martedì 25 febbraio 2020

Corso intensivo sul politicamente corretto

Corso intensivo sul politicamente corretto


Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato.
Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti.
E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.
Il politically correct è una forma di riduzionismo ideologico che produce le seguenti fratture: a) riduce la storia, l’arte, il pensiero e la letteratura al presente, nel senso che tutto quel che è avvenuto va letto, riscritto e giudicato alla luce del presente, in base ai canoni corretti e ai generi; b) riduce la realtà al moralismo, nel senso che rifiuta le cose come sono e le riscrive come dovrebbero essere in base al suo codice etico e gender; c) riduce la rivoluzione vanamente sognata nel Novecento e nel ’68 alla mutazione lessicale, nel senso che non potendo cambiare la realtà delle cose e l’imperfezione del mondo si cambiano le parole per indicarle, adottando un linguaggio ipocrita e rococò; d) riduce le differenze ideologiche a una superideologia globale o pensiero unico, che se si nega come tale.
Alle quattro riduzioni di cui sopra, il politically correct aggiunge una serie di sostituzioni: 1) sostituisce il sentire comune, l’interesse popolare, il legame famigliare e comunitario con la priorità assegnata ad alcune diversità e minoranze, ritenute discriminate o emarginate. E adotta uno schema vittimistico: non sono i grandi, gli eroi, i geni a meritare onori, strade, elogi unanimi ma le vittime (retaggio cristiano, notava René Girard). 2) sostituisce la preferenza per ciò che è nostrano – la nostra identità, le nostre tradizioni, il nostro modo di vedere, la nostra civiltà e religione, i nostri legami e le nostre appartenenze – con la preferenza per tutto ciò che è remoto – le culture e i costumi altrui, i migranti, i mondi lontani, le ragioni di chi viene da fuori (quella che Roger Scruton chiamava oicofobia); 3) sostituisce l’antica dicotomia tra il compatriota e lo straniero, o quella politico-militare tra l’amico e il nemico con la dicotomia tra il Bene e il Male, per cui chi non è allineato al canone non è uno che la pensa differentemente né un avversario da combattere ma è il male assoluto da sradicare e annientare. Col nemico si può arrivare a patti, lo puoi sconfiggere e sottomettere; il Male no, va cancellato e dannato nella memoria. 4) sostituisce l’oppositore, il dissidente, l’antagonista col razzista, nemico dell’umanità, del progresso e della ragione. E gli riserva un trattamento a metà strada fra la patologia e la criminologia, accusandolo di fobie: è omofobo, sessuofobo, islamofobo, xenofobo, e via dicendo. Di conseguenza non c’è contesa con lui, ma lo si isola tramite cordone sanitario, lo si affida alla profilassi medica e prevenzione nelle scuole, università, media; o quando il caso è conclamato, lo si affida ai tribunali e alla condanna. Il pregiudizio ideologico riduce i dissidenti al rango di pregiudicati, ovvero di condannati dalla storia, dal progresso, dalla ragione. Non conflitti ma bombe umanitarie, operazioni di polizia culturale o internazionale.
Per il politically correct la realtà, la natura, la famiglia, la civiltà finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo in assenza di religione. Ecco, in breve il politically correct.
Postilla finale dedicata a come si reagisce. Chi rifiuta l’imposizione del politicamente corretto e reagisce con l’insulto contro i suoi totem e i tabù, entra a pieno titolo nel suo gioco e ne conferma l’assunto e l’assetto: visto che avevamo ragione a dire che il razzismo, l’odio, l’intolleranza albergano nei nostri nemici? È una forma stupida e istintiva di risposta che rafforza il politically correct. Non migliore sul piano dell’efficacia è la risposta opposta, mimetica, di chi sta al gioco, asseconda, tace o compiace, rispondendo con ipocrisia all’ipocrisia parruccona del politicamente corretto. Anche in questo caso si resta sul suo terreno, si fa il suo gioco, si mira a una sopravvivenza immediata e individuale pregiudicando in prospettiva una visione alternativa più ampia.
Spesso ci si limita a opporre all’ideologia la realtà, alla sua narrazione la vita pratica. Invece, partendo da quella, si dovrebbe tentare lo sforzo opposto: smontare i loro tic, totem e tabù, usando l’arma dell’intelligenza, del paragone culturale, del senso critico e ironico. E indicando percorsi alternativi, letture diverse, altre priorità. Qui, purtroppo, l’intolleranza degli uni s’imbatte nell’insipienza degli altri, frutto di ignoranza, ignavia e indifferenza.
Se il politically correct domina, è anche perché non trova adeguate risposte. Solo imprecazioni e silenzi. La città è nelle mani degli stolti, dissero al sovrano i messi di una città in rivolta; ma i “savi” nel frangente che facevano, chiese loro il Re Carlo d’Angiò? Domandiamocelo pure noi.

MV, La Verità 16 febbraio 2020
Da
marcello veneziani
 
                                                                                                                                                       

mercoledì 19 febbraio 2020

SCHIAVI DEL POTERE FINAZIARIO


SCHIAVI DEL POTERE FINAZIARIO

image001Il progresso (?) rende sempre piú sofisticati gli strumenti a disposizione dell’uomo a volte occultando le apparenze dei risultati di operazioni che una volta erano facilmente individuabili e giudicabili.
Cosí la schiavitú che una volta era evidenziata da catene, da fruste e da marchi a fuoco, oggi è mimetizzata e occultata da una forma apparente di libertá che peró non cambia la sostanza.
I poveri sempre piú poveri ed i ricchi sempre piú ricchi.
I produttori che impongono dall’alto con il condizionamento psicologico o con le strategie produttive come dobbiamo vestire, cosa dobbiamo mangiare, cosa dobbiamo fare per divertirci.
Il lavoro sempre piú scarso, piú precario e sempre meno retribuito.
I media, nelle mani dei grandi gruppi economici nonostante siano quasi tutti in passivo,  usati allo scopo di condizionare, convincere, indirizzare la pubblica opinione per condurre il gregge nei recinti voluti.
Il potere del denaro che condiziona tutto tanto che ogni cosa, ogni sentimento, ogni persona hanno attaccato il cartellino del prezzo.
La scomparsa dei valori che per secoli hanno identificato la nostra civiltá.
Tutti questi sintomi sono la dimostrazione evidente che qualcuno, i pochi che gestiscono i grandi capitali che muovono il mondo, sono, direttamente o indirettamente, i nuovi padroni dell’umanitá che è stata ridotta in schiavitú, la schiavitú della finanza, la schiavitú dell’oro sul sangue ..!!
I grandi capitalisti, poche decine di persone che hanno il controllo del denaro in tutto il mondo, si sono impadroniti del potere politico sovvertendo la regola della politica che controlla la finanza e stabilendo quella nuova in cui è la finanza a controllare la politica.
Le vite di miliardi di persone in tutto il mondo sono controllate, regolate e condizionate dalle decisioni strategiche del denaro che, di fatto, le obbliga ad obbedire ciecamente alle proprie decisioni che mirano unicamente al profitto senza tenere in alcun conto quelli che sarebbero i loro interessi personali, sociali ed umani.
Ed il tutto in modo talmente subdolo, nascosto e intelligentemente infame da non dare la sensazione di quanto sta effettivamente accadendo, ma lasciando a ciascuno l’illusione che le decisioni ed i comportamenti siano liberi e spontanei.
Forse questo percorso perverso era inevitabile da quando, nel 1945, la guerra dell’oro contro il sangue è stata vinta dall’oro e forse l’attuale situazione non è altro che la logica, ineluttabile conseguenza di quella sconfitta, ma noi vogliamo denunciare questa schiavitú sperando che il seme gettato possa germogliare e spingere i popoli ad una ribellione per la riconquista della propria libertá e della propria dignitá per tornare ad essere uomini e non piú schiavi ..!!
 Alessandro Mezzano


mercoledì 12 febbraio 2020

IL TEMPO DICE LA VERITA'-- L'altra memoria: l’accordo Haavata


 STORIA 2020 

L'altra memoria: l’accordo Haavata (Haavara Abkommen)

a cura di Caile Vipinas
Già, l'altra memoria! Quella relegata nel dimenticatoio della Storia per celare un evento che rivoluziona totalmente la vulgata sulla nascita del cd. Stato di Israele in Palestina. Chi fu il promotore di tale operazione negli anni Trenta del secolo scorso, le cui catastrofiche conseguenze, a livello umanitario e geopolitico, si ripercuotono in maniera drammatica, oggi più che mai, sui popoli del Vicino Oriente e su quello palestinese in particolare?
 
Ne ha trattato ampiamente in un articolo sulla rivista storica americana The Barnes Review (vol. XI, n. 6, novembre/dicembre 2005) il prof. Guido Raimund, probabile pseudonimo del poeta e scrittore revisionista austriaco Gerd Honsik, scomparso nel 2018, e a lungo perseguitato e incarcerato dalla polizia del pensiero unico.
 
Di lui ha recentemente tracciato un bel ricordo Andrea Carancini (In morte di Gerd Honsik in https://www.andreacarancini.it/2018/04/morte-gerd-honsik/ ).
L'articolo di Raimund/Honsik (Founding Father of Israel?) fu poi pubblicato, con traduzione italiana di Alfio Faro (che qui riportiamo integralmente), su Rinascita, Quotidiano di Sinistra Nazionale, l'11 giugno 2006, a pag. 15.
* * *
FOUNDING FATHER OF ISRAEL?
 
By Prof. Guido Raimund. The unknown founding father of the state of Israel is none other than Adolf Hitler. Under a pact called the Haavara Agreement (haavara meaning “moving one’s household”), the top Nazis collaborated with the Zionists in a plan to resettle Jewish people from the German lands to Palestine, where they would ultimately form the nucleus of modern Israel. So in fact, the “Final Solution” was not a plan to exterminate the Jews in Germany, but to resettle them peacefully in a new locale
 
Il 7 agosto 1933 Adolf Hitler concluse un accordo con i rappresentanti dell'Agenzia Ebraica Mondiale. Il Patto fu chiamato "Accordo Haavara". Haavara in ebraico significa "Casa Mobile". Hitler considerava l'accordo della massima priorità per la sua amministrazione. Nel novembre 1933 era in piena attuazione e continuò fino ad almeno il 1942. Siccome ben pochi Ebrei volevano emigrare in Palestina, furono fatti sforzi notevoli per aprire le porte di altri Paesi, ma ciò era difficile: le Nazioni ricche non volevano emigranti ebrei, e quelle povere non erano attraenti.
 
Nell'estate del 1938 un Comitato Interstatale per i Rifugiati fu istituito con l'avvocato americano George Rublee come direttore. Nel gennaio 1939 (dopo la "Notte dei Cristalli"), Rublee e il governo tedesco siglarono un accordo in base al quale tutti gli Ebrei tedeschi potevano emigrare verso il Paese di loro scelta. Rublee stesso in seguito definì l'accordo "sensazionale", e lo era veramente. Per cui Hitler fu il padre fondatore dello Stato di Israele.
L'Accordo Haavara prova che Hitler collaborò con il Mossad per facilitare l'emigrazione degli Ebrei tedeschi in Palestina con tutti i loro averi, benché questo programma comportasse notevoli sacrifici per la Germania. Fu iniziato nel 1933 e portato avanti nel corso di otto anni.
Agli Ebrei poveri Hitler anticipò la somma di lire sterline 1000 a persona, che occorrevano loro per essere ammessi dalle autorità britanniche come emigranti in Palestina. Questo non era un aggravio per le autorità che lavoravano per la fondazione di uno Stato ebraico. Tuttavia i comuni cittadini tedeschi che avessero voluto lasciare il Paese non godevano di tale sostegno (Vom Boykott zur Entjudung di Avraham Barkai, storico israeliano). Si può quindi assumere che Hitler era l'unico statista al mondo che sosteneva efficacemente la creazione di uno Stato ebraico in Palestina nel corso di parecchi anni. I mezzi economici e organizzativi della Germania erano impegnati a portare avanti questa politica.
L'accordo Haavara è peraltro menzionato nella letteratura sulla Palestina sotto Mandato britannico, ma in modo da nascondere la sua importanza più che rivelarla. L'accordo fu raggiunto fra Hitler e il Mossad, il Governo-ombra della Palestina. Il suo obiettivo era l'emigrazione degli Ebrei in Palestina ed il trasferimento dei loro beni al loro nuovo Paese. Due banche ebraiche in Germania furono incaricate del trasferimento in base all'accordo.
Gli emigranti non-ebrei non ottennero alcunché del genere. Al contrario, dovevano pagare la cosiddetta ''tassa di fuga", che fu stabilita per scoraggiare il trasferimento di mezzi di produzione in altri paesi e rendere alla gente l'emigrazione in genere poco allettante.
Ma agli Ebrei tedeschi fu inoltre data l'opportunità di visitare la Palestina come turisti per saggiarne le risorse ed essere indotti a stabilirvisi. Il Governo di Hitler diede loro la necessaria valuta, cosa non concessa agli altri Tedeschi (Fonte: Werner Feichenfeld, Leo Beck Institute, 48-49).
Gli Ebrei tedeschi che arrivavano in Palestina potevano scegliere se ricevere l'equivalente dei loro beni in contanti o in immobili, affari o terreni coltivabili. Gli effetti di questa politica produssero quanto segue:
L'accordo Haavara rendeva possibile ad ogni Ebreo tedesco emigrare in Palestina durante gli anni dal 1933 al 1941 e trasferirvi tutti i suoi averi (inclusi macchinari e mezzi di produzione).
L'arrivo di emigranti dalla Germania cambiò l'infrastruttura economica del Paese (Palestina) e contribuì in modo decisivo al suo sviluppo. Come risultato la produzione economica raddoppiò e la sua qualità raggiunse i livelli europei (Fonte: Ludwig Pinner, Leo Beck Institute, Tubingen, 1972).
EMIGRAZIONE DEGLI EBREI TEDESCHI
L'accordo Rublee stabiliva le regole per quegli Ebrei che non volessero andare in Palestina ma in altri Paesi e continenti. Prevedeva inoltre aiuto finanziario dal Terzo Reich agli Ebrei poveri. Per quelli abbienti prevedeva il trasferimento dei loro beni verso i Paesi scelti come residenza.
Tutti gli Ebrei oltre i 45 anni sarebbero stati lasciati indisturbati in Germania.
Quando l'avvocato statunitense George Rublee volle proporre questo piano al Governo tedesco fu Ernst von Weizsäcker, Segretario di Stato al Ministero degli Esteri, che si oppose ed usò la sua influenza per impedire a Rublee di mettersi in contatto con le appropriate autorità germaniche.
 
Il suo motivo fu puramente ideologico: cercò di mettere in dubbio l'autorità di Rublee chiedendogli se fosse, dopo tutto, "Ariano". Cosi von Weizsäcker si rivelò come inveterato antisemita, cercando di bloccare questo piano.
Hitler giunse infine a conoscenza di questo intrigo ma dovette intervenire due volte per superare la resistenza di questo antisemita di ferro che non voleva aver niente a che fare con "l'ebreo Rublee".
Fu, a proposito, Göring che portò la cosa a conoscenza di Hitler. Quest'ultimo intervenne con autorità e fece firmare l'accordo. Suo figlio Richard von Weizsäcker, che infine divenne Presidente della Repubblica Federale di Germania, causò altrettanta vergogna al suo Paese: lui personalmente con la sua società Boehringer, ricavò benefici finanziari dalla vendita della Dioxina, un'arma di distruzione di massa che fu esportata nel Vietnam disastrato dalla guerra. Centinaia di migliaia di persone furono uccise o ferite causa la sua avidità (Fonte: Der Spiegel).
Durante gli anni che seguirono la firma dell'Accordo, il Governo tedesco onorò fedelmente tutti i suoi obblighi stabiliti nel patto (Rolf Vogel, Ein Stempel hat gefehlt, 238).
La dichiarazione di guerra da parte della Gran Bretagna contro la Germania (che comportava il blocco della Germania) rese impossibile continuare l'impegno Rublee.
COLLABORAZIONE MOSSAD/GESTAPO/SS
La dirigenza del Mossad e quella del Terzo Reich condividevano l'obiettivo di creare lo Stato per gli Ebrei. Perfino dopo lo scoppio della guerra, il Mossad de Aliyah Bet ("Ufficio della seconda immigrazione") ancora cercò per lungo tempo di organizzare l'emigrazione degli Ebrei validi in collaborazione con il Terzo Reich e contro la volontà dei dirigenti del Mandato britannico in Palestina.
Sulla televisione austriaca (ORF), l'ex Sindaco di Gerusalemme Teddy Kollek, originario di Vienna, raccontò una volta a Helmut Zlik, ex-Sindaco di Vienna, di un'iniziativa del genere, che lo portò durante il corso della guerra, a incontrare Adolf Eichmann in via Principe Eugenio a Vienna.
I "Protocolli di Wannsee" - per decenni misinterpretati come contenenti la prova dell'esistenza di un programma per uccidere tutti gli Ebrei - in realtà contengono una cifra importante: il numero degli Ebrei che lasciarono la Germania nella cornice degli Accordi di Rublee e del Patto ''Haavara'' fu di 570.000 persone (di cui un terzo andò in Palestina).
CONCLUSIONE
La stragrande maggioranza degli Ebrei tedeschi lasciò la Germania fra il 1933 e il 1941 grazie ad una iniziativa dei Sionisti e del Mossad che collaborarono al programma con il Governo Nazionalsocialista della Germania. Essi erano liberi di partire e portare con sé tutti i loro averi: nel caso dei poveri, con l'aiuto finanziario del Terzo Reich.
Hitler forzò la resistenza contro questi accordi. Essa provenne da due direzioni: per ragioni pratiche, vi era opposizione nei circoli economici che contrastavano il trasferimento di mezzi di produzione verso la Palestina. Per motivi ideologici la resistenza proveniva da circoli antisemiti e persone come Ernst von Weizsäcker.
Nei fatti, l'immigrazione degli Ebrei dalla Germania e il trasferimento dei loro beni, incoraggiato da Hitler, permise agli Ebrei in Palestina di creare il loro proprio Stato.
Se questi fatti e conclusioni fossero conosciuti da un largo pubblico, i detrattori di Hitler, così come i suoi segreti estimatori, comincerebbero a riconsiderare le loro attuali opinioni. A molti di essi un mondo rovinerebbe addosso. Ma in conseguenza della seconda guerra mondiale, tutti i testimoni della collaborazione fra il Mossad e i Nazionalsocialisti furono accusati di genocidio. A seguito di processi condotti con traballanti argomenti (Norimberga, il processo Eichmann), furono uccisi o ridotti al silenzio dalla persecuzione mondiale. Dieci di essi morirono uno dopo l'altro in Sudamerica causa misteriosi infarti (Fonte: Wiesenthal: "Recht, nicht Rache").
Il Patto "Haavara" è la prova di otto anni di sforzi di Hitler contro la resistenza dall'interno e dall'esterno intesi a creare lo Stato ebraico. Questo articolo si basa su un libro della storica tedesca Ingrid Weckert, Auswanderung der Juden aus dem Dritten Reich (Emigrazione degli Ebrei dal Terzo Reich) pubblicato da Vrij Historisch Onderzoeck, e sulle ventiquattro fonti già menzionate. La signora Weckert non è responsabile per le conclusioni da me qui dedotte.
NOTA FINALE
Di notevole interesse furono il padre del futuro Presidente statunitense, e il padre del futuro Presidente tedesco, che quasi silurarono questo Accordo: Joseph Kennedy, Ambasciatore statunitense in Gran Bretagna, ed Ernst von Weizsäcker, Segretario di Stato del Ministero degli Esteri tedesco e padre dell'attuale Presidente della R. F. di Germania.

Hitler intervenne personalmente nel processo negoziale e salvò l'accordo inviando il Presidente·della Reichsbank Hjalmar Schacht a Londra per negoziare con Rublee.

26/01/2020 DA ITALIA SOCIALE

                                                                                                                                          

venerdì 7 febbraio 2020

I COMUNISTI ED IL TRENO DELLA VERGOGNA.

I COMUNISTI BOLOGNESI ED IL TRENO DELLA VERGOGNA.

                                 FOIBE

 

Nel giorno dopo la mancata Liberazione dell' Emilia Romagna dal comunismo, è doveroso ricordare l' accoglienza dei rossi bolognesi al treno che trasportava i Profughi Istriani. Il treno venne preso a sassate da dei giovani che sventolavano la bandiera rossa con falce e martello, altri lanciarono pomodori e sputarono sui loro connazionali, mentre taluni buttarono addirittura il latte, destinato ai bambini in grave stato di disidratazione, sulle rotaie, dopo aver buttato le vettovaglie nella spazzatura.
 
 


                                                                                                                                         

sabato 1 febbraio 2020

Sequestro di Nazione – Enrico Marino




Sequestro di Nazione – Enrico Marino

 



Nell’ultima settimana di gennaio circa 800 immigrati clandestini sono arrivati in Italia e ora, finalmente (!), anche gli ultimi 407 a bordo della nave Ocean Viking e gli altri sulla Alan Kurdi potranno sbarcare. Le elezioni regionali del 26 gennaio sono passate, il PD ha tenuto in Emilia Romagna e allora il governo, che aveva tenuto in mare le navi delle ONG, si appresta a riaprire i porti all’immigrazione.
Sarà la prima delle tante porcherie che la sinistra aveva posticipato all’esito di quelle consultazioni per procedere all’avvio di un percorso di sovvertimento definitivo della nostra comunità nazionale.
L’intero programma comprende l’abrogazione dei decreti sicurezza, la ripartenza dell’invasione, la reintroduzione delle famigerate “protezioni umanitarie”, il rifinanziamento delle cooperative, l’aumento delle spese per l’accoglienza e l’introduzione dello ius soli. All’orizzonte poi ci sono il Global Compact, adottato a Marrakech per avanzare la governance globale a spese del diritto sovrano degli Stati, a cui l’Italia non ha ancora aderito e, soprattutto, il MES cioè il nefasto accordo sulle banche accettato da Conte e avallato dal ministro Gualtieri senza una preventiva autorizzazione del Parlamento.
Il governo PD-M5S aveva espressamente rinviato tutti questi argomenti al dopo elezioni, così come aveva tentato di rinviare l’autorizzazione a procedere contro Salvini, per non sottoporre il proprio operato al giudizio degli elettori.
Passata la grande paura, ora si può ricominciare a fare il lavoro sporco.
Infatti, siamo al cospetto di una compagine ipocrita e vigliacca che adopera ogni mezzo per sottrarsi a una dichiarazione di sfiducia del popolo e tenta addirittura di raggirarlo con espedienti miserabili e grotteschi.
Siamo, soprattutto, al cospetto di un potere totalitario, spacciato per democrazia, ma gestito da una consorteria autoreferente di funzionari statali, alti burocrati, magistrati e politici, i cui interessi alla perpetuazione dello status quo si intrecciano con una proterva ideologia dell’esclusione dell’avversario, della sua interdizione da ogni posizione di comando e della sua demonizzazione assoluta.
L’ultima trovata di questa macchina totalitaria è stato il movimento delle così dette “sardine” che, dietro una facciata di mielosa, stucchevole e ripugnante bonomia, alimenta la contrapposizione e l’odio per chi non condivide le sue posizioni. E’ solo l’ultimo arrivato in un ampio fronte che vede schierati tutti poteri forti della Repubblica: dalla Presidenza alla Corte Costituzionale, dalla Magistratura ai boiardi di Stato, dalla televisione alla stampa, dagli intellettuali mainstream al mondo dello spettacolo e ai sindacati, senza dimenticare la Chiesa di Bergoglio e dei preti amanti degli immigrati, cioè il lato B dell’accoglienza.
E’ un fronte che non accetta né immissioni di estranei, né circolazione delle classi dirigenti, né il minimo cedimento dei suoi assetti consolidati. I suoi metodi e i suoi scopi sono finalizzati alla pura conservazione del potere, allo scambio di favori tra poteri, all’associazione di scopo finalizzata al reciproco sostegno. E’ un fronte che si
autoqualifica come espressione di gentilezza, mitezza, speranza e promozione di diritti umani, ma che in realtà persegue un progetto fondato su una aberrante teoria del caos e come sfondo ha il progetto della unificazione europea con la liquidazione degli Stati Nazionali e di ogni identità storica e culturale, per realizzare l’autentica meta della sovversione, che è l’edificazione di una società edonistica, anarchica e autogestionaria, schiava dei desideri e del consumismo e succube nelle coscienze.
La meta è la società del nichilismo e del relativismo, nella quale tutto è lecito e permesso ai singoli a patto che non si mettano in discussione i feticci sui quali si regge l’impalcatura antidemocratica e antipopolare del sistema: l’antifascismo, la lotta ai presunti antisemitismo e razzismo, le nuove forme contro natura di famiglia e di relazioni individuali, la legalizzazione delle droghe e il meticciamento della stirpe.
Per questo, va detto fermamente che anche in ogni futura tornata elettorale non sono tanto in gioco il destino e l’amministrazione e gli equilibri politici ed economici di alcune regioni italiane ma, soprattutto, i futuri assetti sociali del Paese.
Per questo, ambiremmo a un fronte di irriducibili che vedesse contrapposti, con fermezza e determinazione, raccolti attorno alla riaffermazione di alcuni temi non negoziabili, tutti coloro che si considerano divergenti rispetto alle visioni di un arido neo liberismo e di una sinistra radicale, appiattita sull’esaltazione dei più scurrili “diritti individuali” e sulla mercificazione del lavoro, così come voluta dalla finanza transnazionale e globalista. Un fronte che non indulgesse alla retorica neo atlantista e alle brutali politiche americane né cedesse ai ricatti di una memoria contraffatta, di un sionismo aggressivo e arrogante e neppure all’ossequio acritico di un totem istituzionale da toponomastica e cittadinanze onorarie.
L’avversario non ha scrupoli e non arretra davanti a nessuna azione, per quanto miserabile.
Non ha esitato, per comodità elettorale, a tenere in ostaggio in mare aperto i tanto commiserati “profughi” scampati da guerre e torture, come non ha esitato a chiedere, per chi si opponeva all’invasione, il carcere per il presunto “sequestro di persona” di alcuni immigrati per 5 giorni, su una nave della marina italiana.
Ma, nello stesso tempo, a milioni di italiani è impedito di votare, un’intera Nazione è posta sotto sequestro e, dunque, privata della possibilità di scegliersi liberamente da chi farsi governare, perché un esecutivo improvvisato e opportunista, rifiutato e disprezzato dalla maggioranza degli italiani, vuole restare pervicacemente attaccato al potere e governare anche i futuri e importanti passaggi istituzionali, sebbene una sua componente maggioritaria abbia ormai più parlamentari che elettori.
Fino a quando potrà essere tollerata questa situazione vergognosamente antipopolare che rappresenta sempre più, ogni giorno che passa, un vulnus istituzionale che ridicolizza tutta la retorica e la verbosità del dettato costituzionale?
Enrico Marino