martedì 27 ottobre 2020

Come fece il fascismo a sconfiggere la tubercolosi?

 

I DANNI DEL FASCISMO E LE COLPE DI MUSSOLINI

Come fece il fascismo a sconfiggere la tubercolosi senza mascherine e distanziamento sociale?

Silvio Berlusconi a 84 anni ha contratto il virus del Covid19 e dopo due settimane è uscito dalla clinica allegro e pimpante come il presidente Americano Trump (74 anni) dopo due giorni di degenza.

Questi due esempi ci dimostrano che chiunque abbia contratto il virus può guarire. Le migliaia di morti che abbiamo registrato nel pieno della pandemia (e che speriamo di non rivedere), sarebbero state infinitamente meno se quelle persone fossero state curate adeguatamente. Non è il Virus che uccide, ma la mancanza di cure, a parte il caso di pazienti affetti da gravi patologie poi aggravate dal Covid.

Negli anni venti, prima dell’avvento del Fascismo, in Italia la Tubercolosi (TBC) infettava ogni anno 600mila persone e causava oltre 60mila vittime, soprattutto fra i bambini. Eppure nel giro di pochi anni il Regime riuscì a depotenziarlo fino a sconfiggerlo del tutto. Come fece? Prendendolo a manganellate o annegandolo nell’olio di ricino? Battute a parte, la risposta è semplice: costruendo ospedali e dotandoli delle più moderne strumentazioni tecnico-scientifiche e applicando procedure mediche all’avanguardia nella cura delle malattie infettive.

Furono realizzate negli anni del Fascismo quelle eccellenze in campo ospedaliero che tutto il mondo guardava con ammirazione e che ancora oggi rappresentano l’ossatura del sistema sanitario pubblico: a Roma lo Spallanzani, il San Camillo e il Forlanini, a Napoli il Cardarelli, a Genova il Gaslini solo per citare i più noti, cui si aggiunsero le centinaia di ospedali minori e le molteplici strutture specializzate per la cura delle patologie polmonari come, ad esempio, il Villaggio Sanatoriali di Sondalo. In pochi anni dal 1929 al 1936 furono creati oltre 20mila posti letto in sessantuno nuovi ospedali.

In ogni località termale sorgevano le Colonie Elioterapiche per la cura delle patologie polmonari e tutti gli anni i bambini potevano andare a respirare aria salubre al mare o in montagna grazie alle colonie estive. In quegli anni nessuna nazione europea investì nella sanità pubblica come l’Italia fascista. Altro che mascherine, distanziamento sociale e banchi a rotelle nelle scuole…

Sul fascismo molto si è scritto, ma poco si è compreso a causa del conformismo degli storici che pur sapendo come realmente si svolsero i fatti, tacciono e si adeguano.

In questo libro, chiaramente di parte, di quella parte di storia sul fascismo volutamente ignorata, sono affrontate le maggiori colpe attribuite a Mussolini e al suo regime: dalla presa del potere con la violenza al delitto Matteotti, dalla morte di Gramsci all’omicidio dei Fratelli Rosselli, dall’uso dei gas nella guerra d’Abissinia alle leggi razziali, dall’entrata nel secondo conflitto mondiale ai crimini della guerra civile. Fatti e circostanze descritti con rigore storico che, di conseguenza, fanno vacillare molte delle certezze che ci sono imposte fin dai banchi di scuola.

Nella seconda parte sono descritte e documentate le principali realizzazioni del fascismo. Opere, istituzioni e leggi (molte delle quali ancora in vigore a conferma della loro validità) che nei libri di testo sono ignorate o sminuite nella loro portata.

Nella terza parte, quella dedicata agli approfondimenti, si parla di come il regime, senza mascherine e distanziamento sociale, ha sconfitto la tubercolosi, una malattia infettiva che ogni anno mieteva molte più vittime del Coronavirus di oggi, soprattutto tra i bambini. Di come l’industria chimica italiana si è imposta a livello mondiale e un capitolo sul rapporto tra fascismo e turismo, sport e cultura. Sono infine smentite molte delle cosiddette “bufale sul fascismo”.

Il fascismo, piaccia o no, è parte integrante della nostra storia e non può essere racchiuso tra due parentesi come fosse una sorta d’incidente e sbrigativamente relegato in un angolo della nostra memoria collettiva, salvo poi riprenderlo per usarlo come spauracchio o come etichetta per denigrare l’avversario politico. I suoi meriti e le sue colpe vanno dibattuti con distacco e serenità. Solo così potremmo togliere spazio al fanatismo delle frange estreme e alla strumentalizzazione della politica.

Historia Magistra Vitae, affermava Cicerone. Quella vera aggiungiamo noi.

 Distribuito da Amazon, 280 pagine, euro 12. Oppure richiedere copia all’autore: ruggierogianfredo@libero.it

                                                                                                                                       

giovedì 22 ottobre 2020

JOSE' ANTONIO DE RIVERA

 


Josè Antonio Primo de Rivera

Josè Antonio Primo de Rivera, marchese di Estella e Grande di Spagna, nacque a Madrid il 21 aprile 1906, primogenito del generale Miguel Primo de Rivera,marchese di Estella, che aveva esercitato la dittatura in Spagna dal 1923 al 1930, anno in cui morì in esilio a Parigi il 28 gennaio. Avvocato dal 1925, Primo si dedicò alla politica alla morte del padre, di cui voleva onorare la memoria e continuare l’azione. Fino ad allora Primo era stato un giovane intellettuale di tendenze conservatrici o reazionarie, molto a suo agio tra i suoi libri invece che in mezzo alle folle agitate. Non aveva rinunciato allo stile dei giovani del suo ambiente, i Senoritos che trascorrevano il loro tempo in impegni mondani e in cui egli si riconosceva, investendoli di compiti eroici. In un pubblico discorso affermò che erano i senoritos, che portavano uno spirito di lotta per un fine che non interessa loro in quanto senoritos ( soldato politico); lottavano perché a molti della loro classe sociale fossero imposti sacrifici duri e giusti, e perché uno Stato totalitario provveda tanto ai potenti quanto agli umili. Furono fondati altri gruppi fascisti e nazionalsocialisti e nel clima di fermento politico che comparvero giornali, libri, periodici, manifesti, che insistevano perché ai mali della Spagna si desse una soluzione fascista. Un gruppo di giovani scalmanati si raccolse attorno a Josè Antonio, che divenne leader dei giovani fascisti. Alto, bello, trentenne, animato da smania di piacere, anche i suoi nemici marxisti riconoscevano il suo fascino. I suoi discorsi ed i suoi scritti danno l’impressione di uno studente brillante che ha letto, ma non sempre digerito, un’enorme mole di manuali di teoria politica. Inizialmente monarchico e cattolico.’’El Fascio’’ospitò un suo articolo nel suo unico numero del 1933: ‘’La Patria è una totalità storica…superiore a ciascuno di noi e a ciascuno dei nostri gruppi. A questa unità devono inchinarsi classi e individui. E la costruzione dello Stato si dovrà fondare su questi due principi’’.Nel 1934 scrisse:’’Il fascismo è un‘inquietudine europea. E’ una maniera nuova di concepire tutto - la storia , lo Stato, l’accesso del proletariato alla vita pubblica; una maniera nuova di concepire i fenomeni della nostra epoca e di interpretarli. Il fascismo ha già trionfato in vari paesi, e in alcuni, come in Germania, con i mezzi democratici più irreprensibili’’. Josè Antonio si batteva contro coloro che criticavano suo padre, cercando di riabilitarlo. Era un giovane che si sforzava sinceramente di trovare una via nazionale per porre fine alle incoerenze del liberalismo. La sua poesia preferita era ‘’If ‘’di Kipling usava leggerne dei passi ai suoi seguaci prima delle sfilate domenicali o prima degli scontri per le strade. Nel 1933 fondò la Falange prendendo il nome della formazione dell’esercito macedone che nel IVsecolo a. C. aveva distrutto la democrazia in Grecia. I caratteri originali della personalità politica di Josè Antonio erano il senso di appartenenza a un’elite sociale, la convinzione del dovere di sacrificarsi per la grandezza della patria e il benessere del popolo. I senoritos erano diversi da lui e pochi lo seguirono. Josè Antonio provava forte avversione per l’ambiente monarchico – militare nel quale essi erano formati: un ambiente cui Josè Antonio imputava il tradimento di suo padre Miguel, licenziato da re Alfonso XIII, spinto all’esilio volontario, morto nell’amarezza dell’abbandono. La figura paterna, il desiderio di riscattar la e rivalutarne l’opera influirono assai sulla scelta di Josè Antonio di entrare in politica e sulla sua adesione al modello fascista. Il vecchio generale era ammiratore di Mussolini, al cui regime si era ispirato ricalcandone maldestramente istituzioni – milizia e partito – e sistema corporativo. Josè Antonio condivise del fascismo la spinta ipernazionalista e il superamento della lotta di classe, comprese la necessità di ripercorrerne la strada attraverso la creazione di un partito che nascesse contro il potere politico esistente, anziché esserne il prodotto: come era stato il caso dell’esangue e burocratica Unìon Patriotica, creata da suo padre. Fallì l’obiettivo alle elezioni politiche del 1931, si applicò allo studio dei movimenti fascisti ( collaborò al foglio di Manuel Delgado, ’’El Fascio’’), che giudicò inadatti al suo paese. Si interessò ai gruppuscoli sorti in Spagna a partire dal 1930. L’avvento al potere di Hitler in Germania, incoraggiò in Spagna una definizione fascista di personalità e gruppi che già si muovevano nell’estrema destra, verso cui si orientò Josè Antonio, fondando con alcuni di essi, il 29 ottobre 1933, il partito – ‘’movimento’’, come preferivano chiamarlo, perché partito evocava la democrazia -della Falange Espanola, formazione dalla vocazione nazionalrivoluzionaria, che ripudiava la tradizione monarchica e il liberalismo, rivendicando l’instaurazione di uno stato autoritario capace di realizzare la giustizia sociale e di mettere fine agli abusi del capitalismo mediante gli interventi pubblici in economia. Dotato di un superiore livello culturale e di un notevole fascino personale fascino personale, Josè Antonio ( chiamato così, senza cognome, dai suoi fervidi sostenitori) andò presto ad occupare, il 4 ottobre, la carica di Jefe Nacional del partito, ma non ebbe vita facile né al di fuori né all’interno di esso. Eletto deputato nel blocco delle destre che vinse le elezioni politiche del novembre 1933, mantenne nelle Cortes una posizione isolata, denunciando la miopia dei gruppi più conservatori e reazionari che, animati da spirito di rivincita, si dedicarono a demolire l’opera riformatrice realizzata nel biennio precedente da repubblicani e socialisti. Di fronte al sabotaggio della riforma agraria, Josè denunciò il rischio di rivoluzione cui una tale politica di chiusura ai bisogni popolari esponeva il paese. Atteggiamenti ‘’nazionalsocialisti’’gli alienarono i favori delle classi medio-alte, chefecero confluire i loro voti e finanziamenti sul partito cattolico della CEDA ( Confederacion Espanola de Derechas Autònomas) di Josè Maria Gil Robles, o sulla monarchica Renovacìon Espanola di Josè Calvo Sotelo. Le autorità dell’Italia fascista pur guardando con simpatia al movimento di Primo de Rivera, dato che Josè Antonio era stato ricevuto da Mussolini a pochi giorni dalla fondazione della Falange, nutrirono scarsa fiducia nelle sue possibilità di successo e lo sostennero economicamente in una forma limitata e discontinua. Le difficoltà di crescita della Falange provocarono dissensi nel movimento, facendo sì che la stessa leadership di Josè Antonio fosse messa in discussione. La schiacciante superiorità numerica degli altri partiti di destra spingeva la Falange a caratterizzarsi in senso squadristico,’’ a dedicarsi – Josè annunciò nel discorso di fondazione del partito – alla dialettica dei pugni e delle pistole’’ secondo il cammino percorso dal fascismo italiano, cui essa dichiaratamente si ispirava. Josè Antonio era esperto dello scontro fisico e dell’uso della pistola, era meno versato di altri suoi camerati nel praticare la violenza e nel pensarne le strategie: nei diversi episodi di guerriglia urbana – scontri di piazza e attentati terroristici – che nel 1934 l’estrema destra aveva con l’estrema sinistra, la Falange subì più colpi di quanti ne inflisse. Dopo la fallita insurrezione socialista dell’ottobre 1934 e la sterzata a destra del governo della repubblica, Josè Antonio accentuò il carattere sociale del programma della Falange, indicando tra i 27 punti del suo programma – che rese pubblico nel novembre 1934, obiettivi come l’eliminazione del sistema capitalistico ( considerato antitetico a quello corporativo), la nazionalizzazione delle banche, la soppressione dei latifondi, redistribuzione delle terre. Insofferente dell’immobilismo dei conservatorie convinto che essi rappresentassero un ostacolo alle sue posizioni-ambizioni, Josè Antonio prese a progettare diverse iniziative insurrezionali, il cui braccioarmato avrebbe dovuto essere l’esercito: per cui contattò il generale Francisco Franco, che prudentemente ne rimase estraneo. Essendo prevalenti nelle forze armate le istanze conservatrici e reazionarie, le suggestioni socialisteggianti di Josè Antonio incontrarono scarso seguito e le sue mene insurrezionali non giunsero a concretarsi. La sua politica ebbe scarsissima presa nella società spagnola. Nella sua lettera a Franco prima della rivolta delle Asturie, il 24 settembre 1934, era disposto ad appoggiare un colpo di Stato militare per restaurare il ‘’perduto destino storico del paese’’. Franco non rispose e l’episodio fu rivelato nell’ottobre 1938 da ‘’Y’’, la rivista della sezione femminile della Falange. Josè ebbe un eclettismo di idee politiche , visibile nel suo progetto – schema di governo del 1935, in cui erano inclusi elementi non falangisti: il ministro degli esteri Barròn, della giustizia , Serrano Suner, della difesa Franco, delle finanze,Vintales, sottosegretario: Larraz, alla pubblica istruzione,Aunos ,all’economia Carceller; interni, Mola, direttore generale polizia, Vàzquez; lavori pubblici , Lorenzo Pardo; alle corporazioni, Mateo; sottosegretario Garceràn; alle comunicazioniRuiz de Alda; sottosegretario , Moreno ( Josè), Marocco e colonie, generale Goded, alla sanità, Nogueras, anche il colonnello Rada, che aveva addestrato le reclute carliste in Navarra, era strettamente in contatto con la Falange. Combattè la milizia falangista, ed il 7 ottobre 1934 a Madrid lo sciopero generale, circolò per la città conintenzioni bellicose a bordo della medesima auto su cui viaggiavano Josè Antonio, Ledesma Ramos, Ruiz de Alda,( intimo amico di Josè Antonio, perché anche lui era di Estella [Navarra] ) ed aveva suggerito a Josè il nome ‘’Falange’’. Nel 1934-’35 Josè Antonio ebbe rapporti con il colonnello Barba, della Union Militar. Da poche unità di migliaia dalla sua fondazione la Falange giunse a 25.000 aderenti. L’imperativo categorico della Falange era accrescere il disordine in Spagna per giustificare l’avvento di un regime che ristabilisse l’ordine, Josè perse il suo seggio alle Cortes, nel febbraio 1936 scorazzava su automobili armate di mitragliatrici, i senoritos per il caos, incendiando Chiese e attribuendo la colpa agli anarchici, attentando al giurista socialista Jimènez de Asùa, autore della Costituzione della Repubblica. I socialisti parlavano della Falange come ‘’FAI (anarchici) – lange’’. Franco incontrò Josè Antonio a casa di suo cognato Serrano Suner , detto il cugnadissimo, proponendo al colonnello Yague, brillante falangista dalla testa leonina che ora comandava la Legione Straniera, fungesse da anello di collegamento tra la Falange ed i generali. Il governo del primo ministro ammiraglio Manuel Azana manteneva l’ordine il 27 febbraio 1936 chiuse la sede della Falange a Madri. Il 15 marzo 1936 un falangista collocò una bomba a casa di Largo Caballero e Josè fu arrestato per detenzione abusiva di armi, prima però fu avvisato da Azana di lasciare il paese, ma non lo fece per la madre malata,( cosa falsa perché ella era morta anni prima). Si riferiva alla madre Spagna. Eduardo Aunos, suo seguace, gli propose di fuggire all’estero in aereo, ma lui non volle perché Falange non era un partito di cospiratori i cui capi se ne stavano all’estero. ‘’Spagna! Una, grande, libera)’’. Quando fu ucciso un ufficiale che era tenente della Guardia Civilda Asaltos per aver estratto un revolver puntandolo su Azana, durante il suo corteo funebre fino al cimitero est il carro funebre fu accompagnato da falangisti madrileni che gridavano in coro scontrandosi con i socialisti giubilanti che cantavano l’Internazionale, salutando col pugno chiuso ed esplodendo colpi di arma da fuoco contro il corteo. Al Cimitero ci fu una battaglia fra falangisti e gli asaltos socialisti; morirono il cugino germano di Josè, Andrei Saenz marchese de Heredia, ucciso da un tenente degli asaltos, Josè Castello. Molti membri del Movimento giovanile della CEDA, già guidati da Gil Robles, confluirono nell’estremismo della Falange, benché fosse stata messa al bando dopo i disordini per i funerali del tenente della Guardia Civil. Passarono il capo della Gioventù della CEDA , il generale Ramòn Serrano Suner, anello di collegamento tra la Falange ed i generali. Serrano era stato compagnoni studi universitari di Josè Antonio a Madrid, agli inizi degli anni ’20, molto amici anche ideologicamente. La Falange aveva i capi in carcere, metteva in guardia il partito dall’unirsi ai cospiratori militari perchè ‘’Noi non saremo né l’avanguardia né le truppe d’urto né i preziosi alleati di un qualche confuso movimento reazionario’’. Nel luglio 1936 i falangisti divennero 75.000,lavoratori di Siviglia, giovani della borghesia, studenti universitari, si scontravano nelle piazze con i nemici, in battaglie e assassinii per le strade. Josè scrisse al generale Sanjurjo, ex amico di suo padre, che doveva divenire capo di governo provvisorio di restaurazione monarchica, una lettera di apertura ai soldati, esortandoli dal carcere di porre fine agli attacchi cui era stata fatta segno la ‘’sacra persona della Spagna‘’. ‘’All’ultimo momento, ha detto Spengler, è sempre stato un plotone di soldati quello che ha salvato la civiltà’’. Passati i tempi in cui Josè diceva che tutti i soldati erano inutili, pusillanimi, e che il più codardo di tutti era Franco. La Falange non era legata ai cospiratori e Josè condivise i sentimenti che animavano un discorso del socialista Prieto. Il 1° giugno Josè scrisse dal carcere di Alicante una lettera al generale Mola, promettendo appoggio alla cospirazione militare, promettendo 4.000 falangisti in aiuto alla sedizione. Al grido di ‘’Cafe!’’ ovvero ‘’ìCamaradas!, Arriba Falange espanola !’’ verificarono amaramente alle elezioni del febbraio 1936 quando vinse il Frente Popular: la Falange che si era presentata al di fuori di ogni alleanza per non appiattirsi su una collocazione di destra o di sinistra – subì una durissima sconfitta, raccogliendo un numero di voti inferiore a quello dei suoi militanti. Si trattò di un insuccesso messo in conto, poiché la legge spagnola favoriva le coalizioni, ma il risultato era troppo deludente perchè la legge Josè Antonio non ne traesse l’indicazione che il suo nazionalismo sociale trovava in Spagna pochi consensi. Al ritorno al potere della sinistra, egli rispose rabbiosamente, non limitandosi solo ad orientare la Falange verso una guerra aperta con i gruppi armati socialisti e comunisti, ma incoraggiando attentati alla vita di rappresentanti politici del Frente Popular e delle istituzioni statali. Josè Antonio contribuì a creare il clima di illegalismo, disordine ed insicurezza che avrebbe favorito il golpe militare e la successiva guerra civile. Arrestato ed incriminato per diversi reati, si convinse che la salvezza sua propria e del paese erano nelle mani delle forze armate: dal carcere, diffuse una ‘’Lettera ai militari di Spagna’’ in cui proclamava essere ‘’suonata l’ora in cui le vostre armi debbono entrare in gioco per mettere in salvo i valori fondamentali’’ Cercò di proporsi ai generali cospiratori come punto di riferimento politico; infatti, Josè Antonio accettò di metter a loro disposizione – di fatto, senza condizioni – le milizie falangiste. Il fallimento del golpe militare, il fatto che la Spagna restasse divisa in due parti e che egli fosse detenuto ad Alicante, rimasta sotto il controllo dei repubblicani, segnarono la sua sorte. Processato da un tribunale popolare per ’’ribellione militare’’, Josè Antonio fu condannato a morte e giustiziato nel novembre 1936. Divenne, così, un’icona politica nella Spagna nazionalista; il generale Franco che non aveva per lui alcuna simpatia, essendo il tipico militare quadrato, ottuso, conservatore, clerico-‘’fascista’’ e reazionario, e verso Josè Antonio non si era impegnato per ottenerne la salvezza, per opportunismo politico ne fece il protomartire della sua causa: si impadronì della figura di Josè Antonio, del suo frasario, della sua Falange per meglio adattarsi a quel modello fascista che i successi dei suoi propri protettori, Mussolini e Hitler, facevano apparire vincente. Così, strumentalmente al Caudillo ed a uso della sua alleanza nazionale monarchica, a Josè Antonio toccò in morte una grandezza distorta che sia pur non avendo raggiunto in vita si era mostrata pura e coerente ai veri camerati.

Antonio Rossiello 

giovedì 15 ottobre 2020

PISANO' FASCISTA E ITALIANO

 

Pisanò, fascista diventato giornalista nell’Italia divisa del dopoguerra


Può sembrare strano, ma il primo narratore della guerra civile italiana fu un militare fascista, Giorgio Pisanò. Era nato a Ferrara il 30 gennaio 1924, il primo di cinque figli di Luigi, un funzionario dello Stato in servizio presso le Prefetture. L’armistizio dell’8 settembre 1943 sorprese la famiglia a Pistoia. Giorgio aveva diciannove anni ed era un fascista convinto. Quel giorno vide una città impazzita di gioia dove tutti erano convinti che la guerra fosse conclusa. Guardò civili sputare sul tricolore e, in preda all’angoscia, riparò dentro un portone e pianse per lo sfacelo che osservava: l’armistizio, il tradimento della monarchia, il mondo che gli crollava addosso. Un ragazzo della sua età lo scorse e gli propose: «Dobbiamo fare qualcosa contro questa vergogna». Con altri ragazzi corsero alla caserma Gavinana e riaprirono la sede del Fascio chiusa il 25 luglio. Di lì a poco arrivò alla Gavinana un reparto tedesco. Il comandante, di fronte a quei ragazzi con armi in pugno, disse: «Bene, vi affidiamo la città di Pistoia». E se ne andò.

Pisanò si arruolò nei reparti della Repubblica sociale. Era nello stesso tempo un ufficiale della X Mas e un tenente delle Brigate nere, assegnato ai servizi speciali nel comando generale di quel corpo più politico che militare. Come tanti dei suoi camerati che si ritrovarono nel ridotto inesistente della Valtellina, anche lui venne catturato dai partigiani. Scampò alla fucilazione perché sembrava uno dei tanti prigionieri fascisti. Passò di carcere in carcere, alla fine fu rinchiuso in due campi di concentramento inglesi a Terni e a Rimini e lì rimase sino al 7 novembre 1946. Ecco quello che ho poi appreso io da Paolo Pisanò, fratello minore di Giorgio. Il primo passo nella carta stampata Giorgio lo fece nel Meridiano d’Italia, un settimanale di destra che usciva a Milano. Lo dirigeva Franco De Agazio, un giornalista battagliero e dotato di grande coraggio. La Milano del primo dopoguerra era un territorio proibito per i superstiti del Fascio. Il Pci considerava De Agazio un nemico per l’inchiesta sull’oro di Dongo. E perché era stato il primo a rivelare il nome del giustiziere di Mussolini: Walter Audisio, un comunista di Alessandria.


 

Con quell’inchiesta sul tesoro di Dongo De Agazio firmò la sua condanna a morte. Mentre si stava recando al giornale, una banda comunista milanese che si definiva Volante rossa lo uccise per strada. Alla direzione del Meridiano gli successe il nipote Franco Maria Servello. Aveva ventisei anni e in seguito sarebbe diventato un dirigente nazionale del Msi e un parlamentare esperto. L’incontro tra Servello e Pisanò andò come meglio non poteva. Nel 1948 uscirono parecchi articoli di Giorgio che si occupavano anche dei misteri legati alla figura di chi aveva ucciso Mussolini. Lui scartava Audisio e persino Aldo Lampredi, un dirigente dell’apparato clandestino del Pci. E puntava su Luigi Longo, il leader delle Brigate Garibaldi nell’Italia occupata dai tedeschi. Poi successore di Togliatti al vertice delle Botteghe oscure. Aveva ragione? Nessuno lo saprà mai. L’unico fatto sicuro è che i comunisti decisero di ammazzarlo. All’inizio del 1952, a Como, una sera gli spararono mentre accompagnava a casa la sorella Francesca, centralinista ai telefoni della città. Giorgio rispose con la rivoltella che portava sempre con sé e i due fratelli riuscirono a tornare a casa incolumi. Neppure in quel caso si lasciò intimorire e continuò con le sue inchieste sui delitti del dopoguerra e sull’oro di Dongo.

Pure i socialisti impararono a conoscerlo e a odiarlo. L’Avanti dipinse così il suo lavoro di giornalista investigativo: «L’inconcludente collezione di voci di un poliziotto dilettante fascista». La grande stagione di Pisanò giornalista iniziò nel 1954 quando, a trent’anni, venne assunto da Oggi, il settimanale fondato da Angelo Rizzoli e diretto da Edilio Rusconi. Nel luglio 1960, Rusconi lo incaricò di un’impresa mai tentata da nessun rotocalco: la ricerca di materiale fotografico e documentario sulla guerra tra italiani. La prima delle 18 puntate uscì nell’agosto di quello stesso anno. All’inizio del 1963 Pisanò ruppe con Rusconi e si mise in proprio. Fu una separazione fortunata perché spinse Giorgio ad affrontare la sua prova più importante: la Storia della guerra civile in Italia. Fu la prima ricerca storica preparata, scritta e illustrata come un rotocalco. Il primo fascicolo uscì il 20 febbraio 1965 e l’ultimo, la dispensa numero 93, apparve il 31 gennaio 1967. Le vendite furono strabilianti anche per le centinaia di fotografie inedite scovate dappertutto dal team di Pisanò.

In seguito Giorgio scrisse «Gli ultimi in grigioverde. Storie delle forze armate della Rsi». Il suo ultimo azzardo fu di far rivivere Il Candido di Giovannino Guareschi. L’autore di Don Camillo e Peppone accettò di fondare con Pisanò la casa editrice Valpadana, ma nel luglio 1968 morì a Cervia. L’inizio della seconda vita del Candido portava la data del 17 luglio 1968 e Giorgio lo diresse per 24 anni. Si scontrò con un nuovo nemico: le Brigate rosse. Riuscì a salvarsi insieme ai colleghi della redazione perché era l’ultimo giorno di Carnevale e la sede del giornale era deserta. Un giorno il fratello Paolo mi spiegò che nel lungo lavoro di ricercatore storico in fondo Giorgio aveva reso onore al Pci. Può apparire un paradosso, ma era davvero così. L’artefice della guerra civile era stato il partito di Longo, Secchia e Togliatti. Senza i comunisti quel conflitto, con tutti i suoi orrori, in Italia non sarebbe neppure cominciato. Mi sembra un giudizio sul quale possiamo convenire.


                                                                                                                                     

martedì 6 ottobre 2020

Fedeli sino alla fine

 

Fedeli sino alla fine


Aggiungi didascalia

Lo incontravo spesso al bar di mia nonna che beveva un bicchierino di “mastica”. Sempre con il suo fedele schiacciamosche bianco ed un italiano perfetto. Era uno “sciumbasci”, paragonabile al grado di sotto tenente e poteva comandare una compagnia coloniale. Orgoglioso per quella bandiera tricolore che aveva difeso e che gli era valso il riconoscimento personale dell’eroico Duca Amedeo d’Aosta. Amico mio, grazie per quello che hai fatto per la nostra Patria e grazie per farci sentire ancora orgogliosi per quella dedica che Amedeo D’Aosta ha vergato di suo pugno. Sai, amico, forse per le tue battaglie sotto la bandiera tricolore avrai avuto pochi spiccioli ma tu, e forse non noi, sai quale valore ha quella dedica. Mentre noi abbiamo il gusto per la polemica, molte volte sterile, mentre dibattiamo di storia come i primi della classe senza conoscere storie come la tua, tu ci guardi da questa foto regalandoci emozioni forti. Grazie, amico mio, quelli come te ci hanno onorato e forse ci fanno ancora sperare in un barlume di amor patrio che in molti di quelli che guarderanno questa foto, non è ancora del tutto morto. La tua vecchia “Olivetti” ha il sapore di un Italia che non c’è più ma, quell’Italia di una volta meritava più rispetto di quello che gli hanno dato. Tu gli hai dato invece non solo il rispetto ma anche l’attaccamento ad un ideale di lealtà, coraggio e fierezza. Bella la tua foto,amico mio Grazie grande soldato Italiano.

di Pasquale Santoro

 
                                                                                                                     

giovedì 1 ottobre 2020

Coronavirus: Le vittime dei potenti

 

Coronavirus: Le vittime dei potenti


Tratto dal blog personale del coordinatore per la regione Sicilia Movimento Fascismo e Libertà  – Francesco Capizzi    Articolo del 21 marzo 2020

Link blog originale

Più andiamo avanti e più è chiaro che qualcosa puzza nella vicenda denominata “Coronavirus”.

Chi ha letto il mio precedente articolo (Golpe finanziario in atto), si sarà reso conto delle evidenti anomalie che girano intorno all’argomento. In questo nuovo articolo vi farò un piccolo sunto, giusto per non appesantirlo troppo.

Nell’edizione del 2015 di TED, Bill Gates, fa una profezia un  virus ucciderà milioni di persone (fonte)

Nel  maggio 2016, ben 4 anni fa, la Banca Mondiale (BM) aveva annunciato delle obbligazioni, più simili a titoli assicurativi, ad alto rendimento chiamate Pandemic Bond.
L’annuncio era stato dato durante il G7 tenutosi a Sendai, in Giappone.
In che cosa consistono queste obbligazioni?
I Pandemic Bond scommettono sullo scoppio di una pandemia entro il 15 luglio di quest’anno.
Questi Pandemic Bond sono di due tipi:

  1. prevedono virus di tipo influenzale, esattamente come nel caso del COVID-19. Di questo tipo sono stati emessi Titoli per 225 milioni di Dollari; rendita in caso che non si manifesti alcuna pandemia: 7,5%;
  2. per i virus più specifici del tipo dell’Ebola. Di questo tipo, i Titoli emessi, sono del corrispettivo per altri 95 milioni; rendita in caso che non si manifesti alcuna pandemia: 12%!

La scommessa è questa: se entro il 15 luglio 2020 non si dovessero verificare pandemie per le tipologie di virus contemplate nel contratto di sottoscrizione dei Titoli, gli investitori si vedranno rimborsare l’investimento ed una cospicua rendita.
Invece nel caso in cui l’OMS dovesse dichiarare lo stato di pandemia, allora gli investitori perderanno, chi tutto e chi quasi tutto.
Le clausole che rendono plausibile un pronunciamento dell’OMS in tal senso sono diverse.
Una prevede che si verifichino almeno 2.500 decessi in un Paese, più almeno 20 in qualsiasi altro.

Nel 2017 a Wuhan apre un laboratorio per i patogeni più pericolosi al mondo (Fonte). In questo laboratorio lavorano francesi e cinesi e studiano ed elaborano virus pericolosissimi che potrebbero generare una pandemia e di conseguenza milioni di morti. Sappiamo inoltre che dei virus catalogati pericolosi, sono stati portati dal Canada, nei laboratori di Wuhan, ed in fine durante i giochi militari tenuti dal 18 al 27 ottobre 2019, l’America pur essendo il popolo con il miglior esercito ha inviato a partecipare ai giochi militari mondiali, una squadra che si è classificata per 10 volte di fila al 35° posto, dopo nazioni come Iran, Finlandia e Slovenia. In effetti, molti militari americani non hanno partecipato all’evento e sono stati visti, vicino al mercato all’ingrosso del pesce, dove due settimane dopo, sono comparsi i primi casi di Coronavirus (Fonte).

Contemporaneamente lo stesso giorno, il 18 Ottobre 2019, dall’altra parte del mondo e ciò in America (Fonte), si organizzava l’evento 201, in collaborazione con il Johns Hopkins Center for Health Security, il World Economic Forum e la Bill & Melinda Gates Foundation. In questo evento si faceva una simulazione virtuale di una possibile pandemia di coronavirus, dove si simulavano con tanto di giornalisti virtuali, dottori virtuali e mercati virtuali, tutto ciò che poteva accadere, dal panico delle persone, alle notizie da dire per ampliare l’impatto della notizia, alle carenze organizzative politiche e sanitarie. In tutto questo percorso un nome che sentiremo sempre nominare è Bill & Melinda Gates Foundation. Di fatto li vediamo come organizzatori di questa simulazione di pandemia, li vediamo come soci e finanziatori di case farmacetiche per la sperimentazione di vaccini (Fonte), gli stessi che finanziano la ricerca di un vaccino per il coronavirus (fonte). E lo vediamo come secondo finanziatore dell’OMS (organizzazione mondiale della sanità), che ha destinato 444 miliardi nel 2016 e 457 miliardi nel 2017.  Bill Gates si è in particolare concentrato sulla somministrazione dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto africani, affiancando all’impegno per l’Oms quello da finanziatore leader della Gavi Alliance, una partnership pubblico-privata emanazione della sua fondazione che non si limita a portare avanti la benemerita campagna delle vaccinazioni ma punta al tempo stesso a “plasmare” i mercati dell’immunizzazione nei Paesi oggetto d’intervento. Come scrive La Verità, il patrimonio dell’OMS è stato per l’87% finanziato da contributi di aziende private che hanno coperto la graduale ritirata dei finanziamenti degli Stati ma sono stati in larga misura vincolati alla realizzazione di progetti commissionati dagli stessi donatori. Di fatto dei soldi donati da Bill Gates il 50% erano vincolati a programmi specifici.
“Viene da chiedersi come si ripercuotano questi intrecci sull’Oms, il cui operato, in tema di vaccinazioni, non è stato sempre immacolato”, prosegue La Verità. Troppe volte, in passato, è capitato che alcuni dei Paesi più poveri del pianeta ricevessero offerte di assistenza sanitaria che finivano per vincolarli alle grandi cause farmaceutiche internazionali con un sovrapprezzo notevole per i servizi forniti. “Basti pensare al caso dell’ influenza suina, una finta emergenza denunciata dall’Oms nel giugno 2009, cioè pochi mesi dopo un preallarme dell’ agenzia Onu, che aveva indotto molti Paesi a stipulare impegni d’acquisto di vaccini pandemici. Con tanto di assurda clausola contrattuale: gli accordi prevedevano la responsabilità a carico degli acquirenti in caso di effetti collaterali. Come se uno comprasse un elettrodomestico, ma per i malfunzionamenti, anziché essere coperto dalla garanzia, dovesse versare una penale all’azienda produttrice. Guarda caso, quei contratti sarebbero diventati vincolanti se l’Oms avesse annunciato lo scoppio di una pandemia”, cosa alla fine non avvenuta.
E sul ruolo non limpido di Bill Gates hanno avuto modo di esprimersi anche importanti personalità e istituzioni legate al mondo della sanità. Prima tra tutti nel 2013, Medici senza Frontiere, come segnalato in Immunità di legge, saggio frutto di una collaborazione tra il chirurgo e saggista Pierpaolo Dal Monte e “Il Pedante”, che ha accusato Gavi di imporre ai Paesi destinatari degli aiuti prezzi artificiosamente gonfiati per i vaccini, che finivano per alimentare regalie a multinazionali come Bayer e Novartis (Fonte).

Quindi abbiamo un Bill Gates profeta di pandemie, Bill Gates finanziatore di vaccini per virus che possono generare pandemie, lo stesso è il secondo finanziatore al mondo dell’organizzazione mondiale della sanità che dichiara le pandemie, ed infine lo stesso che ha una fondazione che si occupa di vaccinare le popolazioni povere del mondo come quelle dell’Africa, quando sappiamo che quelle popolazioni, sono da sempre sfruttate. Qualcuno si chiederà, ma il creatore della Microsoft, che interessi avrebbe nel fare tutto ciò? Vi basti pensare che nel 2015 l’Italia ha speso 317 milioni di euro in vaccini, pensate al giro di milioni che c’è in tutto il mondo (Fonte).

A questo punto, non ci è dato sapere il nome degli investitori, ma una cosa è certa i presidenti della banca mondiale sono sempre i soliti americani delle lobby ebraiche e massoniche.

Se non vi fosse stata nessuna epidemia, la banca mondiale avrebbe perso 320 milioni di dollari, ma non solo quello, le varie fondazioni in mano sempre ai soliti avrebbero perso milioni e milioni di dollari e di euro per lo sviluppo di vaccini, per la somministrazione e per la preparazione di farmaci. Tuttavia, paradossalmente non viviamo pandemie dal 2009, ed improvvisamente a pochi mesi dalla scadenza dei pandemic bond, scoppia la pandemia. Da qui si scopre che ci erano altri scommettitori, che scommettevano sul crollo delle borse mondiali. Nel dicembre 2019, questi scommettevano 1,5 milioni di dollari, sul crollo delle borse mondiali a marzo 2020. Come facevano a sapere che ciò sarebbe avvenuto? (fonte)

In tutto questo scommettere, a perdere la vita sono persone vere, che vuoi per l’età, vuoi per le patologie, vuoi per lo stato precario ed indecoroso in cui  versano gli ospedali italiani e mondiali, perderanno la vita migliaia di persone che lasceranno un vuoto nel cuore dei loro cari.

Questa sera la protezione civile, nell’informare la popolazione sul numero di morti, afferma che il numero di morti di oggi è calcolato dal totale dei decessi, non solo quelli morti “da” e “per” coronavirus. Questo a mio avviso è un modo per dire fra qualche settimana, che da un attento esame si sono accorti, che i defunti erano morti per altro e ci faranno tornare alla normalità.

Per concludere questo articolo, anche se ci saranno nuovi aggiornamenti nei prossimi giorni, vi informo che quel mattacchione di Bill Gates, ha fatto una nuova profezia “Saremo fuori dall’emergenza, fra poche settimane”… del resto ormai la scommessa è persa (per gli investitori). Fonte

Comunque mi piacerebbe sapere chi ha prodotto i vaccini, che hanno fatto Milanesi e Bergamasci contro il meningococco. 33400 vaccini a gennaio… ed a febbraio scoppia l’epidemia, mi fanno porre qualche domanda.

A presto

Francesco Capizzi