venerdì 20 ottobre 2017

IL SACCHEGGIO DI UNA NAZIONE

Il saccheggio di una Nazione

«Chi sono i banchieri e i finanzieri che hanno depredato le tre miniere d’oro di Verona»

di Luigi Bellazzi
 
Le tre miniere d’oro erano nell’ordine: Cassa di Risparmio, Banco Popolare e Cattolica Assicurazioni.

Li si chiamino per nome e cognome (non genericamente «banchieri» o «finanzieri»): Paolo Biasi, Carlo Fratta Pasini e Paolo Bedoni.

Questi Signori (come si chiama signore un Zonin, un Tanzi) non hanno sbagliato strategie imprenditoriali, non sono vittime della crisi. Questi Signori hanno praticato nelle «miniere d’oro» da loro amministrate, la sistematica illegalità.
 
Paolo Biasi come Presidente del Socio di maggioranza relativa (6,7%) di Unicredit (la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona) operava con uno spaventoso conflitto di interessi.
 
Unicredit finanziava le aziende del Gruppo Biasi da anni e anni praticamente fallite, senza alcun merito creditizio. Ma per gli imprenditori per bene e bisognosi di sostegno finanziario, soldi non ce ne erano mai per via di «Basilea», del «rating», cazzate varie etc. etc.
 
Guarda caso l’allora Amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo guadagnava in un giorno quello che un impiegato di banca guadagnava in 700 giorni (soci silenti). Per poi andarsene (Profumo) da Unicredit distrutta con una liquidazione di 42 milioni di Euri.

C’è di più, Unicredit aveva addirittura creato una raffineria di droga finanziaria (U.B.M.: Unione Banca Mobiliare, come riferiva la trasmissione Report) prima con sede a Milano, poi nascosta a Monaco di Baviera.
 
In questa raffineria di droga si produceva non eroina. Di peggio, si producevano i cosiddetti «derivati»: Ingegneri finanziari, matematici studiavano come realizzare questi contratti criminali che avrebbero portato alla rovina l’economia dell’intera Europa.
 
Tutti in silenzio, a partire da Paolo Biasi. Lo facevano tacere imbottendo di soldi le sue aziende da anni sull’orlo del fallimento. Professori universitari, avvocati, commercialisti. Le migliori professionalità al servizio della peggiore criminalità finanziaria.
 
Carlo Fratta da decenni Presidente del Banco, assemblee truccate con liste civetta (funzionari poi che ammorbidivano i professionisti che controllavano i soci in assemblea), bilanci falsi riconosciuti come tali addirittura dagli ispettori della B.C.E. («perdurante» sottovalutazione delle perdite sui crediti dubbi, «npl»).
 
Gli azionisti compravano le azioni a più di 38 Euri e dopo qualche anno il valore precipitava a 20 centesimi. Finanziamenti al giornale L’Arena di Verona, che quindi titolava: «Sono finiti gli anni delle vacche magre, adesso cominciano quelli delle vacche grasse. Vacche talmente grasse da portare il Banco in pratica al «fallimento».
 
Il Banco popolare di Milano (12 mila dipendenti) si prendeva in corpo il cadavere del Banco popolare di Verona (22 mila dipendenti, 2 miliardi e 200 milioni di perdite), per poter diventare talmente grande così da non poter fallire!
 
Paolo Bedoni Presidente di Cattolica, per anni Vicepresidente della Popolare di Vicenza. I soci della «Vicenza» compravano le azioni a 62 Euri per poi vedersi i valori azzerati. Bedoni quando alla «Vicenza» predisponevano bilanci falsi (con la complicità di professoroni della Bocconi…) era forse su Marte? Perché Bedoni non deve risarcire i danni da lui causati ai soci della «Vicenza» e di «Cattolica»?

E i bilanci falsi di «Cattolica» e le mediazioni per intermediazioni inesistenti nell’acquisto del più grande latifondo del Nord d’Italia? Paolo Bedoni forse si nasconde anche lui a Dubai, assieme ad «Elisabetto» Tulliani?
 
Butto lì uno «schifo», tra i tanti. Fino a qualche anno fa il Presidente della Fondazione Cassa Marca (Treviso), Dino De Poli, percepiva un compenso di mezzo milione di Euri l’anno (oltre benefici).
 
Mezzo milione all’anno di stipendio per fare beneficenza… De Poli aveva poi portato la fondazione Cassa Marca sull’orlo del fallimento. «Fallimento» evitato grazie al dissanguamento di «Cattolica» che acquistava ad un prezzo folle il latifondo più grande d’Italia (Cà Tron), pagandolo ben 68 milioni di Euri.
 
La Società che gestiva il latifondo ci rimetteva un milione di Euri l’anno. De Poli adesso a 87 anni si accontenta di 30 mila Euri al mese di stipendio.
 
La Lega tace e il presidente della regione Veneto Zaia non parla.

    DA ITALIA SOCIALE

                                                                                                                                           

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