Rodolfo Graziani
Rodolfo Graziani nacque l’11 agosto 1882 a Filettino, paesino situato nella Valle dell’Aniene, ai piedi del Monte Viglio.
Quarto di nove figli, dalla madre Adelia Clementi ricevette un
educazione all’insegna del sentimento religioso, del culto del bene,
educato verso mete nobili ed elevate.
Indirizzato dal padre Filippo nel seminario di Subiaco, dove osservò
“regole” rigide e tempranti, già da allora Rodolfo mostrò amore per
l’imprevisto e sete di avventura.
Durante gli anni del liceo, in lui si era sviluppata la tendenza alla carriera militare.
Al
sacerdozio non aveva mai pensato se non in qualche periodo di fugace
esaltazione; non era molto attratto dalla politica, anche se dal padre
era stato educato ai principi monarchici.
Era più interessato alla questione sociale: pensava infatti che un
sistema di collaborazione fra capitale e lavoro potesse avvicinare le
classi con beneficio reciproco, senza bisogno di ricorrere alla lotta di
classe.
A causa delle ristrettezze economiche, non potendo frequentare la scuola
militare, si iscrisse al notariato nell’Università di Roma e,
contemporaneamente, fece il servizio militare di leva nel plotone
allievi ufficiali del 94° Regg. Fanteria in Roma.
Il I° maggio 1904 fu nominato sottotenente e destinato al 92° Fanteria a Viterbo.
Verso il finire del servizio militare si preparò per un concorso
pubblico, ma nel momento in cui il suo nome fu chiamato egli non si
mosse: era come se una forza superiore lo avesse trattenuto.
Fece così il concorso per ufficiale effettivo, dove presentò un
tema:”dimostrare come le Nazioni, pur cadute nella rovina, possano
risorgere, sempre che mantengano intatti l’onore e l’amore all’
indipendenza e alla libertà”.
Si realizzò così il suo sogno: Ufficiale nel I° Reggimento Granatieri di Roma, era il 1906.
Nel 1908 fu destinato in Eritrea, dove entrò in contatto con quel
deserto che aveva già infiammato la sua fantasia di adolescente, e dove
imparò l’arabo e il tigrino, per penetrare nel costume delle popolazioni
locali.
Destinato al primo battaglione con sede ad Adi Ugri, vi rimase quattro anni, dove ebbe modo di temprare il suo carattere.
La
sua esperienza coloniale terminò alla fine del 1912 a seguito di un
morso di un serpente velenoso che per oltre un anno lo vide combattere
tra la vita e la morte.
Nel 1913 sposò Ines Chionetti, amica d’infanzia di Subiaco, e sei mesi
dopo era già in Cirenaica a combattere per lo scorcio della prima
campagna libica; l’unica figlia nacque alla vigilia della partenza,
dell’allora Capitano, per la Grande Guerra.
Ne rientrò con l’aureola dell’eroe: più volte ferito, decorato al
valore, promosso per meriti di guerra, citato nei bollettini militari e
nei diari storici delle varie grandi unità a cui era appartenuto.
Aveva 36 anni: il più giovane colonnello dell’Esercito Italiano! Già un alone di leggenda circondava il suo nome e le sue gesta.
In quel periodo non vi era ancora il Fascismo; e debbono così
ricredersi, quanti affermarono ed affermano ancor oggi che la sua
carriera fu dovuta a favoritismi da parte di Mussolini e del Regime.
Rientrato in Italia con il 61° Fanteria, che egli comandava in
Macedonia, tornò a Parma, sede normale di quel Reggimento, dove prese
contatto per la prima volta, suo malgrado, con l’ambiente politico.
Finita la guerra, infatti, cominciò il triste periodo 1919-21, dove vi
furono agitazioni politiche, scioperi, rivolte, rappresaglie.
Ci
trovavamo in una situazione in cui: la nostra vittoria era
misconosciuta all’estero e rinnegata all’interno; il sacrificio dei
seicentomila morti e di milioni di mutilati e feriti, vilipeso; fu dato
ordine agli ufficiali di uscire disarmati; furono strappati dal petto
dei valorosi i contrassegni delle medaglie; furono invase le caserme,
distrutte le loro insegne, e i reduci colpiti a morte; furono offese le
bandiere della Patria!
A Parma ribolliva più che altrove la lotta delle opposte fazioni, al
punto che il Colonnello Graziani venne segretamente condannato a morte
dal comitato rivoluzionario, reo di aver assunto un’ atteggiamento
risoluto contro gli sbandati, per ricondurli all’ordine.
Graziani in quei frangenti mantenne un’assoluta neutralità fra i
partiti, e dopo un anno passato nell’incertezza ” cedetti anch’io alla
crisi che colpì allora tanti ufficiali e chiesi di essere collocato in
aspettativa per riduzione dei quadri”.
Nell’ottobre del ’21, dopo due anni di distacco, e dopo alcuni tentativi
di darsi al commercio con l’oriente, Graziani accettò la proposta,
fattagli dall’allora Ministro della Guerra, di andare in Africa.
In
quell’anno era ricominciata la conquista della Libia la cui campagna si
era dovuta abbandonare nel corso della Guerra italo-austriaca:
Graziani, destinato a Zuara, ebbe inizialmente funzioni puramente
militari, ma quando le operazioni presero un raggio di grande ampiezza,
divenne uno dei migliori esecutori della politica interna.
Attenendosi a fermi principi di giustizia, Graziani, nominato Comandante
militare e politico dell’Altopiano del Gebel Occidentale, si conquistò
l’immenso ascendente e il prestigio, che continuò a godere per tutta la
vita, presso le popolazioni libiche.
Fino al 1929 egli, con il grado di Generale di Brigata, continuò ad
esercitare funzioni politico-militari nella progressiva avanzata
dapprima verso la Sirtica e poi verso Fezzan, fino ad essere considerato
“elemento prezioso” dall’allora Governatore De Bono.
Nominato Vice-Governatore della Cirenaica, dove la politica iniziale del
Governatore Badoglio aveva prodotto un vero disastro, tradusse in atto,
con mano ferma, le direttive impartitegli, riformando su nuove basi il
corpo di truppe coloniali, imprimendo maggior vigore alle operazioni,
stroncando ogni connivenza con i ribelli.
Nel marzo 1934 il Generale Graziani consegnò la Cirenaica completamente
pacificata ed etnicamente riordinata nella sua essenza al nuovo
Governatore Generale Maresciallo Italo Balbo.
Tale
operazione gli valse, da parte del Ministro delle Colonie, la citazione
quale benemerito della Patria nei due rami del Parlamento.
Nel frattempo, nel ’32, era stato promosso Generale di corpo d’Armata
per “meriti speciali”; aveva allora 50 anni, e si trovava nel massimo
vigore della mente e del corpo.
Tornato dalla Libia ottenne il comando del Corpo d’Armata di Udine, il
più importante sia per estensione territoriale, sia per il numero delle
unità.
Alla fine del ’34 il nostro Governo, dopo molte esitazioni, decise di
liquidare la situazione etiopica, divenuta sempre più acuta; e nel
febbraio dell’anno successivo, Graziani ricevette l’ordine della sua
nuova destinazione: Somalia come Governatore e Comandante supremo delle
truppe.
Incaricato del comando del fronte Sud con compiti iniziali di difesa,
ricevette quasi subito l’ordine, con l’appoggio del Ministro delle
Colonie Lessona, di procedere all’offensiva, cosa che fu resa possibile
con la motorizzazione delle truppe, effettuata soprattutto con mezzi di
trasporto e di manovra acquistati dagli Stati Uniti.
Il 9 maggio del 1936 il Governo italiano proclamava l’annessione
dell’Etiopia e la creazione dell’Impero e, quindici giorni dopo, il
Maresciallo Badoglio, primo Viceré, rientrava in Italia lasciando la
reggenza del Vicereame a Graziani suo successore, che nel contempo
veniva nominato Maresciallo d’Italia.
Graziani, contrariamente a quanto si credeva in Italia, venne a trovarsi in una difficile situazione politico e militare.
L’immenso Impero non era occupato che in piccolissima parte e, per
giunta, si era nel mese delle pioggie che rendeva quasi impossibile
l’affluenza dei rinforzi e dei rifornimenti.
La situazione costituzionale del Viceré non era brillante, poiché egli aveva tutte le responsabilità ma scarso potere.
Con vigorose operazioni affermò saldamente il nostro dominio e fece
compiere grandiosi lavori pubblici, che restano a tutt’oggi monumento
delle capacità e della volontà civilizzatrice dell’Italia fascista.
Il Viceré continuò a dirigere l’Impero anche quando fu ferito, a seguito
di un attentato nel febbraio 1937 in occasione dei festeggiamenti per
la nascita del Principe di Napoli da parte di alcuni “Giovani Etiopici”
istigati dall’Intelligence Service britannico; nel mese di dicembre fu
sostituito dal Duca d’Aosta.
Dopo il suo rimpatrio dall’Etiopia Graziani restò a disposizione del
Governo: tenuto piuttosto in disparte, anche a causa della sua grande
popolarità che suscitava invidie, gelosie e risentimenti.
Nel frattempo la situazione europea si era andata aggravando, e solo
dopo lo scoppio della guerra, il 3 novembre ’39, il Maresciallo apprese
dalla radio della sua nomina a Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, a
dimostrazione dell’imbarazzante situazione interna.
Il suo potere rimase comunque limitato dal Maresciallo Badoglio in
qualità di Capo di S.M. Generale da una parte, e dal Sottosegretario
alla Guerra dall’altra.
Nonostante le limitazioni, Graziani si rese subito conto delle
manchevolezze che caratterizzavano la nostra situazione militare, di cui
parlò apertamente a Mussolini.
Vi erano deficienze in ogni campo: materie prime, produzione ed armamento.
Come è riportato nel suo libro “Ho difeso la Patria”, delle “otto
milioni di baionette, ne esistevano solo 1.300.000 e altrettanti fucili e
moschetti mod. 1891”; ma le deficienze erano ben altre.
L’Esercito era attraversato da una crisi morale; l’esistenza della
Milizia Nazionale, che non era mai stata tollerata, l’intromissione
della politica nelle cose militari, l’obbligo del matrimonio e la
creazione di numerosi altri Corpi armati, estranei all’Esercito,
costituivano elementi che ne logoravano il prestigio e ne aggravavano la
debolezza.
Al momento in cui Graziani assunse le funzioni di Capo di S.M. era già
in atto la seconda guerra mondiale, anche se ci vedeva ancora non
belligeranti, e le nostre Forze Armate si trovavano nelle seguenti
condizioni:
–
L’Aviazione era scarsa ed invecchiata, anche perché non aveva alle sue
spalle un’adeguata industria. Il bilancio era scarno e in risposta alle
proposte di Balbo – che l’aveva portata in alto con le sue imprese – ne
era stato disposto l’allontanamento con l’invio in Libia;
– La Marina, fiore all’occhiello, aveva molte belle unità, ma era priva
di aviazione specializzata e povera di basi logistiche attrezzate;
– L’Esercito era numeroso, ma con un armamento, un equipaggiamento, un
addestramento certamente assai inferiori a quelli dell’Esercito che
aveva combattuto e vinto la grande guerra del 1915-18.
In tutto questo, infine, la nostra industria bellica era debolissima; le
nostre riserve di materie strategiche e di derrate non esistevano quasi
più.
Questo deplorevole stato di cose dipendeva formalmente dal Capo del
Governo, che per lunghi anni aveva esercitato le funzioni di Ministro
delle tre Forze Armate; ma la responsabilità effettiva ricade
storicamente sul Capo di Stato Maggiore Generale Maresciallo Badoglio,
il quale ricopriva tale incarico fin dal 1926 ed era, per legge, il
consigliere militare del Capo del Governo e l’autore dei piani di
guerra.
Badoglio, inoltre, era presidente dell’Istituto Nazionale delle
Ricerche, creato apposta per scopi bellici, incaricato di sovrintendere
alla mobilitazione industriale, tecnica e civile; era membro della
commissione suprema per la difesa dello Stato.
A parte l’impreparazione, il Governo seguiva una strana politica
militare: noi compravamo dall’America con oro e valute estere le materie
grezze e rivendevamo i prodotti lavorati, e cioè armi ed
equipaggiamenti all’ estero e soprattutto alla Francia ed alla Romania,
mentre le nostre FF.AA. ricevevano ben poco.
E
mentre sembrava che l’Italia dovesse seguire una politica di
neutralità, i miracolosi successi germanici , che avevano impressionato
tutto il mondo e segnato una grandiosa sconfitta della flotta
britannica, portarono Mussolini ad orientarsi verso l’intervento.
Il Duce riteneva sicuro ormai che la Germania avrebbe vinto la guerra e
riteneva urgente che l’Italia le fosse al fianco, sia per assicurarsi
alcuni vantaggi, sia per frenare l’eventuale egemonia tedesca; per suo
ordine, tramite il Maresciallo Graziani, comunicò a tutti i generali
dell’Esercito che la guerra si sarebbe combattuta non per la Germania,
né con la Germania, ma a fianco della Germania.
La politica del Governo, basata su presupposti che non dovevano
dimostrarsi reali, ci lanciò così in una lotta mortale, senza adeguata
preparazione diplomatica, politica e militare.
LA GUERRA
La guerra venne dichiarata il 10 giugno del ’40 con lo spiegamento iniziale di difensiva assoluta sulle Alpi Occidentali.
Solo dopo dieci giorni si passò da uno schieramento difensivo ad uno offensivo.
Le operazioni durarono tre giorni, ed il 24 giugno i francesi sottoscrissero l’armistizio.
Ultimata la campagna del Fronte Occidentale, Graziani tornò a Roma, e la
sera del 28, mentre era nella sua tenuta di Arcinazzo, ricevette una
telefonata che gli annunciava la morte del Governatore e Comandante
Superiore in Libia, Maresciallo Balbo, avvenuta a Tobruch, e l’ordine di
partire subito per assumerne la successione.
Gli ordini erano precisi: invadere l’Egitto! L’obiettivo era
Alessandria, base della flotta del Mediterraneo Orientale e chiave del
delta del Nilo.
L’occupazione
significava il dominio del Mediterraneo centro-orientale e il sicuro
dominio del Canale di Suez, con prospettive politiche e militari
illimitate.
Conquistare Alessandria sarebbe stata per noi la vittoria; non conquistarla, la sconfitta più o meno lontana, ma sicura.
Per compiere l’impresa, unica nella nostra storia millenaria per
diventare realmente una grande potenza mediterranea, avremmo dovuto
disporre di 5 o 6 divisioni fra corazzate e motorizzate, mentre il
nostro potenziale era di 73 divisioni armate con fucili mod. 1891: un
“gregge” di uomini mal armati, destinati al massacro ed al campo di
prigionia.
Il nostro organismo militare, preparato da un opaco conservatore come il
Maresciallo Badoglio, non rispondeva minimamente alle esigenze della
lotta.
Il punto di vista, che Graziani aveva più volte ripetuto in precedenza
al Capo del Governo, era sempre quello: poiché nonostante l’evidente
impreparazione militare, ci avevano gettati nella lotta, bisognava
vincere e cioè compiere uno sforzo concorde e sovraumano per riparare
alla situazione di impotenza cui ci aveva condotto una politica militare
assurda e retrograda.
L’offensiva prevista per il 15 luglio era impossibile a causa della
mancanza dei mezzi più elementari non solo per combattere, ma anche per
vivere nel deserto, e così egli ottenne un rinvio; ma il 25 agosto
arrivava l’ordine da Mussolini di avanzare in Egitto, motivato da altre
ragioni politiche: i tedeschi stavano per sbarcare in Inghilterra, e in
vista delle trattative anglo-tedesche noi saremmo rimasti fuori da ogni
discussione se non avessimo avuto almeno un combattimento con gli
inglesi.
In un’iniziale offensiva nel settembre-ottobre i nostri soldati si spinsero fino a Sollum, poco oltre la frontiera egiziana.
Ma né lo sbarco tedesco in Inghilterra, né le trattative ebbero luogo, e
tutte le richieste di automezzi da parte di Graziani furono vanificate;
in più dal Gen. Roatta egli venne a sapere che per “ordine superiore”
ben 25.000 automezzi erano stati accantonati per una futura campagna
contro la Jugoslavia!
La
cosa molto strana fu che il nostro Governo rifiutò per ben tre volte (3
settembre, 4 e 28 ottobre 1940) l’aiuto da parte dell’alleato tedesco,
che offriva non solo le divisioni corazzate, ma anche autocarri speciali
per il deserto.
La sera del 27 ottobre a Cirene, Graziani apprese dalla radio dell’attacco alla Grecia.
Fu allora che comprese che il Governo e lo Stato Maggiore avevano dato
sfogo alla loro mania di azione nei Balcani e che contro tutti, anche e
specialmente contro la più decisa opposizione dell’alleato, avevano
gettato le poche risorse italiane non sul teatro principale, quello del
Mar Mediterraneo, ma in direzione eccentrica, ove andavano a cercare
gratuitamente nuovi nemici! Da quel momento fu chiaro come la guerra
italiana fosse perduta e le truppe d’Africa abbandonate alla loro sorte.
La campagna di Grecia, iniziata e condotta con incredibile leggerezza,
si risolse in un disastro militare accompagnato da un disastro politico e
morale.
Il 4 dicembre, il Capo di Stato Maggiore Generale, responsabile
dell’operazione oltremare, Maresciallo Badoglio, schiacciato dalla sue
tremende responsabilità, venne sostituito.
Ma anche in Africa la catastrofe era imminente: un deciso contrattacco
inglese, appoggiato da mezzi corazzati e da una forte aviazione,
travolse le divisioni italiane riuscendo persino ad invadere la
Cirenaica e conquistarla.
Il morale delle nostre truppe, scosse e disorganizzate, scese molto in
basso, ma il comando inglese non potè approfittarne per tentare la
conquista della Tripolitania; uomini e mezzi dovettero essere trasferiti
in Grecia.
Dal principio alla fine gli italiani vennero dominati non perché fossero
mediocri soldati, ma perché, anche se fossero stati i migliori di
tutti, non avrebbero potuto a lungo resistere alla superiorità di mezzi
che gli inglesi potevano mettere in campo.
A causa di questa superiorità le battaglie assunsero il carattere di rese più che di combattimenti.
Mussolini, costatando la gravità in cui si trovavano i nostri soldati,
accettò l’offerta d’aiuto di Hitler; un’armata tedesca, totalmente
corazzata e meccanizzata, addestrata per la guerra nel deserto, fu
inviata in Africa sotto il nome di Afrikakorps, affidata ad un brillante
ufficiale: Erwin Rommel.
Nel frattempo Graziani chiese di essere esonerato da ogni incarico e lasciò la Libia l’11 febbraio 1941.
Rimpatriato,
il Maresciallo si dedicò alla bonifica agraria della sua tenuta di
Casal Biancaneve sugli altipiani di Arcinazzo, schivando ogni contatto
con personaggi ufficiali.
Nel novembre del ’41, il Duce, essendo stata ristabilita, per il
concorso tedesco, la situazione in Cirenaica, credette giunto il momento
di ristabilire anche il prestigio del Comando Supremo, dando la
responsabilità della sconfitta al Maresciallo Graziani.
Fu istituita una commissione d’inchiesta presieduta dal Grande
Ammiraglio Thaon de Revel; la commissione doveva agire segretamente,
senza interrogare nessuno, e tanto meno l’interessato.
Ma il Maresciallo Graziani ne venne comunque a conoscenza e scrisse a
Mussolini chiedendo di presentare un memoriale documentato di quanto in
realtà era avvenuto.
Mentre la commissione aveva espresso un parere completamente
sfavorevole, la presentazione del memoriale troncò ogni ulteriore
procedimento; così nel gennaio ’43 il sottosegretario alla guerra, Gen.
Scuero, comunicò al Maresciallo che non esisteva più un “caso Graziani”,
e che quindi la vertenza era esaurita.
Nel frattempo molti mesi erano passati, e la situazione italiana
diventava sempre più difficile sia politicamente che militarmente:
Graziani ne seguiva l’andamento con estremo interesse, a tal punto che
la caduta del Regime Fascista, il 25 luglio, non lo sorprese più di
tanto.
Lo stupì invece l’incredibile scelta fatta dal Re di nominare il
Maresciallo Badoglio a Capo del Governo, anzi a dittatore militare!
Proprio Badoglio, principale responsabile non solo della impreparazione
delle Forze Armate, ma anche della insensata condotta militare del primo
e decisivo periodo della guerra.
Alla fine del Luglio del ’43 vi fu un contatto da parte della Casa
Reale, dove fu chiesto al Maresciallo Graziani un suo parere sulla
situazione attuale.
Il suo pensiero in sintesi fu:”come il comunicato di Badoglio ha
annunciato, la guerra deve continuare, l’onore nazionale ci comanda di
tener fede ad un patto solennemente sancito, a meno che non vogliamo
essere condannati dai nostri figli per aver trascinato la Patria in
guerra senza preparazione ed esserne usciti poi con la taccia di
tradimento.
Qualsiasi altro male doversi preferire all’annientamento morale perché
le Nazioni possono rialzarsi dalla rovina, non dal disonore.
Meglio perdere tutto, fuorché l’onore! Secondo me, il sovrano deve
seguire questa linea, anche se dovesse costargli la perdita della
Corona”.
Nel mese di agosto segnali provenienti dalla casa Reale facevano
prevedere una sostituzione di Badoglio proprio con Graziani; ma gli
avvenimenti che seguirono, cioè la firma dell’armistizio di Cassabile e
la fuga del Governo e della famiglia Reale, travolsero ogni progetto.
LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Nel fatale settembre del 1943 cominciò per il Maresciallo Graziani una
nuova esistenza che lo vide assumere un compito realmente politico quale
mai fino ad allora, direttamente sostenuto.
Dopo la catastrofe dell’8 settembre egli ricevette, sia da Mussolini,
che nel frattempo era stato liberato dalla sua prigione a Campo
Imperatore , sia da parte del Governo tedesco, rappresentato
dall’ambasciatore dott. Rahn, l’invito ad assumere la carica di Ministro
della Difesa del nuovo Governo che si stava ricostituendo.
Il 9 settembre si costituirono le Forze Armate Repubblicane con quadri
ufficiali e sottufficiali di carriera esclusivamente volontari.
Si stabilì che il trattamento fosse in tutto uguale a quello delle truppe germaniche.
Il 24 dello stesso mese il Duce firmò il decreto di nomina del Maresciallo a Ministro.
Sui motivi che spinsero Graziani a diventare Ministro della Difesa della
R.S.I. circolarono e circolano tutt’ora le tesi più assurde e faziose:
c’è chi sostenne che il Maresciallo si recò ripetutamente presso
l’ambasciata tedesca a Roma per offrire i suoi servigi al tedesco
invasore; chi disse che accettò l’incarico perché spinto da sete di
potere e da una smodata ambizione; chi infine disse che fu costretto
perché intimorito dalle SS che gli puntarono una pistola alla nuca.
Tutte queste versioni false furono frutto di odio scatenato dal nemico
al fine di distruggere moralmente coloro che dopo l’8 settembre
continuarono a combattere nelle file della R.S.I.
La consacrazione di questo autentico Risorgimento repubblicano per
l’Italia avvenne al teatro “Adriano” di Roma il 1° ottobre, quando
Graziani, nel suo discorso ad oltre quattromila ufficiali e valorosi
combattenti precisò che: “chi vi parla è il Maresciallo d’Italia il
quale, durante la sua lunga vita di soldato, ha conosciuto la mala
sorte, il sole della gloria e l’ombra della ingratitudine.
Adesso egli è chiamato dal destino a stringere intorno a se gli italiani
per cancellare la macchia della vergogna con la quale l’infedeltà e il
tradimento hanno deturpato la bandiera d’Italia”.
Tra i veri motivi che portarono Graziani ad accettare l’incarico vi era
anche quello di frapporsi fra il popolo italiano incolpevole e l’alleato
tedesco reso furioso dal tradimento subito, allo scopo di riscattare
l’onore militare degli italiani, che ormai era leso dal tradimento e da
una resa incondizionata firmata dal Governo Badoglio.
Il suo atteggiamento fu quindi dettato interamente da sentimenti nazionali e da moventi altamente morali.
Graziani, con la collaborazione del Col. Emilio Canevari, fece approvare
da Mussolini un promemoria in cui si sosteneva l’opportunità che
l’Esercito da costituire dovesse rimanere ” Esercito Nazionale “, basato
non solo sui volontari, ma anche sulla coscrizione, e costituito da
grandi unità da addestrare < ex novo> nei campi di addestramento
germanici; i quadri avrebbero dovuto essere tutti di ufficiali volontari
a domanda e bisognava evitare ad ogni costo la guerra civile perciò le
nuove truppe dovevano essere assolutamente tenute fuori dalla politica e
mai impiegate in servizi di ordine pubblico.
Sulla base di tali propositi, furono siglati degli accordi con il
comando supremo germanico che si concretizzarono il 16 ottobre: i
tedeschi si impegnarono ad armare e istruire 4 Divisioni italiane, di
cui una alpina, e successivamente altre 4; una nona Divisione corazzata
doveva essere composta con personale italiano addestrato alla scuola di
motorizzazione tedesca.
Il Comando italiano si impegnava, inoltre, a costituire un’unità di
artiglieria da montagna, artiglieria contraerea e Genio, per un totale
di 30.000 uomini, che dovevano essere posti immediatamente a
disposizione del Maresciallo Kesserling.
Tutta
la legislazione che portò alla creazione delle FF.AA. era
disgraziatamente apolitica e ben presto dovette cedere il passo ad
alcuni ambienti fascisti, che portarono alla creazione della Guardia
Nazionale Repubblicana, unità autonoma e con proprio bilancio, che
doveva, secondo il progetto iniziale, comprendere semplicemente i
Carabinieri rimasti volontari, con integrazioni per raggiungere la cifra
di circa 30.000 uomini scelti.
Invece la G.N.R. raggiunse la forza di 150.000 uomini; e in più si
vennero a creare nelle varie Province le “Brigate Nere”, nelle quali
furono inquadrati tutti gli iscritti al Partito che non erano ancora
alle armi.
Sulla base dei principi precedentemente codificati il nucleo
dell’Esercito Repubblicano venne costituito con 4 Divisioni di fanteria:
Italia, San Marco, Monte Rosa e Littorio; esse vennero armate e
perfettamente addestrate e nell’estate del ’44, tornate in Italia fra
l’entusiasmo della popolazione, formarono, con alcune Divisioni
tedesche, l’Armata Liguria, che si schierò dalla Garfagnana al San
Bernardo.
Altre unità vennero costituite, e che compresero i 15.000 soldati
italiani che, non avendo deposto le armi all’atto della vergognosa resa
badogliana, per 20 mesi costituirono il presidio contro il nemico slavo
alla nostra frontiera orientale.
L’Aeronautica si costituì con il poco materiale di volo disponibile; la
nostra piccola caccia si fece massacrare per difendere le nostre città
dai massicci e indiscriminati bombardamenti nemici e cobelligeranti.
La Marina fu pronta alla ricostruzione intorno alla bandiera tricolore
della Decima Flottiglia Mas, che non fu mai ammainata, perché continuò
semplicemente la sua azione di guerra senza tener conto della resa e
senza aspettare che sorgesse un nuovo governo.
Migliaia di giovani volontari accorsero entusiasti.
L’apporto di valore dato all’Italia da questi marinai e soldati non deve
essere dimenticato da nessuno perché, ogni giorno di più, appare
evidente che essi si batterono per una causa del tutto nazionale, quale
non era certo quella degli aviatori che Badoglio si vantò di aver
mandato in aiuto a Tito e che servirono a facilitare la conquista slava
della Venezia-Giulia.
Il valore dimostrato dai giovani marinai e soldati Repubblicani al
servizio solo della Patria, in una lotta disperata, sotto il motto “Per
l’Onore della Bandiera”, fu ed è titolo di gloria ed ampio
riconoscimento non solo dall’alleato germanico, ma dal nemico stesso,
che cavallerescamente volle manifestarlo.
Il Maresciallo Graziani assunse il comando dell’Armata Liguria il 15
agosto ’44; quanto all’azione militare svolta dalle truppe della
Repubblica , si può così sintetizzare: le truppe delle Divisioni
Monterosa e Littorio, in unione con le truppe germaniche, si opposero,
sui passi alpini occidentali, al tentativo delle truppe golliste
francesi ed americane di invadere il Piemonte e la Liguria dopo
l’abbandono della Provenza, da parte dei tedeschi.
Alle dipendenze del Maresciallo Kesserling furono posti, oltre alle
truppe di artiglieria da montagna e del Genio che si batterono sulle
Alpi contro la 92ª Divisione americana e contro le truppe brasiliane,
circa 68 battaglioni “costieri” e “territoriali” con circa 80.000
uomini.
Meritano uno speciale riconoscimento i reparti che difesero la frontiera
orientale contro le bande slave di Tito, tra cui alcuni battaglioni
Bersaglieri volontari: la Legione Tagliamento, composta di reduci dalla
Russia e di volontari, in gran parte studenti, che difese fino
all’ultimo il Friuli; i reparti della Divisione di Marina Decima.
Nella Venezia-Giulia vi furono anche notevoli reparti della G.N.R. che
presidiarono Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, che la difesero fino
all’ultimo e che caddero massacrati quasi totalmente.
Ormai le sorti della guerra erano segnate.
Le truppe anglo-americano erano alle porte di Milano e di molte altre città del nord del Paese.
Le truppe italiane si preparavano con dignità alla resa.