domenica 5 ottobre 2025

Come Benito Mussolini affrontò e risolse il problema mafioso.


 

Come Benito Mussolini affrontò e risolse il problema mafioso. [ di Filippo Giannini ]


Silvio Berlusconi, ha recentemente detto che mai nella storia italiana si ebbero tanti successi nella lotta contro la criminalità organizzata come sotto il suo governo. Ma ci fu chi, nel lontano 1924 fece di meglio: ecco come Benito Mussolini affrontò e risolse il problema mafioso.

Mussolini approdò in Sicilia, a Palermo il 6 maggio 1924. Era in programma una visita ufficiale di quindici giorni.
Da continentale, aveva una visione vaga della mafia, ma ben presto la sua conoscenza su quel fenomeno si sarebbe ap­profondita.
Acompagnato in auto, a Piana degli Albanesi, dal sindaco di quella cittadina, Francesco Cuccia, detto Don Ciccio, che ostentava sul petto la Croce di Cavaliere del Regno, pur es­sendo stato chiamato in giudizio per omicidio in otto processi, tutti risolti per insufficienza di prove, Mussolini avvertì un certo imbarazzo per il comportamento del notabile seduto al suo fianco.
Don Ciccio, osservato che il suo ospite era seguito da alcuni agenti, confidenzialmente diede un colpetto sul braccio di Mussolini e, ammiccando, gli disse: «Perché vi portate dietro gli sbirri? Vossia è con me. Nulla deve temere!».
Mussolini non rispose, ordinò di fermare la macchina e di far ritorno a Palermo.
Il giorno dopo ad Agrigento parlò ai siciliani e fu una dichiarazione di guerra alla mafia: «Voi avete dei bisogni di ordine materiale che conosco: si è parlato di strade, di bonifica, si è detto che biso­gna garantire la proprietà e l'incolumità dei cittadini che lavo­rano. Ebbene vi dichiaro che prenderò tutte le misure necessarie per tutelare i galantuomini dai delitti dei criminali. Non deve es­sere più oltre tollerato che poche centinaia di malviventi soverchino, immiseriscano, danneggino una popolazione magnifica co­me la vostra».
Mussolini rientrò a Roma il 12 maggio e il giorno dopo con­vocò i ministri De Bono e Federzoni e il capo della polizia Moncarda e chiese ad essi il nome di un uomo idoneo a battere il feno­meno malavitoso siciliano. Federzoni propose Cesare Mori. Mus­solini ordinò che venisse immediatamente convocato e, conferen­dogli l’incarico, gli raccomandò: «Spero che sarete duro con i mafiosi come lo siete stato con i miei squadristi!».
Il Governo Giolitti aveva già inviato, precedentemente, Cesare Mori in Sicilia per combattere il fenomeno mafioso. Pur avendo dimostrato note­vole perizia, Mori non era riuscito a conseguire un apprezzabile risulta­to, dati i limitati mezzi legislativi conferitigli.
Il successo dell'azione di antimafia dipendeva dalla serietà e dalla reale volontà del Governo fascista di recuperare la Sicilia allo Stato. La risposta la dette lo stesso Mussolini: «II fascismo, che ha libera­to l'Italia da tante piaghe cauterizzerà, se necessario, col ferro e col fuoco, la piaga della delinquenza siciliana».
Vennero quindi concessi a Mori, che si avvalse dell'opera dell'ottimo maresciallo Spanò, i pieni poteri e già a fine anno 1925 ottenne i primi successi: oltre 700 arresti di mafiosi accusati di omicidio, abigeato, grassazione, operati con fulminee azioni nelle Madonie, a Misilmeri, a Marineo, a Piazza Armerina. Seguì un'operazione, forse la più spettacolare, nel comune di Gangi, tra Nicosia e Castelnuovo, dove da oltre un trentennio spadroneggiavano le bande degli Andaloro e Ferrarello, bande che vennero interamente catturate.
Marzo e aprile 1926 videro nuovi successi e nuovi arresti a Termini Imerese, a Marsala, a Mazzarino, a Castelvetrano, a Gibellina. Così di seguito, mese dopo mese, centinaia di arresti liberarono dalla piovra ampie aree della Sicilia.
Il 26 maggio 1927, in apertura del dibattito sul bilancio dell'Interno, Mussolini tenne alla Camera uno dei discorsi più famosi e più interessanti ed anche uno dei più lunghi: il cosiddetto discorso dell'Ascensione, di cui citiamo un passo: «E tempo che io vi riveli la mafia. Ma, prima di tutto, io voglio spogliare questa associazione brigantesca da tutta quella specie di fasci­no, di poesia, che non merita minimamente. Non si parli di nobiltà e di cavalleria della mafia, se non si vuole veramente insultare tutta la Sicilia. Vediamo. Poiché molti di voi non co­noscono ancora l'ampiezza del fenomeno, ve lo porto io sopra un tavolo clinico: ed il corpo è già inciso dal mio bisturi».
Così Mussolini scandisce momenti e cifre dell'offensiva sca­tenata dal fascismo contro il fenomeno mafioso: successi ottenuti non solo in termini di repressione, e di miglioramento dell'ordine pubblico. Ma il successo maggiore fu l'aver ripristinato l'autorità dello Stato. Ecco i dati: rispetto al 1923, nel 1926 gli omicidi era­no passati da 675 a 299, le rapine da 1200 a 298, gli abigeati da 696 a 126, le estorsioni da 238 a 121, i danneggiamenti da 1327 a 815, gli incendi dolosi da 739 a 469, i ricatti da 16 a 2.
Sono successi significativi che avvalorano la capacità operati­va del prefetto Mori. Questi, continuando nella sua operazione, punta su patrimoni sospetti: si aprono inchieste sulle amministra­zioni comunali, si indaga sui beni di cui godono famiglie so­spette e si pretende che ne venga dimostrata la liceità, pena la confisca.
A tutto ciò faceva seguito la continua attenzione di Mussolini che sollecitava, con lettere e telegrammi, di perseverare nell'azio­ne e l'accelerazione dei processi.
Nel 1929 l'opera del prefetto di ferro si poté considerare conclusa con l'indiscussa vittoria del nuovo Stato sulla mafia.
La storiografia del dopoguerra, per motivi facilmente intuibi­li, sostiene che Mori fu allontanato perché cominciava a colpire in alto. I fatti dimostrano il contrario e cioè che Mori colpiva dove c'era da colpire, indipendentemente dai nomi, coerentemente alle disposizioni ricevute al momento dell'incarico.
Certamente si cercò di fermare l'azione dello Stato in diversi modi. Una petizione fu inviata al Duce, firmata da 400 fascisti trapanasi, con la quale si chiedeva di allontanare «l'antipatriotti­co prefetto di Bologna amico dei bolscevichi». La risposta di Mussolini fu fulminea: l'immediata espulsione dal partito dei fir­matari della petizione. Per gli stessi motivi, a febbraio 1927, ven­ne sciolto d'autorità il fascio di Palermo, rinviando a giudizio, ad­dirittura, il segretario, On. Alfredo Cucco, che fu poi processato e assolto.
Un ufficiale della Milizia, accusato di connivenza con la cri­minalità, fu condannato a dieci anni, tutti scontati.
Nel maggio 1927 venne sciolto anche il fascio di Catania.
La mafia per sopravvivere dovette emigrare oltre Atlantico e si risvegliò in Sicilia soltanto nel 1943 con lo sbarco angloameri­cano.
Lo scorso anno andai per pochi giorni di vacanza in Sicilia. Un giorno entrai in un negozio di artigianato e mi intrattenni per alcuni minuti con il proprietario, una persona colta, di “una certa età”. Ebbene egli mi assicurò che quando sbarcarono gli anglo americani in Sicilia – e questo me lo ha garantito – le truppe di invasione erano precedute da drappelli, quasi sicuramente di siculo-americani, che innalzavano una bandiera color oro, dove al centro era ben disegnato una doppia “L”. Quel signore mi ha garantito che quel simbolo indicava “Lucky Luciano”, un famoso mafioso “vittima del Fascismo” fuggito negli Usa negli anni Venti-Trenta. Su questa testimonianza non posso porre il sigillo dell’autenticità; ma è noto che gli Usa utilizzarono la mafia americana per invadere la Sicilia. In merito a questa testimonianza invito i lettori a documentarmi se a conoscenza di particolari.
Don Calogero Vizzini, uno dei capi della mafia, indicava agli alleati gli uomini giusti da mettere alla guida dei Comuni e delle Province. Genco Russo, boss mafioso che Mori aveva confinato a Chianciano, ottenne la Croce di Cavaliere della Repubblica in quanto gli venne ricono­sciuta la qualifica di vittima del fascismo.
Certamente Mori si avvalse di poteri eccezionali, indispensa­bili e proporzionati alla pecularietà del fenomeno mafioso. Que­sto è stato ben compreso ed esposto nel 1929, nel corso del processone contro la mafia, dal deputato fascista Michelangelo Abisso, patrono di Parte Civile. Nella sua lunga arringa fra l'altro ammonì: «La vittoria contro la delinquenza non è un fatto iso­lato: essa va inquadrata nel nuovo ordine di cose, nel nuovo metodo di governo; in breve, è la più tangibile manifestazione dello Stato forte e veramente sovrano (...). Debellato il male, occorre far seguire quella che i medici chiamerebbero cura ri­costituente, occorre ritemprare l'organismo, in modo che pos­sa vittoriosamente resistere ad un nuovo attacco. Occorrono strade principali e soprattutto agrarie attraverso le quali il la­voro e la civiltà possano toccare quelle zone remote e deserte che finora furono solo accessibili alla barbarie e al delitto; oc­corrono acqua e luce, telefoni e scuole che vincano gli ultimi residui di analfabetismo e di ignoranza, occorrono opere di ir­rigazione e di bonifica che consentano un più intenso sfrutta­mento delle aride zolle ed impediscano il depauperamento del­la razza, l'insidia della malaria; occorrono la piccola proprietà ed una sempre più illuminata giustizia nei rapporti tra lavoro e proprietà, sempre chiusa nella concezione gretta del privile­gio e restia alle influenze delle correnti nuove che travolgono le dighe e aprono irresistibilmente le vie dell'avvenire».
All'opera di Mori farà seguito quella del Governo, impostata su un grandioso programma di interventi, anche se ostacolata da una serie di difficoltà di origini esterne e, alla fine, forzatamente interrotta dalla disfatta militare.
Termino citando lo storico Emil Ludwig: <Mussolini sognò col Fascismo una grande Nazione. Si mise all’opera per trasformare il sogno in realtà. Creò la Nazione Italia e questa è una delle ragioni della sua grandezza di fronte al mondo e alla Storia>.
Voglio anche ricordare il rimprovero che partì dalla ,penna del più grande giornalista svizzero Paul Gentizon: <Tra i milioni di suoi compatrioti ai quali aveva reso l’orgoglio di essere italiani, non se ne è trovato uno solo, nell’ora suprema, per ricoprirlo pietosamente con un lenzuolo, e di chiudergli gli occhi. E’ la sorte dei Grandi>.


Nell'immagine, Cesare Mori, il Prefetto di Ferro.

domenica 21 settembre 2025

I giovani e la R.S.I.

 

  I giovani e la R.S.I.

 

 


(dal Bollettino ACTA della Fondazione della R.S.I. – Istituto Storico, numero 69 – maggio-luglio 2009, riprendiamo il seguente molto significativo scritto)

                                       

                                                               NOI GIOVANI ABBIAMO UNA MISSIONE

 

Le “chiacchiere” non ci sono mai piaciute, così come le persone tanto avvezze a parlar bene ma a razzolar poco. Il nostro riferimento è la Tradizione, parola che racchiude un universo di simboli, miti, eroi, ma soprattutto parola che richiama in maniera indiscutibile all’azione. Questa premessa è necessaria poiché quando abbiamo l’onore di collaborare con i reduci della R.S.I. dobbiamo essere consapevoli di avere di fronte uomini d’azione, di milizia, dei soldati. La Tradizione etimologicamente significa tramandare qualcosa, un qualcosa che si spiega con i valori quali la lealtà, il sacrificio, l’onore e la fedeltà. Coloro che l’8 settembre scelsero di combattere per la patria, lo fecero in modo disinteressato, con l’impersonalità attiva di chi è animato dalla virtù e dai valori dello spirito, di chi ha un fuoco che brucia nel petto; impersonalità tipica dei legionari, ardore tipico del combattente. L’esperienza che intrapresero, per molti fino all’estremo sacrificio, è un bagaglio inestimabile di un “altro sapere”, come ebbe a dire un “vecchio” guerriero di nome Rutilio Sermonti, un sapere che solo chi coltiva il proprio spirito può conoscere ed ammirare. E il nostro compito, oggi, è far sì che questo bagaglio non venga lasciato nell’oblio della dimenticanza, perché la Tradizione è anche testimonianza, conservazione della memoria storica di un popolo: abbiamo la possibilità di ascoltare le loro esperienze, di conoscere il significato dell’essere fedeli, per oltre mezzo secolo, ad una linea ed uno stile, sia in pace sia in guerra. Loro hanno vissuto l’onore, la fedeltà, la fratellanza, in cameratismo, hanno conosciuto il dolore per un fratello ucciso in battaglia, il coraggio e la forza di volontà che spinge ad andare avanti sempre, anche quando sei allo stremo. Loro hanno avuto nella vita almeno un’ora immortale, come dice il generale Degrelle. Loro hanno vissuto ! E noi, oggi, possiamo dire lo stesso ? Siamo i figli di un’epoca dominata dal lusso e dalla comodità, dalla mentalità borghese dell’uomo vile, di colui che non sa cosa significhi sacrificarsi per un’idea, di chi, codardo e menzognero, è traditore prima di tutto di se stesso. Siamo i giovani del terzo millennio, i figli della decadente cultura occidentale, siamo quelli che consumano la vita senza sapere chi siamo, quelli che la società moderna vuole sonnambuli prigionieri della caverna di Platone che non sanno neanche dell’esistenza del sole. Ma una possibilità l’abbiamo ancora, a patto di conservare l’umiltà di chi vuole imparare, la volontà di chi vuole lottare, l’abnegazione di fare militanza in nome di quei valori della Tradizione che i combattenti della R.S.I. hanno saputo incarnare nella vita. Sono loro gli ultimi baluardi di cosa significhi vivere la Tradizione, contro tutto e contro tutti, col coraggio di chi, animato dalla verità e dalla giustizia, non cede neanche un metro. Possiamo lavorarci a fianco, guardarli negli occhi, imparare dalle loro esperienze, scoprire il patrimonio di virtù e di coraggio di cui sono portatori, aiutandoli nel contempo nell’incredìbile opera di conservazione, tutela e riscoperta storica di testi, documenti, foto, che raccontino le gesta di quegli uomini che hanno combattuto “dalla parte sbagliata”. Racconti che ci aiutino a vivere, perché se vogliamo affermare un’idea, se vogliamo essere in grado di combattere un nemico diverso da quello di sessant’anni fa ma altrettanto forte e disposto a sopraffarci, abbiamo bisogno di esempi, di testimoni di coraggio e forza d’animo, di uomini. La loro eredità è la nostra eredità ed anche se oggi molti si affrettano a definirla scomoda ed ingombrante, il nostro compito è quello di farla conoscere, divulgarla, svolgere un’operazione di verità che cancelli il fango che l’ha ricoperta. Il nostro vuol essere un aiuto concreto, partecipativo, attivo, ci mettiamo a disposizione per organizzare iniziative in cui la cultura sia azione e formazione, in cui si conosca e si impari da chi, dopo l’8 settembre, ha scelto la strada più difficile, da chi è ancora leone in un mondo di pecore.

 Abbiamo bisogno della forza di chi ha occhi che ancora brillano.

 Il tepore di una stufa elettrica non ci basta più, abbiamo bisogno del calore di un fuoco che brucia.

 In alto i cuori !

                                          Comunità militante Raido, Roma 
 


giovedì 11 settembre 2025

FASCISMO SOCIALE


Fascismo sociale


Il Fascismo ha costruito lo Stato Sociale ed ha dato dignità ai lavoratori italiani, e questo non lo diciamo noi lo dicono i fatti. Eccone pochissimi esempi:
Tutela lavoro donne e fanciulli ( R.D. n° 653 26/04/1923 )Assistenza ospedaliera per i poveri ( R.D. n° 2841 30/12/1923 )Assicurazione contro la disoccupazione ( R.D. n° 3158 30/12/1923 )Assicurazione invalidità e vecchiaia ( R.D. n 3184 30/12/1923 )Maternità e infanzia ( R.D. n° 2277 10/12/1923 )Assistenza illegittimi e abbandonati ( R.D. n° 798 08/05/1927 )Assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi ( R.D. n° 2055 27/10/1927 )Esenzioni tributarie famiglie numerose ( R.D. n° 1312 14/06/1928 )Assicurazione obbligatoria contro malattie professionali ( R.D. n° 92813/05/1929 )Istituto Nazionale assicurazione infortuni sul lavoro I.NA.I.L. ( R.D. 264 23/03/1933 )Istituzione libretto di lavoro ( R.D. 112 10/01/1935Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale I.N.P.S. ( R.D. n° 1827 04/10/1935 )Riduzione settimana lavorativa a 40 ore ( R.D. n° 1768 29/05/1937 )Assegni familiari ( R.D. n° 1048 17/06/1937Casse rurali ed artigiane ( R.D. n° 1706 26/08/1937 )Istituto Nazionale per le assicurazioni contro le malattie I.N.A.M. ( R.D. n° 318 11/01/1943 ) 


 

sabato 6 settembre 2025

8 SETTEMBRE 1943 TRADIMENTO!

 LA SUA VERGOGNOSA SINTESI STORICA: RESA INCONDIZIONATA DELLA NAZIONE AL NEMICO E GUERRA ALL´ALLEATO.

GLI AMICI DIVENNERO NEMICI. I NEMICI DIVENNERO ALLEATI. SI COPRI´ IL TRADIMENTO MILITARE CON LA RETORICA DELLA <<LIBERTA´>> SCIORINATA SULLA PATRIA NON PIU´ LIBERA.

COMMEMORARE IL TRADIMENTO DELL´OTTO SETTEMBRE 1943 E L´IGNOBILTA´ DELLA RESA INCONDIZIONATA AL NEMICO ANGLO-AMERICANO E´ QUANTO DI PIU´ OSCENO, DI PIU´ BASSO SI POTESSE FARE SUL PIANO POLITICO E STORICO. LA STAMPA E LE TELEVISIONI DEL REGIME ANTINAZIONALE E ANTIFASCISTA, ATTRAVERSO I PROPRI PENNIVENDOLI, DANNO PER L´ENNESIMA VOLTA FIATO ALLA GROTTESCA, RAFFINATA RICERCA DI MENZOGNE, ONDE RIAFFERMARE UN´ANTICA TEMATICA ANTINAZIONALE, TANTO CARA AGLI ANGLO-RUSSI AMERICANI. UNA TEMATICA ELABORATA PER ESPRIMERE ALLE LORO BAIONETTE VIVISSIMA RICONOSCENZA.   IL TRISTISSIMO EVENTO RESTA PER NOI, INVECE UNA PIAGA PURULENTA PROFONDAMENTE APERTA NEL CORPO MARTORIATO DLL´ITALIA, UNA PIAGA MAI RIMARGINATA NONOSTANTE L´INTERVENTO PSEUDO-SANITARI LAUTAMENTE PAGATI CON VISTOSE BANCONOTE MERCENARIE. L´8 SETTEMBRE 1943 SEGNO´ IL TRIONFO DELLA VILTA´, DEL DISONORE PIU´ SUDICIO!!!


venerdì 29 agosto 2025

Decreto flussi


Decreto flussi

Adesso non è più “sostituzione etnica”

Il Governo Meloni ha approvato il nuovo “Decreto flussi” in base al quale, nel triennio 2026-2028, verranno fatti arrivare in Italia 500.000 tra lavoratori stranieri, colf e badanti.

Le quote assegnate sono 230.550 per il lavoro subordinato non stagionale e autonomo e 267.000 per il lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico.

E' il secondo “Decreto flussi” del Governo Meloni, con il primo relativo al triennio 2023-2025 era stato autorizzato l'ingresso in Italia di 450.000 lavoratori stranieri.

Secondo il Governo si tratta di “manodopera indispensabile al sistema economico e produttivo nazionale altrimenti non reperibile” e le quantità sono state stabilite “tenendo conto dei fabbisogni espressi dalle parti sociali”.

Peccato che nello stesso tempo, solo nel 2024, sono stati 156.000 gli Italiani che hanno lasciato l'Italia per trasferirsi e andare a lavorare all'estero.

Sono il calo demografico e l'invecchiamento della popolazione che richiedono nuovi lavoratori, ma anche il fatto che i giovani italiani preferiscono andare all'estero.

Però la Meloni nel 2017, durante uno dei suoi veementi comizi contro l'allora Governo Gentiloni, aveva tuonato : “Vogliono fare arrivare in Italia 500.000 immigrati in 3 anni, questa è sostituzione etnica e noi non lo permetteremo”.

Per la serie “dire una cosa quando si è all'opposizione e fare il contrario quando si è al Governo”.




martedì 19 agosto 2025

IL I° BATTAGLIONE PARACADUTISTI DELLA GNR "MAZZARINI"

 

REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA: GUARDIA NAZIONALE REPUBBLICANA



IL I° BATTAGLIONE PARACADUTISTI DELLA GNR "MAZZARINI" L'ultima battaglia dei parà della GNR
Nino Arena
 
          Questa che pubblichiamo è la storia degli ultimi giorni di lotta e di sacrifici del Battaglione Paracadutisti della Guardia Nazionale Repubblicana "Mazzarini". Il racconto è tratto dall'ultimo capitolo del libro di Nino Arena "I° Battaglione Paracadutisti GNR Mazzarini" e costituisce una testimonianza veramente eccezionale, anche perchè documentatissima, su quelle che furono la storia e la sorte dei reparti combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
          Nomi, episodi, situazioni emergono nella ricostruzione operata da Nino Arena con chiarezza e precisione, e forniscono così il quadro completo di una realtà per molti aspetti, e per troppo tempo, ignorata nella sua globalità probabilmente anche da molti di coloro che ne furono protagonista
          La realtà di un esercito, quello della Repubblica Fascista, che fino all'ultimo, anche quando speranze e illusioni erano del tutto crollate, restò compatto e fedele, con i suoi ufficiali e i suoi soldati, ai valori e ai fondamenti morali e politici che l'avevano animato e guidato durante i seicento gloriosi giorni della RSI.
          Una realtà che costò a questi combattenti lacrime, sangue e infinite persecuzioni, come testimoniato dal "Mazzarini" che su poco più di 350 effettivi ebbe ottanta Caduti.
          Ma il libro di Nino Arena, con le rapide e acute annotazioni a commento dei fatti rievocati, apre anche nuove prospettive di valutazioni su determinati aspetti della vita e delle vicende della Repubblica Sociale Italiana: non ultimi gli errori strategici e tattici in cui incorsero i capi politici e militari repubblicani nella guerriglia antipartigiana.
          Un documento prezioso, in definitiva, che porta un grande contributo alla opera di revisione storica ormai in atto sulla RSI e sul Fascismo Repubblicano.
      Pisanò
 
 
    Il 25 marzo cadeva a Romagnano, in un agguato, il paracadutista Fausto Bellotti, fratello di Franco morto qualche giorno prima, il 16, durante la difesa del Presidio.
    Ben più triste fu invece la vicenda che colpì dolorosamente il Cap. Magg. Attilio Cucchiar, innamoratosi, corrisposto, di una ragazza di nome Piera conosciuta durante un servizio di sorveglianza territoriale nei pressi di Gargallo.
    I due giovani si frequentarono, si fidanzarono ufficialmente intenzionati a sposarsi, pur nella difficile situazione in cui si viveva all'epoca, in quel terribile periodo, in quelle perigliose, circostanze, in quel pericoloso contesto sociale, umano, ambientale, politico.
    Un pomeriggio, mentre Attilio si stava recando a casa della fidanzata dopo aver percorso diversi km. dalla sede di normale residenza del reparto (lo faceva spesso quand'era libero dal servizio) venne fatto segno a diversi colpi di arma da fuoco; Cucchiar reagì prontamente all'agguato e i suoi assalitori si dileguarono.
 
Maggio 1944. Paracadutisti del Mazzarini
 
    Tornarono numerosi a notte nel cascinale di Piera, prelevarono con la forza la ragazza minacciando con le armi i familiari e la violentarono ripetutamente restituendola alcuni giorni più tardi in gravi condizioni fisiche e psichiche alla famiglia angosciata. 
  Ricoverata in ospedale, Piera moriva per le lesioni subite, alcuni giorni più tardi. Un delitto trasversale, degno della migliore cultura mafiosa anche se gli "uomini d'onore" forse, si sarebbero limitati, nel Sud, a rispettare la donna.
    Non fu così per gli "uomini" che, nel Nord, militavano nella "resistenza".
    Il 29 marzo moriva l'allievo paracadutista Ennio Costanzi che, comandato ad una corveé dall'albergo Centrale di Borgomanero, partiva con viveri diretto al ristorante dello Sport ma non arrivava a destinazione. La stessa sorte toccava alcuni giorni dopo all'allievo Francesco Lovato diretto ugualmente all'albergo Centrale. Scompariva senza lasciare traccia nel buio della notte alla stessa stregua di Rinotti e Costanzi. Non furono più ritrovati. Tutti questi ragazzi, imprudentemente, avevano disobbedito all'ordine di farsi scortare.
    Il mese di marzo era stato terribile per il "Mazzarini" poichè erano morti 18 paracadutisti ed altri 16 erano rimasti feriti. Un pesante bilancio di perdite incolmabili. A fine mese cadevano ancora per agguato a Vercelli i Serg. Magg. Giovanni Coddura e Sisto Germinario. Il mese di aprile sarebbe stato ancor più tragico. I primi di aprile il presidio di Romagnano veniva ceduto alla responsabilità di un altro reparto della G.N.R. e la Compagnia del "Mazzarini" si portava a Novara nella Caserma "Passalacqua", mentre avveniva una necessaria ristrutturazione territoriale con il rafforzamento nella provincia del contingente presidiato che vedeva la presenza del Btg. O.P. (Ordine Pubblico: n.d.r.) provinciale G.N.R., del Btg. d'assalto "Venezia Giulia" in Val d'Ossola, del 5a Btg. d'assalto "Pontida" nel Biellese e l'arrivo imminente in zona dei Btg. I° Controcarri, I° Granatieri, l° "Pontida" dislocati da Vercelli a Castellazzo Novarese e rinforzati da elementi G.N.R. speciali Ferroviaria, Postelegrafonica, Forestale, Stradale con 2 Compagnie G.N.R. di Frontiera. La Brigata Nera "Cristina" di Novara, rinforzata da elementi della B.N. "Lucca", controllava a Nord Est la provincia, mentre la sponda nord del Verbano risultava presidiata dai Btg. "Castagnacci" e "Scirè" della Xa Mas fra Arona e Verbania, dal 2° Btg. Genio F.C., da un Btg. LL. dell'I.M.L., dalla 1021° Cp. di Guardia Presidiaria, da reparti tedeschi del 15° Rgt. Polizei e della 29a Divisione Waffen SS "Italien".
    Il mese di aprile ebbe inizio con nuovi e pesanti attacchi aerei anglo-americani, con l'intensificarsi di mitragliamenti sulle strade, ferrovie, campagne, ponti sul Ticino e sul Sesia, stabilimenti industriali. Si intensificarono anche gli attacchi dei partigiani, aumentarono gli agguati, i prelevamenti di persone, i furti e le rapine pseudo politiche, le uccisioni isolate nelle strade di campagna e gli attentati dei GAP nelle città: il solito triste corollario di delitti che si trascinava pesantemente dietro la guerra civile....
    Le due compagnie del "Mazzarini" rimaste ancora decentrate in provincia: la 2a del Cap. Vincenzo Carrieri poi sostituito dal Ten. Alvaro Onesti e la 3a del Cap. Nereo De Barba, si riunivano a Borgomanero per irrobustire il presidio dell'importante località, crocevia del Val Sesia - Val d'Agogna, fronteggiando la situazione che si andava degenerando di giorno in giorno a causa dell'inazione politico-militare delle autorità tedesche. Aumentarono ancor più i mitragliamenti aerei, ormai anche in funzione di appoggio tattico ai partigiani, si fece ancor più difficile il servizio di controllo e di guardia che non dava tregua ai militi, si intensificarono gli attacchi ai Presidi e gli agguati.
    Il comando di battaglione riusciva comunque a mantenere i collegamenti con i Presidi, a rifornire del necessario Borgomanero, a fornire scorte a colonne logistiche per i diversi Presidi della G.N.R., facendo nel contempo ampia provvista di viveri e munizioni per ogni eventuale emergenza per tempi più calamitosi.
    Continuarono le uccisioni e i ferimenti di uomini del "Mazzarini". Il 21 aprile mentre i paracadutisti Mario Benetti e Roberto Guerrieri si trovavano in libera uscita a Borgomanero intenti a sorbire una bibita in un bar, venivano aggrediti improvvisamente alle spalle da alcuni partigiani e trucidati con raffiche di mitra, senza aver avuto il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo e di chi li stava vilmente assassinando. Si salvava dall'agguato il paracadutista Monaco che reagiva, feriva un aggressore portato poi via dai partigiani. Ferito anche il proprietario del bar.
    L'azione delittuosa e vile veniva poi definita "esemplare" nei testi della resistenza, col solito frasario bolscevico a base di "feroci aguzzini" , "torturatori efferati", "civili usati come scudo dai nazi-fascisti" e di "smembramenti di patrioti con parti anatomiche date in pasto ai cani". 
    Venivano esaltati come atti di eroismo semplici atti criminali e delinquenziali; aumentato a dismisura il numero dei nemici sia quando venivano uccisi, sia quando assalivano i patrioti (1000 sarebbero stati così i fascisti presenti a Borgomanero, rispetto ai documentati 180 elementi del "Mazzarini"), come inventato nel libro: "Il Monterosa è sceso a Milano" di Moscatelli e Secchia, noti esponenti stalinisti del PCI...
    In quel drammatico frangente che precedeva il crepuscolo tragico della RSI, i "buoni falsi borghesi" e l'infido clero del Novarese, combatterono subdolamente la loro piccola battaglia personale, strisciante, velenosa, sommersa, ingannevole, tentando di fare opera di perfido convincimento presso i singoli per spingerli ad abbandonare i reparti, cedere le anni, rifiutare di battersi, assicurando ai potenziali disertori l'appoggio della Chiesa e del C.L.N. ed ogni più ampia garanzia di salvezza fisica: una allettante prospettiva il più delle volte non rispettata ma che l'umana debolezza poteva accettare, giustificare e valutare prevaricando i dubbiosi e gli indecisi. E invece non ci furono cessioni alle lusinghe, cedimenti morali alle promesse, timori alle minacce avanzate: gli uomini del "Mazzarini" avevano fatto liberamente la loro scelta, avevano ripreso le armi per l'Onore d'Italia, non vollero rinnegare impegni personali e giuramenti vincolanti e rimasero nei ranghi.
    Il 24 aprile il CLNAI diramava l'ordine segreto di insurrezione "Aldo dice 26x1" alle formazioni ribelli della 1a zona (Biellese, Vercellese, Novarese) ordinando ai partigiani di confluire su Santhià, Vercelli e Novara mentre i nuclei GAP-SAP iniziavano nelle città le prime sparatorie per allarmare i Presidi e distogliere i comandi dai movimenti esterni che stavano realizzando i presupposti stabiliti dal piano difensivo E.27, un piano che prevedeva come contromossa una serie di movimenti e concentramenti, fra cui quello del Novarese che stabiliva due criteri di spostamento per i reparti repubblicani: A (tempestivo) B (improvviso) con concentramento di tutte le forze della RSI nel capoluogo.
    Gli attacchi preliminari che si erano manifestati a Borgomanero, Romagnano, Domodossola, Gravellona Toce avevano anticipato e svelato le intenzioni avversarie e indotto i comandi a diramare gli ordini di ripiegamento in concomitanza col ritiro dei presidi tedeschi, parte dei quali ottemperarono all'ordine mentre altri, in combutta col CLNAI, rifiutarono di eseguirlo richiudendosi nelle Caserme in vigile attesa, così come stabilito dagli accordi Wolff-Dulles con il Piano "Crossword" che prevedeva il disimpegno offensivo della Wehrmacht /Polizei con le formazioni del CLNAI.
    I ripiegamenti dei Presidi italo-tedeschi su Novara avvenirono con una certa regolarità, nonostante sporadici attacchi di formazioni ribelli e incursioni di aerei anglo-americani. 
    Sulla Statale 229 Novara - Borgomanero - Omegna - Gravellona si ritirarono i Presidi provenienti dalla Val d'Ossola, mentre sulla Statale 32-33 quelli di Verbania - Intra - Stresa - Arona comprendenti il Btg. "Venezia Giulia", i Btg. "Castagnacci" e "Scirè", la 603a Cp. del Btg. O.P. G.N.R.-Novara e reparti sfusi della G.N.R. di Frontiera, formazioni di alcune BB.NN. e i presidi tedeschi di Polizei rimasti fedeli al comando del Cap. Stamm: complessivamente circa 4800 uomini, con una cinquantina di automezzi, una decina di carri armati e autoblindo che subivano alcune azioni di disturbo dalla 109' Brg. "Garibaldi", dal Btg. "Camasco" e bande locali, mentre scendevano verso il Verbano la "Beltrami" e la 2a "Garibaldi-Redi" seguite dalla "Valgrande", dalla "Bariselli" e dalla "Flaim" che, sconfinata in Lombardia, ripiegava verso il Varesotto diretta su Tradate. Ma la robusta colonna italo-tedesca spazzava via ogni ostacolo sulla sua marcia, tanto da costringere il comando della 1a zona partigiana ad inviare di rinforzo le Brg. "Rocco" e "Servadei" su Menia e Arona e la 6' Brg. "Nello" nella zona di Cameri, nel tentativo di impedire l'afflusso a Novara dei reparti della RSI di Galliate-Bellinzago.
    Il 24 aprile alcuni parlamentari del CLN chiesero un colloquio col Cap. De Barba a Borgomanero, per trattare, dissero: "una onorevole resa del presidio" ponendo come condizioni indiscutibili: cessione delle armi, accettazione della condizione di prigionieri di guerra, cessazione di ogni atto ostile. Si trattava della solita proposta avanzata da personaggi più o meno in mala fede, subordinati ai comandi superiori, non in grado per congenita riottosità di far rispettare accordi e condizioni col rischio reale di veder invalidati da altri i patti sottoscritti e di trovarsi, ormai disarmati materialmente e moralmente, in balia di sanguinari individui ansiosi solo di vendette e di sangue. Il Cap. De Barba volle mettere al corrente i suoi paracadutisti della proposta del CLN-Borgomanero e la risposta univoca che ricevette fu la seguente: "Comandante, voi ordinate e noi come soldati ubbidiremo; ma se voi chiedete il nostro parere noi risponderemo che non cederemo le nostre armi!".
    Tale fu la risposta che giunse come una doccia fredda al CLN locale e soltanto proponendo un compromesso, fu possibile per i membri del CLN salvare la faccia garantendo lo sgombero della strada per Novara, la salvaguardia del reparto per tutto il percorso dietro consegna soltanto dell'armamento pesante: una proposta accettabile senza ulteriori spargimenti di sangue e senza perdita alcuna di dignità.
    In caso di mancato accoglimento il CLN avrebbe fatto bombardare ancora una volta la caserma dall'aviazione anglo-americana aggiungendo il tiro di mortai pesanti sull'edificio....
    L'ultimatum del CLN venne seguito da alcuni movimenti di formazioni partigiane fra cui la Brg. 118a "Servadei", la 124a "Prinetti", la 84a "Mustacchi" con la 6a "Nello" di riserva: complessivamente 1080 ribelli di cui 430 per il primo attacco e il resto come riserva e controllo territoriale, anche se a Borgomanero non venne, combattuta alcuna battaglia poichè il presidio si ritirò regolarmente a bordo di automezzi inviati dal comando di battaglione, raggiungendo Novara senza ulteriori problemi nella giornata del 25.
    Lo stesso giorno del rientro dei presidi della Valsesia, era stato ucciso a Novara il Serg. Giuseppe Ventura mentre in motocarrozzetta assieme al fratello Serg. Magg. Savino stava recandosi alla Banca d'Italia per prelevare i fondi di battaglione. Fatti segno a raffiche di mitra, rimaneva gravemente ferito Giuseppe, che trasportato morente all'infermeria della "Passalacqua", moriva subito dopo l'arrivo in caserma fra le braccia del fratello Savino....
    La situazione diveniva di ora in ora sempre più difficile, caotica per mancanza di collegamenti e notizie attendibili, mentre aumentavano le segnalazioni di attacchi avvertiti un pò dovunque, con notizie preoccupanti per l'avanzata degli anglo-americani nella valle del Po. La conclusione di tutte queste vicende fu l'impostazione in loco di un piano difensivo autonomo, a protezione del capoluogo, per affidare ad un unico responsabile il comando della città, e creare un fulcro di aggregazione e riferimento per i vari reparti che affluivano dalla Provincia.
    Il Comandante provinciale G.N.R. Col. Mariotti, affidò al "Mazzarini" il compito di appoggiare e proteggere l'avvicinamento dei reparti italo-tedeschi provenienti dalla Statale 32 del Verbano e di controllare le località viciniori di Trecate e Galliate nell'ipotesi, non improbabile, di dover proseguire successivamente la marcia verso Milano delle FF.AA. repubblicane del Vercellese-Novarese, dirette verso la Valtellina.
    Ma subito il piccolo distaccamento di Trecate venne attaccato da forze preponderanti e costretto alla resa. Moriva il S. Ten. Roberto Bianchi, catturato assieme ad alcuni paracadutisti nei pressi della località, e fucilato il 27 aprile con i suoi 18 uomini, i cui nomi rimasero ignoti. Lo stesso giorno, durante alcuni scontri a difesa di Vercelli, morivano il Serg. Magg. Ballabio e il paracadutista Franco Albertini. Il primo non aveva fatto in tempo a raggiungere Novara con le munizioni che aveva prelevato; il secondo, ferito a Romagnano Sesia nel combattimento del 16 marzo e ricoverato all'Ospedale Militare di Vercelli, era stato brutalmente scacciato dal nosocomio da gruppi di partigiani che avevano invaso l'ospedale, gettato senza ritegno alcuno con gli altri degenti feriti sul greto del torrente Roggia antistante e lì ucciso Spietatamente con gli altri militari feriti....
    Il 29 aprile giungeva a Novara la notizia della morte di Mussolini a sconvolgere ancor più il morale dei difensori, mentre il CLN raddoppiava gli sforzi per giungere alla resa, approfittando dello stato di depressione morale dei soldati della RSI e di mancanza di ordini.
    Fu necessario ancora una volta superare fieramente ogni avversità ed agire di conseguenza. Consistenti reparti della RSI si trincerarono a Castellazzo Novarese resistendo tutto il 29 aprile, allorchè conclusero un accordo di resa col CLN: si trattava di circa 1700 militari dei Btg. G.N.R. "Pontida" e "Granatieri", dei Btg. Complementi delle Div. "Italia" e "Monterosa", di militari della "Muti" e della B.N. "Cristina" assieme a familiari che avevano seguito la ritirata (circa 500 civili). Il CLN/CVL completava il giorno 30 l'accerchiamento di Novara bloccando le Statali 229, 32, 11, 211, 341, intimando la resa del Presidio della città, che aveva in parte alleggerito il suo contingente dopo la partenza delle autorità civili e di alcuni reparti militari diretti verso Legnano, Saronno, Corno. Rimaneva ancora libera per un certo tempo l'autostrada Torino-Milano, anche se il tentativo di una colonna tedesca di superare lo sbarramento falliva col rientro in città del reparto. Ma falliva ugualmente, in campo opposto, il tentativo di esponenti del CLN di ottenere la resa del "Mazzarini": proposta che veniva respinta dal Cap. Bovone mentre andava invece in porto un accordo fra CLN e tedeschi, curato da esponenti antifascisti con il Col. Hann, Comandante del presidio tedesco, assistito e confortato nelle sue decisioni dal Col. Buck del 15° Rgt. Polizei, affluito nel frattempo a Novara dal Vercellese con una colonna mista italo-tedesca. Alcuni comandanti tedeschi rifiutarono però ogni tentativo di accordi con i partigiani, decisi ad arrendersi agli angloamericani ormai dilaganti nella pianura padana, e si dichiararono solidali con i comandanti italiani offrendo collaborazione, garanzie morali, personali e operative.
    Una più numerosa e agguerrita colonna tedesca riusciva il giorno 30 aprile a superare a Santhià lo sbarramento partigiano sull'autostrada (12a e 182a "Garibaldi"), deviava per Rho, si batteva a Legnano sgomberando la strada dai partigiani ed ottenuto un accordo col CLN locale proseguiva verso il confine svizzero. Contemporaneamente il grosso delle formazioni garibaldine del Novarese (circa 5000 comunisti) al comando di Moscatelli, evitava Vercelli e Novara ancora presidiate dalle truppe della RSI e puntava su Milano via Busto Arsizio, sguarnendo in tal modo l'assedio a Novara nell'intento di raggiungere un risultato eclatante da un punto di vista politico anche se demagogico sotto il profilo operativo.
    Ne approfittavano i reparti italo-tedeschi provenienti dalla Val d'Ossola, che si spingevano verso Novara in cui si era instaurata una situazione di stallo col presidio tedesco (circa 3000 militari con mezzi corazzati) rimasto neutrale, ed oltre un migliaio di militari della RSI. La "non belligeranza" dei tedeschi, così come contemplata dal piano "Sunrise" siglato a Caserta dai rappresentanti tedeschi del Gruppo d'Armate C e gli anglo-americani del 15° Gruppo d'Armate, stabiliva di non attaccare le formazioni del CLN se non per difesa: un vero e proprio tradimento per la RSI, di cui Mussolini era venuto a conoscenza a Milano mentre si trovava nell'Arcivescovado a colloquio con i responsabili del CLNAI, con la conseguenza che i reparti della RSI non avrebbero potuto più contare sull'appoggio delle FF.AA. germaniche anche se per semplice difesa. Le minacce di morte formulate dal CLN novarese, in cui militava l'attuale Presidente della Repubblica, in caso di rifiuto della resa, aggravavano psicologicamente la già difficile situazione, considerando che talune minacce, come il bombardamento delle caserme novaresi, aveva già avuto il giorno 27 un primo avvertimento con un attacco dimostrativo di caccia-bombardieri che mitragliavano le Caserme "Passalacqua" e "Cavalli" nonostante il vivace tiro difensivo delle armi automatiche. Pochi i danni e soltanto un piccolo incendio prontamente domato. Lo stesso giorno, singolarmente, il comando Platz-Kommandantur Novara (MK 1021) iniziava trattative col CLN suscitando fermento e contestazione fra i reparti italo-tedeschi dissenzienti che disponevano ancora di 14 mezzi corazzati e 6 autoblindo.
    Il 29 aprile il Cap. Bovone parlò ai suoi paracadutisti invitandoli a reagire allo stato di prostrazione causato dalla morte del Duce e dalla precaria situazione: li incitò a continuare a fare il loro dovere, a mantenere la calma, a superare con virile fermezza ogni avversità, presente e futura.
    Nel frattempo la marcia della colonna italo-tedesca proveniente dal Verbáno sulla Statale 32 proseguiva lentamente ma sicuramente, contrastando con le armi la 109a "Garibaldi" e il Btg. "Camasco" e, spazzando via ogni ostacolo, concludeva il giorno 30 la sua marcia con l'arrivo a Novara dei circa 2500 militari italiani e tedeschi che la componevano. Il Btg. "Venezia Giulia" si riuniva al "Mazzarini" nella Caserma "Passalacqua". Lo stesso giorno comunicati radio e migliaia di manifestini lanciati da aerei, rendevano nota la cessazione delle ostilità da parte delle FF.AA. della RSI con l'avvenuta resa al 4° Corpus USA (Gen. Tritemimere) del Gruppo d'Armate "Liguria" del maresciallo Graziani. La garanzia del nemico che i soldati repubblicani sarebbero stati considerati a tutti gli effetti giuridici prigionieri di guerra, dava un maggiore senso di sicurezza a tutti i combattenti della RSI ormai decisi a consegnarsi come prigionieri solo agli anglo-americani.
    Si trattava di resistere ancora pochi giorni rifiutando ogni ulteriore possibilità di resa al CLN, che non avrebbe mai potuto garantire in maniera affidabile e accettabile la sicurezza di coloro che si consegnavano disarmati nelle mani dei partigiani.
    In quei drammatici frangenti veniva impartito l'ordine di bruciare e distruggere tutti i documenti del reparto, eseguito dal S. Ten. De Nardo con l'aiuto di alcuni uomini.
    Stessa sorte toccò alla Bandiera del Battaglione, bruciata fra la più grande commozione e con l'onore delle armi. Nel pomeriggio del 1° maggio giungevano a Novara le avanguardie della 34a Div. Fanteria USA "Red bull" che prendevano contatto dapprima col comando Presidio, stabilendo con il Col. Hann prima e poi con il Col. Mariotti, le modalità di resa così come concordato a Castiglione delle Stiviere dal Gen. Pemzell Capo di SM della "Liguria". I soldati repubblicani venivano considerati "prigionieri sulla parola", una clausola che lasciava ai militari della RSI l'armamento leggero e la possibilità di difendersi se attaccati da parte di "gruppi ostili (leggasi partigiani): uno smacco cocente per il CLN anche se le formazioni partigiane "si schierarono fra Romagnano e Carpignano-Biandrate, per bloccare eventuali infiltrazioni di reparti "fascisti" segnalati fra Salussola e Cavaglià; una remota eventualità considerando oggettivamente che i suddetti reparti si erano posti sulla difensiva a Buronzo decisi a consegnarsi soltanto agli anglo-americani.
    Ancora il 2 maggio, a dimostrare la vulnerabilità dello schieramento messo in atto dal CLN, il 2° Btg. paracadutisti "Nembo" proveniente dalla Val d'Aosta, penetrò indisturbato in Val Sesia giungendo sino a Gattinara, ripiegando poi a Rovesenda e in quella zona consegnandosi agli americani della 34a Divisione.
    Il l° maggio alle ore 22, avvenne la consegna delle armi nelle caserme novaresi con un protocollo formale e corretto come si addice a militari, con dignità e disciplina, alla presenza dei rappresentanti delle FF.AA. statunitensi: nella circostanza, il Cap. Pio Carlo Bovone dichiarò disciolto fra la commozione dei presenti il l° Btg. paracadutisti della G.N.R. "Antonio Mazzarini". Lo stesso giorno moriva a Novara il paracadutista Walter Contardi, assassinato a tradimento dai partigiani, e il 3 maggio venivano messi a morte a Vercelli i paracadutisti Luigi Bracco, Ivo Gei e Teodoro Gignone, ultimi Caduti del battaglione.
    Il 2 maggio i militari della RSI della zona di Vercelli e Novara venivano avviati con autocolonne nei campi di prigionia della Toscana.
    Si concludeva tristemente, fra i reticolati di un campo di concentramento alleato, la storia del "Mazzarini": il battaglione paracadutisti della G.N.R.