sabato 31 agosto 2019

Migranti, dalla Nigeria schiaffo ai “buonisti”

Migranti, dalla Nigeria schiaffo ai “buonisti” del governo italiano

Da
Imolaoggi
ROMA, 20 NOV – “Il presidente del Senato della Repubblica Federale di Nigeria, Bukola
Saraki, ha descritto il traffico di esseri umani e l’immigrazione
illegale da parte di alcuni cittadini nigeriani come una minaccia alla
sicurezza nazionale che richiede risposte urgenti. Saraki parla
chiaramente di un’immagine negativa per il Paese nel mondo a causa di
questo fenomeno.
Non solo, il presidente del Senato lamenta in modo
inequivocabile che decine di migliaia di giovani nigeriani continuano a
rischiare la loro vita nel tentativo di attraversare il deserto del
Sahara e il Mar Mediterraneo con la falsa promessa di una vita migliore
in Europa. Queste parole sono uno schiaffo ai buonisti del Pd, a
Gentiloni, Renzi, Minniti, Alfano e alla sinistra italiana. E queste
parole di verita’ dimostrano come l’immigrazione illegale sia un
business favorito ormai da anni dai governi italiani sono per fare un
favore a qualche amico. Io mi trovo in Nigeria in questi giorni anche
per combattere contro la follia del Pd e contro un’immigrazione illegale
che distrugge il futuro degli italiani, degli europei e degli stessi
immigrati e che, nel mio Paese d’orgine, considerano un male e un
fenomeno da stroncare, come dimostrano le parole assolutamente
condivisibili del presidente Saraki.
I signori Gentiloni, Renzi, Minniti
e Alfano vengano in Nigeria e capiranno perfettamente quanto il loro
finto buonismo becero sia solo uno specchietto per le allodole che
nasconde un business che genera violenza e morte”. Lo afferma in un
comunicato Tony Iwobi, responsabile federale Dipartimento Sicurezza e
Immigrazione della Lega Nord. (ANSA).

                                                                                                                                              

sabato 24 agosto 2019

La merda nel ventilatore, ovvero la vera storia del Movimento 5 stelle


(Franco Marino) - Un mio collega del mondo dell'informatica (quello da cui provengo) mi ha chiesto, divertito, di parlare della truffa del Movimento 5 Stelle, di Grillo. Con ben tre faccine ridenti accanto al suo messaggio, erano evidenti i toni ironici, avendo entrambi avuto a che fare con quello che è il VERO motore del Movimento 5 Stelle, ovvero la buonanima di Casaleggio.
Infatti di tutta la storia che sta dietro al Movimento, si racconta sempre la favola e non la storia vera.
La favola la conosciamo.
Un bel giorno un comico genovese molto famoso e accreditato come voce dell'antisistema e della controinformazione si guarda allo specchio e con un ragionamento assai poco genovese si dice: "Perché devo passare il resto della mia vita a godermi i denari accumulati come comico? Voglio cambiare questa società! Facciamo un movimento".
Un comico idealista!
Così durante uno dei suoi spettacoli incontra (ma per caso eh? Tutto spontaneamente!) un guru esperto di comunicazione, Gianroberto Casaleggio il quale gli propone di aprire un blog e di curare la sua immagine virtuale.
Poiché si rendono conto che la forza comunicativa di Grillo associata a quella organizzativa di Casaleggio possono creare una gran cosa, ecco il Movimento 5 Stelle.
Fin qui siamo alla favola.
Poi c'è la realtà che è ovviamente diversa.
Il grande sistema finanziario/mediatico/politico internazionale aveva già adocchiato Grillo nei primi anni Novanta tant'è che il comico sarà, ed è accertato, uno degli invitati al convegno che si svolge nel transatlantico Britannia.
In questo incontro, i potentati della finanza internazionale, dopo aver attraverso la CIA con Tangentopoli decapitato la classe politica italiana, costringeranno i governi venturi nostrani a dare il via alle privatizzazioni industriali, ovviamente allo scopo di arricchire ancora di più chi tiene in mano il debito pubblico, ossia le grandi banche multinazionali.
Assieme a Grillo erano presenti Mario Draghi, Mario Monti, Emma Bonino, Giuliano Amato, vari esponenti della famiglia Agnelli, il presidente della Banca Warburg, Herman van der Wyck, il presidente dell’Ina, Lorenzo Pallesi, Jeremy Seddon, direttore esecutivo della Barclays de Zoete Wedd, il direttore generale della Confindustria, Innocenzo Cipolletta e decine di altri manager ed economisti internazionali, invitati dalla Regina Elisabetta in persona.
Mentana era al porto di Civitavecchia con la troupe del TG5, intervistò per qualche minuto Beppe Grillo che era sbarcato dal tender del panfilo Britannia, Grillo al microfono che l'inviata impugnava disse che a bordo del Britannia erano state discusse cose molto interessanti.
Negli anni a venire, Grillo terrà al calduccio la sua immagine proponendosi come uomo cacciato dal sistema, come uomo contro etc. e conquistandosi un largo consenso underground attraverso la solita strategia di condurre battaglie magari anche nobili in linea di principio alle quali tuttavia si danno risposte sbagliate che i poteri forti smentiranno, facendoci la figura di quelli che vengono a salvarci dalle cialtronerie di chi lotta contro il sistema.
E già si sente la morale di fondo della favola: "Il sistema sarà anche brutto così com'è, ma è l'unico possibile".
Casaleggio, invece, chi era?
Un giovane manager a quei tempi amministratore delegato di un'azienda che si chiamava Webegg ed era in orbita Telecom.
Questa azienda, a noi che ci occupiamo di informatica, era nota per tutta una serie di cose.
- Non pagava bene e non regolarmente né fornitori né dipendenti (tra cui il mio collega di cui vi parlavo in apertura)
- Era infognata di debiti e al tempo stesso manteneva un elevatissimo tenore di vita: aveva la squadra di calcio, organizzava convention straricche con personaggi dello spettacolo.
- Si caratterizzava per una comunicativa presso dipendenti e clienti che non era dissimile dalla manipolazione in stile Scientology che difatti dall'azienda si è trasferita al Movimento.
Al momento dell'addio di Casaleggio alla webegg, cacciato a pedate da Tronchetti Provera (il che spiega i quintali di livore di Grillo contro quest'ultimo nei suoi show) l'azienda si ritrova con ben 30 milioni di euro di buco di bilancio e un crollo del fatturato.
Niente male.
Non basta.
Quando noi parliamo della Casaleggio Associati, parliamo sempre di Casaleggio e commettiamo un errore.
Perché Casaleggio non era il più importante dei soci.
Il vero socio, quello potente, con i legami che contano, che fanno la differenza era Enrico Sassoon, il quale lasciò (ufficialmente) la Casaleggio Associati non appena nei blog indipendenti iniziò ad emergere la sua storia personale, tanto che chiunque sul blog di Grillo osasse chiedere chiarimenti, anche civilmente, veniva bannato. E' capitato a me e ad altri.
Questo Sassoon, c'è da dire, ha un curriculum di tutto rispetto: tre lauree, di cui una in economia alla Bocconi, è imparentato con i Rothschild, una potentissima famiglia che possiede agganci nei settori bancari e mediatici di tutto il mondo e la stessa famiglia Sassoon è una famiglia di primo ordine della finanza internazionale.
Fin qui nulla di male, non è certo un torto o una colpa avere parenti importanti.
Gli è tuttavia che il nostro non si limita ad avere un nobile lignaggio ma ha anche la straordinaria capacità, forse agevolata dal suo pedigree, di riuscire ad entrare nei posti di potere.
Dapprima l'Ufficio Studi della Pirelli, ai tempo considerato un importante salotto economico con agganci nella politica.
Ma non basta
Enrico Sassoon riesce a divenire Presidente della Camera americana del commercio in Italia, una potente lobby ove si intrecciano gli interessi di banche e multinazionali e che al suo interno vede realtà come JP Morgan, Finmeccanica, Intesa San Paolo, Standard & Poor's, SISAL, FIAT, Microsoft, Italcementi e molto altro.
Tutti questi gruppi hanno recitato la loro parte nella grave crisi che stiamo vivendo.
Naturalmente, quello di cui vi parlo è tutto documentato, nessun complottismo.
Ora.
Sappiamo che Sassoon siede al tavolo assieme a personaggi di questo tipo che sono contemporaneamente componenti dell'Aspen Institute Italia, un think tank creato dal gruppo Bilderberg di cui, finalmente, si sta iniziando a parlare, una potentissima lobby formata da tutte le elite della finanza occidentale.
Ci sono tutti. Monti, Tremonti, Draghi, Amato. E moltissimi giornalisti, tra cui ad esempio Lilli Gruber.
E' credibile che Casaleggio crei un partito antisistema quando il suo socio in affari è una figura così potente? E' credibile che Grillo non sappia che l'ingegnere della sua macchina da guerra abbia rapporti di affari così stretti con uno degli uomini più potenti della finanza internazionale?
Perché nessuno dei giornali ne ha parlato? La risposta è semplicissima.
Il Movimento 5 Stelle CONVIENE AL SISTEMA. E' FIGLIO DEL SISTEMA STESSO
La grande palla di spacciare il Movimento 5 Stelle come un qualcosa di nato spontaneamente sui meetup, ad opera di gente incazzata, piena di civismo va vista per ciò che è, una palla.
Trattasi, invece, di un progetto ben preciso, creato appositamente per impedire che il crescente malcontento all'interno dei paesi provati dalla crisi, esondasse dal controllo dell'alleanza atlantica e finisse nelle mani di altre realtà o interne al paese o promosse da altri paesi (la Russia?).
Lo stesso Grillo si lascia scappare più volte che "Se non ci fossimo noi, ci sarebbe Alba Dorata". Ha ragione lui.
Il Movimento 5 Stelle ha l'obiettivo, raccogliendo il malcontento, di scongiurare la nascita dei tanto deprecati nazionalismi, attraverso la creazione di una casa ove convergano tutti gli incazzati finiti vittime del sistema, i quali non hanno in realtà niente in comune, tranne quello di essere incazzati.
Chi continua ad appassionarsi alla querelle Raggi innocente o colpevole, è completamente fuori strada.
Come è fuori strada chi, per dare contro il Movimento 5 Stelle, si affida agli sberleffi sull'incapacità della sindaca come lo è chi, per difenderla, la definisce il baluardo contro il sistema.
Movimento 5 Stelle e PD (ma anche alcuni pezzi di centrodestra) sono perfettamente speculari l'uno all'altro.
Sono i due partiti a cui è affidato il compito di svendere l'Italia agli stranieri, da una parte con un partito che deve eseguire fisicamente il compito e dall'altra con un movimento di opposizione che, solo a chiacchiere, si oppone ma poi nella sostanza dei fatti, nelle cose davvero decisive, quelle che cambiano le sorti, esprime col voto le stesse cose del partito di governo.
Laddove il PD continua a ripianare i buchi delle banche con i soldi degli italiani (che è sicuramente una malattia grave), il Movimento 5 Stelle tuona affinché le banche vengano lasciate fallire (la cura peggiore della malattia che ammazza il paziente) con l'obiettivo di svendere le banche a basso costo ad entità straniere.
Se si volesse davvero distruggere il Movimento 5 Stelle, invece di soffermarsi sulle difficoltà di amministrare Roma di una povera crista messa lì e presentata come salvatrice della patria (quando era evidente a tutti che avrebbe incontrato grossi problemi) oppure cianciare di derive autoritarie di Grillo o di pericolo fascista, basterebbe raccontare la storia di Casaleggio e Sassoon.
Dei fallimenti del primo e degli agganci del secondo.
Solo che in quel caso, oltre a crollare il Movimento 5 Stelle, crollerebbero anche Partito Democratico, ampi pezzi di Forza Italia  insomma tutta la partitocrazia italiana che si fonda sugli agganci con tali realtà finanziarie.
E gli italiani capirebbero la truffa di cui sono vittime dal 1945    ad oggi.
Quando si dice, mettere la merda nel ventilatore

                                                                                              

domenica 18 agosto 2019

Il trattato di Osimo e lo scandalo delle pensioni

Il trattato di Osimo e lo scandalo delle pensioni

                                             
Nel cosiddetto “Territorio Libero di Trieste”, dopo la firma del trattato di pace (10 febbraio 1947) non passava giorno in cui non si verificassero incidenti tra cittadini ed Alleati, e più spesso tra patrioti italiani e comunisti slavofili. Ci furono centinaia di feriti e numerosi arresti, ed anche sei Caduti, falciati nel novembre 1953 ad opera della “Polizia civile” comandata da ufficiali inglesi.
Queste tragiche vicende fecero enorme scalpore in tutta la Penisola, dove il dramma di Trieste, della Venezia Giulia, di Fiume e della Dalmazia era seguito con grande interesse e con forte, appassionata partecipazione.

Dimostrazioni studentesche si susseguirono in tutta Italia, riscuotendo l'entusiasmo popolare. Si pubblicarono numeri unici, manifesti e volantini; si svolsero campagne giornalistiche; si tennero affollati comizi nei teatri e nelle piazze di tante città che testimoniarono il vivo amore patrio di una larga parte della popolazione. A Napoli, a Roma ed in tutta Italia, in specie del Centro-Sud, nelle manifestazioni e nei relativi cortei si innalzarono bandiere di Trieste e delle altre Città martiri oppresse dagli slavi, con cartelli e striscioni intonati al più sentito patriottismo.
Soltanto il 5 ottobre 1954 Trieste ebbe modo di ritornare all'amministrazione italiana con la firma del “memorandum d'intesa” tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Jugoslavia e Italia: una soluzione compromissoria e provvisoria.
L'accordo definitivo fu raggiunto con l'ignominioso trattato di Osimo di oltre vent’anni dopo (10 novembre1975), con il quale l'Italia rinunciò formalmente alla propria sovranità sulla Zona “B”, vale a dire sul comprensorio nord-occidentale dell’Istria; e riconobbe importanti concessioni economiche ed infrastrutturali senza contropartite, e perfino le pensioni a cittadini jugoslavi che avevano combattuto per la “liberazione”, ivi compresi gli assassini di tanti italiani.
Infatti, il trattato di Osimo conteneva varie disposizioni a favore di tutti i cittadini jugoslavi che avevano prestato il servizio militare in Italia (anche per una sola settimana): fra l’altro, prevedeva che costoro avrebbero ricevuto su domanda una pensione mensile nell’ordine di 700 mila lire, ed i relativi arretrati che potevano giungere a diverse decine di milioni, secondo la data di presentazione della domanda medesima. Molti beneficiari delle “pensioni di Osimo”, avevano partecipato ai massacri ed agli infoibamenti di civili e militari nella Venezia Giulia, a Fiume e in Dalmazia. C'è di più: l'On. Tina Anselmi, prima firmataria del provvedimento, introdusse la reversibilità al coniuge superstite nella misura del 100 per cento, diversamente da quanto accade per tutti i pensionati italiani: mentre una vedova qualsiasi percepisce una pensione di reversibilità ridotta al 60 per cento, quella di un partigiano responsabile di tanti delitti si vede riconosciuto l’intero trattamento di quiescenza del marito, anche se questi era stato un criminale di guerra. Si calcola che l'INPS abbia erogato circa 30 mila pensioni privilegiate a queste tipologie di soggetti: un paradosso scandaloso.
Un solo concreto esempio: nel Goriziano imperversava un truculento caporione che finiva le sue Vittime italiane trascinandole ferocemente al suolo legate dietro una motocicletta. La vedova, grazie al trattato di Osimo ed alla normativa Anselmi, percepisce il 100 per cento della pensione che l'Italia aveva graziosamente elargito al criminale. E’ inutile aggiungere che mentre largheggiava con gli slavi, senza alcuna distinzione di merito, lo Stato italiano fece economie inique ammassando i profughi giuliani, fiumani e dalmati in fatiscenti campi di concentramento smobilitati dagli Alleati, molti dei quali sarebbero stati in essere sino al termine degli anni sessanta.
Il trattato di Osimo diede luogo a fortissime proteste, sia a Trieste che in tutta Italia, ed a reazioni disperate dei 350 mila Esuli, che videro svanire ogni residua speranza di tornare nelle loro terre, dove avevano lasciato case, tombe, affetti. Eppure, il Parlamento italiano approvò la legge di ratifica coi soli voti contrari del MSI e di pochi dissidenti della maggioranza. Era il sigillo di un’ignominia che sarebbe ricaduta, allora e sempre, su tutto lo Stato.
Comunicazione di Angela Verdi, docente di Storia nei Licei Classici.

Il presente articolo è tratto dagli Atti del Convegno di studi storici tenutosi a Napoli il 28 gennaio 2001, sul tema “Foibe: la storia in cammino verso la verità”. Si ringrazia l'Istituto di Studi Storici Economici e Sociali (ISSES) di Napoli per aver consentito il reprint dell'intervento, con alcuni adeguamenti formali.
Documento

Tutto Storia 
                                                                                                                                      

lunedì 12 agosto 2019

INEQUIVOCABILMENTE

INEQUIVOCABILMENTE


Non sappiamo come finirà la crisi di governo appena apertasi anche se temiamo un rigurgito di “governo tecnico” ma era evidente che l’espressione algebrica formulata nell’alleanza tra un movimento giacobinista (giacobino e qualunquista) a matrice meridionalista ed un movimento reazionarista (reazionario e qualunquista) a matrice settentrionalista sarebbe giusto durato lo spazio utile alle “cose qualunque” ed avrebbe trovato invece l’incaglio sui principi di fondo. Fermo restando che non consideriamo nemmeno troppo profonde le radici ideologiche insite nei due movimenti sopracitati – ancorché figliastri del peggio della repubblica antifascista nata sulle baionette atlantiche e con l’aiuto dei sicari prezzolati filosoviet – é certo che l’Italia avrebbe bisogno di ben altro.
Per cui le prossime elezioni, che comunque ci saranno o ad autunno o al massimo in primavera, non porteranno nulla di buono agli italiani che nel frattempo verranno stritolati ancor di piu’ sul piano sociale ed economico dalla piovra eurocratica attraverso misure coercitive non opponibili da parte di mezze calzette come i Di Maio, i Di Battista, i Salvini, i Gentiloni o Zingaretti di turno.
E l’Italia resterà sempre il maggior porto d’approdo dell’infinita mare umana che – é stato deciso da chi ha in mano le leve generali da sempre salvo una parentesi di qualche decennio del secolo scorso – dal continente africano deve invadere il continente europeo
Ragioni sufficienti che ci portano a dichiarare sin da adesso la nostra prosecuzione coerente di volontà astensionistica ai ludi cartacei quale azione di lotta. Rimaniamo coerenti con la nostra impostazione di rappresentare la continuità ideale con i principi fondativi socialisti nazionali propri dell’esperienza statuale di quella Repubblica Sociale Italiana che, unica, aveva in sé i punti programmatici fondamentali per preservare la Comunità di Stirpe nel benessere sociale e nella fecondità del Lavoro.
Le uniche elezioni utili e necessarie ed urgenti dovrebbero essere solo quelle relative alla  indizione di una rinnovata Assemblea Costituente a totale rappresentanza del popolo italiano che promulghi una nuova Carta della Comunità e da lì procedere alla revisione di ogni trattato internazionale  emesso in contrasto con gli interessi nazionali e sotto ricatto di paesi terzi.
Senza recuperare l’originaria forza di comunione di sangue e suolo quello che ci prospettano gli arlecchini di turno sono solo baggianate e fumisterie, al di là di certi effetti speciali magari finanziati da terzi, e Noi in quanto Uomini Liberi, Sociali e Nazionali abbiamo altri orizzonti da perseguire ed altri modelli di virtu’ a cui volgere il pensiero.
Siamo sempre piu’ certi che lungo questo stretto sentiero troveremo sempre maggiormente altri patrioti a marciare spalla a spalla, ognuno con le proprie insegne ma nel garrire inequivocabile di una unica bandiera che porta scritto Onore e Fedeltà.

Maurizio Canosci     

                                                                                                                                               

giovedì 8 agosto 2019

LE OPERAZIONI DEI SOMMERGIBILI GIAPPONESI



LE OPERAZIONI DEI SOMMERGIBILI GIAPPONESI LUNGO LE COSTE OCCIDENTALI STATUNITENSI 1941-1942.

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  Di Alberto Rosselli.

Nella primavera del 1941, il Comando Supremo della Marina Imperiale giapponese, predispose, in caso di ostilità con gli Stati Uniti, un piano per colpire con mezzi subacquei il nemico sul suo stesso territorio nazionale. E data la grande distanza che separava il Giappone e le sue basi del Pacifico dalla costa occidentale nordamericana, gli strateghi di Tokyo decisero di utilizzare per tali missioni sommergibili di grosso tonnellaggio, dotati di grande autonomia.
Tra il 18 e il 24 dicembre 1941, nove sottomarini giapponesi da grande crociera appartenenti al tipo A e B (I-9, I-10, I-17, I-19, I-15, I-21, I-23, I-25 e I-26)raggiunsero a scaglioni le posizioni ad essi assegnate al largo della costa nemica, iniziando a navigare in prossimità di importanti obiettivi portuali, industriali e urbani1.
I comandanti delle unità nipponiche dovevano assolvere ad un duplice compito: intercettare ed affondare il maggior numero di unità americane e alleate civili e militari (soprattutto petroliere e portaerei) e cannoneggiare, qualora si fosse verificata l’occasione, stazioni radio e impianti ubicati lungo il litorale nemico. L’I-19 si posizionò davanti a Los Angeles, l’I-15 al largo di San Francisco, l’I-25 davanti alla foce del fiume Columbia e l’I-26 all’imboccatura dello Stretto di Juan de Fuca, la via d’acqua che conduce al porto di Seattle. L’I-9 si posizionò in prossimità di Capo Blanco (Oregon), l’I-17 al largo di Capo Mendocino (California), l’I-23 davanti alla Baia di Monterey (California), l’I-21 al largo della Baia di Estero (California) e l’I-10 davanti a San Diego (California).

Poco prima dell’alba del 18 dicembre, l’I-17 (2.500 tonnellate di dislocamento) emerse in superficie a circa 15 miglia da Capo Mendocino e una delle vedette del comandante Kozo Nishino avvistò tra i piovaschi un mercantile americano (il Samoa) che stava facendo rotta su san Diego con un carico di legname. Per risparmiare i preziosi siluri, Nishino decise di attaccare l’unità nemica con il pezzo di coperta da 140 millimetri. Giunto a poche centinaia di metri dalla preda, Nishino fece aprire il fuoco, ma il mare piuttosto mosso impedì al pezzo di centrare subito il Samoa, il comandante del quale, capitano Nels Sinnes, tentò di manovrare per evitare i colpi. Dopo avere tirato cinque o sei bordate, e non avendo ottenuto alcun risultato apprezzabile, Nishino ordinò di silurare la nave. Incredibilmente però, l’ordigno, lanciato da brevissima distanza, sfilò sotto lo scafo americano, esplodendo oltre l’obiettivo.
Data la pessima visibilità, Nishino pensò di avere sicuramente colpito l’unità e si allontanò, comunicando via radio al comandante dell’I-15 che navigava nei paraggi il risultato dell’operazione. Sinnes, nel frattempo, aveva fatto fermare le macchine, nella speranza che il sommergibile nemico si allontanasse. Poi, verso le 7 del mattino seguente riprese la sua rotta e a tutta velocità si diresse su San Diego, che raggiunse due giorni più tardi.
Il 20 dicembre, l’I-17 ebbe la sua seconda opportunità, intercettando alle 13.30 la petroliera Emidio (appartenente alla Socony-Vacuum Oil Company). L’unità, che da Seattle stava dirigendosi, priva di carico, a San Francisco, venne individuata a circa 20 miglia da Capo Mendocino. Nishino cercò di avvicinarsi all’obiettivo dal lato destro di poppa, ma giunto ad un quarto di miglio, l’equipaggio della petroliera si accorse della sua presenza. Il comandante della nave, Clark Farrow, tentò allora la fuga, scaricando nel contempo tutta la zavorra. Tuttavia, la superiore velocità del sommergibile giapponese permise a Nishino di raggiungere in breve la nave che, nel frattempo, aveva iniziato a lanciare l’SOS. Giunto a distanza di tiro, il sottomarino armò il pezzo da 140 millimetri e aprì il fuoco, polverizzando l’antenna radio della petroliera e danneggiando alcune sovrastrutture dell’unità. In rapida sequenza altri due proiettili colpirono nuovamente lo scafo. Farrow fermò quindi le macchine e fece calare le scialuppe, una delle quali venne improvvisamente centrata da una salva che fece volare in mare tre marinai dei 36 che componevano l’equipaggio.
Dopo avere sparato l’ultimo colpo, il sommergibile giapponese si immerse, proprio pochi minuti prima dell’arrivo in zona di due aerei statunitensi che avevano captato l’SOS lanciato dalla petroliera attaccata. Uno degli aerei sganciò una bomba di profondità che, tuttavia, non danneggiò il sommergibile giapponese. Quest’ultimo però, essendo deciso a non mollare la preda, rimase comunque in zona per risalire, circa mezz’ora dopo, a quota periscopica, per tentare di silurare la petroliera. Giunto a non più di 200 metri dal bersaglio il comandante Nishino fece lanciare un ordigno che, pur colpendo lo scafo, non riuscì ad affondarlo. La nave, trasportata dalla forte corrente, andò poi ad incagliarsi su una secca situata a ben 85 miglia di distanza dal luogo di siluramento, davanti a Crescent City (California).
Il giorno seguente, 31 marinai americani sopravvissuti a bordo delle scialuppe, vennero recuperati da un battello della guardia costiera statunitense, al largo della Baia di Humbolt. Proprio in quelle ore, un altro battello giapponese, l’I-23 del capitano Genichi Shibata, che operava in una zona non distante, intercettò e silurò, circa 330 miglia a sud, al largo di Santa Cruz, un’altra petroliera americana, la Agriworld da 6.771 tonnellate, appartenente alla Richfield Oil Company. Giunto ad una distanza di circa 450 metri dall’obiettivo, il sommergibile giapponese colpì l’unità nemica con un siluro che esplose sul lato poppiero destro della nave (comandata dal capitano Frederick Goncalves). Pur essendo stato danneggiato dal siluro, lo scafo puntò verso la costa con un andamento zigzagante in modo da impedire all’I-23 – che nel frattempo era emerso nonostante il mare molto mosso – di aggiustare la mira con il suo pezzo di bordo. Dopo avere scagliato otto inutili proiettili contro il bersaglio il sottomarino fu costretto a desistere e ad immergersi, consentendo alla Agriworld di dare il segnale di SOS e di guadagnare la costa della penisola di Monterey, sotto lo sguardo di una numerosa folla di civili assiepata sulla spiaggia.
La mattina del 22 dicembre, il sottomarino I-21 al comando del capitano Kanji Matsumura,intercettò al largo di Point Arguello – situato circa 55 miglia a nord di Santa Barbara – la petroliera H.M. Story, appartenente alla Standard Oil Company. L’unità giapponese emerse e tirò una cannonata contro la nave americana che tuttavia riuscì a cambiare rotta nascondendosi dietro una fitta cortina fumogena. Temendo di perdere la preda, il capitano Matsumura si immerse e lanciò un paio di siluri contro la petroliera che comunque riuscì ad evitarli. Pochi minuti dopo intervennero alcuni aerei della Guardia Costiera statunitense che sganciarono diverse bombe di profondità contro il sommergibile, costringendolo a fuggire in direzione sud. Anche l’attacco dell’I-21 fu osservato da alcuni civili che passeggiavano lungo la spiaggia.
Verso le ore 3.00 del giorno seguente, Matsumura intercettò, a circa sei miglia dalla località costiera di Cayucas (California), una seconda petroliera, la vecchia Larry Doheney, appartenente alla Richfield Oil Company, che navigava vuota. L’I-21 emerse e i marinai giapponesi fecero tuonare il cannone. Il comandante della nave, capitano Roy Brieland, vide esplodere in acqua un paio di colpi e quindi iniziò fare zigzagare la nave. Dopo circa cinque minuti, approfittando di un’accostata della petroliera, Matsumura le lanciò contro un siluro che, dopo essere passato sotto la chiglia della nave, andò ad esplodere contro la scogliera, svegliando tutti gli abitanti del non lontano villaggio costiero di Cayucas. Fallito anche il secondo bersaglio, lo sfortunato Matsumura prese il largo. Ma dopo poco più di due ore incontrò una terza petroliera, la Montebello della Union Oil Company che, carica, aveva lasciato il terminal della società di appartenenza situato in prossimità di Avila.
La nave, agli ordini del capitano Olaf Eckstrom, tentò per circa dieci minuti di zigzagare, ma alla fine venne centrata da un siluro. Calate le scialuppe in mare l’equipaggio (35 uomini) si mise in salvo, proprio mentre il sommergibile, ormai emerso, iniziava a cannoneggiare la nave. La Montebello affondò nel giro di 45 minuti. Secondo la testimonianza dei marinai, il sottomarino mitragliò con il suo impianto da 25 millimetri anche le scialuppe e quindi si immerse. I naufraghi raggiunsero poi la spiaggia a sud della cittadina di Cambria.
La mattina del 24 dicembre, al largo di San Diego, l’I-19 tentò di affondare la goletta di legno Barbara Olson, ma il siluro le passò sotto la chiglia esplodendo circa 200 metri oltre. Udito il boato, il cacciasommergibili Amethyst in perlustrazione al largo di Los Angeles, intervenne a tutta forza in soccorso della Barbara Olson, ma quando la raggiunse constatò che il sommergibile giapponese si era già dileguato. Quattro ore più tardi, L’I-19 guadagnò le acque prospicienti il vecchio faro di Point Fermin (Canale di Catalina), incrociando poco dopo il piroscafo Absaroka da 5.700 tonnellate della McCormick Steamship Company , che navigava carico di legname. Il sommergibile lanciò contro la nave due siluri, uno dei quali colpì il bersaglio. La scena venne osservata da terra da alcuni soldati addetti ad una batteria costiera. Il capitano Louie Pringle ordinò ai suoi 33 uomini di abbassare le scialuppe e di abbandonare la nave, non prima di avere lanciato l’SOS.
Dopo poche decine di minuti arrivarono alcuni aerei e il caccia Amethyst che lanciò 32 bombe di profondità, non riuscendo però a colpire il sommergibile giapponese. Nel frattempo, la nave venne agganciata da un rimorchiatore e trascinata fino ad una spiaggia situata a sud di Fort MacArthur. Il 26 gennaio 1942, la rivista Life uscì con una copertina raffigurante l’attrice Jane Russell, ritratta sorridente vicino alla grossa falla dello scafo della Absaroka.
Dopo una settimana di attacchi lungo le coste occidentali statunitensi, i sommergibili giapponesi (ad esclusione dell’I-9 che era andato in missione nelle acque di Panama il 20 dicembre) iniziarono a selezionare, secondo gli ordini ricevuti dal loro Comando, alcuni bersagli di terra.. Ma non se ne fece nulla. Soltanto l’I-17 riuscì, nel tardo febbraio del ‘42, a bombardare una raffineria di petrolio e alcune banchine vicino a Santa Barbara, rimanendo in zona per appena 20 minuti. Tutta la squadra giapponese tornò alle proprie basi delle Isole Marshall.
Complessivamente, i nove sommergibili giapponesi che dal dicembre 1941 al gennaio 1942 operarono lungo le coste occidentali statunitensi affondarono soltanto cinque tra piroscafi e petroliere americane, per un totale di 30.370 tonnellate di stazza, danneggiandone altre cinque per 34.299 tonnellate. Nessun sottomarino venne però perso durante queste azioni. Dal punto di vista psicologico, queste operazioni nipponiche causarono comunque molta apprensione nell’opinione pubblica americana e molta preoccupazione nelle alte sfere dell’esercito e della marina statunitensi. I giapponesi non dimostrarono di sapere approfittare di questo vantaggio.
* * *
Nel maggio del 1942, un’altra consistente flottiglia giapponese (composta da unità appartenenti al Primo e al Secondo Gruppo Sottomarini) venne inviata nuovamente lungo le coste occidentali statunitensi per cercare di arrecare danni al naviglio nemico e alle unità operanti lungo il litorale o dirette alle Isole Midway, Aleutine e a Panama. Il 20 giugno, davanti alle coste dell’Oregon, l’I-25 (proveniente da Guadalcanal) affondò un piroscafo, effettuando, il giorno seguente, un breve bombardamento sul porto di Astoria.
Il 7 giugno, l’I-26, operativo al largo della British Columbia, affondò un altro cargo e bombardò, il giorno 20 dello stesso mese, la stazione radio situata sull’isola di Vancouver. Anche l’I-7 colò a picco un mercantile in una zona non precisata. Alla fine di agosto del ‘42 l’I-25 (appartenente al Primo Gruppo Sottomarini) si spostò davanti a Capo Blanco (Oregon). L’operazione venne condotta con il preciso scopo di vendicare l’attacco aereo americano contro Tokyo effettuato l’aprile precedente.
L’I-25 lanciò il suo piccolo idrovolante Yokosuka E14 Y1 GLEN (pilotato dal tenente Nobuo)con a bordo due bombe sub-alari al fosforo da 76 chilogrammi, andando a colpire una fitta foresta della non lontana dalla costa (in località Wheeler Ridge, 4 miglia sud est di Mount Emily), provocando un incendio2. L’aereo fece poi ritorno al sommergibile in tutta tranquillità (secondo i resoconti del servizio di spionaggio giapponese, sembra che ai primi di settembre il GLEN dell’I-25 abbia effettuato una seconda, analoga missione di bombardamento sulla stessa zona dell’Oregon, arrecando egualmente pochi danni). In seguito a questi attacchi, il Comando Aereo Statunitense dislocò in Oregon una squadriglia di caccia P-38 per sventare altre minacce.
I primi di ottobre, l’I-25 affondò due petroliere, la SS Camden da 6.600 tonnellate non lontano da Seattle e la SS Larry Doheney (scampata fortunosamente all’affondamento nell’inverno del ‘41)vicino a Capo Sebastian il 5 ottobre. Essendo rimasto con un solo siluro, l’I-25 fece ritorno in patria (base di Yokosuka) l’11 ottobre, al termine di una buona e difficile missione. Sulla via del ritorno sembra che  l’I-25 abbia affondato per sbaglio il sommergibile sovietico L-16 che da Vladivostok stava dirigendosi a Panama. Il 24 ottobre, l’I-25 raggiunse Yokosuka al termine di una missione di ben 12.000 miglia.
Note.
1     I sommergibili giapponesi impiegati tra il dicembre 1941 e l’ottobre 1942 lungo le coste nordamericane avevano le seguenti caratteristiche:
I-9 e I-10: dislocamento normale 2.919/4.150 tonnellate; dimensioni 113,7 per 9,55 per 5,3 metri; autonomia 16.000 miglia; potenza 12.400/2.400 hp; velocità 23,5 nodi in emersione e 8 nodi in immersione; equipaggio 114 uomini; armamento 6 tubi lanciasiluri da 533 mm. con 18 armi più un cannone da 140/50 mm. poppiero, 2 impianti binati antiaerei da 25 mm., 1 idrovolante monomotore da ricognizione Yokosuka E14 Y1 GLEN catapultabile.
I-15, I-17, I-19, I-21 I-23, I-25, I-26: dislocamento normale 2.589/3.654 tonnellate; dimensioni 108,7 per 9,3 per 5,20; autonomia 14.000 miglia; potenza 12.400/2.000 hp; velocità 23,6 nodi in emersione e 8 nodi in immersione; equipaggio 101 uomini; armamento 6 tubi lanciasiluri da 533 mm. più un cannone da 140/50 mm. poppiero, 2 mitragliere antiaeree da 25 mm., 1 idrovolante monomotore da ricognizione GLEN catapultabile.
2     Caratteristiche tecniche dell’idrovolante Yokosuka E14 Y1 GLEN:
Motore 1 Hitachi Tempu da 340 HP; lunghezza 8,54 metri; apertura alare m.11; peso al decollo 1.450 kg; velocità massima 246 kmh.; tangenza massima metri 5.420; autonomia 880 km; armamento 1 mitragliatrice da 7,7 mm. più 60 kg. di bombe alari; equipaggio 1/2 uomini.

     STORIA VERITA´
                                                                                                                                                   

venerdì 2 agosto 2019

Hiroshima e Nagasaki ricordano il terrorismo americano

Hiroshima e Nagasaki ricordano il terrorismo americano

Hiroshima commemora il 72° anniversario del bombardamento atomico americano sulla città. La campana della Pace ha suonato alle 8:15 ora locale, a ricordare quel maledetto giorno di 72 anni fa quando il bombardiere statunitense B-29 “Enola Gay” sganciò la bomba all’uranio sulla città.
Il 6 agosto del 1945, il bombardamento di Hiroshima provocò la morte di 140mila persone. Molti civili sono morti immediatamente, mentre altri sono morti a causa delle ferite riportate o alle malattie legate alle radiazioni. Tre giorni dopo il brutale bombardamento, l’esercito americano ha sganciato una bomba al plutonio sulla città portuale meridionale di Nagasaki, uccidendo più di 70mila persone.
Gli impatti orribili dei bombardamenti effettuati sul Giappone costrinsero il Paese alla resa, ponendo così fine alla seconda guerra mondiale. Gli attacchi atomici hanno segnato anche l’inizio della guerra fredda tra l’Occidente e l’ex Unione Sovietica.
Nel maggio del 2016, Obama visitò Hiroshima senza porgere alcuna scusa per i bombardamenti terroristici effettuati dagli Stati Uniti sul Giappone. Uno dei tanti crimini americani per cui nessuna giustizia è stata mai fatta.
Per molti anni, alti funzionari degli Stati Uniti hanno evitato di andare a Hiroshima a causa delle sensibilità politiche. Molti americani credono ancora a oltre settant’anni di distanza che i bombardamenti atomici nell’agosto del 1945 fossero giustificati e che hanno accelerato la fine della guerra.
Gruppi di superstiti giapponesi hanno condotto per decenni una campagna per portare alti funzionari provenienti dagli Stati Uniti e da altri Stati forniti di armi nucleari, per mostrare le cicatrici di Hiroshima, come parte di un movimento di base per l’abolizione delle armi nucleari.
La maggior parte dei giapponesi, tuttavia, affermano che i bombardamenti non erano giustificati. La storia ha dimostrato che il Giappone era pronto ad arrendersi, che il lancio delle bombe non era necessario e che sono state sganciate più per scoraggiare gli avversari e mostrare un atto di forza, o forse – come suggerisce un cartello esplicativo montato sul muro del Museo di Hiroshima –gli Stati Uniti hanno usato l’arma sulla popolazione giapponese, per giustificare gli enormi costi straordinari nello sviluppo del Progetto Manhattan.