha ricevuto il Premio Luciano Cirri per l’impegno sociale, con la seguente motivazione: “Per la pietà cristiana, la passione patriottica, il coraggio e la generosità dimostrate nell’opera volontariamente intrapresa di ricercare, ricomporre, identificare i miseri resti dei Caduti italiani e dar loro una degna e onorata sepoltura”. C’è un filo rosso che lega queste esperienze, una traccia comune salda storie così diverse, quella di guerra e quella di pace, quella da ausiliaria della Decima e quella da assistente sociale di bambini disagiati. “Nell’opera di recupero delle salme dei combattenti e nella quotidiana attenzione per chi soffre − qualità essenziale nella mia professione − c’è la stessa forza dei valori. Quegli ideali di solidarietà e patriottismo che animavano la mia prima giovinezza li ho trasferiti nell’impegno per i bambini delle periferie romane. Una certa idea della patria non può essere disgiunta da quella di solidarietà e di giustizia sociale”. I suoi ricordi attraversano in lungo e in largo l’ultimo secolo. L’ex ausiliaria li ha raccolti in un libro ormai introvabile, Ma nonna, tu che hai fatto la guerra… (Edizioni Ter), nel quale racconta il suo percorso ideale alla nipotina [nel libro citato sono pubblicate solo una parte delle memorie dell’autrice, presentate integralmente nel presente libro, NdE]. Passione civile e politica sembrano saldarsi: “Quando ero maestra − racconta con un filo di emozione − a Santa Maria di Pugliano organizzai per i miei studenti una gita a Roma. Erano ragazzi di famiglie povere, ma esprimevano un profondo rispetto per gli insegnanti, donando loro mele e uova, una 




parte di quel poco che costituiva un tipico menù familiare del dopoguerra. Solo immaginando le attese per la giornata romana provo delle emozioni particolari, le stesse che hanno riempito il mio cuore quando con i miei studenti camminammo sotto le navate di San Pietro, o per i viali del Giardino Zoologico. Per loro era una gioia immensa, una favola, e quando arrivammo attraverso l’Ostiense al mare, erano così felici che applaudivano entusiasti. In quel frangente non abbiamo potuto non piangere”. Negli occhi di Raffaella restano anche le attestazioni di affetto che ha ricevuto in tanti anni da bambini disagiati e dalle famiglie povere dell’immensa periferia romana. “Ricordo il servizio svolto nel recuperare e assistere gli sbaraccati dell’Idroscalo. E tuttora ricevo visite e lettere da famiglie che ho aiutato. Nel dopoguerra, dopo aver pagato un dazio pesante all’aver combattuto dalla parte giusta, ma perdendo la guerra, non ho scelto di fare politica in un partito, pur votando MSI − partito di cui eravamo stati fondatori, partecipando alle prime riunioni con Enzo Erra e Giorgio Almirante − fin dal 1951, quando ho riacquistato i diritti politici. Il volontariato, la scelta di schierarmi in prima linea a difesa dei poveri e degli emarginati, è stata una valutazione politica, un modo per far rivivere gli ideali nei quali credo anche nel la quotidianità, nella professione che ho svolto per una vita”. Una vita dedicata a donare il proprio cuore ai deboli, agli esclusi e all’Italia.

1944 NOVARA
parata del SAF  (Archivio Mirri)

LE AUSILIARIE SELLA R.S.I., TRUCIDATE DAI PARTIGIANI, SONO STATE DIMENTICATE DAI NOSTRI GOVERNI? PERCHE'?
I morti della R.S.I. non sono mai stati considerati né soldati, né esseri umani. Essi sono stati considerati il Male assoluto. Invece, tra quei morti, ci sono stati padri di famiglia, fratelli, figli, donne che non sono mai più tornati dai loro cari. Per essi morire in guerra o in uno scontro a fuoco con i partigiani ha spesso rappresentato un onore ma, a volte, anche una fortuna. Infatti i soldati della R.S.I. e le Ausiliarie cadute in mano ai partigiani hanno subito fini orribili e atroci torture che non potranno mai essere giustificate da alcun motivo, politico, morale, civile o militare che sia. L’assassinio di queste donne, che erano spesso delle giovanette di sedici o diciotto anni, è stato perpetrato in circostanze assai crudeli, dopo violenze, stupri e sevizie e dopo aver dovuto sfilare nude, con capelli tagliati a zero, tra siepi di gente scatenata. Le Ausiliare erano soltanto crocerossine...perchè nessuno le ha mai ricordate?
Fu l'indignazione per il tradimento badogliano dell'8 settembre 1943, che vanificava il sacrificio dei Caduti e lo sforzo comune di più generazioni, a provocare la reazione di un rilevante numero di donne, la maggior parte giovani, e a spingerle ad una scelta non soltanto politica ma a difesa dell'onore stesso d'Italia. Esse vollero dimostrare in modo tangibile la loro ribellione all'ignobile tradimento consumato il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, dove Badoglio firmò all'insaputa dell'alleato tedesco l'armistizio con il nemico. Per rigore storico precisiamo che il 5 dello stesso mese (nonostante l'armistizio firmato) fu violentemente bombardata dalle "fortezze volanti", gli enormi bombardieri angioamericani, la città di Frascati e che solo l'8 settembre gli italiani vennero a sapere dell'avvenuta resa.
Nel gennaio 1944 il giornalista Concetto Pettinato scrive su "La Stampa" un appassionato articolo nel quale chiama a raccolta nell'ora difficile e disperata le donne d'Italia.
A Milano, in Piazza S. Sepolcro, circa 600 giovani donne si radunano spontaneamente e ribadiscono la loro volontà di partecipare in modo attivo al conflitto, chiedendo di essere arruolate. 
Situazioni analoghe si verificano in altri centri della Repubblica Sociale italiana. Cominciano a costituirsi spontaneamente gruppi femminili in servizio presso i Comandi Militari. Si va sempre più concretizzando l'idea di un arruolamento volontario femminile nelle file dell'Esercito Repubblicano. 
A Torino l'insegnante Anna Maria Bardia raduna un gruppo di ragazze che, dopo un corso di addestramento in una caserma di Moncalieri, vengono impiegate nei reparti della Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera (Confinaria), dando prova di disciplina, di serietà e di attaccamento al dovere.
Anche la Decima Flottiglia MAS comincia ad inquadrare le sue volontarie. i corsi dei Servizio Ausiliario della Decima, organizzati e guidati da Fede Arnaud Pocek, furono tre (Sulzano, BS - Grandola, CO - Coi di Luna, TV), per un totale di circa 300 ragazze.
Dai primi dell'aprile 1944 è in svolgimento a Noventa Vicentina il primo Corso Nazionale "Avanguardia" dell'opera Balilia, il cui Presidente, Generale Renato Ricci, è un convinto assertore dell'arruoiamento femminile nelle Forze Armate.
Seguiranno altri due corsi nazionali: "Ardimento" a Castiglione olona e "Siro Gaiani" a Milano, quest'ultimo intitolato al milite della G.N.R. falciato da una raffica di mitra esplosa dai partigiani mentre essi tentavano di penetrare nell'edificio adibito ad accantonamento delle allieve. Le ausiliarie uscite da questi tre corsi vengono scherzosamente chiamate "Balilline" in quanto la loro età minima di arruolamento è di soli 16 anni. In prevalenza, esse presteranno servizio alla Guardia Nazionale Repubblicana.
Anche le "Balilline", come le sorelle maggiori, non esitano ad abbandonare la casa, la scuola, gli affetti e le comodità della famiglia. Scelgono, temperando l'esuberanza dell'adolescenza, una vita di disciplina e di sacrificio, pur di poter essere anche loro utili alla Patria.
La loro divisa è costituita da: giacca sahariana senza collo e gonna pantaloni, entrambe di colore kaki, camicia nera, basco, e fregi della doppia M della G.N.R. sulla fibbia dei cinturone di pelle e sul bavero.

Dal Memoriale della Vicecomandante Cesaria Pancheri
I volti si confondono nel ricordo. Balzano incontro in file serrate come quando marciavano e sembravano un unico volto nel riflesso della passione comune. Nel cuore hanno un solo nome: che racchiude in sé dolore e ardimento, sofferenze e ribellioni: ausiliarie.
I nomi dei corsi sono come bandiere in raccolta, i nomi dei campi di concentramento e delle prigioni sono i cartelli indicatori, attorno a cui i volti emergono dalla nebbia del tempo.
Una fraternità creata da un anno di vita militare ha stretto le volontarie del S.A. in una compatta unità, rendendo comuni le sofferenze, i ricordi, le speranze. Oggi, la vita borghese ha riassorbito le ausiliarie. Camminano nelle infinite strade del destino inseguendo il sogno che spinge ognuno di noi a portare il fardello della vita. Incontrandoci su queste strade non ci riconosciamo più. Abbiamo smesso la divisa, orgoglio del soldato, e non c'è più nulla di esteriore a rivelare la vita militare. Nel periodo dell'insurrezione, raminghe portavamo su di noi ancora un'impronta del passato, quella che bastava a farci, riconoscere anche se non eravamo compagne di corso.
Erano le scarpe che non avevamo potuto cambiare che tradivano una comune origine, o le calze o quel modo strano di vestire gli abiti borghesi, dopo un anno di grigioverde. E da quel particolare nasceva il desiderio di rivelare l'identità. Salivi in tram e scrutavi i volti dei vicini, i giornali che leggevano, pensavi che sarebbe andata bene anche questa volta, ed ecco che al momento di scendere una ragazza si avvicinava furtivamente e sussurrava: “Comandante, corso "18 Aprile", corso "Roma", ed aveva un sorriso felice, un sorriso che voleva dire: sono ancora qui, non sono riusciti a pescarmi”.
Era come incontrare un'oasi nel deserto, come bere a una fresca sorgente, quella dell'amicizia.
Hanno gettato fango e sangue sulle ausiliarie. Hanno odiato in esse l'espressione del coraggio e della decisione in un periodo in cui molti trovarono, nella vigliaccheria dello spirito, rifugio alla paura.
Non conoscevano le ausiliarie, non sapevano la forza di volontà, l'entusiasmo e anche un pizzico di follia che faceva sfidare il destino e che dava alla vita un senso, pauroso e dolce nello stesso tempo, e che era per l'ausiliaria il viatico necessario in un mondo dove l'amore era morto.
C'era una canzone delle ausiliarie che parlava dei loro vent'anni. Ma molte ne avevano ancora meno. Avevano disertato i banchi della scuola per essere presenti ad una scuola di sacrificio e di disciplina, avevano chiuso i libri per leggere nel gran libro della vita una storia di tradimento e di morte, dove i sogni non avrebbero trionfato nella realtà. Ragazze adolescenti come Nadia, Lucia, Luciana e tutte le allieve dei corsi dell'Opera Balilla di [Castiglionel Olona, Noventa e Milano, si forgiarono nel duro addestramento militare, piegando l'esuberanza alla disciplina, costituendo una sorgente di fresca speranza. E molte avevano i segni degli anni sul volto e i segni del lutto sulle vesti. Erano madri e spose di caduti. Vestendo la divisa grigioverde esse rivivevano i sogni di gloria del figlio o del marito, un povero sogno insidiato dal tarlo del disfattismo.
Intellettuali e donne del popolo avevano trovato nell'amore della Patria il cimento all'amicizia e alla solidarietà.
Era un amore purificatore che dissolveva le incrostazioni artificiose della cultura per lasciare l'animo ardente. Nel richiamo scaturito dalle profondità dello spirito c'era il comune senso della solidarietà. Tutte le ausiliarie dalla comandante alla donna di fatica che puliva i pavimenti avevano un solo fine: servire l'Italia.
Oggi, nella vita borghese, se un'ausiliaria ti passa accanto tu non la conosci perché non ha lo zaino troppo gonfio, né il basco troppo inclinato, o i capelli ribelli da riprendere. Così quando in una città dell'Abruzzo mi avvicinai ad un'edicola per comprare un giornale, in attesa del treno, il volto aureolato della fiammata dei capelli rossi non mi disse nulla. Ma lei riuscì a mettersi sull'attenti anche nei pochi decimetri quadrati di pavimento e balzò anche il suo nome dal ricordo. Era l'ausiliaria emiliana, che ci aveva fatto ammattire con le sue trovate, destinate a drammatizzare la vita monotona del Comando. Quando vi era giunta era reduce da un brutta avventura. Era stata catturata dai partigiani sull'Appennino e liberata da un reparto nostro.
Della prigionia aveva conservato un'impronta indelebile che prendeva vita nei sonni agitati da incubi, in cui riviveva l'orrore della cattura. Al Comando, dove era stata tenuta a riposo, si annoiava. Fu per questo che un pomeriggio la sede del Comando fu scossa da un'esplosione. Trovai la ragazza nell'atrio semisvenuta, attorniata da un gruppo di compagne. Aprì gli occhi e li richiuse. Aveva raccontato di essere stata aggredita da un partigiano, che le aveva lanciato una bomba a mano. Uno spigolo del pilastro e del cancello mostrava una sbrecciatura. Più tardi, sotto il torchio di un interrogatorio fatto dalla comandante confessò di essere stata lei. Voleva mantenere il ruolo di protagonista e non cadere nella folla anonima delle comparse. Ridemmo ricordando il fatto. Ora vendeva giornali e sigarette alla borsa nera e stava benone.
Sembrava una belvetta fulva in una gabbia troppo stretta.
La divisa rendeva simili le ausiliarie, dalla testa ai piedi tutto era regolamentare, compresa l'inclinazione del basco, il famoso basco “all'invasore” come lo definì un'ispettrice dei fasci femminili, non troppo tenera verso di noi.
Era un mondo femminile difficile da guidare e capire, perché è sempre difficile sondare l'impulso del sentimento piuttosto che quello della ragione. In epoche in cui l'equilibrio si rallenta per il prevalere delle passioni contrastanti, i contorni delle cose si deformano ed è difficile cogliere l'essenza della realtà.
Il clima spirituale di queste ragazze era arroventato dal riflesso delle passioni, che avevano diviso il paese. Esse erano intransigenti, come la giovinezza, incapaci di comprendere i compromessi di cui la vita è intessuta.
Era un mondo dove metalli diversi cercavano, nel comune crogiuolo, un'unica tempra: la tempra che creò l'ausiliaria.
Ognuna recava un bagaglio di idee e d'illusioni, ognuna credeva nei miracoli e disprezzava il buon senso come indice di debolezza.
Nel comando vedevano un organo burocratico, che creava difficoltà ai loro piani, che gettava acqua sulle loro passioni.
Ed era anche un cospirare continuo, un brontolare affettuoso, il tradizionale malcontento della “naia” contro gli uffici dei comandi.
Ausiliarie strampalate inviavano piani che avrebbero dovuto mettere in sesto qualche servizio della repubblica. Altre, nell'entusiasmo verso i soldati, chiedevano di raggiungere il fronte e magari trascinate dal loro sogno, abbandonavano il posto per raggiungerlo. Poi erano fermate sotto l'accusa di diserzione e il tribunale militare applicava come punizione proprio quello che desideravano: il fronte. E allora colloqui con i generali per spiegare che le ausiliarie disertavano per raggiungere il fronte e che quindi bisognava punirle diversamente per l'indisciplina.
E tra le ausiliarie c'erano comandanti inquiete a cui non bastava la responsabilità del comando, ma spiravano a realizzazioni più ampie.
Rimproveravano al comando un'azione senza voli di fantasia, non approvavano la selezione degli elementi, il controllo dei requisiti, avrebbero aperto le fila a tutte coloro che lo richiedevano perché consideravano la partecipazione alla guerra una catarsi rigeneratrice. La “Stampa” di Torino iniziò un attacco dicendo che il Comando generale aveva una concezione monacale del S.A., mentre decine di migliaia di donne avrebbero potuto entrare nei quadri del S.A. Ispiratrice dell'articolo era stata una comandante che univa ad un ingegno brillante un pizzico di spavalderia. Furono anche le sue insistenza a porre il problema dei nuclei di assistenza presso le divisioni al fronte. E molte erano, come lei, pronte allo sbaraglio e insofferenti a ogni voce di prudenza.
Esse credevano di non essere capite, ma c'era invece a frenare l'impulso quel sentirsi arbitri di decisioni che potevano mutare i destini.
E c'erano le ausiliarie che ovunque vedevano il tradimento, il disfattismo, la sfiducia e invocavano interventi, che non avvenivano per l'impossibilità di agire in base a semplici intuizioni, anche se in tutti era la convinzione che molte cose andassero a rovescio per il tradimento annidato negli stessi comandi militari. Ma se esistevano contrasti essi erano aperti e non scavavano abissi tra noi, eravamo una famiglia, dove il vincolo del sangue era sostituto dallo spirito di corpo. Scambiavamo le scarpe in buone condizioni con quelle a buchi delle ausiliarie in partenza. In ogni accantonamento cedevano la brandina e dormivano per terra per ospitarci nelle ispezioni.
L'eroismo dell'ausiliaria non si è manifestato solo di fronte alla morte, che non fu una libera scelta, non nella prigionia che fu inevitabile, ma nel sopportare giorno per giorno la disciplina e la vita dura, la gavetta e la branda, la vita incerta, i trasferimenti.
E tutto questo non avveniva tra il consenso della gente, tra il festoso saluto del popolo, ma tra l'ostilità e la minaccia, con la sensazione del pericolo sulle spalle. Un capo partigiano mi disse, dopo l'insurrezione, che aveva sempre avuto terrore delle ausiliarie. Un giorno che una lo aveva fissato per strada, concluse, il cuore gli batté all'impazzata. “Se mi guardava ancora un pò sparavo”. E pensare che forse lo guardava solo perchè era un bel ragazzo, non poteva leggere in viso che era un partigiano. Quando glielo dissi ammise che poteva essere così, ma loro ci pensavano a caccia di partigiani, mentre la realtà era che loro cacciavano le ausiliarie. Eleganti, sorridenti, trovarono l’amore tra i bombardamenti e le avventure. Quando le vedo nelle divise attillate penso all’ausiliaria curva sotto il sacco da montagna, ferma ai posti di blocco in attesa di un camion,sola con la sua fede contro tutti. Forse anche l’amore è nato nella solitudine delle Alpi, o nelle corsie di un ospedale, un amore tra disperati, senza avvenire. Storie di ausiliarie fioriscono nella memoria.
Tutte ne hanno una da raccontare ai figli o ai nipoti. Alcune sono diventate patrimonio comune di cui siamo orgogliose, tale è la storia di M. Luisa. Viveva in una città oltre il Po, già conquistata dagli alleati. Frequentava il liceo, ma il suo pensiero si rodeva nella vita tranquilla pensando alla guerra che ancora continuava. L'odio per i conquistatori e l'ansia di partecipare alla lotta ardevano nella sua anima adolescente con tragica violenza. La guerra si era spostata qualche chilometro verso nord, lasciando dietro di sé le tracce dei combattimenti. M. Luisa volle raggiungere il territorio della repubblica. Attraverso la radio sa che si combatte ancora, sa che vi sono le ausiliarie. Sul tavolo vi sono i libri preparati per la scuola, ma lei ha deciso di non andarci più.
All'alba esce sulla strada dove le macchine rombano senza riposo, portando i rifornimenti alle linee.
Un camion alleato rallenta. La solita faccia di negro si apre nel sorriso come un cocomero spaccato. “Tu dove andare?” “Andare a A. a trovare parenti”. Sale sul camion, il negro canta un ritmo bizzarro.
M. Luisa pensa al mondo chiuso dietro di sé, alla gentilezza del negro, all'avvenire. Ad A., M. Luisa toccò il braccio del soldato: “Io scendere qui”. A tre chilometri c'erano le linee. Il difficile era passare. Una nebbia leggera copriva il terreno, gli alberi sembravano galleggiare su un mare fluttuante, come fantasmi. Più in là una sentinella piegò verso una casupola diroccata e vi entrò. La ragazza continuò ad avanzare come un automa, col cuore che batteva furiosamente. Il tempo non contava più nel terrore di non riuscire, quanto camminò? Ore, minuti, forse, ma sembrarono secoli. Da una buca balza un soldato e l'afferra. Ha un volto duro e spietato e urla: “C'è una spia”. Lei singhiozza, ride, i soldati accorsi non capiscono. Dopo spiega all'ufficiale che vuol andare a Milano ad arruolarsi: conosce il generale Diamanti. Viene accompagnata a Milano. Il generale telefona al Servizio ausiliario, l'indomani M. Luisa è allieva ausiliaria. Dopo il corso riprende la strada per prestare servizio ad un posto di ristoro verso le linee. Era una ragazza tranquilla, con qualche cosa d'infantile nel viso, solo gli occhi avevano una ferma risolutezza, che le trecce allungate sulle spalle non riuscivano a cancellare.
Tutte le ausiliarie ricordano Giovanna Deiana. Era rimasta cieca in un bombardamento e aveva supplicato di essere accolta nel S.A.
Venne con una sorella più giovane. Attorno a sé rifletteva la serenità del suo spirito non piegato dalla prova. Era come se vedesse più profondamente di tutte. Quando Giovanna Deiana conversava col tenente Infantino, cieco e mutilato delle mani, ospite talvolta delle ausiliarie, sembrava di assistere ad un colloquio tra due anime, che oltre il martirio della carne, vivessero negli spazi senza limiti dello spirito.
Per essi s'era spenta la luce delle cose, ma splendeva dietro le pupille arse la luce della fede e della speranza.
La storia dell'ausiliaria Franca Barbieri, proposta per la medaglia d'oro, è quella d'un soldato. Catturata dai partigiani, le viene offerta la vita a condizione di passare nei ranghi delle loro formazioni. L'ausiliaria rifiuta. Di fronte al plotone di esecuzione grida “viva l'Italia” e cade sotto le raffiche dei mitra.
Il Servizio ausiliario aveva pochi mesi di vita, ma già un esperienza di dolore e di morte gravava lo spirito delle volontarie.
Le imboscate diradavano le fila, lasciando un senso di desolazione. I nomi diventavano elenchi, freddi elenchi che riassumevano una tragedia.
La capogruppo Forni fu uccisa dai partigiani mentre tentava, con mezzi di fortuna, di raggiungere il fratello ferito in un ospedale del Piemonte. Fu trovata in un bosco crivellata di colpi.
L'ausiliaria F., del Comando di Novara, prese una breve licenza per salutare la madre e la famiglia. Si recò al posto di blocco per trovare un mezzo. Fu la macchina del prefetto Manganiello che diede un passaggio alla ragazza. Ma non arrivò a destinazione. Il suo corpo seviziato e irriconoscibile fu tratto dallo stagno in cui era stato gettato insieme a quello del prefetto. Non rivide più sua madre. Incominciarono in seguito le catture. La vita delle ausiliarie prigioniere dipese dal caso, dalle vicende e dall'umanità dei partigiani. Non vi era legge di guerra a salvaguardare il diritto del soldato. Era una guerra piena di incognite.
La comandante di Novara con due ausiliarie fu catturata con un gruppo di soldati in una stazione sulla linea Novara-Torino. Un gruppo di partigiani assalì il treno. Soldati e ausiliarie sotto la minaccia dei mitra dovettero scendere e seguire i partigiani verso la montagna. Furono tolte le scarpe ai prigionieri, che camminarono scalzi, nella notte, dormirono di giorno nei pagliai per riprendere la tragica marcia.
La notizia arrivò al comando suscitando dolore e sbalordimento. Poi un giornale pubblicò la notizia della fucilazione. Una volta tanto la notizia non era vera. Arrivarono invece le proposte dei partigiani per lo scambio. Chiedevano 18 partigiani, ostaggi nelle carceri. Molti erano in mano dei tedeschi. Pregammo il federale Porta, che ci pose a contatto col generale Tensfeld a Monza.
I tedeschi mollarono quattro partigiani, otto i nostri, e lo scambio si effettuò sulla base di 12. Le ausiliarie tornarono alla vita sconvolte per aver assistito alla fucilazione di un volontario della Nembo.
Esse subirono umiliazioni, furono schiaffeggiate, ma ritornarono salve. Fu don Riva, il nostro cappellano, che andò a prenderle in consegna.
Ripresero il loro posto. L'ultimo ostaggio fu costituito dalla comandante della Spezia, una ragazza piena di coraggio, che voleva i posti più avanzati e pericolosi. Fu fermata dai partigiani ad un posto di blocco tra la Liguria e il Piemonte. Fu rimessa in libertà dopo l'insurrezione. La cattura delle ausiliarie aveva messo in allarme gli ambienti militari per le conseguenze che ne derivavano.
La richiesta degli ostaggi per lo scambio era in forti proporzioni. Il Comando proibì le licenze, raccomandò misure di prudenza.
Ma le ausiliarie non vollero costituire una preoccupazione. Arrivarono in quei giorni, sempre più numerose, le lettere che dicevano: “In caso di cattura prego il comando a non far passi per ottenere la liberazione con lo scambio di ostaggi”.
Così erano, materia incandescente da cui si sprigionavano scintille di fede, bagliori di entusiasmo.
Così erano impastate di eroismo e di follia, in un mondo di compromesso e di malignità.
Così cantavano, e mai canzone fu cantata con tanta spavalda consapevolezza, e mai canzone fu così vera. Fidanzate della morte, suggellarono l'amore nel sangue perché durasse eterno.
Nelle sanguinose giornate dell' Aprile-Maggio 1945 il SAF è il reparto dell'esercito repubblicano che, in proporzione ai suoi organici, paga il più alto tributo di sangue alla causa della R.S.I..
Centinaia di ausiliarie vengono catturate, martirizzate, seviziate e massacrate.

MILANO - Dicembre 1944
Il discorso del Duce alle Ausiliarie
Savona marzo 1945 
Ausiliarie delle Brigata Nere di Savona distribuiscono generi di conforto 
a Reparti di Bersaglieri lungo la riviera

ANGELINA MILAZZO
Angelina Milazzo, Medaglia d'oro al VM, era un' Ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana. Aveva solo 22 anni quando cadde a Garbagnate facendo scudo con il proprio corpo ad una donna incinta già ferita, durante il successivo ripassaggio dell' infame "Pippo" di turno. Il gesto le valse una copertina della "Domenica del Corriere" del Febbraio 1945.
Nacque ad Aidone, un piccolo paese a pochi chilometri da Enna, in Sicilia, il 18 aprile del 1922. Il padre, Filippo Lucio, mutilato di guerra e decorato con Medaglia al Valor Militare, e la madre, Nerina Bruno, gestivano un negozio di stoffe in centro. Sin da piccola, Angelina Milazzo, guardava con fascino e ammirazione le imprese compiute, dagli eroi e patrioti italiani, nella conquista dell’Unità d’Italia e successivamente nel corso della Prima Guerra Mondiale con la vittoria sull’esercito austro – ungarico. Con la Marcia su Roma, 28 ottobre del 1922, e la presa di potere da parte del Regime Fascista di Benito Mussolini, Angelina Milazzo, formò carattere e personalità grazie alla rigida e sana disciplina culturale del fascismo. Dotata di rara intelligenza si iscrisse presso l’istituto magistrale con l’obiettivo di diventare insegnate di scuole elementari. In seguito alla mozione di Dino Grandi, il 24 luglio del 1943, che determinava la caduto del Governo Fascista, l’arresto e la liberazione di Benito Mussolini con la successiva nascita della Repubblica Sociale Italiana, Angelina Milazzo, decise di abbandonare gli studi per arruolarsi, come volontaria, nel Servizio Ausiliario Femminile e seguire così la strada dell’Onore.
Già durante il corso di addestramento, Angelina Milazzo si mise in evidenza come esempio per le sue commilitoni per fede e disciplina. Terminato il periodo di addestramento, fu assegnata al Comando del Sevizio Ausiliario Femminile di Vicenza ottenendo subito una citazione all’ordine del giorno per la capacità e lo spirito di iniziativa dimostrati nel portare a termine una difficile impresa. Intanto i cacciabombardieri angloamericani aveva il compito di mitragliare e colpire qualsiasi cosa si muovesse sul territorio. Arrivavano all’improvviso, in città e nelle campagne, attaccando treni, corrieri, autovetture e persone. L’obiettivo era di spezzare il morale alla popolazione civile italiana. Il 21 gennaio del 1945, Angelina Milazzo, durante un viaggio di servizio in treno, nei pressi di Garbagnate, pochi chilometri da Milano, i cacciabombardieri iniziarono a fare fuoco. I passeggeri del treno, prontamente fermato, cercarono riparo nei prati lungo la linea ferroviaria. Una viaggiatrice, in stato di gravidanza, cadde a terra e Angelina Milazzo, invece di cercare scampo, sprezzante del pericolo si lanciò in soccorso della donna ferita, facendo scudo con il proprio corpo. Nella scorreria dei mitragliatori, la giovane volontaria del Servizio Ausiliario Femminile, fu colpita a morte da una scarica, salvando con il suo sacrificio la vita di una madre. Il gesto le valse una copertina sul giornale della Domenica del Corriere nel febbraio del 1945. Il Comandante di Brigata del Servizio Ausiliario Femminile, Piera Gatteschi Fondelli, propose ed ottenne, il conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria di Angelina Milazzo.

ELEONORA SOMMARIVA, AUSILIARIA X MAS ASSASSINATA A THIENE, IN UNA IMBOSCATA, DAI PARTIGIANI, IL 29 APRILE 1945, A GUERRA FINITA. SEPOLTA A MILANO, CAMPO X CAMPO DELL'ONORE, CIMITERO MAGGIORE

LE AUSILIARIE CADUTE

Questo elenco solo una parte dei nominativi delle ausiliarie cadute, in quanto non è mai stato possibile giungere ad una documentazione completa per quanto riguarda le ausiliarie uccise nelle sanguinose giornate dell' Aprile-Maggio 1945. In questo elenco sono incluse comunque le ausiliarie appartenenti alla Decima Flottiglia Mas, alle Brigate nere, alle formazioni autonome e che dipendevano direttamente dal Servizio ausiliario femminile(SAF).

Per dare un idea del martirio cui furono sottoposte tante ausiliarie, rimaste ignote, e che vennero trucidate a Torino nei giorni conclusivi del conflitto. I dati di queste autopsie swono stati desunti dal registro apposito tenuto presso l' Istituto di Medicina Legale dell' Università di Torino.

1 ALESSI INES Cervia 26/4/45
2 AMODIO ROSA Savona Agosto 45
3 ANNIBALI ROSA Venezia 26/7/44
4 ANTONUCCI VELLA caduta 1945
5 ARISTA ANNAMARIA Intra 7/1/45
6 AUDISIO MARGHERITA Nichelino 26/4/45
7 BACCHI ANNA Modena 6/4/45
8 BALDI IRMA Schio 7/7/45
9 BALDINI IRIDE caduta 1945
10 BALDUZZI NORMA Vercelli 29/4745
11 BANDINI-POZZI VIRGINIA Cambiasco 16/4/45
12 BADO Milano nel 1945
13 BARALE MARIA Cuneo 3/5/45
14 BARBIER FRANCA Aosta 27/7/44
15 BARDI CARLA 9/5/45
16 BARONI ANGELA Buia 7/11/44
17 BATACCHI MARCELLA Mongrado 3/5/45
18 BELLENTANI MARIA Modena 26/4/45
19 BELLISSIMO ANTONIETTA Milano 26/4/45
20 BENAGLIA LUCINDA Monfalcone Maggio 45
21 BENELLI BIANCA Modena 17/2/45
22 BIANCHI ANNAMARIA S. Maria Rezzonico 4/7/45
23 BLONDET ELENA Milano 29/4/45
24 BOCCHI-MORISI ITALINA Modena 16/3/45
25 BOERO CATERINA Alassio 27/4/45
26 BIONDO ANNAMARIA dispersa
27 BOFFELLI CLORINDA Crema 29/4/45
28 BONAGLIA GIUDITTA caduta 1945
29 BONINI BIANCA dispersa a Modena
30 BOSIA LIDIA Omeglia 7/5/45
31 BOSIO EMILIA caduta 1945
32 BRESSANINI CATERINA Milano 16/3745
33 BRESSANINI ORSOLA madre della precedente Milano 10/5/45
34 BIAMONTI ANGELA MARIA Savona Maggio 45
35 BRAZZOLI VINCENZA Milano 28/4/45
36 BRUSA ZELANDA Novara 15/2/45
37 BURRISER GIANCARLA Suno 30/1/45
38 BURZONI ADELE Casalpusterlengo 27/4/45
39 BURZONI MARIA sorella della precedente Casalpusterlengo 27/4/45
40 CALLAINI BRUNA Langosco 6/5/45
41 CAMORANI-MOLINARI EDA Lavagnola 25/4/45
42 CAMOTTO MARIA Torino 6/3/45
43 CARLINO ANTONIETTA Cuneo 3/5/45
44 CARPEGGIANI BRUNA caduta 1945
45 CASSOLO MARIUCCIA Palestro 8/4/45
46 CASTALDI NATALIA Cuneo 9/5/45
47 CASTELLINI GIULIA mirandola Aprile 45
48 CENTAZZO MARIA Venezia 26/7745
49 CHIAVAZZA MARIA Cuneo 3757$5
50 CHIANDRE RINA Graglia 2/5/45
51 CHIODI RAFFAELLA caduta 1945
52 COCCHI VITTORINA caduta 1945
53 COLOMBO CECILIA caduta 1945
54 COMETTO MARIA 3/3/45
55 CORTESI JOLE Arona nel 45
56 CONTE ADELINA Maggio 1945
57 CORPO MARGHERITA Vercelli 1945
58 CORRADI DEFAIS 23/3/45
59 CORNOTTO MARIA Marzo 45
60 COTTI MARIA Milano 29/4/45
61 CRAVERO AGNESE Torino 3/5/45
62 CROVELLI-MUTTI LUIGIA Casalpusterlengo 27/4/45
63 CRIVELLI JOLANDA caduta 1945
64 DE ANGELIS ITALA caduta 1945
65 DEGANI GINA Aprile 1945
66 DE NITO ANGELA Scandiano per malattia contratta in servizio 14/2/49
67 DE SIMONE ANTONIETTA Revine Lago nel 1945
68 DE VECCHI caduta nel 45
69 DHO LIDIA Mondovi 11/5/45
70 DE GLANDI GIUSEPPA Bergamo 28/3/45
71 DROVETTO LUCIANA Inverso Pinasca 7/4/45
72 FANANI DOLORES Treviso 30/4/45
73 FERRARI GIUSEPPINA Savona Gennaio 45
74 FERRARIS FLAVIA Novara 4/9/44
75 FERRI GABRIELLA Venezia Luglio 1944
76 FERRI GIULIA Milano 28/4/45
77 FERRONI MARIA caduta 1945
78 FIUMANA ERNESTA caduta 1945
79 FIENI LUIGIA 17/4/45
80 FIORAVANTI ROSA Cilavagna 28/2/45
81 FORLANI BARBARA Rosasco 6/5/45
82 FORNI ANNA Sezzzadio Febbraio 45
83 FORCELLLINI-BORTOLUZZI LEA Fagarè di Piave 24/3/45
84 FRAGIACOMO LIDIA Nichelino 26/4/45
85 FRIGERIO CAMILLA MARIA Pusiano 26/4/45
86 FRIZZON CATERINA Buia 7/11/45
87 GARZENI MARIA Graglia 2/5/45
88 GASTOLDI NATALINA Imperia 3/5/45
89 GAZZIOLA REGINA Venezia 26/7/44
90 GENESTRONI MICHELINA Fossano nel 1945
91 GIACOBBE MARGHERITA Orsara Bormida 14/4/45
92 GIOLO LAURA Torino 30/4/45
93 GABOLI ADELE Suno 22/10/44
94 GLAREY-BERLINGHIERI EMMA Aprile 45
95 GOZZI INES 21/1/45
96 GIORGETTI RITA caduta 1945
97 GIORGETTI madre della precedente caduta 1945
98 GIRAUDI ITALA Graglia 2/5/45
99 GIRAUDO BIANCA Cuneo 3/5/45
100 GIUBERTONI CATERINA Adorno Micca 23/3/45
101 GRECO EVA Medolla 31/5/45
102 GRILL MARILENA Torino 3/5/45
103 INTRAINO ANITA Milano 2874/45
104 LANDINI LINA Milano 11/5/45
105 LANTIERI VINCENZA Genova 1/5/45
106 LAVISE BLANDINA Schio 7/7/45
107 LUMINOSO GIOVANNA Milano 27/5/45
108 MALAGOLI TIZIANA Collegarala Aprile 45
109 MANDER TERESA Venezia 26/7/44
110 MANRUTTO NELLA Monfalcone 15/3/45
111 MARCHIOLI ROISINA Parma 27/4/45
112 MASSARINI RINA Monfalcone 15/3/45
113 MENEGHETTI NORA Parma 27/4/45
114 MERLINI LUCILLA Cremona 1/5/45
115 MILAZZO ANGELINA Garbagnate 21/1/45
116 MINARDI LUCIANA Cologna Veneta 24/5/45
117 MINETTO ELENA Callizzano 13/4/45
118 MONTEVERDE LICIA Torino 6/5/45
119 MORARA MARTA Bologna 25/5/45
120 MORICHETTI ANNA PAOLA Milano 27/4/45
121 MORSETTI MIRKA caduta 1945
122 NASSARI DESOLINA Casalpusterlengo 27/4/45
123 OLIVIERI LUCIANA FANNY Cuneo Maggio 45
124 OTTAVANA ROSETTA Casalpusterlencgo 27/4/45
125 PAGANI EDVIGE Milano 1/5/45
126 MAGLIARINI MARISA Como 17/1/45
127 PALTRINIERI ROSALIA caduta 27/4/45
128 PANNI ROSA dispersa 1945
129 PARENTI DINA Maggio 1945
130 PAROLI IRIDE Arona 26/4/45
131 PEVERATI LILIANA Cantù 4/5/45
132 PICCINELLI GIUSEPPINA caduta 1945
133 PICCINELLI SILVIA caduta 1945
134 PITTALIS MARIA Fossoli 8/3/45
135 POLETTINI SILVIA Rovigo 20/1/45
136 PONTREMOLI ZARA Milano 27/4/45
137 PORTESAN MARIA Ciriè 3/5/45
138 PROVETTO LUCIANA caduta 1945
139 RADAELLI LUCIA Vizzola Ticino 26/4/45
140 RAIMONDO MADDALENA S. Gillio Canavese 2/12/44
141 RAMELLA GIOVANNA Imperia Maggio 45
142 RAMELLA MARIA Muzzano 1945
143 RANACCHIA GISELDA Schio Luglio 45
144 RATTI GEA Stradella 12/3/45
145 RAVILOLI ERNESTA Torino 3/5/45
146 RECALCATI GIUSEPPINA Milano 27/4/45
147 RECALCATI MARIUCCIA figlia della precedente Milano 27/4/45
148 RIGO FELICITA Tricerio nel 1945
149 RIOLI ROMA Gorizia Marzo 45
150 ROCCHETTI LUCIA Graglia 2/5745
151 ROMANO LEA Lubiana 30/10/47
152 ROSSI AMELIA Bologna nel 1945
153 ROVIDA MARIA Invorio nel 1945
154 RUFFILI LINDA Torino nel 1945
155 SACCHI ALBERTINA Seriate 27/4/45
156 SAIU GRAZZIELLA Taleggio 12/4/45
157 SANTAMARIA ORNELLA Bologna 24/4/45
158 SCAPAT SANTINA Venezia 26/7/44
159 SCARQAMELLI ALFONSINA Parma 26/4/45
160 SECONDO ANGELA Calice Ligure 12/12/44
161 SILVESTRO IDA Torino 1/5/45
162 SCALFI LAURA Vercelli 7/5/45
163 SCALFI ELSA sorella della precedente Vercelli 7/5/45
164 SIMONI-CAPARRINI ARMIDA Fornaci 26/1/45
165 SOFFREDINO LUCIANA caduta nel 1945
166 SOMMARIVA ELEONORA Thiene 29/4/45
167 SPERIANI TULIA Cesano Maderno nel 1945
168 SPITZ JOLANDA Mongrando 3/5/45
169 TAM ANGELA MARIA Buglio in Monte 6/5/45
170 TANZI BRUNILDE Milano Gennaio 46
171 TAVERNI CARLA Milano caduta nel 1945
172 TIBERIO MARIUCCIA Milano 2774/45
173 TIBERIO PASQUINA Milano 27/4/45
174 TRIMBOLI CLORINDA Omegna 26/1/45
175 TRIMBOLI GIANNA figlia della precedente Omegna 26/1/45
176 UGAZIO CORNELIA Galliate 28/4/45
177 UGAZIO MIRELLA sorella della precedente Galliate 28/4/45
178 VALDORA MARIA Villa Piana 26/4/45
179 VECCHI LORENZA Seriate 29/4/45
180 VIGO FELICITA Nichelino Maggio 45
181 ZANINI LUISA Modena 17/2/45
182 ZARA caduta 1945
183 IGNOTA Tradate 20/4/45
184 IGNOTA Parma 26/4/45
185 IGNOTA Nichelino 26/4/45
186 IGNOTA Nichelino 26/4/45
187 IGNOTA Nichelino 26/4/45
188 IGNOTA Cuneo 29/4/45
189 IGNOTA Tirano 29/4/45
190 IGNOTA Muzzano 03/5/45
191 IGNOTA Torino 3/5/45 (Autopsia n° 7065 : entrata 3,5, uscita 11.5: Provenienza stazione Porta Nuova, lato via Vizza. Diagnosi : omicidio per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni alcranio, torace e addome. Indossa la divisa militare della Repubblica con mostrine recanti fascetti roossi. Una "M" rossa sulla tasca sup. sx. Si tratta del cadavere di una giovane domma dell' apparente età di 18-20 anni, capelli neri rasati a zero; presente ferite multiple d' arma da fuoco al viso, toraceve addome)
192 IGNOTA Rosacco 5/5/45
193 IGNOTA Torino 6//5/45 (Autopsia n° 7071: entrata 6.5, uscita 9.5. Provenienza Fiume Po. Diagnosi : omicidio per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni agli organi del capo e dell' addome. E' stata uccisa e buttata nel fiume Po. Si tratta del cadavere di giovane donna dell'apparente età di 25-30 anni; il viso è ricoperto di una spessa patina di terriccio melmoso; sono visibili numerosi forami irregolarmente tondeggianti in corrispondenza del capo, della regione anteriore e laterale del tarace e del basso ventre)
194 IGNOTA Imperia 7/5/45
195 IGNOTA Torino 8/5/45 (Autopsia n° 7083: entra 8.5, esce 11.5. Provenienza: Corso Tassoni angolo strada Pellerina. Diagnosi: omicidio per arma da fuoco. Causa della morte : lesioni al cervello. Notizie : fu uccisa dai parigiani: Si tratta del cadavere di una donna dall' apparente età di 35 anni, il capo è completamente rasato dai capelli; in corrispondenza della regione zigomatica sx ferita da taglio, a forma di barca con estremo arrotondato rivolto anteriormente, limitata ai piani superficiali con scarsa reazione vitale. Scoppio del cranio in corrispondenza della regione occipitale dove esiste squarcio ampio con margini irregolari ed extroflessi da cui fuoriecse sostanza nervosa mista a sangue. Nella regione sopraclaveare sx forro tondeggiante della dimensione di una moneta di un soldo con orletto escoriativo concentrico.)
196 IGNOTA Torino 15/5/45 (Autopsia n° 7103: entrata 15,5, uscita 22.5. Provenienza : strada Santa Margherita presso villa Genero. Diagnosi: omicidio per arma da fuoco: Causa della morte: lesioni al cervello: Si tratta del cadavere di una donna dell'apparente età di 36-40 anni in condizioni generali dsi nutrizione buone con capelli biondo chiaro rasati.Sono rilevabili un gruppo di 4-5 ecchimosi di forma irregolarmente tondeggianti in corrispondenza delle superfici anteriori delle cosce, grandi quanto una moneta di mezza lira. all' angolo mandibolare dx è presente un forame di margini irregolari circondato da un alone di affumicatura ampio quanto una moneta di mezza lira. Il corrispondente forame di uscita si trova nella metà sx della regione frontale: l' osso frontale è frantumato. Da quest'ultimo forame fuoriesce sostanza celebrale.)
197 IGNOTA Torino 125/5/45 (Autopsia n° 7105: entrata 15.5, uscita 19.5. Provenienza: griglia dell' Arsenale di Borgo Dora. Diagnosi: omicidio per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni al cervello. Notizie: fu uccisa nelle strage dell'insurezzione di fine Aprile. Si tratta del cadavere di una donna dell'apparente età di 30 anni. Corpo ricoperto da una patina di fango. In corrispondenza del lato dx del volto numerosi fori tondeggianti d' arma da fuoco con orletto escoriativo. Frattura comminuta del cranio, lesioni al cervello.)
198 IGNOTA Torino 11/6/45 (Autopsia n° 7143: entra 11.6, esce 17.6. Provenienza : fiume Po dietro Caserma dei Pompieri Barriera Milano. Diagnosi: omicidio per arma da fuoco. Causa della morte: lesioni cranio-celebrali e toraco-addominali. Notizie: si dice che questa giovane donna già Ausiliaria presso i reparti della Repubblica sia stata prelevata e collocata in un canale di via Nizza, indi prelevata ed uccisa per colpi d'arma da fuoco. Veste una gonna grigia ed un giubbetto rosso a grosse fasce bianche trasversali, ha i capelli di color castano scuri rasati. Si tratta del cadavere di giovane donna dell'apparente età di 17-19 anni incinta al settimo mese circa di gestazione. All' ispezione sono rilevabili numero sei (6) forami tondeggianti d' arma da fuoco del diametro di circa 1 centimetro circondati da orletto escoriativo nerastro situati rispettivamente: due vicini alla regione laterale sx del collo, un terzo alla regione precordiale; gli altri al basso ventre.)






Ausiliarie assassinate dopo il 25 aprile 1945 
e dopo che si erano arrese

Amodio Rosa 23 anni, assassinata nel luglio del 1947, mentre in bicicletta andava da Savona a Vado.
Antonucci Velia due volte prelevata, due volte rilasciata a Vercelli, poi fucilata.
Audisio Margherita Fucilata a Nichelino il 26 aprile 1945
Baldi Irma Assassinata a Schio il 7 luglio 1945
Batacchi Marcella e Spitz Jolanda 17 anni, di Firenze. Assegnata al Distretto militare di Cuneo con la coetanea Jolanda Spitz e altre 7 ausiliarie, molto religiosa, come del resto la sua collega Spitz, e in particolare devota della Madonna, il 30 aprile 1945, con tutto il Distretto di Cuneo, pochi ufficiali, 20 soldati e 9 ausiliarie, si mette in movimento per raggiungere il Nord, secondo gli ordini ricevuti. La colonna è però costretta ad arrendersi nel Biellese ai partigiani del comunista Moranino. Interrogate, sette ausiliarie, ascoltando il suggerimento dei propri ufficiali, dichiarano di essere prostitute che hanno lasciato la casa di tolleranza di Cuneo per seguire i soldati. Ma Marcella e Jolanda non accettano e si dichiarano con fierezza ausiliarie della RSI. I partigiani tentano allora di violentarle, ma le due ragazze resistono con le unghie e con i denti. Costrette con la forza più brutale, vengono violentate numerose volte. In fin di vita chiedono un prete. Il prete viene chiamato ma gli è impedito di avvicinare le ragazze. Prima di cadere sotto il plotone di esecuzione, sfigurate dalle botte di quelle belve indegne di chiamarsi partigiani, mormorano:" Mamma" e "Gesu' ". Quando furono esumate, presentavano il volto tumefatto e sfigurato, ma il corpo bianco e intatto. Erano state sepolte nella stessa fossa, l'una sopra l'altra. Era il 3 maggio 1945.
Bergonzi Irene Assassinata a Milano il 29 aprile 1945

Biamonti Angela Assassinata il 15 maggio 1945 a Zinola (SV) assieme ai genitori e alla domestica. 
Bianchi Annamaria Assassinata a Pizzo di Cernobbio (CO) il 4 luglio 1945
Bonatti Silvana Assassinata a Genova il 29 aprile 1945
Brazzoli Vincenza Assassinata a Milano il 28 aprile 1945
Bressanini Orsola Madre di una giovane fascista caduta durante la guerra civile, assassinata a Milano il 10 maggio 1945
Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana Rosetta, Facevano parte di un gruppo di otto ausiliarie, (di cui una sconosciuta), catturate all'interno dell'ospedale di Piacenza assieme a sei soldati di sanita'. I prigionieri, trasportati a Casalpusterlengo, furono messi contro il muro dell'ospedale per essere fucilati. Adele Buzzoni supplico' che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un partigiano afferro' per un braccio la ragazza e la sposto' dal gruppo. Ma, partita la scarica, Maria Buzzoni, vedendo cadere la sorella, lancio' un urlo terribile, in seguito al quale venne falciata dal mitra di un partigiano. Si salvarono, grazie all'intervento di un sacerdote, le ausiliarie Anita Romano (che sanguinante si levo' come un fantasma dal mucchio di cadaveri) nonche' le sorelle Ida e Bianca Poggioli, che le raffiche non erano riuscite ad uccidere.
Carlino Antonietta Assassinata il 7 maggio 1945 all'ospedale di Cuneo, dove assisteva la sua caposquadra Raffaella Chiodi.
Castaldi Natalina Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945
Chandre' Rina, Giraldi Itala, Rocchetti Lucia Unitamente a Lucia Rocchetti, aggregate al secondo RAU (Raggruppamento Allievi Ufficiali) furono catturate il 27 aprile 1945 a Cigliano, sull'autostrada Torino - Milano, dopo un combattimento durato 14 ore. Il reparto si era arreso dopo aver avuto la garanzia del rispetto delle regole sulla prigionia di guerra e dell'onore delle armi. Trasportate con i loro camerati al Santuario di Graglia, furono trucidate il 2 maggio 1945 assieme ad oltre 30 allievi ufficiali con il loro comandante, maggiore Galamini, e le mogli di due di essi. La madre di ITala ne disseppelli' i corpi.
Chiettini (si ignora il nome) Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945
Collaini Bruna, Forlani Barbara Assassinata a Rosacco (Pavia) il 5 maggio 1945 assieme alla sua camerata Forlani Barbara

Conti - Magnaldi Adelina Madre di tre bambini, assassinata a Cuneo il 4 maggio 1945
Crivelli Jolanda Vedova ventenne di un ufficiale del Battaglione "M" costretta a denudarsi e fucilata a Cesena, sulla piazza principale, dopo essere stata legata ad un albero, ove il cadavere rimase esposto per due giorni e due notti.
De Simone Antonietta Romana, studentessa del quarto anni di Medicina, fucilata a Vittorio Veneto in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945
Degani Gina Assassinata a Milano in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945
Ferrari Flavia 19 anni, assassinata l' 1 maggio 1945 a Milano
Fragiacomo Lidia, Giolo Laura Fucilata a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme a Giolo Laura e ad altre cinque ausiliarie non identificate, dopo una gara di emulazione nel tentativo di salvare la loro comandante.
Gatsaldi Natalia Assassinata a Cuneo il 3 maggio 1945
Genesi Jole, Rovilda Lidia Torturata all'hotel San Carlo di Arona (Novara) e assassinata con la sua camerata Lidia Rovilda il 4 maggio 1945. era in servizio presso la GNR di Novara. Catturate alla Stazione Centrale di Milano, ai primi di maggio, le due ausiliarie si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro comandante provinciale.
Greco Eva Assassinata a Modena assieme a suo padre nel maggio del 1945
Grilli Marilena 16 anni, assassinata a Torino la notte del 2 maggio 1945
Landini Lina Assassinata a Genova l'1 maggio 1945
Lavise Blandina Una delle tre ausiliarie trucidate nel massacro delle carceri di Schio il 6/7 luglio 1945
Locarno Giulia Assassinata a Porina (Vicenza) il 27 aprile 1945
Luppi - Romano Lea Catturata a Trieste dai partigiani comunisti, consegnata ai titini, portata a a Lubiana, morta in carcere dopo lunghe sofferenze il 30 ottobre 1947
Minardi Luciana 16 anni di Imola. Assegnata al battaglione "Colleoni" della Divisione "San Marco"m attestati sul Senio, come addetta al telefono da campo e al cifrario, riceve l'ordine di indossare vestiti borghesi e di mettersi in salvo, tornando dai genitori. Fermata dagli inglesi, si disfa, non vista, del gagliardetto gettandolo nel Po. La rilasciano dopo un breve interrogatorio. Raggiunge così i genitori, sfollati a Cologna Veneta (VR). A meta' maggio, arriva un gruppo di partigiani comunisti. Informati, non si sa da chi, che quella ragazzina era stata una ausiliaria della RSI, la prelevano, la portano sull'argine del torrente Gua' e, dopo una serie di violenze sessuali, la massacrano. "Adesso chiama la mamma, porca fascista!" le grida un partigiano mentre la uccide con una raffica.
Monteverde Licia Assassinata a Torino il 6 maggio 1945

Morara Marta Assassinata a Bologna il 25 maggio 1945

Morichetti Anna Paola Assassinata a Milano il 27 aprile 1945
Olivieri Luciana Assassinata a Cuneo il 9 maggio 1945
Ramella Maria Assassinata a Cuneo il 5 maggio 1945
Ravioli Ernesta 19 anni, assassinata a Torino in data imprecisata dopo il 25 aprile 1945
Recalcati Giuseppina, Rcalcati Mariuccia, Recalcati Rina Assassinata a Milano il 27 aprile 1945 assieme alle figlie Mariuccia e Rina, anch'esse ausiliarie
Rigo Felicita Assassinata a Riva di Vercelli il 4 maggio 1945
Sesso Triestina Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza
Silvestri Ida Assassinata a Torino l'1 maggio 1945, poi gettata nel Po
Speranzon Armida Massacrata, assieme a centinaia di fascisti nella Cartiera Burgo di Mignagola dai partigiani di "Falco". I resti delle vittime furono gettati nel fiume Sile.
Tam Angela Maria Terziaria francescana, assassinata il 6 maggio 1945 a Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver subito violenza carnale.
Tescari -Ladini Letizia Gettata viva nella foiba di Tonezza, presso Vicenza
Ugazio Cornelia, Ugazio Mirella Assassinata a Galliate (Novara) il 28 aprile 1945 assieme al padre e alla sorella Mirella, anch'essa ausiliaria
Tra le vittime del massacro compiuto dai partigiani comunisti nelle carceri di Schio (54 assassinati nella notte tra il 6 ed il 7 luglio 1945) c'erano anche 19 donne, tra cui le 3 ausiliarie (Irma Baldi, Chiettini e Blandina Lavise) richiamate nell'elenco precedente.
In via Giason del Maino, a Milano, tre franche tiratrici furono catturate e uccise il 26 aprile 1945. Sui tre cadaveri fu messo un cartello con la scritta "AUSIGLIARIE". I corpi furono poi sepolti in una fossa comune a Musocco. Impossibile sapere se si trattasse veramente di tre ausiliarie.
Nell'archivio dell'obitorio di Torino, il giornalista e storico Giorgio Pisanò ha ritrovato i verbali d'autopsia di sei ausiliarie sepolte come "sconosciute", ma indossanti la divisa del SAF.
Cinque ausiliarie non identificate furono assassinate a Nichelino (TO) il 30 aprile 1945 assieme a Lidia Fragiacomo e Laura Giolo
Al cimitero di Musocco (Milano) sono sepolte 13 ausiliarie sconosciute nella fossa comune al Campo X.
Un numero imprecisato di ausiliarie della "Decima Mas" in servizio presso i Comandi di Pola, Fiume e Zara, riuscite a fuggire verso Trieste prima della caduta dei rispettivi presidii, furono catturate durante la fuga dai comunisti titini e massacrate.
LIANA MALAVENDA TRUCIDATA A PADOVA IL 30/04/1945



Il Generale di Brigata Piera Gatteschi Fondelli è l’unico generale di brigata donna che le forze armate abbiano avuto in Italia. Piera Gatteschi Fondelli è rimasta nella memoria di chi le è stata vicina soprattutto per il suo fascino, la sua eleganza, il suo coraggio e il suo entusiasmo. Piera nasce a Pioppi in Toscana all’inizio del Novecento, in una di quelle belle famiglie allargate di una volta. Suo padre muore prima della sua nascita; tuttavia la bambina ha un ottimo rapporto con la mamma con la quale si trasferisce a Roma alla vigilia della grande guerra. Le vicende del dopoguerra la coinvolgono a tal punto che, fin dal 1921, si iscrive al Fascio di combattimento di Roma; il 19 ottobre 1922 prende parte al congresso che si svolge a Napoli e il 28 ottobre la ventenne Piera è a capo di un gruppetto di venti donne che formano la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con loro partecipa alla Marcia su Roma. Le sue doti organizzative la portano a diventare ispettrice della Federazione dell’Urbe, occupandosi dell’Opera nazionale maternità e infanzia, della Croce Rossa, delle colonie estive. Ma sulla politica prevale l’amore: nel 1936 lascia tutto per seguire in Africa l’ingegner Mario Gatteschi che ha sposato e che dirige i lavori della strada Assab-Addis Abeba. Quando, tre anni dopo, rientra in Italia, Mussolini la nomina Fiduciaria dei Fasci femminili dell’Urbe che conta 150.000 iscritte. Nel 1940 diventa ispettrice nazionale del partito.
Caduto il fascismo, Piera si rifugia dai suoceri nel Casentino, mentre il marito, tornato in Africa come combattente, è in Kenia prigioniero dagli inglesi. Ma non è da lei nascondersi e stare in disparte: quando viene informata che Mussolini è stato liberato e ha fondato la Repubblica sociale italiana nel Nord, Piera si trasferisce a Brescia e avvia una nuova collaborazione con Alessandro Pavolini, il segretario del partito. Qui, alla fine del 1943, la Gatteschi manifesta al Duce il desiderio delle donne fasciste di avere un ruolo più incisivo nella difesa del paese. Il progetto è appoggiato da Pavolini e accettato da Graziani. Servono uomini per la guerra e le donne diventano necessarie per assisterli e per sostituirli nei tanti ruoli non di prima linea.





LETTERA ALLA MADRE SPEDITA DA UN’AUSILIARIA CONDANNATA A MORTE DAI PARTIGIANI POCO PRIMA DI ESSERE FUCILATA

24/07/1944
Mamma mia adorata,
Purtroppo è giunta la mia ultima ora. E’ stata decisa la mia fucilazione che sarà eseguita domani, 25 luglio. Sii calma e rassegnata a questa sorte che non è certo quella che avevo sognato. Non mi è neppure concesso di riabbracciarti ancora una volta. Questo è il mio unico, immenso dolore. Il mio pensiero sarà fino all’ultimo rivolto a te e a Mirko. Digli che compia sempre il suo dovere di soldato e che si ricordi sempre di me. Io il mio dovere non ho potuto compierlo ed ho fatto soltanto sciocchezze, ma muoio per la nostra Causa e questo mi consola.
E’ terribile pensare che domani non sarò più; ancora non mi riesce di capacitarmi. Non chiedo di essere vendicata, non ne vale la pena, ma vorrei che la mia morte servisse di esempio a tutti quelli che si fanno chiamare fascisti e che la nostra Causa non sanno che sacrificare parole.
Mi auguro che papà possa ritornare presso di te e che anche Mirko non ti venga a mancare. Vorrei dirti ancora tante cose, ma tu puoi ben immaginare il mio stato d’animo e come mi riesca difficile riunire i pensieri e le idee. Ricordami a tutti quanti mi sono stati vicini. Scrivi anche ad Adolfo, che mi attendeva proprio oggi da lui. La mia roba ti verrà recapitata ad Aosta. Io sarò sepolta qui, perché neppure il mio corpo vogliono restituire. Mamma, mia piccola Mucci adorata, non ti vedrò più, mai più e neppure il conforto di una tua ultima parola, né della tua immagine. Ho presso di me una piccola fotografia di Mirko: essa mi darà il coraggio di affrontare il passo estremo, la terrò con me. Addio mamma mia, cara povera Mucci; addio Mirko mio. Fa sempre innanzitutto il tuo dovere di soldato e di italiano. Vivete felici quando la felicità sarà riconcessa agli uomini e non crucciatevi tanto per me; io non ho sofferto in questa prigionia e domani sarà tutto finito per sempre.
Della mia roba lascio a te, Mucci, arbitra di decidere. Vorrei che la mia piccola fede la portassi sempre tu per mio ricordo. Addio per sempre, Mucci!
FRANCA


Venezia, Campo san Luca, 1944. 
Volontarie fasciste rispondono alla chiamata del S. A.F.

Lido di Venezia - Maggio 1944 
Ausiliarie del 1° Corso "ITALIA" La prima a sinistra è Margherita Audisio 
 anni 19 fucilata a Nichelino (TO) il 5 Maggio 1945
La storia di Pasca, la ragazza della Decima Mas
 ( di Barbara Spadini)
Pasca Piredda, nuorese, proviene da una famiglia molto conosciuta. La madre è cugina di Grazia Deledda mentre  lo  zio Franceschino Pintore, medico dei poveri, diverrà uno dei primi sindaci democratici di Nuoro. Franceschino è comunista, la famiglia Piredda è antifascista e frequenta noti  antifascisti come  Emilio Lussu e Mario Berlinguer; Pasca, invece, già da ragazzina  è una fascista entusiasta. Verso la seconda metà degli anni Trenta, mentre frequenta l’istituto magistrale, svolge un tema sulla  mistica fascista che attira l’attenzione di Fernando Mezzasoma, ministro della cultura popolare. Il gerarca fascista la vuole a Roma, dove Pasca frequenta un collegio del partito che forma assistenti sociali esperte di problemi femminili. Pasca, nonostante il paese sia in guerra, per le campagne romane svolge un importante servizio in favore delle “massaie rurali”, insegnando loro i rudimenti dell’igiene. Nel mentre si laurea, alla “Sapienza”, in Scienze politiche e poi in Scienze coloniali, come consigliatole dal ministro  Mezzasoma, per il quale continua a svolgere  lavori di segreteria, scrive discorsi e lettere, corregge bozze.  La stima di Mezzasoma per Pasca è così radicata che quando, dopo l’otto settembre del 1943, Mussolini organizza la Repubblica Sociale italiana e richiama Mezzasoma al ministero della cultura popolare, questi la invita a seguirlo al Nord: Pasca accetta di buon grado l’incarico di segretaria di Mezzasoma. Un giorno si presentano da Mezzasoma tre ufficiali della Decima Mas per proporre la diffusione di  un comunicato radio, da far trasmettere dall’Eiar, per invitare i giovani ad arruolarsi nell’esercito repubblicano: i tre ufficiali “giovanissimi, bellissimi nelle loro divise, ardenti di amore patrio”, invitano a cena la bella Pasca, che risplende di mediterraneità: questa bellezza sarda poco più che ventenne, minuta, dai capelli corvini, dal sorriso dolce e leale viene da loro “rapita”  e  portata a La Spezia, dove la Decima ha il comando. Appena arrivati inviano un laconico comunicato via telegrafo  al ministro  Mezzasoma: “Abbiamo arruolato nella Decima Flottiglia Mas Pasca Piredda con l’incarico di capoufficio stampa e propaganda”. Pasca è  la prima donna che entra nella Decima, rimanendo al comando di Borghese fino alla caduta della R.S.I. Borghese le assegna il grado di sottotenente di vascello e il relativo stipendio (mille lire, una miseria, otto volte inferiore a quanto guadagnava al ministero). Ai primi del 1944 Pasca passa a Milano, dove dirige il giornale della Decima, “La Cambusa”, stampato sotto i bombardamenti alleati in mezzo a mille peripezie e sempre guardato a vista tanto dai servizi fascisti quanto dagli alleati tedeschi.   Il 25 aprile, il nome di  Pasca figura in un elenco di nominativi di ufficiali della Decima consegnato, per vie traverse quanto oscure,  ai partigiani e subito individuata e scoperta, viene condotta a San Vittore. A mezzanotte è condannata a morte da un tribunale di guerra, all’alba viene fatta scendere in cortile con altri undici, forse dodici compagni di sorte: ”Tutti giovani, non so se fossero o no della Decima” e messa al muro: prima che il plotone d’esecuzione aprisse il fuoco, compare d’improvviso il partigiano «Neri», commissario politico della 52ª Divisione garibaldina, che la porta via: i servizi segreti inglesi e americani se la contendono per sapere da lei dove si è rifugiato Borghese. Dopo un altro mese passato in cella a San Vittore, Pasca è processata e assolta per insufficienza di prove: tuttavia  non viene liberata, ma deve subire una serie di trasferimenti da un campo di concentramento all’altro finché- mentre viaggia verso Taranto guardata a vista da due carabinieri- improvvisamente viene fatta scendere alla stazione di Civitavecchia. Qui l’aspetta lo zio Franceschino. Le fa poche feste, ma la riporta a casa. Nuoro non l’accoglie a braccia aperte: le strade della città sono tappezzate di manifesti che dicono: “Tornano gli assassini”. Su consiglio del prefetto il padre la manderà a “villeggiare” sull’Ortobene: quando finalmente potrà tornare a Roma sarà di nuovo a fianco di Borghese nel lungo processo che il Comandante subirà fra il 1945 e il 1949. La storia di Pasca è ben raccontata in un libro-intervista, «La ragazza della “Decima”», con  prefazione di Luciano Garibaldi.

L’autrice non ha potuto vedere il libro a lei dedicato: è morta a Roma all’inizio del 2009.







“La tosatura pubblica delle donne ritenute vicine alla Repubblica Sociale, o collaborazioniste dei tedeschi, fu una violenza di massa che in Italia è ancora avvolta nel buio. Vennero punite, con una crudeltà che aveva gradi diversi. In molti casi, ebbero la testa coperta di catrame , o di vernice nera, e spesso con un fascio dipinto sulla fronte, in modo rozzo. Tante vennero denudate e costrette a passare tra due ali di gente che le insultava. Le più giovani furono stuprate. La “camminata all’aria aperta”, così veniva chiamata dai vincitori, doveva garantire alla folla che la colpevole fosse stata trattata come meritava. Spesso la passeggiata diventava la parte più violenta della cerimonia. Per le strade centrali di un paese o ci una città, prendeva vita un sabba volgare, dove la strega da far soffrire era soltanto una donna accusata di essere stata dalla parte dei vinti. La strega veniva sputacchiata, insultata, malmenata, presa a calci, pungolata ad avanzare, senza tentare di coprirsi se era stata spogliata di tutti gli indumenti. Poteva anche essere incatenata. In quel caso, i ferri erano quelli usati per le bestie. Lo scopo era dimostrare che la vittima esposta al pubblico ludibrio non era più un essere umano ,bensì un animale. L’Italia moderna non aveva mai conosciuto una ferocia simile”
(Giampaolo Pansa,
“La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti”, Milano 2012)




FRANCA BARBIER AUSILIARIA. 
SERVIZI SEGRETI DELLA RSI. MEDAGLIA D’ORO. 

24-7-44- XXII
Mamma mia adorata,
purtroppo è giunta la mia ultima ora. E’ stata decisa la mia fucilazione che sarà eseguita domani, 25 luglio. Sii calma e rassegnata a questa sorte che non è certo quella che avevo sognato. Non mi è neppure concesso di riabbracciarti ancora una volta. Questo è il mio unico, immenso dolore. Il mio pensiero sarà fino all’ultimo rivolto a te e a Mirko. Digli che compia sempre il suo dovere di soldato e che si ricordi sempre di me. Io il mio dovere non ho potuto compierlo ed ho fatto soltanto sciocchezze, ma muoio per la nostra Causa e questo mi consola.
E’ terribile pensare che domani non sarò più; ancora non mi riesce di capacitarmi. Non chiedo di essere vendicata, non ne vale la pena, ma vorrei che la mia morte servisse di esempio a tutti quelli che si fanno chiamare fascisti e che per la nostra Causa non sanno che sacrificare parole.
Mi auguro che papà possa ritornare presso di te e che anche Mirko non ti venga a mancare. Vorrei dirti ancora tante cose, ma tu puoi ben immaginare il mio stato d’animo e come mi riesca difficile riunire i pensieri e le idee. Ricordami a tutti quanti mi sono stati vicini. Scrivi anche ad Adolfo, che mi attendeva proprio oggi da lui. La mia roba ti verrà recapitata ad Aosta. Io sarò sepolta qui, perché neppure il mio corpo vogliono restituire. Mamma, mia piccola Mucci adorata, non ti vedrò più, mai più e neppure il conforto di una tua ultima parola, né della tua immagine. Ho presso di me una piccola fotografia di Mirko: essa mi darà il coraggio di affrontare il passo estremo, la terrò con me.
Addio mamma mia, cara povera Mucci; addio Mirko mio. Fa sempre innanzitutto il tuo dovere di soldato e di italiano. Vivete felici quando la felicità sarà riconcessa agli uomini e non crucciatevi tanto per me; io non ho sofferto in questa prigionia e domani tutto sarà finito per sempre.
Della mia roba lascio te, Mucci, arbitra di decidere. Vorrei che la mia piccola fede la portassi sempre tu per mio ricordo. Salutami Vittorio. A lui mi rivolgo perché in certo qual modo mi sostituisca presso di te e ti assista in questo momento tragico per noi Addio per sempre, Mucci! Franca



MARIELLA GRILL

nata a Torino il 26 settembre 1928. Le condiscepole ricordano ancora che, fin dai banchi della scuola elementare, la piccola Mariella commentando i fatti della storia, più di una volta ebbe a dire: “io vorrei essere martire fascista” . A chi gli chiedeva il perché, rispondeva :” perchè morire per l’ ideale è molto bello”. La data per lei decisiva è la caduta di Roma nel giugno ’44. Ha solo sedici anni ma ottiene ugualmente di vestire la divisa di Ausiliaria, di cui sarà poi sempre orgogliosa. In divisa va quell’ anno a sostenere gli esami presso il liceo Massimo D’ Azzeglio. Quale Ausiliaria viene assegnata all’ Ufficio Assistenza Ricerca Dispersi dove assolve un compito delicato. Vengono le giornale dell’ aprile ’45. Il giorno 26, prima di deporre la sua divisa, stacca la piccola fiamma dal berretto e la cuce sul taschino della camicetta dicendo alla mamma, che è angosciata: “ho messo proprio sul cuore” e la bacia. Il giorno 28 quattro partigiani la prelevano da casa. Poiché Mariella ha un contegno fiero e vuole mettere la sua divisa, le dicono : “Vuoi mettere la tua divisa ai dove vai? Vai alla fucilazione”. Risponde con ostentata meraviglia: “davvero?”. Viene trattenuta cinque giorni alla caserma Valdocco, nella notte dal 2 e 3 maggio affronta la morte con un colpo alla nuca. La mamma ricorda una confidenza che la figlia le  fece nel giugno ’44, appena tornata dalla cerimonia del giuramento prestato quale Ausiliaria. Alla ceremonia era presente il teologo Don Edmondo De Amicis, l’ eroico cappellano che cadrà pure a Torino qualche giorno prima di lei. Il sacerdote tra l’ altro aveva spiegato che il giuramento poteva comportare il sacrificio della vita. La giovane confidava alla mamma: “ho avuto un grande brivido nel cuore, ma ho gridato Si”.
Sotto una sua fotografia il giorno prima del martirio ha scritto : ” Resistere fino al sacrificio supremo. Per l’ Italia! Marilena” 
ANGELA MARIA TAM
E' “la francescana d’ Italia”. Nella patria di San Francesco dove non esiste la pena di morte (tuttavia nel ’45, con e senza processo, sono avvenute tante esecuzioni capitali, quante forse in nessuna nazione) non si conosce immolazione più francescana di quella della terziaria di Sondrio.  Angela Maria Tam che dopo una vita spesa nobilmente nella scuola, è condannata morte solo perché si e schierata a favore della R.S.I., viene gettata in carcere a Buglio in Monte e sottoposta a sevizie. Per tutta risposta intona un canto  religioso così da stupire i carnefici e consegna al sacerdote che l’ assiste nella morte questo suo congedo: E’ uccisa il 6 maggio del ’45:
Muoio  perdonando a tutti e chiedo perdono se ho offeso e disgustato qualcuno.
Sono lieta di raggiungere in cielo i nostri Eroi. Sarà così bello in cielo! Ho cantato durante tutto il viaggio da Sondrio a Buglio in Monte le canzoni della Vergine.
Ho passato in prigione ore di raccoglimento  e di  vicinanza a Dio.
Viva l’ Italia! Gesù la benedica e la riconduca all’ amore  e all’ unità per il nostro sacrificio.
E così sia.
in:”LETTERE DEI CADUTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA” L’Ultima Crociata Editrice. 1990. Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI



TRE DONNE ACCUSATE DI COLLABORAZIONISMO RAPATE A ZERO




"BERGAMO REPUBBLICANA DEL 25 APRILE 1945
ARTICOLO : "FEDE ED ENTUSIASMO DELLE AUSILIARIE BERGAMASCHE"

"BERGAMO REPUBBLICANA DEL 10/11 NOVEMBRE 1944












ARTICOLI SULLE AUSILIARIE BERGAMASCHE

PIERINO  SASSO, nome di battaglia "Pierin d'la Fisa (1923-1980)
Spietato comandante partigiano. Dolo la liberazione uccise giovanissime Ausiliarie, come Marilena Grill, poco più che adolescente e Agnese Cravero di 15 anni (3 Maggio 1945)

(Giampaolo Stella -"I grandi killer della liberazione")