sabato 15 dicembre 2018

Unità Repubblicane in Mar Nero



Unità Repubblicane in Mar Nero

Le vicissitudini attraverso le quali sono passati i nostri piccoli sommergibili della squadriglia C.B. dislocata in Mar Nero meritano di essere narrate, anche perché le fonti ufficiali della Marina hanno preferito ignorarle. Alla data dell’armistizio, la squadriglia, dislocata in Crimea, nelle basi avanzate di Sebastopoli e Yalta, ricevette da Marinarmi l’ordine di autoaffondare i mezzi, mentre gli equipaggi avrebbero dovuto consegnarsi ai Germanici, che si impegnavano a rimpatriarli. Ma ufficiali e marinai non se la sentirono proprio di abbandonare gli alleati a fianco dei quali avevano affrontato tempeste, agguati e reazioni navali ed aeree sovietiche: l’ordine non venne eseguito, e l’attività bellica della squadriglia proseguì con il solito ritmo.
Il giorno 12 settembre pervenne, da Betasom, la base sommergibili italiana a Bordeaux, un messaggio che annunciava l’intenzione della Medaglia d’Oro Enzo Grossi, comandante della stessa, di continuare a battersi a fianco dei Germanici, e la sua assunzione al comando della squadriglia C.B., che veniva invitata ad issare la bandiera della R.S.I. Il comandante della squadriglia, capitano di fregata Torri, indisse una assemblea di ufficiali e marinai, ed espose la situazione; si decise la continuazione della guerra a fianco della Kriegsmarine e la ripresa delle azioni belliche momentaneamente sospese. Così avvenne, ed il 17 settembre il C.B. 1 affondava, nelle acque della Crimea, un posamine tipo Ska sovietico.
Fu inviata l’adesione alla R.S.I. ed issata sulle unità la bandiera repubblicana. Nella base principale di Costanza, invece, marinai e tecnici vennero influenzati dall’addetto navale badogliano, e si pronunciavano in favore del Re; si apriva così una frattura fra i marinai italiani, isolati ed in balìa sia dei Germanici che dei Romeni, Romeni che cercavano già, intrallazzando con gli Alleati, la possibilità di uscire dalla guerra. Ciononostante, i sommergibili continuarono le loro azioni nei mesi di settembre ed ottobre; ai primi di novembre i cinque C.B. raggiunsero Costanza per i normali lavori di manutenzione, ed a questo punto entriamo in pieno romanzo (consigliamo chi voglia saperne di più di consultare il libro di Nino Arena, «Bandiera di Combattimento», in quanto ragioni di spazio ci impongono di sorvolare su tantissimi particolari, interessanti veramente). Gli ufficiali Italiani di Costanza, sostenuti dall’ambasciatore regio, avevano venduto, di loro iniziativa, i C.B. ai Romeni, ed i Romeni vollero prenderseli. C’era però da fare i conti con i marinai repubblicani, che non ne vollero sapere di cedere le loro unità, ed allora i Romeni decisero di sorprendere nel sonno gli Italiani, arrestarli ed internarli. Il piano fu attuato il 30 novembre, ed il l° dicembre veniva ammainata la bandiera repubblicana ed issata quella romena.
L’intervento del Console della R.S.I. (si noti che a Costanza si trovavano ambedue i Consoli, quello regio e quello repubblicano), e più tardi quello personale del Duce, fecero sì che il maresciallo Antonescu decidesse per la restituzione delle unità, la liberazione dei marinai internati, il ripristino della base navale a Eforia, senza più ufficiali badogliani.
Nella primavera del 1944, il C.B. 2 affondò un sommergibile sovietico in agguato nella zona di Costanza; numerosissime furono inoltre le missioni di sorveglianza costiera, agguati e ricognizioni.
L’avanzata sovietica sul fronte meridionale e l’assedio portato dai Sovietici a Sebastopoli, unicamente all’andamento sfavorevole della guerra sugli altri fronti, indussero Re Michele di Romania a destituire il generale Antonescu, fidato sostenitore dell’Asse (che finirà fucilato dai Sovietici ai quali verrà consegnato) ed a cercare l’armistizio con i Russi; le unità germaniche, sia terrestri che navali, furono attaccate dai Romeni, e costrette alla ritirata, abbandonando la Romania.
Anche le navi italiane vennero coinvolte nello sgombero, e ripiegarono su Costanza; ma anche in questo porto la situazione era piuttosto preoccupante, tanto che i Germanici, il 25 agosto 1944, iniziarono ad autoaffondare le proprie navi, al largo del porto, e lo stesso fecero gli Italiani, con il C. B. 1, 2, 3, e 4, mentre il C.B. 6 sorvegliava l’accesso del porto di Eforia. L’avvicinarsi di alcune navi sovietiche provocò un attacco, senza esito, della piccola unità italiana, che dopo il lancio del siluro si autoaffondò anch’essa come le altre. 1 marinai repubblicani, a bordo di un’autocolonna composta da otto autocarri, si mettevano in movimento, con destinazione Italia e, dopo svariate vicissitudini, attraverso Bulgaria, Jugoslavia, Ungheria ed Austria passavano il Brennero e raggiungevano Vicenza il 16 settembre 1944, dopo 22 giorni di viaggio.
Questa la storia, ed i fatti come si svolsero. Ma penso sia opportuno vedere cosa hanno detto in proposito le fonti ufficiali italiane, cioè l’Ufficio Storico della Marina Militare, il quale travisa la realtà ed offre una sua versione, adulterata, disonesta, falsa.
Nel volume «Navi Militari Perdute», sia edizione 1952 che edizione 1965, si dice che i cinque C.B. «nei primi giorni del settembre 1943, nelle basi dei Mar Nero questi sommergibili, che con equipaggi italiani avevano operato in Mar Nero fino dal maggio 1942, furono ceduti alla Marina Romena. Risulterebbe che, quando nell’agosto 1944 fu stipulato l’armistizio fra gli Alleati e la Romania, queste unità siano state distrutte od affondate».
La stessa versione è data nel volume «I sommergibili italiani» edito sempre dallo stesso u.s.m.m.; invece, nel volume «Attività della Marina in Mar Nero e nel Lago Ladoga», sempre u.s.m.m., dopo un breve cenno circa la possibilità di cessione dei C.B. alla Marina Romena, al quale si fa seguire nella pagina successiva l’informazione che la Kriegsmarine riteneva non fosse consigliabile detta cessione, dichiarandosi disposta a rilevare le unità, dei C.B. non si parla più, svaniscono nel nulla.
Ci si arrampica sugli specchi per tacere una verità che scotta, per non ammettere l’esistenza di Uomini che hanno rifiutato il tradimento, e che, pur sapendo di combattere per una Causa perduta, hanno voluto restare al loro posto. Ci si comporta come se questo fatto fosse una vergogna, e ci si vanta di aver portato a Malta una Marina invitta, consegnandola ai vincitori in luogo di autoaffondare, come reclamava l’onore marinaro, le navi piuttosto che ammainare la bandiera!
Fonte: tratto da Nuovo Fronte, n. 129 Gennaio 1993