domenica 29 ottobre 2017

IL CONTO DELLA STORIA


Corsi e ricorsi

Il conto della Storia

La storia avrà i suoi tempi ma prima o poi presenta il conto e a pagarlo non sono certo i potenti, ma il popolino che paga le nefandezze di coloro ai quali ha affidato il potere e paga anche, nella fattispecie del popolo italiano, la propria ignavia, la propensione alla tranquillità e al menefreghismo, il ritorno, dopo l'8 settembre e la vergogna di Piazzale Loreto, al “franza o spagna purchè se magna”, in una parola da popolo libero a popolo di servi!
Ora ci ritroviamo a subire un'invasione biblica che rischia di cancellare la nostra già fragile identità di popolo sconfitto e soggiogato dai vincitori del secondo conflitto mondiale, perché questa è la conseguenza della spartizione dell'Europa che avvenne nel febbraio 1945 a Jalta, tra Russi, Americani e Inglesi, che regalò mezza Europa alla comunista Urss, mentre Germania e Italia divennero “colonie” angloamericane.

Adesso la Storia ci presenta il conto e il popolo bue non muoverà un dito, COSA CHE NON SAREBBE MAI POTUTA ACCADERE CON LA GENERAZIONE CHE SEPPUR SCONFITTA ERA CRESCIUTA COL FASCISMO, perché oramai al popolo basta avere per il momento la pancia piena.

Tutti mugugnano per il fatto di avere una Presidente della Camera che antepone agli interessi degli Italiani quelli degli stranieri e tutela solo gli interessi degli immigrati, che è infastidita da monumenti, scritte o altri segni che riguardano o possono ricordare quel Fascismo che è stata l'unica ideologia nella Storia dalla parte degli Italiani mentre loro, i cattocomunisti, non hanno fatto altro che distruggere l'identità italiana, in modo da completare ciò che è sempre stato il sogno, quello di un'Italia asservita o al Vaticano oppure all'internazionalismo socialcomunista.

Per questo hanno voluto il sistema elettorale maggioritario che ha dato vita ad un bipolarismo fasullo, quello dell'alternanza tra coalizioni di eguali che ci ha messo per ben vent'anni nelle mani di un certo Silvio Berlusconi ed ora in quelle del terzetto Boldrini, Renzi e Bergoglio (il Buon Pastore che però non ha mai speso una parola per le “pecorelle” italiane vittime dell'immigrazione selvaggia!), che finora hanno gestito il fenomeno migranti in maniera tanto disastrosa quanto fraudolenta al punto da far rimpiangere agli Italiani immemori i vent'anni di leggi “porcata” o “ad personam” di berlusconiana memoria.

Gli immigrati sono una risorsa dice il terzetto, certo lo sono se limitati, regolati e controllati, altrimenti sono una risorsa solo per le tasche dello Ior (la Banca del Vaticano) e per le cooperative rosse o bianche collegate ai Partiti, per il racket della prostituzione, per la manovalanza di mafia e n'drangheta, per lo spaccio di droga, per i caporalati del Sud e per il lavoro nero, ma non certo per gli Italiani che vivono onestamente e pagano le tasse.

In tanti ci sdegniamo per le uscite della Boldrini e per le intromissioni della Chiesa, ad esempio sul delicato problema dello “ius soli”, ma non riempiamo le piazze per manifestare contro questi atti o per chiedere che, come in altri Paesi, lo “ius soli” sia almeno severamente regolamentato, le riempiamo solo per i concerti o per le sagre paesane, pensiamo di cambiare le cose facendo gli eroi da tastiera o mettendo una scheda in un'urna, non avendo imparato che questa è una democrazia solo di facciata e con le elezioni non si cambia nulla, perché, dopo le solite promesse, i Partiti torneranno a legiferare più a favore dei propri interessi che di quelli degli Italiani, è sempre stato così dal 1947 ad oggi.

Forse solo in un'Unione Europea forte e coesa le cose potrebbero cambiare e questo spiega perché gli euroscettici ed i no-euro trovano tanto sostegno sui media e sulle reti televisive delle lobby contrarie ad ogni cambiamento e al nostro riscatto.

L'unica possibilità per gli Italiani, per riprendersi la loro Patria e tornare ad essere un popolo libero, sarebbe la rivolta, ma la rivolta per …...imbarcare per l'Africa tutta questa Casta corrotta con i suoi annessi e connessi.

Possiamo aspettarci questo da un popolo che, quando si poteva ancora cambiare rotta dopo la contestazione, le stragi “impunite” e gli anni di piombo, scelse di nuovo conformisticamente la DC di Andreotti e il PC di Berlinguer invece del MSI di Giorgio Almirante?


O rivolta o finis italiae. Tertium non datur !

Uno nessuno e centomila


mercoledì 25 ottobre 2017

IL FASCISMO

 

Il Fascismo

Il Fascismo è un movimento di realtà, di verità, di vita che aderisce alla vita. E’ pragmatista. Non ha apriorismi. Né finalità remote. Non promette i soliti paradisi dell’ideale. Lascia queste ciarlatanate alle tribù della tessera. Non presume di vivere sempre e molto. Vivrà sino a quando non avrà compiuto l’opera che si è prefissa. Raggiunta la soluzione nel nostro senso dei fondamentali problemi che oggi travagliano la nazione italiana, il Fascismo non si ostinerà a vincere, come un’anacronistica superfetazione di professionisti di una data politica, ma saprà brillantemente morire senza smorfie solenni.
[Il fascismo (Il Popolo d’Italia – 3 luglio 1919)]
Il Fascismo è anti-accademico. Non è politicante. Non ha statuti, né regolamenti. Ha adottato una tessera per la necessità del riconoscimento personale, ma potendo ne avrebbe volentieri fatto a meno. Non è un vivaio per le ambizioni elettorali. Non ammette e non tollera i lunghi discorsi. Va al concreto delle questioni.
[Ibidem]
E’ un po’ difficile definire i fascisti. Essi non sono repubblicani, socialisti, democratici, conservatori, nazionalisti. Essi rappresentano una sintesi di tutte le negazioni e di tutte le affermazioni. Nei fasci si danno convegno spontaneamente tutti coloro che soffrono il disagio delle vecchie categorie, delle vecchie mentalità. Il fascismo mentre rinnega tutti i partiti, li completa. Nel fascismo che non ha statuti, che non ha programmi trascendenti, c’è quel di più di libertà e di autonomia che manca nelle organizzazioni rigidamente inquadrate e tesserate.
[La prima adunata fascista (Il Popolo d’Italia – 6 ottobre 1919)]
Il fascismo è una mentalità speciale di inquietudini, di insofferenze, di audacie, di misoneismi, anche avventurosi, che guarda poco al passato e si serve del presente come di una pedana di slancio verso l’avvenire. I melanconici, i maniaci, i bigotti di tutte le chiese, i mistici arrabbiati degli ideali, i politicanti astuti, gli apostoli che fanno i dispensieri della felicità umana, tutti costoro non possono comprendere quel rifugio di tutti gli eretici, quella chiesa di tutte le eresie che è il fascismo. E’ naturale, quindi, che al fascismo convergano i giovani che non hanno ancora un’esperienza politica e i vecchi che ne hanno troppa e sentono il bisogno di rituffarsi in un’atmosfera di freschezza e di disinteresse.
[Verso l’azione (Il Popolo d’Italia -13 ottobre 1919)]
Si nasce fascisti, ma è assai difficile diventarlo.
[Dal discorso all’assemblea del Fascio milanese di combattimento (Milano, sede dell’Alleanza industriale e commerciale in Piazza San Sepolcro: 5 febbraio 1920)]
Tutte le altre associazioni, tutti gli altri partiti, ragionano in base a dei dogmi, in base a dei preconcetti assoluti, a degli ideali infallibili, ragionano sotto la specie della eternità per partito preso. Noi, essendo un antipartito, non abbiamo – si passi il pasticcio – partito preso.
Per essere fascisti occorre essere completamente spregiudicati; occorre sapersi muovere, elasticamente, nella realtà adattandosi alla realtà e adattando la realtà ai nostri sforzi; occorre sentirsi nel sangue l’aristocrazia delle minoranze, che non cercano popolarità, leggera prima, pesantissima poi; che vanno controcorrente; che non hanno paura dei nomi e dispregiano i luoghi comuni.
[In tema di politica estera (Il Popolo d’Italia – 3 luglio 1920)]
Il fascismo ha soltanto una storia; non ha ancora una dottrina, ma l’avrà, quando avrà avuto il tempo di elaborare e coordinare le sue idee.
[La marcia del fascismo (Il Popolo d’Italia – 6 novembre 1920)]
Il fascismo non si abbatte, perché è nel solco della storia, perché rappresenta e difende valori morali altissimi – non interessi di borghesi – senza dei quali la società nazionale si dissolve e precipita nel caos. Il fascismo italiano è una tipica creazione del popolo italiano, il quale è stufo di metafisiche oltremontane, ora russe, ora tedesche, e vuole trovare in sé la dottrina e la praxis del suo progresso verso forme migliori di vita e di civiltà.
[Gridi di dolore! (Il Popolo d’Italia – 20 ottobre 1920)]
Io non sono, non voglio essere, non sarò mai un padre eterno; il fascismo non è, non vuole essere, non sarà mai una ridicola, grottesca e sinistra congrega come sono i vecchi partiti e i frammenti dei vecchi partiti; il fascismo è tale in quanto permette una pragmatica latitudine di atteggiamenti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente.
[Il Popolo d’Italia – 29 ottobre 1920]
Il fascismo rappresenta lo sbocciare della nuova coscienza nazionale maturata colla vittoria. Lo si può perseguitare, ma non lo si può estirpare! E’ una terribile gramigna ed ha una indegna non meno terribile: E’ pronto ad uccidere, è pronto a morire!
[Manovra vile (Il Popolo d’Italia – 19 dicembre 1920)]
Fascismo significa che a mutate condizioni di fatto, nuovi atteggiamenti si impongono: se non è più necessario il piombo e il petrolio, bisogna avere il coraggio di riconoscerlo e di agire in conseguenza.
[La pace e il resto (Il Popolo d’Italia – 6 luglio 1921)]
Qui, alla Camera dei Deputati, e fuori di qui, io ho sempre accettato la responsabilità di tutte le mie azioni, di tutto quello che ho fatto e che qualce volta i miei compagni hanno fatto. Io non rinnego niente, accetto il fascismo in blocco, così come i rivoluzionari accettano la rivoluzione in blocco. E se da qualche tempo noi porgiamo il ramoscello d’olivo, non lo facciamo già perchè ci siano degli elementi di retroscena politici e parlamentari che ci spingano a questo, perchè noi siamo alieni a queste manovre e il Parlamento ci interessa mediocremente e nel Parlamento ci sentiamo discretamente a disagio, ma lo facciamo per ragioni superiori di nazione e di umanità.
[Dopo i fatti di Sarzana (Camera dei deputati: 22 luglio 1921)]
Se il fascismo è mio figlio – com’è stato fin qui universalmente riconosciuto in migliaia di manifestazioni, che devo, fino a prova contraria, ritenere sincere – io, con le verghe della mia fede, del mio coraggio, della mia passione o lo correggerò o gli renderò impossibile la vita.
[Fatto compiuto (Il Popolo d’Italia – 3 agosto 1921)]
Io comprendo, e compiango un poco, quei fascisti delle molte Peretole italiane, i quali non sanno astrarre dai loro ambienti; vi si inchiodano e non vedono altro, e non credono alla esistenza di un più vasto e complesso e formidabile mondo. Sono i riflessi del campanilismo, riflessi che sono estranei a noi, che vogliamo sprovincializzare l’Italia.
Comincia un nuovo periodo nella storia del fascismo italiano e non sarà meno aspro e difficile del precedente: è il periodo della rielaborazione spirituale e delle applicazioni pratiche. Bisogna smentire i nostri nemici, i quali ci hanno detto a sazietà “Voi sapete distruggere, ma non sapete costruire! Siete ottimi sul terreno della negazione, ma, portati sul terreno positivo, vi rivelate nella vostra impotenza”.
Il fascismo può fare a meno di me? certo, ma anch’io posso fare a meno del fascismo. C’è posto per tutti in Italia: anche per trenta fascisti, il che significa, poi, per nessun fascismo. Io parlo chiaro, come l’uomo che avendo molto dato, non chiede assolutamente nulla, salvo a ricominciare…
[La culla e il resto (Il Popolo d’Italia – 7 agosto 1921)]
Siamo in troppi nel fascismo, ormai, e quando la famiglia aumenta la secessione è quasi fatale.
Il fascismo che non è più liberazione, ma tirannia; non più salvaguardia della nazione, ma difesa di interessi privati e delle caste più opache, sorde, miserabili che esistano in Italia; il fascismo che assume questa fisionomia, sarà ancora fascismo, ma non è quello per cui negli anni tristi affrontammo in pochi le collere e il piombo delle masse, non è più il fascismo quale fu concepito da me, in uno dei momenti più oscuri della recente storia italiana.
Io non ho bisogno di ribattere l’accusa sciocca di volere essere una specie di padrone del fascismo italiano. Io sono “duce” per modo di dire. Ho lasciato correre questa parola, perché se non piaceva a me, che detesto le parole e le arie solenni, piaceva agli altri. Ma io sono un duce ligio al più scrupoloso pedantesco costituzionalismo. Non ho mai imposto nulla a chicchessia. Ho accettato di discutere con tutti, anche con coloro che trattano la politica con una faciloneria sconcertante; anche con coloro che sono infettati da tutti i morbi maligni in diffusione cronica tra i vecchi partiti.
Finirà lo spettacolo del fascista liberale, nazionalista, democratico e magari popolare: ci saranno solo dei fascisti.Questa individuazione è un segno di forza e di vita. E’ una vittoria. Una grande vittoria. Un titolo d’orgoglio. Il fascismo è destinato a rappresentare nella storia della politica italiana una sintesi tra le tesi indistruttibili dell’economia liberale e le nuove forze del mondo operaio. E’ questa sintesi che può avviare l’Italia alla sua fortuna.
[Punti fermi (Il Popolo d’Italia – 4 novembre 1921)]
Ce ne vuole di corda socialista per impiccare la ribelle genia del fascismo italiano! Ce ne vuole d’inchiostro (sia pure quello rosso-sbiadito dell’Avanti!), per annegare il fascismo italiano!
[Riprende fiato… (Il Popolo d’Italia – 17 novembre 1921)]
Prima il fascismo ha voluto affermarsi come forza e capacità di vita (vivere, sapere e potere vivere è già un programma massimo!); poi, sulle basi dei principi fondamentali che ispiravano la sua azione, il fascismo ha costruito a poco a poco l’edificio del suo programma teorico e pratico.
[Programma (Il Popolo d’Italia – 22 dicembre 1921)]
Il programma fascista non è una teoria di dogmi sui quali non è più tollerata discussione alcuna. Il nostro programma è in elaborazione e trasformazione continua; è sottoposto ad un travaglio di revisione incessante, unico mezzo per farne una cosa viva, non un rudere morto.
[Prefazione al programma (Il Popolo d’Italia – 28 dicembre 1921)]
Il fascismo fu concepito come un’aristocrazia; ma se diventa una demagogia che copia pedissequamente i sistemi del Partito socialista, i peggiori e più antinazionali e distruttivi sistemi del P.S.U, può chiedere una tessera ai preti rossi e finirla.
[Aspro richiamo (Il Popolo d’Italia – 30 dicembre 1921)]
La conclusione è che non si può debellare il fascismo né cogli agguati criminali degli uni, né coi patteggiamenti o le partecipazioni ministeriali degli altri. Nessuna forza legale è capace di espellere il fascismo dalla vita italiana. Sperare che passi, come passa un uragano, è puerile. Altrettanto fatuo è credere che sia possibile disintegrarlo dall’interno.
[Al bivio (Il Popolo d’Italia – 30 maggio 1922)]
Noi suoniamo la lira su tutte le corde: da quella della violenza a quella della religione, da quella dell’arte a quella della politica. Siamo politici e siamo guerrieri. Facciamo sindacalismo e facciamo anche delle battaglie nelle piazze e nelle strade. Questo è il fascismo così come fu concepito e come fu attuato.
[Al circolo rionale fascista Sciesa (Milano: 4 ottobre 1922)]
La funzione specificatamente storica del Gran Consiglio fascista in questo momento è nettamente delineata. Il Gran Consiglio fiancheggia e salvaguardia l’azione del Governo e compie, nel seno del Partito e nella vita della Nazione, quell’opera di orientamento politico generale che deve serviredi base consensuale all’opera del Governo stesso.
[Dichiarazioni durante la riunione del Consiglio dei Ministri (Roma: 15 gennaio 1923)]
1 – Io non cerco nessuno.
2 – Io non respingo nessuno.
3 – La mia politica, chiara e netta, Non può essere presa di fronte e meno ancora aggirata alle spalle.
[Lettera al giornalista Sandro Giuliani, redattore capo del Popolo d’Italia (Roma: 6 febbraio 1923)]
Ho orrore dei dogmi. Non potrebbe esservi un dogma nel Partito fascista. Per il bene della Patria vi sono solo necessità che possono essere assolte oggi, ma che possono essere relative domani.
[Dichiarazioni all’inviato dell’Excelsior (Roma: 22 aprile 1923)]
Il tentativo di separare Mussolini dal fascismo o il fascismo da Mussolini è il tentativo più inutile, più grottesco, più ridicolo che possa essere pensato.
Io non sono così orgoglioso da dire che colui che vi parla ed il fascismo costituiscono una sola identità, ma quattro anni di storia hanno dimostrato assai luminosamente che Mussolini ed il fascismo sono due aspetti della stessa natura, sono due corpi ed un’anima, o due anime ed un corpo solo.
[Al congresso fascista femminile delle tre Venezie (Padova: 1° giugno 1923)]
Io non posso abbandonare il fascismo perché l’ho creato, l’ho allevato, l’ho fortificato, l’ho castigato e lo tengo ancora nel mio pugno: sempre! quindi è perfettamente inutile che le vecchie civette della politica italiana mi facciano la loro corte gaglioffa. Sono troppo intelligente perché possa cadere in questo agguato di mediocri mercanti, di fiere da villaggio.
Il fascismo è un fenomeno religioso di vaste proporzioni storiche ed è il prodotto di una razza. Nulla si può contro il fascismo. Nemmeno gli stessi fascisti potrebbero nulla contro questo movimento gigantesco che si impone.
[Rispondendo a un indirizzo di omaggio del Sindaco di Cremona (18 giugno1923)]
In astratto, il fascismo è vecchio come è vecchio il senso dell’uomo per la bellezza dei grandi ideali; in concreto, esso è una cosa che si esprime nella vita della gioventù italiana, una cosa fatta di energia ed ardimento e una cosa inflessibile affidata allo spirito di sacrifizio.
[Dall’intervista concessa al redattore capo del Chicago Daily News (Roma: 24 maggio 1924)]
Il fascismo è emozione, teoria, pratica; è sentimenti, idee e azioni; è qualche cosa di sentito, qualche cosa di pensato e qualche cosa di fatto; è ispirazione spirituale, sostanza di dottrina e sistema di politica di Stato. Esso è moralmente risoluto e intellettualmente preciso. Le sue ultime sorgenti vanno ricercate nella storia e nella coscienza italiana.
Il fascismo sarà quello che sarà, ma è l’unica cosa potente, viva, degna di avvenire, che abbia la nazione italiana.
[Al Consiglio nazionale del PNF (Roma: 2 agosto 1924)]
Il fascismo non ha mai avuto tendenze, né le avrà mai. Ognuno di noi ha il suo temperamento, ognuno ha le sue suscettibilità, ognuno ha la sua individuale psicologia, ma c’è un fondo comune sul quale tutto ciò viene livellato. E siccome noi non promettiamo qualche cosa di definito per l’avvenire ma lavoriamo per il presente con tutte le nostre forze, così credo che il Partito Nazionale Fascista non sarà mai tediato, vessato e impoverito dalle interminabili discussioni tendenziali che facevano, una volta, nella piccola Italia d’ieri, il piccolo trastullo della non meno piccola borghesia italiana.
[Al consiglio nazionale del PNF (Roma: 7 agosto 1924)]
Il fascismo nel suo animo è incorruttibile e non disposto a vendere, per un piatto di lenticchie miserabili, i suoi diritti ideali; ma non intende nemmeno chiudersi in una torre d’avorio aristocratica e inaccessibile.
[Ai minatori del Monte Amiata (Badia S. Salvatore: 31 agosto 1924)]
Malgrado gli egoismi individuali, vi sono degli interessi collettivi comuni. Il fascismo insegna a subordinare gli interessi individuali e gli interessi di categoria agli interessi della nazione.
Il “modo” della polemica fascista è condizionato anche dal modo della polemica avversaria. Non si può pretendere che i fascisti non paghino di eguale moneta chi li offende e li diffama, spesso sanguinosamente e ingiustamente.
[Intervista al direttore del Giornale d’Italia (Roma: 2 settembre 1924)]
Il fascismo è un fenomeno di linee imponenti. E’ una creazione originale italiana. Non si può disperdere come il sole disperde al mattino la nebbia nei prati. E’ un fenomeno che interessa tutto il mondo. In tutto il mondo da due anni non si fa che discutere di fascismo. E’ sorta una letteratura in tutte le lingue. Individui partono dal Giappone, dalla Cina, dall’Australia per venirlo a studiare. Evidentemente là si soffre dei mali di cui noi abbiamo sofferto: la crisi dell’autorità.
[All’Associazione costituzionale (Milano: 4 ottobre 1924)]
Non crediate che il fascismo sia vicino al tramonto. Sarebbe un errore colossale. Un Partito che ha parlato così profondamente alla gioventù italiana, che raccoglie cinquanta medaglie d’oro sulle sessantadue viventi, che ha nel suo seno il sessanta per cento dei combattenti, credete che passi come la nebbia estiva alla viva luce del sole? Se lo credete, siete in errore e la storia si incaricherà di dimostrarvelo.
[Al Senato del Regno (5 dicembre 1924)]
Oggi il fascismo è un Partito, è una Milizia, è una corporazione. Non basta: deve diventare un modo di vita. Ci debbono essere gli italiani del fascismo come ci sono, a caratteri inconfondibili, gli italiani della Rinascenza e gli italiani della latinità. Solo creando un modo di vita, cioè un modo di vivere, noi potremo segnare delle pagine nella storia e non soltanto nella cronaca.
[Al quarto Congresso nazionale del PNF (Roma, “Augusteo”: 22 giugno 1925)]
La camicia nera non è la camicia di tutti i giorni e non è nemmeno una uniforme: è una tenuta di combattimento e non può essere indossata se non da coloro che nel petto alberghino un animo puro.
D’ora innanzi per avere una tessera ad honorem del PNF, bisognerà o avere scritto un poema più bello della Divina Commedia, o avere scoperto il sesto continente, oppure aver trovato il mezzo d’annullare il nostro debito cogli anglosassoni.
Il fascismo è fenomeno italiano, squisitamente italiano, intimamente connesso con la nostra storia, la nostra psicologia, le nostre tradizioni e rappresenta il culmine di una lunga e complicata evoluzione politica. Senza una profonda conoscenza di questa evoluzione, senza note in margine a questo grande libro, nessuna giusta analisi è possibile.
[Dall’intervista concessa al corrispondente romano dell’Associated Press (Roma: 3 agosto 1926)]
Quando il fascismo si è impadronito di un’anima non la lascia più.
[Al popolo di Perugia (5 ottobre 1926)]
Le qualità, anzi le virtù immutabili del “vero” fascista devono essere la franchezza, la lealtà, il disinteresse, la probità, il coraggio, la tenacia. Tutti coloro che si appalesano, per poco o per molto, infetti dal vecchio male, devono essere banditi dal nostro Esercito. Essi costituiscono le impedimenta ritardatrici della nostra marcia; sono il loglio che dev’essere sceverato dal grano; è la ganga che deve cadere, onde lasciare libera la nuova aristocrazia per i maggiori compiti del domani.
[Messaggio agli italiani per il quarto anniversario della Marcia su Roma (28 ottobre 1926)]
Nel cantiere del regime fascista c’è un posto, c’è un lavoro e c’è gloria per tutti: per coloro che sono al tramonto della vita e per coloro che sono all’alba, per gli intellettuali e per i lavoratori, per i soldati e per i contadini, per tutti quelli che lavorano con disciplina, con passione, con concordia di intenti e di spiriti diretti a costruire la grande Italia.
[Agli avanguardisti del Lazio, Toscana, Umbria, Marche e Abruzzo (Roma: 28 ottobre 1926)]
Il fascismo è un metodo, non un fine: una autocrazia sulla via della democrazia.
[Dall’intervista concessa all’inviato del Sunday Pictorial di Londra (Roma: 12 novembre 1926)]
E’ semplicemente assurdo lo squadrismo fatto in ritardo. I fascisti devono essere tempisti. Io non posso soffrire fisicamente coloro che sono ammalati di nostalgia, che ad ogni minuto traggono dai loro petti sospiri e respiri profondi: “come erano belli quei tempi!”. Tutto ciò è semplicemente idiota. La vita passa, e continuamente si ha di fronte la realtà vivente.
[Alla Camera dei Deputati (26 maggio 1927)]
Per essere all’altezza della propria missione, il fascista deve essere libero nel modo più assoluto da qualsiasi vincolo o rapporto di interdipendenza che potrebbe limitare la propria azione di regolatore e di controllo. Deve soprattutto essere disinteressato, per dimostrare in ogni momento che tutto ciò che riguarda la sua attività privata è completamente estraneo alla sua funzione politica.
[Direttive ai Federali del PNF (Carpena: 3 aprile 1929)]
I rapporti fra gerarchi piccoli e grandi debbono essere improntati alla più aperta e nobile schiettezza. I sotterfugi, le conventicole, le piccole congiure, la calunnia, la critica subdola, le miserie di ogni genere, ripugnano alla concezione morale del fascismo.
Il fascismo è una casa di vetro, nella quale tutti debbono e possono guardare. Guai a chi approfitta della tessera o indossa la camicia nera per concludere affari che altrimenti non gli riuscirebbe di condurre a termine.
[Ai gerarchi milanesi (Roma: 10 luglio 1929)]
Noi fascisti respingiamo qualsiasi concetto statico di felicità materiale o morale. La nostra felicità è nella lotta.
[Felicità (Il Popolo d’Italia: 12 luglio 1933)]
La rivoluzione nel nostro pensiero è una creazione che alterna la grigia fatica della costruzione quotidiana, ai momenti folgoranti del sacrificio e della gloria. Sottoposto a questo travaglio che segue la guerra, è già possibile vedere, e sempre più si vedrà, il cambiamento fisico e morale del popolo italiano. Ecco iniziata la quarta grande epoca storica del popolo italiano, quella che verrà dagli storici futuri chiamata epoca delle camicie nere.
[Alla seconda assemblea quinquennale del regime (Roma, “Teatro dell’Opera”: 18 marzo 1934)]
Noi non siamo gli imbalsamatori di un passato, siamo gli anticipatori di un avvenire.
[Al popolo di Milano (1° novembre 1936)]
Così, come il costume, la dottrina, l’atmosfera del secolo scorso fu democratico-liberale (e noi siamo così obbiettivi da non considerare tutto ciò “stupido”, come vorrebbero i nazionalisti francesi), il costume, la dottrina, l’atmosfera di questo secolo sarà fascista nel senso lato della parola. I due popoli portatori di questo nuovo tipo di civiltà non sono gli ultimi venuti nel campo del pensiero e della creazione spirituale. La stolta accusa che il fascismo sia adatto ai popoli di rango inferiore a paragone di quelli beatificati dalle attuali superstiti democrazie, cade davanti a popoli come l’italiano e il germanico, il cui contributo allo sviluppo civile del genere umano è stato ed è formidabile.
[Europa e fascismo

 (Il Popolo d’Italia: 

                                                                                                                                              

lunedì 23 ottobre 2017

LA CADUTA DI Raqqa SIRIA

La caduta di Raqqa e le implicazioni geopolitiche del conflitto siriano oggi

di Dagoberto Husayn Bellucci
 
La caduta di Raqqa, autoproclamata 'capitale' del sedicente Stato Islamico dopo la debacle militare in Iraq dei tagliagole ISIS, riapre  i giochi geopolitici attorno alla martoriata Siria dopo sei anni e mezzo di combattimenti e scontri pesantissimi tra decine di fazioni in lotta, eserciti e nazioni interessate a raccogliere i dividendi del corpo straziato di una nazione la cui sola colpa è quella di aver rifiutato le avanche's della plutocrazia sionista-statunitense mantenendosi al lato della Repubblica Islamica dell'Iran e della Resistenza libanese.
 
Era il lontano 2008 quando l'allora amministrazione USA a guida Obama premeva verso Damasco per cercare di convincere Assad ed il suo governo a sganciarsi da quello che - da allora - i media di mezzo pianeta chiamarono "l'asse militare sciita" che da Teheran, passando per Baghdad e Damasco, arrivava fino a Beirut.
 
'Mezzaluna sciita', 'asse del male', 'alleanza del terrore': i media embedded hanno utilizzato qualsiasi clichè's per delegittimare i rapporti esistenti fra la laica e nazional-socialista Siria (a guida Ba'ath) e la teocrazia iraniana. E a Washington, dopo il fallimento dell'aggressione israeliana al Libano nell'estate 2006, i toni polemici e le critiche verso Assad aumentarono a partire dal marzo 2011 mentre sottobanco gli americani ed i loro alleati arabi del Golfo armavano i gruppi terroristici della cosiddetta "opposizione democratica" siriana.
 
Opposizione che di 'democratico' non aveva proprio un bel niente e di 'siriano' ancora meno essendo rappresentata dai più feroci terroristi raccattati nella galassia internazionale salafita-wahabita e al-qaedista.
 
Terroristi che dopo la caduta del regime libico e la morte di Gheddafi nel successivo autunno si riversarono da mezzo mondo islamico in Siria con l'obiettivo neanche troppo nascosto di abbattere il governo nazionale di Assad.
 
Inutilmente. Tutte le strategie americane e sioniste nei confronti della Siria sono fallite miseramente, l'intervento di Iran e Hizb'Allah prima e quello russo poi hanno spostato significativamente i 'giochi' bellici dalla parte del Governo di Damasco.
 
Ora con la caduta di Raqqa gli americani,  pel tramite delle formazioni combattenti curde, portano a casa un successo militare dopo mesi di bombardamenti. L'annuncio dell'S.F.D. (Forze Democratiche Siriane), eterogenea alleanza siro-curda, conferma: «A Raqqa l'operazione militare è terminata, adesso portiamo a termine l'operazione di pulizia per porre fine alle ultime cellule dormienti di Daesh» (l'acronimo arabo con il quale viene chiamato il sedicente Califfato Islamista dell'ISIS oramai in rotta su tutti i fronti), ha spiegato all'agenzia di stampa spagnola 'Efe' il portavoce dell'SFD Talal Salu. 
 
Nella città martire si sarebbero trincerati molti dei foreign fighters (i combattenti stranieri dell'ISIS). Quelli che non hanno accettato la resa non avranno ulteriori salvacondotti. Dalle prime stime dell'Osservatorio siriano per i diritti umani (organismo controllato da Londra e Washington che da anni racconta ciò che i suoi padroni d'oltremanica e d'oltre atlantico vogliono sentirsi dire) le vittime della battaglia finale per la liberazione di Raqqa - iniziata nel giugno scorso - si aggirerebbero attorno alle 3200 delle quali almeno 1100 civili. 
 
Difficile dire se queste stime siano vicine alla realtà.

     Da Italia Sociale
                                                                                                                                             

venerdì 20 ottobre 2017

IL SACCHEGGIO DI UNA NAZIONE

Il saccheggio di una Nazione

«Chi sono i banchieri e i finanzieri che hanno depredato le tre miniere d’oro di Verona»

di Luigi Bellazzi
 
Le tre miniere d’oro erano nell’ordine: Cassa di Risparmio, Banco Popolare e Cattolica Assicurazioni.

Li si chiamino per nome e cognome (non genericamente «banchieri» o «finanzieri»): Paolo Biasi, Carlo Fratta Pasini e Paolo Bedoni.

Questi Signori (come si chiama signore un Zonin, un Tanzi) non hanno sbagliato strategie imprenditoriali, non sono vittime della crisi. Questi Signori hanno praticato nelle «miniere d’oro» da loro amministrate, la sistematica illegalità.
 
Paolo Biasi come Presidente del Socio di maggioranza relativa (6,7%) di Unicredit (la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona) operava con uno spaventoso conflitto di interessi.
 
Unicredit finanziava le aziende del Gruppo Biasi da anni e anni praticamente fallite, senza alcun merito creditizio. Ma per gli imprenditori per bene e bisognosi di sostegno finanziario, soldi non ce ne erano mai per via di «Basilea», del «rating», cazzate varie etc. etc.
 
Guarda caso l’allora Amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo guadagnava in un giorno quello che un impiegato di banca guadagnava in 700 giorni (soci silenti). Per poi andarsene (Profumo) da Unicredit distrutta con una liquidazione di 42 milioni di Euri.

C’è di più, Unicredit aveva addirittura creato una raffineria di droga finanziaria (U.B.M.: Unione Banca Mobiliare, come riferiva la trasmissione Report) prima con sede a Milano, poi nascosta a Monaco di Baviera.
 
In questa raffineria di droga si produceva non eroina. Di peggio, si producevano i cosiddetti «derivati»: Ingegneri finanziari, matematici studiavano come realizzare questi contratti criminali che avrebbero portato alla rovina l’economia dell’intera Europa.
 
Tutti in silenzio, a partire da Paolo Biasi. Lo facevano tacere imbottendo di soldi le sue aziende da anni sull’orlo del fallimento. Professori universitari, avvocati, commercialisti. Le migliori professionalità al servizio della peggiore criminalità finanziaria.
 
Carlo Fratta da decenni Presidente del Banco, assemblee truccate con liste civetta (funzionari poi che ammorbidivano i professionisti che controllavano i soci in assemblea), bilanci falsi riconosciuti come tali addirittura dagli ispettori della B.C.E. («perdurante» sottovalutazione delle perdite sui crediti dubbi, «npl»).
 
Gli azionisti compravano le azioni a più di 38 Euri e dopo qualche anno il valore precipitava a 20 centesimi. Finanziamenti al giornale L’Arena di Verona, che quindi titolava: «Sono finiti gli anni delle vacche magre, adesso cominciano quelli delle vacche grasse. Vacche talmente grasse da portare il Banco in pratica al «fallimento».
 
Il Banco popolare di Milano (12 mila dipendenti) si prendeva in corpo il cadavere del Banco popolare di Verona (22 mila dipendenti, 2 miliardi e 200 milioni di perdite), per poter diventare talmente grande così da non poter fallire!
 
Paolo Bedoni Presidente di Cattolica, per anni Vicepresidente della Popolare di Vicenza. I soci della «Vicenza» compravano le azioni a 62 Euri per poi vedersi i valori azzerati. Bedoni quando alla «Vicenza» predisponevano bilanci falsi (con la complicità di professoroni della Bocconi…) era forse su Marte? Perché Bedoni non deve risarcire i danni da lui causati ai soci della «Vicenza» e di «Cattolica»?

E i bilanci falsi di «Cattolica» e le mediazioni per intermediazioni inesistenti nell’acquisto del più grande latifondo del Nord d’Italia? Paolo Bedoni forse si nasconde anche lui a Dubai, assieme ad «Elisabetto» Tulliani?
 
Butto lì uno «schifo», tra i tanti. Fino a qualche anno fa il Presidente della Fondazione Cassa Marca (Treviso), Dino De Poli, percepiva un compenso di mezzo milione di Euri l’anno (oltre benefici).
 
Mezzo milione all’anno di stipendio per fare beneficenza… De Poli aveva poi portato la fondazione Cassa Marca sull’orlo del fallimento. «Fallimento» evitato grazie al dissanguamento di «Cattolica» che acquistava ad un prezzo folle il latifondo più grande d’Italia (Cà Tron), pagandolo ben 68 milioni di Euri.
 
La Società che gestiva il latifondo ci rimetteva un milione di Euri l’anno. De Poli adesso a 87 anni si accontenta di 30 mila Euri al mese di stipendio.
 
La Lega tace e il presidente della regione Veneto Zaia non parla.

    DA ITALIA SOCIALE

                                                                                                                                           

lunedì 16 ottobre 2017

CRIMINI DEI ROSSI "EROI" PARTIGIANI

 
CRIMINALI!
L'arpa birmana RSI
Non avrei parlato di questa storia, che mi è sempre parsa troppo crudele per essere ricordata e che non vede peraltro come vittime personaggi accusati di collaborazionismo o di connivenza col fascismo.
Oggi però in biblioteca da una vecchia cartella polverosa è emerso questo numero della rivista Oggi degli anni '60, in cui il vecchio Pisanò racconta inascoltato questa terribile vicenda, corredandola di fotografie che in seguito andranno irrimediabilmente perse con il rogo doloso del suo giornale.
La vicenda è quella dell'uccisione nei boschi di Sandigliano dello sfollato Gregorio Candeloro di quarantasei anni, della moglie Dina trentunenne e del figlioletto Gianfranco di soli quattro anni.
I Candeloro erano sfollati da Torino per via dei costanti bombardamenti "alleati".
Avevano cercato rifugio a Sandigliano dove il padre di lei, Giuseppe Piccioni, faceva il capostazione.
L'8 di giugno 1944 la famiglia decise di fare una passeggiata nei boschi che si estendono fra Sandigliano e Verrone, ma a sera non essendo ancora rientrati iniziano le ricerche.
Alla fine, tramite indicazioni di abitanti del luogo, vengono ritrovati.........i due genitori già morti ed il piccolo Gianfranco agonizzante con un polmone trapassato da un proiettile.
Nonostante le cure il bambino moriva poche ore dopo.
Si cercarono di individuare i colpevoli di questo spietato delitto e le indagini accertarono che una banda di partigiani, transitante nella zona, aveva preferito eliminare gli inconsapevoli testimoni, senza nemmeno ritrarsi di fronte alla povera piccola vittima.
Fu poi l'amnistia Togliatti a rendere impunibili i feroci assassini ed i volti delle vittime caddero nell'oblio della dimenticanza storica.........con tanti...... tanti altri.
Tratto da: "Hanno detto che siamo da galera..."

giovedì 12 ottobre 2017

CULTURA E LIBERTA’

CULTURA E LIBERTA’


La libertà, quella vera, è figlia della capacità di ragionare in senso critico, per capire e di conseguenza produrre un pensiero, un parere, un giudizio, autonomi e non condizionati dai fabbricanti di opinione pubblica, sulle varie problematiche e soprattutto su quelle sociali che determinano e sono  determinate dai rapporti tra le persone ed i loro simili e tra essi e le istituzioni.
Insomma, la libertà vera è libertà di scelta e la libertà di scelta si realizza soltanto quando il giudizio che la determina non è viziato né da ignoranza, né da condizionamenti.
Per poter scegliere sono necessarie tante cose, ma principalmente: gli strumenti e le opportunità!
Gli strumenti sono la cultura generale e non specializzata, quella che la scuola dovrebbe dare ( e che una volta dava) a tutti gli studenti e che faceva da cornice e da terreno di cultura all’istruzione più specifica, quella cultura che non dà nozioni, ma apre la mente ed insegna a pensare, quella cultura che è il risultato dello studio del Greco, del Latino, della letteratura, della filosofia e di tutte le discipline che, a ragion veduta, sono chiamate “Umanistiche”, quella cultura insomma che le moderne teorie di un utilitarismo miope e stupido definiscono “Inutile” perché non insegna a costruire un’automobile, a programmare un computer od a sintetizzare un fertilizzante..
Le opportunità sono, sarebbero, la possibilità di uscire dalla tutela psicologica del “pensiero unico” imposto dalle oligarchie economiche – finanziarie che ce lo inculcano con la martellante azione  mediatica e pubblicitaria che mira a convogliare in un unico fiume omogeneo la vita e l’azione dei Cittadini che diventano così meglio prevedibili e governabili per ottenere la realizzazione di progetti che sono nell’interesse delle suddette oligarchie, ma che sono spesso contrari agli interessi dei Cittadini.
Nella realtà di questa nostra società abbiamo invece una scuola che non prepara e non insegna a pensare e che produce laureati istruiti ma non colti, quasi robot specializzatissimi che diventano, nella logica dell’economia di chi li userà, niente di più che schiavi di serie A da porre accanto alla massa scarsamente istruita e poco scolarizzata che costituisce la categoria degli schiavi di serie B.
Il tutto è congeniale a questa società retta da oligarchie economico – finanziarie che hanno loro piani strategici per realizzare progetti e servire interessi che non sono quelli degli Stati e dei Cittadini con i quali, anzi,  spesso configgono.
D’altra parte, per il raggiungimento di tali obiettivi, è necessaria la collaborazione passiva di tutti ed ecco quindi la necessità di poter manovrare le masse senza che queste si pongano troppe domande, il che diventa molto più facile se la capacità di giudizio critico è ridotta al minimo.
Insomma, meglio una massa di rincoglioniti ed assuefatti consumatori che una di Cittadini pensanti: chi pensa rischia di capire, di criticare, di voler cambiare e tutto ciò è sabbia negli  ingranaggi…
In questo quadro, è chiaro che le oligarchie che dominano la società non hanno alcun interesse a promuovere una scuola che produca individui liberi perché capaci di scelte e dunque si spiega il perché del degrado culturale che ha sistematicamente infettato, con successive riforme peggiorative, tutti i livelli dell’istruzione pubblica.
Il risultato è la semplificazione delle pulsioni, specie di quelle giovanili, più vitali e piene di fermenti, verso obiettivi tutti banali e superficiali che si riassumono nella triade: “sesso, droga e rock and roll” alla quale noi aggiungiamo la passione sportiva che è stata anch’essa snaturata e declassata da partecipazione agonistica e palestra di carattere a fenomeno spettacolare mutando la competizione in “guardonismo”..
L’esasperazione del consumismo, figlio del capitalismo, ha poi fatto il resto cancellando concetti come “elevazione spirituale” e sostituendoli con l’appagamento della ebete sazietà da possesso di beni non essenziali e spesso inutili!
Il potere sa, per raffronto con gli eventi della storia, che il vero, l’unico pericolo gli viene dalla cultura perché mai nessuna opposizione efficace e soprattutto nessuna grande  rivoluzione si è realizzata senza la partecipazione protagonista delle elite culturali.
Di qui la strategia del distrarre i Cittadini dal pensiero fornendo dei surrogati come divertimenti, stupidi come i “reality show”, la discoteca, la droga ed i grandi magazzini…
Ne deriva che la cultura è la nemica dell’oppressione, che il pensiero è il nemico dell’omologazione e che entrambi sono gli strumenti fondamentali della libertà!
Benito Mussolini diceva: “..l’ignoranza esclude dalla partecipazione..” ed il Fascismo fece seguire alla parole i fatti con la riforma Gentile varata il 6 Maggio 1923, a soli 7 mesi dalla marcia su Roma, con la quale, oltre ad aprire a tutti le porte dell’istruzione scolastica, si rafforzò in modo massiccio la presenza nei programmi scolastici della cultura umanistica generalizzando lo studio del latino ed ampliando la presenza del Greco, della filosofia, della letteratura e della storia.
Evidentemente quella “bieca dittatura” non aveva paura né della cultura, né della capacità di produrre pensiero autonomo che da essa scaturisce, al contrario di questa “radiosa democrazia” che alla cultura ha tarpato le ali  con le riforme e con il degrado della scuola, nel timore che la libertà di pensiero e quindi di scelta dimostrino che “.. Il re è nudo..”
Ma anche la menzogna storica usata massicciamente da questo regime è strumento di dominio e di sottomissione dei popoli perché, come ha detto Orwell: “.. chi controlla il passato, controllerà anche il futuro..”

Alessandro Mezzano