Le vicissitudini attraverso le quali sono passati i
nostri piccoli sommergibili della squadriglia C.B. dislocata in Mar Nero
meritano di essere narrate, anche perché le fonti ufficiali della
Marina hanno preferito ignorarle. Alla data dell’armistizio, la
squadriglia, dislocata in Crimea, nelle basi avanzate di Sebastopoli e
Yalta, ricevette da Marinarmi l’ordine di autoaffondare i mezzi, mentre
gli equipaggi avrebbero dovuto consegnarsi ai Germanici, che si
impegnavano a rimpatriarli. Ma ufficiali e marinai non se la sentirono
proprio di abbandonare gli alleati a fianco dei quali avevano affrontato
tempeste, agguati e reazioni navali ed aeree sovietiche: l’ordine non
venne eseguito, e l’attività bellica della squadriglia proseguì con il
solito ritmo.
Il giorno 12 settembre pervenne, da Betasom, la base
sommergibili italiana a Bordeaux, un messaggio che annunciava
l’intenzione della Medaglia d’Oro Enzo Grossi, comandante della stessa,
di continuare a battersi a fianco dei Germanici, e la sua assunzione al
comando della squadriglia C.B., che veniva invitata ad issare la
bandiera della R.S.I. Il comandante della squadriglia, capitano di
fregata Torri, indisse una assemblea di ufficiali e marinai, ed espose
la situazione; si decise la continuazione della guerra a fianco della
Kriegsmarine e la ripresa delle azioni belliche momentaneamente sospese.
Così avvenne, ed il 17 settembre il C.B. 1 affondava, nelle acque della
Crimea, un posamine tipo Ska sovietico.
Fu inviata l’adesione alla R.S.I. ed issata sulle
unità la bandiera repubblicana. Nella base principale di Costanza,
invece, marinai e tecnici vennero influenzati dall’addetto navale
badogliano, e si pronunciavano in favore del Re; si apriva così una
frattura fra i marinai italiani, isolati ed in balìa sia dei Germanici
che dei Romeni, Romeni che cercavano già, intrallazzando con gli
Alleati, la possibilità di uscire dalla guerra. Ciononostante, i
sommergibili continuarono le loro azioni nei mesi di settembre ed
ottobre; ai primi di novembre i cinque C.B. raggiunsero Costanza per i
normali lavori di manutenzione, ed a questo punto entriamo in pieno
romanzo (consigliamo chi voglia saperne di più di consultare il libro di
Nino Arena, «Bandiera di Combattimento», in quanto ragioni di spazio ci
impongono di sorvolare su tantissimi particolari, interessanti
veramente). Gli ufficiali Italiani di Costanza, sostenuti
dall’ambasciatore regio, avevano venduto, di loro iniziativa, i C.B. ai
Romeni, ed i Romeni vollero prenderseli. C’era però da fare i conti con i
marinai repubblicani, che non ne vollero sapere di cedere le loro
unità, ed allora i Romeni decisero di sorprendere nel sonno gli
Italiani, arrestarli ed internarli. Il piano fu attuato il 30 novembre,
ed il l° dicembre veniva ammainata la bandiera repubblicana ed issata
quella romena.
L’intervento del Console della R.S.I. (si noti che a
Costanza si trovavano ambedue i Consoli, quello regio e quello
repubblicano), e più tardi quello personale del Duce, fecero sì che il
maresciallo Antonescu decidesse per la restituzione delle unità, la
liberazione dei marinai internati, il ripristino della base navale a
Eforia, senza più ufficiali badogliani.
Nella primavera del 1944, il C.B. 2 affondò un
sommergibile sovietico in agguato nella zona di Costanza; numerosissime
furono inoltre le missioni di sorveglianza costiera, agguati e
ricognizioni.
L’avanzata sovietica sul fronte meridionale e
l’assedio portato dai Sovietici a Sebastopoli, unicamente all’andamento
sfavorevole della guerra sugli altri fronti, indussero Re Michele di
Romania a destituire il generale Antonescu, fidato sostenitore dell’Asse
(che finirà fucilato dai Sovietici ai quali verrà consegnato) ed a
cercare l’armistizio con i Russi; le unità germaniche, sia terrestri che
navali, furono attaccate dai Romeni, e costrette alla ritirata,
abbandonando la Romania.
Anche le navi italiane vennero coinvolte nello
sgombero, e ripiegarono su Costanza; ma anche in questo porto la
situazione era piuttosto preoccupante, tanto che i Germanici, il 25
agosto 1944, iniziarono ad autoaffondare le proprie navi, al largo del
porto, e lo stesso fecero gli Italiani, con il C. B. 1, 2, 3, e 4,
mentre il C.B. 6 sorvegliava l’accesso del porto di Eforia.
L’avvicinarsi di alcune navi sovietiche provocò un attacco, senza esito,
della piccola unità italiana, che dopo il lancio del siluro si
autoaffondò anch’essa come le altre. 1 marinai repubblicani, a bordo di
un’autocolonna composta da otto autocarri, si mettevano in movimento,
con destinazione Italia e, dopo svariate vicissitudini, attraverso
Bulgaria, Jugoslavia, Ungheria ed Austria passavano il Brennero e
raggiungevano Vicenza il 16 settembre 1944, dopo 22 giorni di viaggio.
Questa la storia, ed i fatti come si svolsero. Ma
penso sia opportuno vedere cosa hanno detto in proposito le fonti
ufficiali italiane, cioè l’Ufficio Storico della Marina Militare, il
quale travisa la realtà ed offre una sua versione, adulterata,
disonesta, falsa.
Nel volume «Navi Militari Perdute», sia edizione 1952
che edizione 1965, si dice che i cinque C.B. «nei primi giorni del
settembre 1943, nelle basi dei Mar Nero questi sommergibili, che con
equipaggi italiani avevano operato in Mar Nero fino dal maggio 1942,
furono ceduti alla Marina Romena. Risulterebbe che, quando nell’agosto
1944 fu stipulato l’armistizio fra gli Alleati e la Romania, queste
unità siano state distrutte od affondate».
La stessa versione è data nel volume «I sommergibili
italiani» edito sempre dallo stesso u.s.m.m.; invece, nel volume
«Attività della Marina in Mar Nero e nel Lago Ladoga», sempre u.s.m.m.,
dopo un breve cenno circa la possibilità di cessione dei C.B. alla
Marina Romena, al quale si fa seguire nella pagina successiva
l’informazione che la Kriegsmarine riteneva non fosse consigliabile
detta cessione, dichiarandosi disposta a rilevare le unità, dei C.B. non
si parla più, svaniscono nel nulla.
Ci si arrampica sugli specchi per tacere una verità
che scotta, per non ammettere l’esistenza di Uomini che hanno rifiutato
il tradimento, e che, pur sapendo di combattere per una Causa perduta,
hanno voluto restare al loro posto. Ci si comporta come se questo fatto
fosse una vergogna, e ci si vanta di aver portato a Malta una Marina
invitta, consegnandola ai vincitori in luogo di autoaffondare, come
reclamava l’onore marinaro, le navi piuttosto che ammainare la bandiera!
Fonte: tratto da Nuovo Fronte, n. 129 Gennaio 1993