IL COMITATO DEI 300 “DISTRUGGEREMO L'ITALIA!” Un libro e un video DALLE RIVELAZIONI AGGHIACCIANTI.
Da
Agostino Conte
L’Italia è sotto il tiro di grandi poteri finanziari
mondiali, che hanno deciso di ridurne drasticamente il comparto
industriale per trasformarla in un Paese arretrato di tipo feudale.
Lo denuncia un ex agente segreto inglese John Coleman con il libro: “IL COMITATO DEI 300” pubblicato in inglese dalla World Int. Review di Las Vegas, negli Stati Uniti nel Novembre del 1991 (oggi alla 5 edizione).
Ma non c'è solo lui a denunciare LA MANO DEL DIAVOLO tra PEDOFILIA, NUOVO ORDINE MONDIALE, MAFIA, SETTE SATANICHE, TRAFFICO DI ORGANI, BAMBINI, ARMI E DROGA.
Scopriremo che la rete non è composta solo da 300 uomini senza scrupoli. Una prova è la testimonianza di Ronald Bernard,
un testimone/sopravvissuto fatta davanti alla Commissione Giudiziaria
ITNJ sul traffico di esseri umani e l'abuso sessuale sui minori il 7
Giugno 2018. Ronald Berdard ci parla di una organizzazione oggi di oltre
8.500 “uomini del male” trai vertici in Europa, in Italia … e distribuiti in tutto il mondo.
Non c' è solo Soros o Bilderbeg. “Uomini, che si conoscono l'un l'altro, dirigono il destino economico nel mondo e scelgono i loro successori tra di loro."
Perché tante VERITA’ stanno venendo fuori solo adesso? Forse perché “lassù qualcuno ci ama” ed ha deciso di “eliminare le mele marce dall’albero della Vita?”
ritornando a J. Coleman. Ecco cosa dice nel suo libro in sintesi: (alcune notizie sono dalla fonte rinodistefano.com)
Questa strategia sarebbe stata adottata dal club dei potenti più
forti al mondo, appunto il Comitato dei 300 fondato dall’aristocrazia
inglese nel 1727, per ridurre drasticamente il numero di quelli che
vengono definiti “useless eaters” (letteralmente “mangiatori inutili”),.
In altre parole, secondo loro, sarebbe necessario riportare la
popolazione mondiale a livelli precedenti il Novecento. Il potere,
sempre secondo questi signori, deve essere concentrato nelle mani di
pochi, ricchissimi e potentissimi finanzieri (si fanno chiamare The
Olympians, considerandosi simili ai mitici dei greci dell’Olimpo), i
quali decideranno che cosa sia meglio per tutti, Paese per Paese. I
primi tre a essere presi di mira, cioè quelli dove dovrebbe essere
adottata questa strategia di impoverimento della popolazione, sarebbero
Italia, Argentina e Pakistan. La sua tesi che la Rivoluzione Russa, la
Prima Guerra Mondiale, l’ascesa di Hitler e la Seconda Guerra Mondiale,
non sarebbero affatto casuali. Tutto sarebbe stato ordito e organizzato
da potenti finanzieri che agivano secondo uno schema preordinato.
Coleman ci avrebbe messo 35 anni per verificare questo assunto. E dopo
una miriade di interviste ad ammiragli, capi dei Servizi Segreti,
ufficiali di alto rango, politici, banchieri ed economisti, è giunto
alla conclusione che quel Comitato dei 300 esiste davvero.
In fondo al suo libro riporta i nomi dei passati e dei presenti
membri di quel sodalizio. Compresi quelli degli italiani che ne
facevano, e ne fanno, parte (riportato alla fine).
E’ curioso notare che tra gli antichi fondatori del Comitato dei 300,
ispirato alla The East India Company britannica, si trovassero diversi
rappresentanti della nobiltà nera veneziana e genovese. Aristocratici,
questi ultimi, che avrebbero ancora oggi “scanni” tra le fila dei 300.
Il Comitato dei 300 con la sua "aristocrazia", ha le sue
gestione/proprietà nel sistema della Federal Reserve statunitense e
bancarie; assicurative, società per azioni giganti, le fondazioni, le
reti di comunicazione, presieduta da una gerarchia di cospiratori.
Questo è il mare "crancro dell'umanità". Esistono società segrete con
l'inganno. Ognuno di essi è una gerarchia con un cerchio interno al
vertice, ingannando quelli che sono al di sotto con menzogne, come ad
esempio sostenendo di possedere una dinastia nobile; quindi, li beffa in
seguito attraverso una rete di complici
Il cerchio interno del Comitato dei 300 è l'Ordine della
Giarrettiera, guidato dalla Regina Elisabetta II Windsor. E
'interessante notare che i Windsor hanno cambiato il loro nome dal
germanico Saxe-Coburg-Gotha durante la prima guerra mondiale, a causa
del sentimento anti-tedesco. Del resto, la casata di Windsor degli
attuali regnanti britannici, venne così definita dal re Giorgio V nel
1917, ma avrebbe dovuto chiamarsi più propriamente casata dei Guelfi,
una delle più antiche famiglie della nobiltà nera di Venezia, dalla
quale discendeva la regina Vittoria.
Per la cronaca, dei 300, ne fa parte anche l’ex Presidente del Consiglio, e attuale senatore a vita, professor Mario Monti. Secondo Coleman, Davignon sarebbe uno strenuo difensore della teoria della deindustrializzazione, con crescita zero. Una prova sarebbe il Piano Davignon del 1981
che promosse la riduzione della produzione siderurgica, la fine dei
sussidi pubblici al settore e un drastico ridimensionamento del numero
degli addetti. Una strategia, questa, che venne poi sposata anche dal
presidente Reagan, con disastrose conseguenze per l’industria americana,
a tutti i livelli e fino ai giorni nostri. Ebbene, ad un certo punto il
Comitato dei 300 avrebbe deciso di mettere in pratica la propria
politica di contenimento industriale per ridurre la “surplus population”
(cioè la “popolazione in eccesso”) in Italia, Argentina e Pakistan.“Attualmente
l’Italia è di fatto sotto il controllo di segreti governanti designati
dalla loggia P2 della Massoneria – scrive Coleman. Le corporazioni dirigono l’Italia. I partiti dell’opposizione italiana definiscono lo status quo corporativismo fascista”.
Coleman sostiene che la loro politica sia quella di sostenere in
tutto il globo una diffusione della sinistra politica, sull’esempio dei
Socialisti Fabiani. Stiamo parlando di un movimento politico e sociale
istituito nel 1884 a Londra col nome di Fabian Society. Si ispirava a
Quinto Fabio Massimo, detto “il temporeggiatore”, che contro Annibale
aveva usato una strategia attendista di lento logoramento. Il
fabianesimo credeva, appunto, ad una graduale evoluzione della società
attraverso riforme che portino passo dopo passo verso il socialismo. Il
marxismo, invece, crede in un cambiamento repentino e rivoluzionario.
Una volta imposto il modello socialista, i 300 lo controllerebbero
dall’alto, impedendo che vi siano contestazioni o rivolte. Dunque, una
sinistra che verrebbe controllata da una dittatura occulta e
potentissima a livello planetario. Ovviamente, nessuno dei sudditi dei
regimi socialisti potrebbe mai immaginare che quei governi siano stati
voluti da una ristrettissima cerchia di super miliardari che, di fatto,
avrebbero costituito un Nuovo Ordine Mondiale.
Per quanto ci riguarda, la notizia più clamorosa che ci dà Coleman la si legge a pagina 47 del libro, dove viene raccontata la tragedia di Aldo Moro.
Secondo quanto riporta il libro, l’attentato di via Fani, il
rapimento e l’uccisione dello statista furono progettati e portati a
termine dal Comitato dei 300. Altro che Brigate Rosse. I terroristi ci
misero la faccia e l’organizzazione, ma l’operazione sarebbe stata
manovrata interamente dai 300. Moro, infatti, si opponeva alla “crescita
zero” e alla riduzione della popolazione italiana che sarebbe stata
commissionata dai 300 al Club di Roma. “Il 10 novembre 1982, in un
tribunale di Roma, un buon amico di Moro (si trattava di Corrado
Guerzoni) testimoniò che l’ex primo ministro venne minacciato da un
agente del Royal Institute for International Affairs (RIIA) che era
anche un membro del Comitato dei 300 e Segretario di Stato. Il testimone
disse che quell’uomo era Henry Kissinger – scrive Coleman –
L’ex primo ministro Moro venne rapito dalle Brigate Rosse nel 1978 e
successivamente brutalmente ucciso a colpi di pistola. Fu al processo
dei membri delle Brigate Rosse che diversi di loro testimoniarono di
essere a conoscenza del coinvolgimento ad alto livello degli Stati Uniti
nel complotto per uccidere Moro. E uno di essi coinvolse Henry
Kissinger in questo complotto omicida. Quando Moro venne minacciato,
ovviamente Kissinger non era più al servizio della diplomazia americana,
ma piuttosto agiva secondo le istruzioni ricevute dal Club di Roma, il
braccio politico estero del Comitato dei 300. Questa notizia non venne
mai diffusa da nessuno dei media o delle stazioni televisive”. Ma anche
negli Stati Uniti, continua Coleman, nessuno arrivò mai ad accusare
formalmente Kissinger. Perché, allora, tutto questo sarebbe accaduto?
“La morte di Aldo Moro – si legge nel libro – rimosse i posti di blocco
al progetto di destabilizzare l’Italia, e, sulla base di quanto noi
sappiamo adesso, ha permesso i piani della cospirazione per il Medio
Oriente, portati a termine nella Guerra del Golfo, 14 anni più tardi.
L’Italia venne scelta come bersaglio tipo dal Comitato dei 300 a causa
della sua importanza per i cospiratori. Un’importanza dovuta al fatto
che fosse il Paese europeo più vicino al Medio Oriente e con più stretti
rapporti alla politica e all’economia del Medio Oriente. Inoltre è
anche sede della Chiesa cattolica, che Rothschilds aveva ordinato a
Weishaupt di distruggere”. Il riferimento sarebbe ad un antico progetto
dei banchieri Rothschilds, potenti membri del Comitato,
di affidare ad un loro addetto, Adam Weishaupt, il piano per
distruggere la cristianità. Sempre secondo Coleman, l’Italia è
importante anche per un’altra ragione del panorama mondiale. Il nostro Paese, infatti, viene considerato la porta di accesso dell’Europa per la droga proveniente dall’Iran e dal Libano.
Ma l’aspetto più inquietante di questo interesse della finanza mondiale
verso l’Italia, resta quello della copertura che sarebbe stata
esercitata da non meglio precisati ricchi italiani, nei confronti dei
brigatisti e della Massoneria deviata. “Sin dal 1968, quando venne
istituito il Club di Roma – scrive Coleman – numerosi gruppi si sono
associati sotto l’ombrello del Socialismo allo scopo di far cadere
diversi governi italiani, per destabilizzare il Paese. Tra questi, la
nobiltà nera di Venezia e Genova, la Loggia P2 e le Brigate Rosse, tutti
quanti operavano con lo stesso obiettivo. Investigatori della polizia
che lavoravano al caso Brigate Rosse-Moro, sono venuti a conoscenza dei
nomi di diverse importanti famiglie italiane che controllavano da vicino
i leader di questi gruppi terroristici. La polizia scoprì inoltre le
prove che, in almeno una dozzina di casi, queste potenti e importanti
famiglie avevano messo a disposizione le loro case e proprietà per
essere utilizzate come basi sicure per le cellule delle Brigate Rosse.
La ‘nobiltà’ americana – continua Coleman – ha fatto la sua parte per
distruggere la Repubblica Italiana. Un notevole contributo in questo
senso è venuto da Richard Gardner, allora Ambasciatore a Roma per conto
del presidente Carter.
Ben più documentata è invece la parte che riguarda Giovanni Agnelli
(Torino 12/3/1921 – Torino 24/1/2003), definito “uno dei membri più
importanti del Comitato dei 300”, e il suo amico Aurelio Peccei. Peccei,
la cui figura non tutti conoscono, fu il fondatore del Club di Roma che
Coleman definisce “un ombrello dietro cui si cela un’organizzazione
cospiratoria, un matrimonio tra finanzieri anglo-americani e le famiglie
della nobiltà nera d’Europa, particolarmente della cosiddetta ‘nobiltà’
di Londra, Venezia e Genova”.
Aurelio Peccei nel 1949 si trasferì per conto della
Fiat in America Latina, dove in Argentina fondò la Fiat-Concord,
succursale dell’industria italiana. Nel 1958 tornò in patria dove fondò
la Italconsult, una joint-venture che comprendeva marchi italiani come
Innocenti, Montecatini e Fiat. Nel 1964 venne nominato amministratore
delegato della Olivetti e quattro anni dopo, nell’aprile del 1968, fondò
il Club di Roma insieme allo scienziato scozzese Alexander King. L’atto
di accusa di Coleman verso Peccei è pesantissimo, in quanto lo
scrittore sostiene che l’imprenditore italiano abbia avallato nel suo
libro “Limits of Growth” (“Limiti della crescita”) un progetto che portò
le popolazioni di diverse nazioni africane alla morte per fame. Questo
“piano” venne poi formalizzato nel “Global 2000 Report”.
Il libro continua la sua lunga esposizione trattando di un’infinità
di altri argomenti. Si parla anche dei Beatles, il cui successo sarebbe
stato guidato da Theodor Adorno; dei miliardari inglesi che finanziarono
prima Lenin e poi Hitler; della morte di Grace di Monaco, che
sarebbe stata provocata come presunta ritorsione contro il principe
Ranieri; del vastissimo mercato della droga che da secoli
finanzia le famiglie più in vista del pianeta; dell’incredibile
influenza che l’aristocrazia britannica avrebbe ancora oggi sulla Casa
Bianca di Washington; della carriera di Henry Kissinger all’ombra del discusso docente di Harvard William Yandall Elliot; del presunto assassinio di Papa Giovanni Paolo I; del complicato e multi sfaccettato complotto che ha portato all’uccisione del presidente John Kennedy,
che osò opporsi ai piani del Comitato dei 300, con un incredibile
elenco di morti misteriose che vennero subito dopo. Infine, per chiudere
tornando all’Italia, del “Permindex affair”, cioè della rete spionistica clandestina che opererebbe da anni nel nostro Paese. Forse, però, ciò che cattura di più l’attenzione del lettore è la lista dei membri del Comitato dei 300, passati e presenti. Si parte dal già nominato Giovanni Agnelli, di cui si conosceva da sempre anche l’appartenenza al Bildelberg Group (lasciata in eredità ai successori), per proseguire con Beatrice di Savoia, l’ex presidente USA George W. Bush, il conte Vittorio Cini, l’industriale-editore Carlo De Benedetti (il nome viene riportato come Carlo De Benneditti),
la regina Elisabetta II, la regina Giuliana d’Olanda, la regina Sofia
di Spagna, la regina Margrete di Danimarca, l’economista John Maynard
Keynes, l’onnipresente Henry Kissinger, l’ex presidente francese
Francois Mitterand, il faccendiere Umberto Ortolani (P2), l’ex leader
svedese assassinato Olaf Palme, Aurelio Peccei, il cardinale Michele
Pellegrino, il Principe Filippo di Edimburgo, il banchiere David
Rockefeller, Sir Bertrand Russel, il diplomatico ed ex Segretario di
Stato Cyrus Vance.
Possiamo concludere che la maggior parte delle immense ricchezze del
Comitato dei 300 sorse fuori dal commercio dell'oppio con la Cina e
l'India. Profitti osceni avuto con l'export e la diffusione della Oppio
(dall' Oppio si estrae l'Eroina) andato dritto nelle casse reali, e
nelle tasche della nobiltà, gli oligarchi ed i plutocrati, e miliardari
affiliati.
Le popolazioni della Cina, India e Inghilterra NON hanno beneficiato
nulla dai "ricavi dell'oppio". Allo stesso modo il popolo del Sud
Africa, NON ha mai beneficiato dal settore delle miniere d'oro, i cui
ricavi sono stati convogliati direttamente nelle banche di Londra e
d'affari. Il Comitato dei 300 è responsabile per le guerre di droga negli Stati Uniti. Non c’è dubbio che la lettura di questo libro lasci addosso una forte
inquietudine sulla realtà segreta e misteriosa del mondo che ci
circonda. E una domanda sorge spontanea: ma quanto sappiamo, in realtà,
di ciò che succede intorno a noi?
Un altro tassello del mosaico è la testimonianza del Testimone/Sopravvissuto Ronal Bernard
(VIDEO proposto a seguire da non perdere) a conferma delle accuse di Coleman.
Una testimonianza fatta davanti alla Commissione Giudiziaria ITNJ sul
traffico di esseri umani e l'abuso sessuale sui minori (7 Giugno 2018).
Ecco in sintesi della sua testimonianza: “Questo è un programma molto antico. Un programma Luciferino.
Usano i nostri genitori per crescerci e metterci in un programma di
vaccini che sono fatti per distruggere il nostro sistema immunitario.
Siamo solo vita e luce da usare e assorbire per loro. Creavo guerre
economiche iniettando moneta falsa nel mercato prodotta dai Russi.
Servivo i mostri dell'Avarizia e ad un certo punto, alla fine, entra in
gioco Lucifero, perché qui stiamo parlando di esseri inter-dimensionali. Questo non riguarda gli umani, questo riguarda una forza oscura
molto malvagia che gioisce nel distruggere tutta la vita su questo
pianeta. Odiavamo tutto ciò che rappresentava la vita, ciò che
rappresentava il Creatore dei Cieli e della Terra e ci divertivamo nel
farlo. Uccidevo le persone indirettamente. Distruggevo temporaneamente
l'economia dell'Italia, le persone in Italia perdevano tutto, si
suicidavano lasciando mogli e figli e noi ridevamo. Non ho potuto più continuare quando arrivato all'ultimo livello
delle loro attività criminali mi invitarono a sacrificare i bambini.
Sono scappato per 9 anni dopo che minacciarono di uccidere tutta la mia
linea di sangue. Vivevo sotto falsa identità. Anche la mia famiglia
scappò e non vidi mio figlio per 11 anni. Feci un patto con loro di non
fare nomi e mi lasciarono stare. Trascorsi 9 anni in ospedale per
recuperare psicologicamente da tutto quello che avevo fatto. Cominciai a
leggere libri spirituali, il Corano, la Torah e la Bibbia. Volevo
suicidarmi a favore della natura e degli umani ma riuscì a ricostruire
una relazione con la mia vita e con il Creatore e ricominciai a vivere.
Per essere liberati da quel sistema dobbiamo tutti
cambiare prima da dentro. Ci sono ancora molti come me, è un gruppo di
almeno 8500 persone.
Ecco di seguito i 300 NOMI pubblicati nel libro di J. Coleman (nel
libro originale alcuni nomi risultano diversi ma dal contenuto/fatti i
nomi dei personaggi coinvolti sono quelli sopra citati)
1. Abdullah II, King of Jordan
2. Abramovich, Roman
3. Ackermann, Josef
4. Adeane, Edward
5. Agius, Marcus
6. Ahtisaari, Martti
7. Akerson, Daniel
8. Albert II, King of Belgium
9. Alexander, Crown Prince of Yugoslavia 10. Amato, Giuliano
11. Anderson, Carl A. 12. Andreotti, Giulio
13. Andrew, Duke of York
14. Anne, Princess Royal
15. Anstee, Nick
16. Ash, Timothy Garton
17. Astor, William Waldorf
18. Aven, Pyotr
19. Balkenende, Jan Peter
20. Ballmer, Steve
21. Balls, Ed
22. Barroso, José Manuel
23. Beatrix, Queen of the Netherlands
24. Belka, Marek
25. Bergsten, C. Fred
26. Berlusconi, Silvio
27. Bernake, Ben
28. Bernstein, Nils
29. Berwick, Donald
30. Bildt, Carl
31. Bischoff, Sir Winfried
32. Blair, Tony
33. Blankfein, Lloyd
34. Blavatnik, Leonard
35. Bloomberg, Michael
36. Bolkestein, Frits
37. Bolkiah, Hassanal
38. Bonello, Michael C 39. Bonino, Emma
40. Boren, David L.
41. Borwin, Duke of Mecklenburg
42. Bronfman, Charles – Bill and Melinda Gates foundation
43. Bronfman, Edgar Jr.
44. Bruton, John
45. Brzezinski, Zbigniew
46. Budenberg, Robin
47. Buffet, Warren
48. Bush, George HW
49. Cameron, David
50. Camilla, Duchess of Cornwall
51. Cardoso, Fernando Henrique
52. Carington, Peter
53. Carl XVI Gustaf, King of Sweden
54. Carlos, Duke of Parma
55. Carney, Mark
56. Carroll, Cynthia
57. Caruana, Jaime
58. Castell, Sir William
59. Chan, Anson
60. Chan, Margaret
61. Chan, Norman
62. Charles, Prince of Wales
63. Chartres, Richard
64. Chiaie, Stefano Delle
65. Chipman, Dr John
66. Chodiev, Patokh
67. Christoph, Prince of Schleswig-Holstein 68. Cicchitto, Fabrizio
69. Clark, Wesley – NATO – Kosovo
70. Clarke, Kenneth
71. Clegg, Nick
72. Clinton, Bill
73. Cohen, Abby Joseph
74. Cohen, Ronald
75. Cohn, Gary
76. Colonna di Paliano, Marcantonio, Duke of Paliano
77. Constantijn, Prince of the Netherlands
78. Constantine II, King of Greece
79. Cooksey, David
80. Cowen, Brian
81. Craven, Sir John
82. Crockett, Andrew
83. Dadush, Uri 84. D'Aloisio, Tony
85. Darling, Alistair
86. Davies, Sir Howard
87. Davignon, Étienne – Bilderberg president – Herman Von Rampuy
88. Davis, David
89. de Rothschild, Benjamin
90. de Rothschild, David René
91. de Rothschild, Evelyn
92. de Rothschild, Leopold
93. Deiss, Joseph
94. Deripaska, Oleg
95. Dobson, Michael 96. Draghi, Mario
97. Du Plessis, Jan
98. Dudley, William C.
99. Duisenberg, Wim
100. Edward, Duke of Kent
101. Edward, Earl of Wessex
102. Elizabeth II, Queen of the United Kingdom
103. Elkann, John
104. Emanuele, Vittorio, Prince of Naples
105. Ernst August, Prince of Hanover
106. Feldstein, Martin
107. Festing, Matthew
108. Fillon, François
109. Fischer, Heinz
110. Fischer, Joschka
111. Fischer, Stanley
112. FitzGerald, Niall
113. Franz, Duke of Bavaria
114. Fridman, Mikhail
115. Friso, Prince of Orange-Nassau
116. Gates, Bill
117. Geidt, Christopher
118. Geithner, Timothy
119. Georg Friedrich, Prince of Prussia
120. Gibson-Smith, Dr Chris
121. Gorbachev, Mikhail
122. Gore, Al
123. Gotlieb, Allan
124. Green, Stephen
125. Greenspan, Alan
126. Grosvenor, Gerald, 6th Duke of Westminster
127. Gurría, José Ángel
128. Hague, William
129. Hampton, Sir Philip
130. Hans-Adam II, Prince of Liechtenstein
131. Harald V, King of Norway
132. Harper, Stephen
133. Heisbourg, François
134. Henri, Grand Duke of Luxembourg
135. Hildebrand, Philipp
136. Hills, Carla Anderson
137. Holbrooke, Richard
138. Honohan, Patrick
139. Howard, Alan
140. Ibragimov, Alijan
141. Ingves, Stefan
142. Isaacson, Walter
143. Juan Carlos, King of Spain
144. Jacobs, Kenneth M.
145. Julius, DeAnne
146. Juncker, Jean-Claude
147. Kenen, Peter
148. Kerry, John
149. King, Mervyn
150. Kinnock, Glenys
151. Kissinger, Henry
152. Knight, Malcolm
153. Koon, William H. II
154. Krugman, Paul
155. Kufuor, John
156. Lajolo, Giovanni
157. Lake, Anthony
158. Lambert, Richard
159. Lamy, Pascal
160. Landau, Jean-Pierre
161. Laurence, Timothy
162. Leigh-Pemberton, James
163. Leka, Crown Prince of Albania
164. Leonard, Mark
165. Levene, Peter
166. Leviev, Lev
167. Levitt, Arthur
168. Levy, Michael
169. Lieberman, Joe
170. Livingston, Ian
171. Loong, Lee Hsien
172. Lorenz of Belgium, Archduke of Austria-Este
173. Louis Alphonse, Duke of Anjou
174. Louis-Dreyfus, Gérard
175. Mabel, Princess of Orange-Nassau
176. Mandelson, Peter
177. Manning, Sir David
178. Margherita, Archduchess of Austria-Este
179. Margrethe II, Queen of Denmark
180. Martínez, Guillermo Ortiz
181. Mashkevitch, Alexander 182. Massimo, Stefano, Prince of Roccasecca dei Volsci 183. Massimo-Brancaccio, Fabrizio Princeof Arsoli and Triggiano
184. McDonough, William Joseph
185. McLarty, Mack
186. Mersch, Yves
187. Michael, Prince of Kent
188. Michael, King of Romania
189. Miliband, David
190. Miliband, Ed
191. Mittal, Lakshmi
192. Moreno, Glen
193. Moritz, Prince and Landgrave of Hesse-Kassel
194. Murdoch, Rupert
195. Napoléon, Charles
196. Nasser, Jacques
197. Niblett, Robin
198. Nichols, Vincent
199. Nicolás, Adolfo
200. Noyer, Christian
201. Ofer, Sammy
202. Ogilvy, Alexandra, Lady Ogilvy
203. Ogilvy, David, 13th Earl of Airlie
204. Ollila, Jorma
205. Oppenheimer, Nicky
206. Osborne, George
207. Oudea, Frederic
208. Parker, Sir John
209. Patten, Chris
210. Pébereau, Michel
211. Penny, Gareth
212. Peres, Shimon
213. Philip, Duke of Edinburgh
214. Pio, Dom Duarte, Duke of Braganza
215. Pöhl, Karl Otto
216. Powell, Colin
217. Prokhorov, Mikhail
218. Quaden, Guy
219. Rasmussen, Anders Fogh
220. Ratzinger, Joseph Alois (Pope Benedict XVI)
221. Reuben, David
222. Reuben, Simon
223. Rhodes, William R.
224. Rice, Susan
225. Richard, Duke of Gloucester
226. Rifkind, Sir Malcolm
227. Ritblat, Sir John
228. Roach, Stephen S.
229. Robinson, Mary
230. Rockefeller, David Jr.
231. Rockefeller, David Sr.
232. Rockefeller, Nicholas
233. Rodríguez, Javier Echevarría
234. Rogoff, Kenneth
235. Roth, Jean-Pierre
236. Rothschild, Jacob
237. Rubenstein, David
238. Rubin, Robert 239. Ruspoli, Francesco, 10th Prince of Cerveteri
240. Safra, Joseph
241. Safra, Moises
242. Sands, Peter
243. Sarkozy, Nicolas
244. Sassoon, Isaac
245. Sassoon, James
246. Sawers, Sir Robert John
247. Scardino, Marjorie
248. Schwab, Klaus
249. Schwarzenberg, Karel
250. Schwarzman, Stephen A.
251. Shapiro, Sidney
252. Sheinwald, Nigel
253. Sigismund, Grand Duke of Tuscany, Archduke of Austria
254. Simeon of Saxe-Coburg and Gotha
255. Snowe, Olympia
256. Sofía, Queen of Spain
257. Soros, George
258. Specter, Arlen
259. Stern, Ernest
260. Stevenson, Dennis
261. Steyer, Tom
262. Stiglitz, Joseph
263. Strauss-Kahn, Dominique
264. Straw, Jack
265. Sutherland, Peter
266. Tanner, Mary 267. Tedeschi, Ettore Gotti
268. Thompson, Mark
269. Thomson, Dr. James
270. Tietmeyer, Hans
271. Trichet, Jean-Claude
272. Tucker, Paul
273. Van Rompuy, Herman
274. Vélez, Álvaro Uribe
275. Verplaetse, Alfons
276. Villiger, Kaspar
277. Vladimirovna, Maria, Grand Duchess of Russia
278. Volcker, Paul
279. von Habsburg, Otto
280. Waddaulah, Hassanal Bolkiah Mu'izzaddin, Sultan of Brunei
281. Walker, Sir David
282. Wallenberg, Jacob
283. Walsh, John
284. Warburg, Max
285. Weber, Axel Alfred
286. Weill, Michael David
287. Wellink, Nout
288. Whitman, Marina von Neumann
289. Willem-Alexander, Prince of Orange
290. William Prince of Wales
291. Williams, Dr Rowan
292. Williams, Shirley
293. Wilson, David
294. Wolfensohn, James
295. Wolin, Neal S.
296. Woolf, Harry
297. Woolsey, R. James Jr.
298. Worcester, Sir Robert
299. Wu, Sarah
300. Zoellick, Robert
Nella notte tra il 28 e il 29 marzo 1941, la flotta italiana in Egeo subì un
vero e proprio agguato notturno da parte di quella inglese. Quella che
sarebbe poi passata alla storia come la “notte di Capo Matapan”, più che un
combattimento tra due squadre navali, fu una sorta di tiro al piccione con
le navi italiane nel ruolo del bersaglio.
Alla fine dello scontro, laddove la parola scontro è un eufemismo, la Marina
Italiana contò la perdita degli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Pola e
dei cacciatorpediniere Alfieri e Carducci. Come se ciò non bastasse, tra i
danni patiti, si annoverò anche il siluramento della corazzata Vittorio
Veneto. A fronte di questo scempio, gli inglesi lamentarono la sola perdita
di un biplano silurante Swordfish.
Il grave smacco andava ad aggiungersi a quello subito dagli italiani pochi
mesi prima, nella notte tra l’11 ed il 12 novembre 1940, quando una
formazione aerea composta da 20 aerosiluranti Sworfish decollati dalla
portaerei Illustrious, avevano attaccato le navi italiane mentre erano “al
sicuro” nella base portuale di Taranto. Gli Swordfish, benché fossero dei
biplani dall’aspetto antidiluviano, avevano danneggiato in quell’occasione
le navi da battaglia Cavour, Littorio e Caio Duilio.
Molti degli studiosi che hanno trattato della drastica sconfitta italiana a
Matapan hanno semplicisticamente attribuito la vittoria degli inglesi
all’utilizzo del radar del quale gli italiani erano privi. Chi ha sposato
senza riserve unicamente la tesi del radar come arma risolutiva in quella
notte nefasta alle armi italiane, potrebbe aver imboccato una strada
sbagliata.
Infatti gli inglesi furono in condizione tendere quell’imboscata e portarla
a felice compimento non solo grazie all’uso del radar, anche perché le navi
italiane furono scoperte impiegando i soli binocoli notturni e poi
inquadrate per il tiro con i normali proiettori. La trappola tesa dagli
inglesi nell’Egeo ebbe, invece, una ricetta che si basava su altri due
ingredienti principali dei quali gli italiani, parimenti, non potevano
disporre.
Il primo di questi ingredienti fu l’ULTRA Intelligence, ovvero il servizio
di decrittazione inglese che aveva sede nel villaggio di Bletchley Park, a
metà strada tra Oxford e Cambridge. Si trattava di un’imponente
organizzazione che, grazie a metodi matematici, rendeva possibile decrittare
i radiomessaggi cifrati dalle forze dell’Asse. Grazie all’attività di ULTRA
la flotta inglese poteva conoscere in anticipo gli ordini e i movimenti
della flotta da battaglia italiana e dei convogli. Tutto ciò avveniva,
chiaramente, senza che gli italiani, che usavano con cieca fiducia “Enigma”,
una complessa macchina per trasmettere in cripto, se ne avvedessero. La
seconda potente arma della quale gli inglesi ebbero la disponibilità fu la
portaerei Formidabile, dalla quale decollarono i velivoli che silurarono la
Vittorio Veneto e l’incrociatore Pola, dando l’avvio ad una serie di eventi
che portarono alla catastrofica disfatta della squadra italiana.
IL TRADIMENTO Nel
dopoguerra prese piede la tesi che i fatti di Matapan ed insieme a questi
tanti altri oscuri ed inspiegabili affondamenti di unità italiane, fossero
da imputarsi, invece, a tristissimi episodi di tradimento. Erano troppi
coloro i quali raccontavano di aver salvato la propria unità solo grazie al
fatto di aver scelto di contravvenire agli ordini e di fare una rotta
diversa da quella prefissata dai comandi superiori.
Ad avvalorare la tesi che a causare il disastro di “Matapan” fosse stato un
episodio di tradimento, intervenne la testimonianza di un ufficiale
imbarcato sul Pola il quale, al ritorno dalla prigionia, narrò di una
circostanza veramente sconcertante. Salvato dagli inglesi dopo
l’affondamento della sua unità a Matapan, era stato portato a bordo del
cacciatorpediniere Jervis dove, affisso nel quadrato, aveva potuto leggere
un ordine dell’ammiraglio Cunningham, datato 26 marzo, che preannunciava
un’uscita delle navi italiane in Egeo. L’ufficiale italiano, di fronte a
quel foglio affisso, aveva logicamente dedotto che se gli inglesi sapevano,
il 26 marzo, dove sarebbero state le navi italiane due giorni dopo, non vi
poteva essere che una spiegazione: un traditore li avvisava con molto
anticipo dei movimenti italiani. Inoltre, la spia non poteva che essere
qualcuno molto in alto e ai vertici della Regia Marina.
La tesi del tradimento, nell’immediato dopoguerra, fu sposata e tenacemente
sostenuta da Antonino Trizzino, il quale in un suo famoso libro dal titolo
“Navi e poltrone”, accusò di codardia e tradimento alti ufficiali della
Marina e, non contento di restare sul vago, fece nomi e cognomi dei
destinatari delle accuse.
Trizzino, denunciato, si ritrovò davanti a un tribunale a dover rispondere
della pesante accusa di vilipendio delle Forze Armate. Condannato, fu poi
assolto in appello. A quell’epoca Antonino Trizzino, i giudici che
l’assolsero e chi continuava a gridare “al tradimento”, non potevano sapere
del ruolo avuto da ULTRA negli affondamenti italiani. Gli inglesi erano
stati bravissimi, non tanto a mettere in piedi l’intera organizzazione
denominata ULTRA, ma quanto a tutelare il segreto circa la loro capacità di
decrittare i messaggi nemici, forzando quella inespugnabile fortezza che gli
italiani e i tedeschi reputavano fosse la macchina “Enigma”.
Come già detto sopra, grazie all’organizzazione ULTRA, la Marina Inglese
potè farla da padrona nel Mediterraneo per tutto il corso della Guerra,
essendo l’ammiragliato britannico in grado di sapere dove e quando avrebbe
incontrato le navi italiane e potendo così decidere se e quando incontrarle.
Di tale situazione ne furono vittime soprattutto gli equipaggi dei piroscafi
impegnati sulle rotte per la Libia che subirono un’incredibile falcidia.
Se è vero che gli inglesi ebbero in ULTRA un prezioso alleato capace di
fornire ogni genere di informazione sulla Marina Italiana è anche vero che è
lecito presumere che questa non fu l’unica quinta colonna della quale
poterono disporre nelle file italiane.
Le voci e le dicerie sui tradimenti sono state, nel tempo, tali e tante da
indurre a credere che queste non siano state solo un banale espediente
psicologico di chi ha perso la guerra per trovare una scusante alla
sconfitta. È interessante riprendere a proposito, quanto si evince dai
lavori di Alberto Santoni, secondo il quale i tradimenti di cui si
favoleggiò nell’immediato dopoguerra non furono ne una favola, né una
leggenda.
“Se l’ULTRA intelligence britannico, basato sulle decrittazioni dei messaggi
cifrati, fu indiscutibilmente la causa di tante sorprese italiane a livello
tattico – Scrive Santoni nel suo Volume “Da Lissa alle Falkland” (Mursia,
1987) – non si possono tuttavia chiudere gli occhi su alcune documentate
trame, aventi invece obiettivi strategici e politici, messe in atto da
dipendenti dello Stato, che decisero di puntare su ambedue i cavalli in
pista,così da essere sicuri di trovarsi alla fine dalla parte del vincitore”
LA COMPRAVENDITA DELLA FLOTTA ITALIANA
Veniamo adesso ai fatti: a partire dalla fine del 1940 al Foreign Office di
Londra incominciarono ad arrivare, da varie fonti, a livello internazionale,
notizie riguardanti un crescente malcontento all’interno delle forze armate
italiane che rischiava di trasformarsi in un vero e proprio crollo morale
dell’Italia.
Al momento di entrare in guerra Mussolini, e con lui a tutti gli italiani,
era convinto di prendere parte ad un conflitto la cui sorte era già decisa
ampiamente a favore dei tedeschi.
Dovendo solo correre in aiuto del vincitore, il Duce aveva deciso di entrare
in guerra impiegando al minimo le proprie forze armate, cosa che fede
diramando ordini che erano improntati alla più rigida difensiva, per non
dire attendismo.
Il 9 aprile 1940, nel corso di una riunione alla quale avevano partecipano
il Maresciallo d’Italia Graziani, il Gen. di C.A. Soddu, l’Ammiraglio
d’Armata Cavagnari e il Gen. d’Armata Aerea Pricolo, era stato il
Maresciallo d’Italia Badoglio a prendere la parola, per illustrare agli
intervenuti quali erano le direttive giunte dall’alto : “Il Duce mi ha detto
che avrebbe emanato subito le Sue norme strategiche .Queste, in data 31
marzo u.s. sono, infatti, giunte il successivo 6 aprile. Voglio leggerle,
nonostante che vi siano già note perché sono una messa a punto del momento
attuale…(….)….Dunque difensiva e nessuna iniziativa sulle alpi occidentali.
Ad oriente sorveglianza: in caso di collasso, approfittarne. L’occupazione
della Corsica è vista come possibile ma non probabile: è contemplata la
neutralizzazione delle basi aeree dell’isola. ….(….)…. Anche sulla fronte
albanese dobbiamo sorvegliare Jugoslavia e Grecia. In Libia difensiva. Il
rapporto tra le nostre forze e quelle avversarie è colà di 1 a 5… “
Il 5 giugno, poi, il Capo di Stato Maggiore Generale aveva riunito i capi di
Stato Maggiore delle tre Forze Armate per informarli che il Capo del Governo
aveva deciso, quale data per l’inizio delle operazioni, quella del 10
giugno. Lo scopo della riunione è anche quello di fare il punto della
situazione e chiarire quali erano i principi ispiratori della guerra che ci
si avviava a combattere o, meglio, a non combattere. Badoglio nel corso
della riunione aveva ricordato che le disposizioni erano di: “ riservare le
Forze armate e specialmente l’esercito e Aeronautica per avvenimenti
futuri….Quindi stretta difensiva per terra e per aria in tutti i settori ”.
Alla fine del 1940, dopo appena sei mesi di guerra, era già evidente che la
“difensiva per terra e per aria in tutti i settori” non era attuabile e
pagante perché gli inglesi menavano dappertutto e menavano forte. Per alcuni
passare da una guerra già vinta a una guerra da combattere, il colpo era
stato duro e di qui al crollo morale il passo breve.
Venuti a conoscenza della infelice situazione del morale di alcuni settori
delle Forze Armate italiane, gli inglesi decisero di approfittarne varando
un’interessante operazione segreta.
Il progetto prese avvio dalla rappresentanza diplomatica inglese a Stoccolma
da dove L’ambasciatore Mallet, coadiuvato dall’addetto navale H. Denham,
comunicò a Londra un progetto che poteva sembrare pazzesco, ma che valeva la
pena di tentare. Il piano di Mallet aveva un ambizioso obiettivo: la
possibilità di ottenere la resa della flotta italiana o, quanto meno, una
sua partecipazione ridotta agli avvenimenti bellici.
A prendere i contatti con i traditori italiani, per conto degli inglesi,
sarebbe stato un ingegnere svedese. Si trattava di J. H. Walter il quale
sembrava essere il più adatto a tale incarico, non solo perché negli anni
precedenti alla guerra aveva avuto contatto con la Marina italiana per
l’acquisto da parte svedese di alcune navi, ma anche perché aveva i
requisiti di carattere che lo rendevano idoneo alla delicata missione che
gli inglesi intendevano affidargli.
Il progetto, dopo un ciclo di incontri che si tennero a Londra nel
novembre-dicembre dello stesso anno, incontrò il favore dell’Ammiragliato,
del War Office e dello stesso Churchill. All’agente svedese sarebbe stata
corrisposta la cifra di 50.000 corone per la sua attività.
Nel Gennaio Febbraio 1941 l’ing. J. H Walter arrivò in Italia per prendere i
necessari contatti e presentare l’offerta inglese la quale, oltre a
prevedere un adeguato trattamento per gli equipaggi che si fossero decisi
alla resa, contemplava anche la possibilità di recuperare le famiglie dei
traditori.
In marzo, dopo aver avvicinato i suoi “amici” italiani, Walter facendo un
largo giro attraverso al Jugoslavia fece rientro in Svezia dove riferì in
merito agli accordi presi.
Circa la Missione dell’ingegnere svedese in Italia, scriverà l’ottimo
Alberto Santoni:”Confermò di aver contattato in Italia gli ammiragli
Cavagnari, Riccardi e Parona, di aver avuto notizia di un possibile
triumvirato tra lo stesso Cavagnari, Grandi e Badoglio per rovesciare
Mussolini e di avere aperto un canale di trattative sulla base delle
istruzioni avute dall’Ammiragliato inglese e di controproposte dei
dissidenti italiani. Questi ultimi in definitiva chiedevano una somma di
denaro, pagabile a cose fatte , per ogni tipo di nave che si fosse arreso”
In parole povere, era stato stabilito un vero e proprio prezzario che
prevedeva il pagamento di 300.000 dollari per una corazzata, 60.000 dollari
per un incrociatore pesante, 50.000 dollari per un incrociatore leggero,
30.000 per un cacciatorpediniere e così via. Oltre al pagamento per ogni
singolo pezzo era stata, inoltre, richiesta dagli aspiranti disertori
italiani un deposito di 600.000 dollari una tantum in una banca americana il
cui 15% doveva essere subito disponibile per l’assistenza alle famiglie dei
traditori.
Nei primi mesi del 1941 gli inglesi comunicarono ai loro contatti in Italia
ulteriori dettagli del loro progetto. Oltre ad offrire una pace che non
fosse punitiva per l’Italia a fine guerra, prospettarono la creazione di una
colonia “libera” di antifascisti, in Cirenaica, dove avrebbero potuto
trovare rifugio tutti i dissidenti antifascisti appartenenti alla Regia
Marina e le loro famiglie. Nei porti della “libera colonia” nordafricana
avrebbero potuto essere ormeggiate tutte le navi sottratte al Governo di
Roma e consegnatesi agli inglesi. Sia chiaro che il piano non prevedeva
necessariamente che le navi italiane passassero dalla parte degli inglesi,
ma bastava anche solo che rinunciassero a combattere.
Come è noto, il progetto inglese non andò in porto anche se il Foreign
Office, nel giugno luglio 1941, tentò di riaprire le trattative tramite
l’ambasciata in Svezia che avrebbe dovuto comunicare ai propri contatti
italiani che la proposta di “compravendita era ancora valida”.
A far fallire la trattativa intervennero i servizi segreti dell’Asse che
dovettero mangiare la foglia ed attivarsi per evitare che il piano inglese
giungesse a compimento. A ciò si aggiunse il fatto che la polizia svedese
arrestò l’ing. J.H. Walter con l’accusa di aver svolto, nel neutrale
territorio svedese, attività spionistica contro l’Italia e a favore della
Gran Bretagna. L’agente al servizio degli inglesi non solo, nell’aprile del
’43, fu riconosciuto colpevole di fatti ascrittigli e condannato ad un anno
di lavori forzati ma, avendo presentato riscorso, nel successivo gennaio
’44, si vide la pena elevata a due anni di lavori forzati.
Comunque, il solo arresto dell’ing. Walter non fermò le trattative con gli
italiani che, anzi, furono continuate attraverso intermediari
“esclusivamente italiani”, tanto che il 31 gennaio 1943 al Foreign office,
venne trasmessa una nota a firma del Colonnello Bordeaux dell’Intelliggence
Service che comunicava: “Abbiamo ricevuto recentemente dei rapporti
segnalanti che alcuni membri della Marina Italiana sono dissidenti e che
tale disaffezione può essere accresciuta e resa produttiva con la corruzione
o, in ogni caso, fornendo il denaro necessario per i dipendenti degli uomini
coinvolti. A tal proposito abbiamo anche saputo che il denaro per tale
impresa veniva raccolto in Italia da due persone…”
L’operazione di tentata “compravendita” delle navi italiane così come è
stata descritta dal Santoni nel suo citato libro e da me riportata, trova
puntuale conferma nel libro “Inside The Nazi Ring”, edito a Londra nel 1984,
volume che riporta le memorie dell’allora addetto navale a Stoccolma H.
Denham. Il comandante Denham, da pag. 132 a pag 140, occupa un ampio spazio
del volume nel rievocare le trattative di cui si è detto dando conferma del
“complotto per acquisire unità da guerra italiane” e del ”tentativo di
comprare navi da guerra italiane”, entrambi effettuati in seguito al
“riferito desiderio italiano per una resa navale”.
IL DUBBIO
A questo punto sorge, ed è lecito che sorga, il dubbio sull’attendibilità
delle fonti circa i fatti sopra raccontati e riguardanti la vergognosa
“compravendita” delle navi italiane . D'altronde, reputo che il dubbio, per
chi si occupa di storia, debba essere una sorta di professione di fede.
E’ da evidenziare come le fonti a cui si è fatto riferimento non siano
imparziali ma sono, invece, chiaramente di parte, in quanto provengono da
una sola parte: quella inglese.
H. Denham è un ex ufficiale della Marina Britannica e l’ottimo Santoni,
nelle sue pubblicazioni, fa esclusivamente riferimento a fonti archivistiche
provenienti dal P.R.O. – Public Record Office – di Kew Gardens, Londra.
Gli inglesi nei confronti degli italiani non hanno mai brillato per garbo e
cortesia ma hanno, invece, spesso dimostrato malanimo e potrebbero aver
riportato i fatti in maniera non veritiera o quanto meno distorta. I
documenti esistenti presso il P.R.O. potrebbero essere genuini, ma non
veritieri. Nel senso che, pur essendo autentici da un punto di vista
formale, potrebbero contenere dei falsi ideologici. Chi mai, per esempio,
potrà assicurarci che l’ing. J. H. Walter ebbe effettivamente i contatti
italiani che riferì di aver avuto e che, invece, non relazionò ai suoi
committenti britannici il falso solo per estorcere agli inglesi il premio di
50.000 corone che gli era stato promesso?
Certo il Denham, nel suo volume “Inside the Nazi Ring”, è prodigo di elogi
nei confronti dell’ing. Walter, evidenziandone la capacità e la totale
attendibilità, ma Denham, come detto, è sempre una fonte di parte..
D’altro canto, è da dire che se il dubbio sui fatti narrati è quanto meno
lecito è pur vero che le testimonianze e i riferimenti ai presunti
tradimenti di qualche “pezzo grosso” della Regia Marina sono state poi, nel
tempo, numerose. L’ammiraglio E. Zacharias, del servizio Segreto Navale
U.S.A. nel suo “Secret Mission . The Story of an intelligence officer”,
edito a New York nel 1947, riferisce dei “contatti con vari elementi
dissidenti dei più alti ranghi della Marina italiana e attraverso questi
preparavamo la resa della flotta.”
Come se non bastasse l’affermazione di Zacharias, che comunque è americano,
si può far riferimento a quanto scritto dall’amm. Franco Maugeri che nel
corso del conflitto fu a capo del Servizio informazioni della Marina. Il
Maugeri nel suo volume “From the ashes of disgrace” edito a New York nel
1948, afferma:”L’Italia era piena di inglesi e di italiani amici e
simpatizzanti per la Gran Bretagna, soprattutto per l’aristocrazia. Io
dubito che esistessero molte spie in Italia: essi non ne avevano davvero
bisogno. L’ammiragliato britannico aveva abbondanti amici tra i nostri
ammiragli anziani e nello stesso Ministero Marina. Sospetto che gli inglesi
fossero in grado di ottenere genuine informazioni direttamente alla fonte.
In questo caso non c’era bisogno di spendere denaro e sforzi per avere un
esercito di agenti segreti scorazzanti per i fronti a mare di Napoli,
Genova, Taranto e La Spezia”
Nella diatriba che esiste tra chi sostiene la tesi del tradimento nella
Regia Marina e chi invece non la condivide affatto, oppure sostiene che, pur
essendovi stati dei traditori il peso di questi non fu determinate per la
sconfitta finale, si potrebbero apportare centinaia di documenti e di
testimonianze senza però riuscire a giungere ad una conclusione che metta
tutti d’accordo.
A tagliare la testa al toro c’è, a mio avviso, un elemento inoppugnabile ed
è l’articolo 16 del trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e
pubblicato poi sul supplemento alla Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 1947
n 295. L’articolo in questione testualmente cita “L’Italia non incriminerà
né in altro modo molesterà i cittadini italiani compresi i componenti delle
Forze Armate (nel testo ufficiale in francese è scritto : “soprattutto i
componenti delle Forze Armate” ) per il solo fatto di aver espresso simpatia
per la causa delle potenze dell’Alleate o Associate o di aver svolto azione
a favore della causa stessa durante il periodo tra il 10 giugno 1940 e la
data di entrata in vigore del presente trattato”
Non c’è bisogno di grossa esperienza giuridica per sapere che se esiste una
legge che sanziona un comportamento delittuoso è perché c’è anche colui il
quale quel comportamento delittuoso lo pone in essere. Parimenti avviene se
c’è una legge che discrimina e tutela chi compie un atto illecito. Quindi la
norma, che sia punitiva o discriminante, è di per se stessa indice del fatto
che esistono coloro i quali pongono o hanno posto in essere un’azione
delittuosa.
La sola esistenza del famigerato articolo 16, a suo tempo voluto dagli
inglesi, è la prova inoppugnabile delle avvenute “simpatie” per il nemico,
ma chi prova simpatia per il nemico non può che avere un nome: “traditore”.
Quindi, ci fu sicuramente chi tradì, vendendo al nemico la propria Patria e
la vita degli uomini alle sue dipendenze.
Per quanto riguarda poi l’affare della “compravendita delle navi”, i fatti
sopra riportati possono convincere o meno il lettore e ognuno, dopo aver
letto quanto da me riferito, si farà l’idea che meglio crede.
Altro fatto è, invece, l’art. 16 che testimonia in modo inoppugnabile come
la mano di caino colpì alle spalle i fanti in trincea e gli uomini in mare
della Regia Marina.
Avendo citato Maugeri, e volendo concludere con una chicca, non si può non
riferire che questi a fine conflitto ricevette dagli U.S.A un’alta
decorazione con la seguente motivazione ”Per la condotta eccezionalmente
meritoria nella esecuzione di altissimi servizi resi al Governo degli Stati
Uniti come capo dello spionaggio navale italiano”.
Nell’immediato dopoguerra Pietro Caporilli portò avanti una battagliera
campagna contro i presunti traditori, riuscendo a farsi querelare da Maugeri
che aveva accusato di aver avuto “intelligenza con le potenze con le quali
l’Italia era allora in guerra…anteriormente all’otto settembre 1943”.
Ebbene, Caporilli, dal processo che ne seguì e che si concluse con una
sentenza confermata dalla Corte di Cassazione a Sezioni riunite, non venne
condannato.
“…..E ridevano, nel
cielo, tutte le stelle del firmamento in un orizzonte di patria fatto
improvvisamente più vasto nella cronaca e nella storia..”.
Così, al culmine del pathos
di questo racconto storico, Piero Belli ci descrive la partenza della colonna di legionari alla
volta di Fiume, nella notte magica e
stellata della cittadina di Ronchi, laddove poco tempo prima era stato pronunciato il giuramento “ O
Fiume o morte !”, riprodotto anche nel volume.
L’ Autore, romanziere di
indiscusso valore, autore di romanzi che ebbero
significativo successo e oggi sottoposti a “ damnatio memoriae” dal regime
ideologico dominante, fu corrispondente a Trieste del Popolo d’Italia e pieno di ammirazione per
d’Annunzio, durante l’impresa fiumana seguì da vicino, passo per passo, lo
svolgersi dell’occupazione della città Adriatica, in qualità di Volontario .
“La notte di Ronchi” è un resoconto molto
dettagliato dell’Impresa di Fiume e nello specifico della “Marcia di Ronchi” ,momento
importantissimo da cui prese piede l’intera impresa fiumana.
Un racconto poetico e
suggestivo che ancora oggi è in grado di emozionare profondamente il Lettore,
con il racconto di un eroismo
che supera
gli anni e parla sempre al cuore. C' è indubbiamente qualcosa di
omerico nella Impresa di Fiume, qualcosa che supera il tempo, anche
questo arido tempo di oggi, tempo mercanti e di lenoni.
Il ricordo struggente di combattenti d’ altri tempi : “La notte di
Ronchi li avvolse in un manto di stelle .E non ebbero e non chiesero altro”.
Ristampa integrale del
volume “ La politica sociale del Fascismo”, opera di più autori e pubblicato
nel 1936 per i tipi de La libreria dello Stato ( Roma) ad opera del Partito Nazionale
Fascista, nella collana “ testi per i corsi di preparazione politica”.
L ’ Italia democratica e
repubblicana ci ha abituati ai programmi politici dei partiti . quanto ne hanno
sfornati ! Così tanti e tutti del tutto irrealizzati – prima di tutto per
mancata volontà dei partiti stessi una volta giunti al governo – da essere chiamati
“ libri dei sogni”.
I programmi mussoliniani , invece, non sono rimasti irrealizzati : anche se i
democratici censori lo cercano
di tenere
nascosto, non c’è chi non sappia che quanto scritto in questo programma
fascista è stato perfettamente realizzato e ha dato vita non a un “
sogno”, ma
a una realtà concreta che si è chiamata Stato Sociale. Esattamente
quello Stato che da anni i governi italiani stanno smantellando perchè
" Ce lo chiede l' Europa", trasformandoci da cittadini dignitosi in
schiavi delle multinazionali.
La " democrazia" non sa realizzare sogni. Solo incubi.
Per meglio illustrare
questa realtà , il testo è preceduto da
uno scritto pregevole dello storico Filippo Giannini, che ci illustra perfettamente
questa scomoda verità storica.
[ " .. e nessuno potrà più nè comperare, nè vendere, senza che gli sia impresso il numero della Bestia" - Apocalisse . ]
Il governo Conte ha
inserito ufficialmente l'Italia nel gruppo dei 15 Paesi che, a livello
mondiale, aderiscono da subito al progetto COVI-PASS, cioè il "passaporto
sanitario digitale" in cui vengono inseriti i dati di ognuno concernenti
il Covid-19. E tutto ciò in ossequio ai protocolli elaborati dalla "Bill
& Melinda Gates Foundation", a cui l'esecutivo giallo-fucsia ha già
destinato centinaia di milioni euro.
In questo modo gli utenti
"certificati" dalle autorità come "non infetti" potranno
muoversi liberamente anche all'estero e non saranno soggetti a tutte le
limitazioni personali rispetto a chi non potrà disporre di tale passaporto
sanitario.
Ecco perché il circo
mediatico insiste ossessivamente per la vaccinazione di massa, che di fatto
vogliono far diventare obbligatoria per tutti. Più si protrae il regime di
terrore sanitario e rimane viva la paura e più vi è la probabilità che la gente
si sottoponga docilmente a ogni tipo di diktat governativo.
Ma, come recita l'antico
detto popolare, il diavolo fa le pentole ma gli capita anche di non fare i
coperchi.
Ogni popolo ha conosciuto durante la sua storia, vittorie e
sconfitte, ma è proprio nelle difficoltà, nella sorte più avversa, che
cittadini, comandanti e soldati cementano la loro unità e danno
battaglia fino all’ultimo respiro per difendere l’onore e la dignità del
Paese. Anche nelle sfide sportive di fronte a una disfatta ci si batte
per il punto della bandiera, in Italia invece dopo l’8 settembre ’43 si
verificò qualcosa di pazzesco, vergognoso che risulta incredibile ancora
oggi. Oramai è risaputo, per chi vuole saperlo, che il tracollo
dell’esercito e la ignominiosa fuga che seguì non avvennero certo per
salvare il paese dai tedeschi, quella scelta così infelice fu
conseguenza della incapacità e della vigliaccheria di chi volle non solo
salvare la pelle, ma sopravvivere alla guerra come classe dirigente. Mussolini era il solo nemico da abbattere e ne avevano l’occasione,
il solo unico e vero rivoluzionario che aveva cambiato il paese dalle
fondamenta in una lenta e radicale metamorfosi del sistema che avrebbe
distrutto quelle categorie, quelle lobbyes come le chiamiamo oggi, che
da lui erano state colpite e che avrebbero lentamente trovato la
fine. La vecchia casta si era così sottratta all’oneroso impegno di
combattere e avrebbe avuto la possibilità di ridare vita, con l’appoggio
degli alleati, a quel sistema liberal-capitalista che Mussolini aveva
messo sotto scacco durante gli anni del suo governo, attuando le riforme
sociali e del lavoro, combattendo duramente mafia e massoneria. Mentendo a tutti, Italiani, Tedeschi e Alleati, il Re ebbe così il
tempo di organizzare indisturbato la fuga insieme alla sua corte di
vigliacchi. Indimenticabile è la corsa all’imbarco sulla corvetta
“Baionetta” che doveva portare in salvo fino a Brindisi “l’allegra
comitiva dei satrapi”, ma sulla quale riuscirono a salire a spintoni, in
quello che ironicamente venne definito “l’assalto alla baionetta”, solo
parte dei ministri e dignitari presenti al porto di Ortona. Gli altri
rimasti a terra, fra grida e insulti verso il Re e Badoglio, cercarono
poi di svignarsela abbandonando le loro cose sul molo, questa fuga gettò
nel panico e nel caos più completo non solo l’esercito, ma l’intera
nazione. Quei generali che in buonafede, pensavano di compiere il loro dovere
eseguendo gli ordini del Re e del nuovo capo del governo e che, in
quelle ore di confusione totale, morirono combattendo contro i tedeschi,
non seppero mai che la loro morte non fu gradita da nessuno. Basti ricordare l’inutile sacrificio di tante giovani vite che
avvenne a Cefalonia e a Corfù tra il 24 e il 25 settembre 1943. Soldati
italiani che sono stati anch’essi, per anni, volutamente dimenticati
dalla storia perché rappresentavano una scomoda verità e cioè che, in
rispetto a ordini precisi del governo e del Re, animati dai valori
trasmessi da vent’anni di fascismo, si batterono pensando di salvare
l’onore d’Italia, mentre invece il re era fuggito e non combatteva con
loro. I soldati della divisione Acqui risultarono penalizzati anche dopo
la guerra, infatti non ricevettero certo gli onori che sono stati
tributati ai Partigiani in Patria. A tal riguardo ebbe a dire Indro
Montanelli delle due resistenze: “Una quotata in borsa come tale perché
avvallata dai partiti politici, l’altra esclusa dal listino dei titoli,
perché quelli, a cui si intestava la Patria e la Nazione, erano ormai
scaduti” Va inoltre smentito il dogma tanto caro all’ “ideologia
resistenziale”, secondo cui i sopravvissuti al massacro di Cefalonia, si
riversarono verso i primi nuclei partigiani. In realtà, molti di loro,
una volta resisi conto del tradimento perpetrato anche alle loro spalle
aderirono al contrario alla Repubblica Sociale. Ricordiamo uno su tutti Mario Merlini, originario della provincia di
Cremona, volontario pluridecorato nella guerra d’Etiopia e nella guerra
di Spagna, rimessosi dalle ferite partecipò con onore anche alla
campagna di Russia. L’8 settembre lo sorprese a Cefalonia, sopravvissuto
miracolosamente e resosi conto che la responsabilità morale del
massacro era da attribuire all’ignavia e alla viltà della congrega
badogliana, partecipò attivamente a varie operazioni con la RSI fino al
25 aprile ’45. In quei giorni, gravemente ferito, fu ricoverato in
ospedale, il 30 dello stesso mese, nonostante fosse oramai morente, fu
prelevato dai partigiani, trascinato in piazza e vigliaccamente finito a
raffiche di mitra. Il generale Carboni, pensando di rispettare il suo giuramento fatto
alla monarchia, fu il solo a difendere a Roma dopo la fuga del regnante e
del suo seguito, per 48 ore riuscì a tenere impegnati i Tedeschi in una
strenua difesa della città. In seguito quando capì cosa fosse veramente
successo, deluso e amareggiato ebbe a scrivere “gli Italiani non hanno
ancora compreso cosa sia stata la fuga di Pescara, presi e frastornati
come si sono trovati dalla massiccia propaganda monarchica e badogliana,
sviluppatasi indisturbata poiché in essa parecchie correnti politiche
hanno potuto pescare elementi di tornaconto partitico. Molti credono
ancora che Badoglio e il Re, la mattina dell’8 settembre 1943, siano
scappati soltanto per rendere operante l’armistizio” Un altro vergognoso avvenimento fu la resa incondizionata della Regia
Marina. In “trent’anni di vita italiana” di Pietro Caporilli si legge
“L’aspetto più mortificante della resa italiana fu la consegna della
flotta al domicilio del nemico(…) giacché è tradizione di tutte le
marine del mondo di affondare la propria nave ma mai di consegnarla al
nemico e meno ancora portargliela a casa!” Il mattino del 10 settembre, le navi dislocate a Taranto raggiunsero
Malta, dove l’ammiraglio italiano Da Zara comandante della nostra
flotta, seguendo gli ordini ricevuti da Badoglio, si arrese
presentandosi all’ammiraglio Cunningham nella fortezza britannica. Nei
giorni successivi furono seguiti dalla corazzata Giulio Cesare e da
altre unità minori e ausiliarie salpate dai porti dell’Adriatico.
Contemporaneamente le torpediniere e le corvette del Tirreno andarono
nel porto di Palermo, occupato dagli statunitensi. Uno degli episodi più tragici conseguenti al tradimento del re fu
l’affondamento, da parte di bombardieri tedeschi, della corazzata Roma,
avvenuto al largo della costa sarda, mentre si andava a consegnare agli
alleati. La triste vicenda portò alla morte 1393 uomini. Parlerò in altri appuntamenti dei Marinai che invece scelsero di proseguire la guerra a fianco dei Tedeschi. Carlo Fecia di Cossato, medaglia d’Oro, asso dei sommergibilisti
atlantici, eroe coraggioso, pur con grande difficoltà aveva obbedito
agli ordini e non aveva esitato ad attaccare l’alleato del giorno prima.
In pochi mesi, con l’evolversi degli eventi, vide crollare tutte le
certezze per cui aveva combattuto e dopo aver scritto una penosa lettera
alla madre, in cui si coglie la drammaticità di quanto gli era
successo, si tolse la vita. “(…) da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale
in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della nostra Marina, a
cui mi ero rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine
del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore
militare (…) Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo
stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto
ignobile senza alcun risultato…”. La sua tomba si trova a Bologna. All’alba dell’8 settembre 1943 la Marina allineava sei corazzate,
otto incrociatori, quattordici cacciatorpediniere, quattro torpediniere,
una nave appoggio aerei, diciannove corvette, trentadue motosiluranti,
numerose dragamine e unità ausiliarie. L’aviazione comprendeva 266
caccia, 154 bombardieri e 313 velivoli dei servizi ausiliari, tutti in
piena efficienza. L’esercito dislocava uomini sul territorio nazionale, nelle isole
dell’Egeo, in Grecia a Creta, in Albania, Montenegro, Slovenia, Dalmazia
e Francia. In definitiva, comprendendo tutti gli addetti ai servizi, quasi due
milioni di uomini fra forze d’aria, di terra e di mare, quarantotto ore
più tardi di questa imponente organizzazione non restava nulla. Il Re e
Badoglio, senza vergogna, passando dalla parte del nemico, avevano
compiuto un tremendo voltafaccia e avevano trasformato un intero
esercito in traditori scatenando l’ira di Hitler. Kesserling, il feldmaresciallo tedesco dichiarò: “il governo
italiano, nel concludere alle nostre spalle l’armistizio con il nemico,
ha commesso il più infame dei tradimenti(…) Le truppe italiane dovranno
essere invitate a proseguire la lotta al nostro fianco appellandosi al
loro onore, altrimenti dovranno essere disarmate senza alcun riguardo(…)
Non vi è clemenza per i traditori!” La smobilitazione dell’esercito italiano avvenne dunque all’insegna
del tradimento. Furono circa 600.000 i soldati che vennero fatti
prigionieri dai Tedeschi e trasferiti via mare e via treno in Germania,
in campi di lavoro, dove fu riservato loro un trattamento disciplinare
vessatorio. Internati Militari Italiani (italienische Militär-Internierte – IMI) fu il nome dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati.
in quelle ore di angoscia e vergogna, che gruppi
di giovani e meno giovani, decisi a difendere la loro dignità di
italiani e di soldati
Vorrei ricordare a tale proposito, attraverso la testimonianza di
Andrea Baroni, l’esperienza toccata a Giovannino Guareschi, personaggio
divenuto famoso nel dopoguerra per la saga di Peppone e Don
Camillo. Andrea Baroni che, alternandosi al colonnello Bernacca, ci ha
raccontato per tanti anni le previsioni del tempo, lo ricorda come
compagno di prigionia. Racconta che ricevevano acqua calda al mattino.
Poi una sbobba di rape (la domenica fiocchi d’avena) 5 patate lesse e un
pezzo di pane. Il cibo era scarso, ma in due anni, con precisione
tedesca, non è mai saltata una razione. In quanto ufficiali non erano
costretti a lavori forzati, avevano molto tempo libero e, per non
oziare, il grande Guareschi pensò di tenere occupati i prigionieri con
attività di teatro. Racconta Baroni: “A Sandbostel: Giovanni Guareschi
baracca 29, Andrea Baroni baracca 28. Era bravissimo, faceva teatro con i
prigionieri. Un giorno lo fermo: “Potrei recitare anche io?”. Mi
guarda: “Con questa voce dove vuoi andare? Non ci sono gli altoparlanti a
teatro!” E ‘ ovvio che di fronte alle giustificazioni che ci sono per coloro a
cui mancò il coraggio, o che si lasciarono guidare da pavidi
comandanti, cresce il valore di quelli che, al contrario, pur potendo
aspettare che tutto finisse non lo fecero e scelsero di continuare a
combattere a volto scoperto, pronti all’estremo sacrificio, in nome di
un sentimento di onore oggi sconosciuto. Fu infatti in quelle ore di
angoscia e vergogna, che gruppi di giovani e meno giovani, decisi a
difendere la loro dignità di italiani e di soldati, strapparono lo
stemma sabaudo dal tricolore e decisero di continuare a combattere per
l’ onore d’Italia. Da questi nuclei spontanei, sarebbe sorto l’esercito
della Repubblica Sociale Italiana.
PER LEGGE INTERNAZIONALE DI GUERRA I PRIGIONIERI MILITARI NON SI ASSASSINANO
LA CAROGNA!
I crimini di guerra americani in Sicilia
Nel
luglio 1943 gli americani sbarcarono in Sicilia, nell’operazione Husky,
e si macchiarono di crimini di guerra fucilando a sangue freddo, dietro
ordine diretto del comandante, del generale George Patton, i
prigionieri di guerra, militari e civili.
Un crimine per cui gli USA ancora oggi non hanno ritenuto doversi
almeno scusare con il popolo italiano né del resto i governi italiani
hanno ha mai sentito il dovere civico e morale di chiedere alla comunità
internazionale l’istituzione di un tribunale per giudicare i crimini
americani commessi in Sicilia.
I massacri dimenticati compiuti dai fanti americani tra il 12 e il 14 luglio.
«Il capitano Compton radunò gli italiani che si erano arresi. Saranno
stati più di quaranta. Poi domandò: “Chi vuole partecipare
all’esecuzione?”. Raccolse
due dozzine di uomini e fecero fuoco tutti insieme sugli italiani». «Il
sergente West portò la colonna di prigionieri italiani fuori dalla
strada. Chiese un mitra e disse ai suoi: “E’ meglio che non guardiate,
così la responsabilità sarà soltanto mia”. Poi li ammazzò tutti». E’ una
piccola Cefalonia: le vittime sono soldati italiani che avevano
combattuto con determinazione. I carnefici non sono né
delle SS né della Wehrmacht: sono CRIMINALI americani. Quella avvenuta
in Sicilia tra il 12 e il 14 luglio
1943 è la pagina più nera della storia militare statunitense. Una pagina
sulla quale gli storici negli Stati Uniti discutono da un lustro,
mentre nel nostro Paese la vicenda è pressoché sconosciuta.
Quei ''liberatori'' assassini
Sicilia 1943: gli eccidi dimenticati - Le atrocità targate USA
Durante la conquista dell'isola, le truppe anglo-americane si resero
responsabili di alcuni crimini contro la popolazione civile e contro
prigionieri italiani inermi. Su queste stragi, del tutto ingiustificate
sul piano militare, per anni è scesa una cortina di silenzio. In alcuni
casi i colpevoli non furono neppure cercati, mentre l'unica condanna
all'ergastolo che fu comminata si risolse in una detenzione di pochi
mesi
di Ezio Costanzo*
C'è una parte di storia ancora tutta da scrivere, rimasta
sommersa da ragioni in qualche modo intuìbili ma ancora da indagare,
interpretare e comprendere. È la pagina oscura delle stragi di civili e di
prigionieri compiute non solo dai soldati tedeschi in Italia dopo l'8
settembre, ma anche dai soldati americani del generale Patton durante
l'occupazione della Sicilia nell'estate del 1943. In questo estremo lembo
dell'Italia fascista, il 10 luglio 1943 misero piede 160 mila uomini
angloamericani. Si portarono dietro 600 carri armati, 1.800 cannoni e 14
mila automezzi. La supremazia alleata era evidente, ma non sufficiente a
sgominare in pochi giorni, così come previsto nei piani del maresciallo
Montgomery, comandante delI'VIII armata britannica, la difesa
italo-tedesca dì presidio nell'isola. Occorsero 38 giorni di dure
battaglie per occupare totalmente questo piccolo lembo di terra e per
raggiungere Messina, tappa finale della campagna siciliana. Senza dubbio
una vittoria amara, che fece registrare agli Alleati più di 4 mila morti e
13 mila feriti.
I cinegiornali dell'epoca mostrano i boy americani che marciano
sorridenti in mezzo alla gente che sventola fazzoletti, pezzi di stoffa
bianca e grida «liberatori». Una folla che accoglie festosa quei ragazzi
alti un metro e ottanta e che masticano chewing gum. Nell'iconografia che
illustra quelle giornate di avanzata tra città e paesi dell'isola, ricorre
l'immagine di parecchi siciliani che s'incamminano trionfalmente accanto
ai baldanzosi militari statunitensi, mostrando sorrisi soddisfatti conditi
solo raramente di sorniona acquiescenza. Quei soldati sbarcano in Sicilia
portando la libertà soppiantata per anni dal regime fascista. Arrivano con
in tasca la democrazia e i diritti inalienabili dell'uomo, primo fra tutti
quello della vita umana. Eppure, quei giorni sono giorni di eccidi.
Solo da poco tempo e grazie ad alcune testimonianze di sopravvissuti e
a documenti degli archivi americani, tornano a galla verità rimaste celate
per oltre mezzo secolo. Fatti che andrebbero approfonditi non solo dal
punto di vista storico, ma anche in sede giudiziaria, per fare chiarezza,
definire responsabilità e rendere giustizia alle vittime.
Solo nel luglio scorso, per iniziativa della procura militare di Padova
e a distanza di 61 anni, è stata aperta un'inchiesta sull'orrenda vicenda
dell'eccidio di civili nelle campagne di Piano Stella, vicino l'aeroporto
di Biscari (oggi Acate, a sud di Caltagirone) e di 73 prigionieri
italiani, sempre nei pressi di Biscari, compiuto dai soldati a stelle e
strisce.1
Sopra: il luogo dove furono uccisi due soldati
tedeschi a Biancavilla
L'eccidio di piano Stella
Il piccolo aeroporto di Santo Pietro (o di Biscari) non era altro che
una corta pista per il decollo e l'atter-raggio degli Stukas tedeschi,
situato tra Caltagirone e Vittoria. Costruito nel 1941, a ridosso del
borgo di Piano Stella, era uno dei tanti poderi assegnati da Mussolini ai
coloni locali a partire dal 1938, poderi di circa 10 ettari ciascuno, con
una casa colonica in mezzo composta da due stanze, una cucina e una
stalla, dove trovavano malamente posto le due mucche a famiglia assegnate
anch'esse dallo Stato per arare la terra e per il latte. Nei 38 poderi di
contrada Piano Stella si coltivavano fave, orzo, avena e, in certi casi,
anche uva per ricavare vino in piccole quantità. I contadini chiamavano
questi poderi «orti-celli di guerra», dato che servivano soltanto per il
fabbisogno della famiglia concessionaria e non per una produzione
destinata al mercato. A una ventina di chilometri in linea d'aria, verso
est, vi era l'aeroporto di Comiso, meglio attrezzato per il transito dei
bombardieri che puntavano su Malta.
A ovest si trovava l'altro aeroporto, quello di Ponte Olivo (Gela), che
per la sua collocazione geografica era ritenuto dalle forze alleate il
principale obiettivo da raggiungere subito dopo lo sbarco.
La corta pista di Santo Pietro, per la sua posizione centrale rispetto
agli altri due, era un punto strategico per l'aviazione tedesca,
logisticamente adatto in caso di perdita degli altri due maggiori
aeroporti. Rappresentava senza dubbio un'ulteriore linea di difesa della
divisione Hermann Goering di stanza a Caltagirone. La vicinanza del campo
di aviazione aveva trasformato quei poderi in bersagli dei bombardieri
americani che ogni giorno sganciavano quintali di ordigni. Prima dello
sbarco per i contadini del borgo di Piano Stella erano notti di paura e di
ansia.
Giuseppe Ciriacono, allora tredicenne, viveva insieme ai genitori nella
casa del podere 26. Il giorno in cui i soldati della 45° divisione
americana di fanteria arrivarono nei pressi della piccola abitazione di
campagna, il piccolo Giuseppe era con il padre, Peppino, e altri quattro
uomini: due della famiglia Curciullo (padre e figlio di 16 anni),
Salvatore Sentina e Giuseppe Alba. I soldati li scovarono tremanti dentro
un rifugio di fortuna scavato poco distante dalla casa. Era il pomeriggio
del 13 luglio 1943.
A
sinistra: soldato tedesco ucciso nei pressi dell'aeroporto di Biscari
A raccontare cosa accadde quel giorno è lo stesso Giuseppe Ciriacono,
oggi 84 enne, unico sopravvissuto. «Verso il pomeriggio tardi sentimmo
qualcuno che chiamava dall'esterno del rifugio: "uscite fuori, uscite
fuori", la voce gridava. Così uscimmo fuori e trovammo un soldato che
parlava bene l'italiano e ci chiese di entrare a casa per vedere se vi
erano soldati tedeschi. Mio padre si apprestò a fare perlustrare la casa,
ma quando arrivammo davanti alla porta ci accorgemmo che già i soldati
avevano sfondato la porta ed erano entrati. Dopo qualche ora arrivarono
altri soldati... ormai era all'imbrunire. Ci fecero segno di uscire, ma
nessuno parlava italiano. Eravamo in sei persone e ci fecero segno di
seguirli verso Acate. Il nostro podere confinava con il territorio della
provincia di Ragusa e, dopo avere camminato un po', giungemmo presso una
casa che apparteneva a un certo Puzzo...Gli americani ci portarono in
questa casetta, il terreno circostante era piantato a vigneto e lì ci
fecero segno di sederci... Poi i soldati imbracciarono delle armi, dei
fucili mitragliatori, e si misero ad angolo, uno da un lato e l'altro
dall'altro. Ricordo che quando assunsero questa posizione il signor
Curciullo, che era accanto a me, disse: "cumpari Pippinu haiu 'mprissioni
che ci vogliono uccidere". A questo punto, mentre parlavano, mi sentii
prendere da qualcuno per il bavero della camicia e tirarmi su...allora ero
ragazzino, andavo ancora alle elementari e sentivo i racconti dei fratelli
Bandiera e cose del genere e pensai che il primo a essere ucciso
sarei stato proprio io. Quando mi sentii tirare per il bavero, girandomi
vidi questo americano che aveva il fucile abbrancato, con la mano sinistra
teneva un'anguria e con la destra mi tirava. Appena mi girai a
guardarlo disse delle frasi che a mio parere volevano dire di
allontanarmi. Non appena mi allontanai 20, 30 passi circa sentii una
raffica di mitra e le urla di mio padre, del mio amico e degli altri. Li
avevano uccisi. Subito dopo fui preso in consegna da questo soldato che mi
portò da un suo superiore, lo nel frattempo cercai di ribellarmi gridando:
"Là hanno sparato a mio padre" e volevo raccontare quello che era
successo. Invece il superiore mise la mano in tasca e cercò di darmi dei
cioccolatini, che io rifiutai e glieli scagliai in faccia. Dopo un po'
arrivarono altri due soldati e fui dato in consegna a questi. Come a dire:
portatevelo con voi. Ormai era sera tarda e sentivo le cannonate
provenienti dalla zona di Caltagirone. C'erano tanti soldati americani e
due di loro mi portarono nella campagna degli Scrofani di Vittoria,
all'epoca tutto uliveto. Sotto una pianta di ulivo distante circa
cinquanta metri dalla strada provinciale Vittoria-Caltagirone, scavarono
una trincea. Verso l'una di notte, uno di questi soldati mi abbracciò come
un padre, l'altro, invece, si comportò come se io non esistessi. Poi mi
lasciarono tutto solo. La stanchezza mi prese e mi addormentai dentro la
trincea. Qualche ora più tardi mi sentii spingere con il piede da un
soldato. Mi fece segno di andarmene indicandomi la strada per Acate. lo
volevo andare dall'altra parte, verso Santo Pietro dove c'era la mia casa
e mia madre...ma il soldato mi fece capire che se avessi preso quella
direzione mi avrebbe sparato». 2
Il piccolo Giuseppe girovagò ancora un giorno e una notte prima di
ritrovare sua madre, che non sapeva ancora nulla di quanto era accaduto.
Insieme tornarono sul luogo dell'uccisione dove ritrovarono i corpi dei
cinque contadini in stato di decomposizione. Giunsero appena in tempo per
assistere a una frettolosa sepoltura da parte degli stessi soldati
americani in una fossa comune ricavata facendo esplodere una bomba.
Giuseppe venne anche a conoscenza che qualche ora prima dì uccidergli il
padre, i soldati americani erano stati in un altro podere, quello della
famiglia Smirlo, dove avevano ammazzato un ragazzo, Francesco Mercinò, e
un altro contadino, Nicolo Noto. Giuseppe Ciriacono non ha mai voluto
raccontare questa storia a nessuno, se non al nipote, Gianfranco, che
qualche anno fa ne ha fatto oggetto di una tesi di laurea. Di recente l'ha
voluta rendere pubblica con un libretto stampato a proprie spese e nel
giugno scorso si è spinto oltre, scrivendo al presidente della Repubblica
per chiedere l'apertura delle indagini e un regolare processo che facesse
luce su quanto accaduto 61 anni fa. Non solo sull'eccidio di cui è stato
testimone suo nonno Giuseppe, ma anche sul massacro di 73 prigionieri
italiani, compiuto l'indomani, il 14 luglio, dagli stessi soldati
americani proprio a pochi chilometri dal podere 264 Il massacro di Biascari (Agate)
La mattina del 14 luglio, il giorno dopo i fatti accaduti a Piano
Stella, i soldati della 45° divisione americana raggiunsero le campagne
circostanti l'aeroporto di Bi-scari, nei pressi di Acate. Al 180°
reggimento di fanteria della divisione toccò il compito di conquistare il
campo di aviazione, difeso dalla divisione tedesca Hermann Goering e da un
gruppo di cecchini italiani ben appostati lungo la strada n. 115. Lo
scontro, in quella strada soprannominata dagli stessi americani «il viale
di Adolph», fu durissi-mo e la forte resistenza italo-tedesca impegnò
parecchio gli inesperti soldati americani (per la 45° divisione la
campagna di Sicilia rappresentò il battesimo del fuoco). Intorno a
mezzogiorno un gruppo di 36 soldati italiani, alcuni dei quali in abiti
civili, si arrese (sul fatto che fossero tutti soldati vi sono a tutt'oggi
dubbi, anche se questa ipotesi appare la più verosimile, visto che si
parla di combattimenti). Il comandante della compagnia C, il capitano John
T. Compton, senza pensarci due volte, ordinò di uccidere subito i
prigionieri. Gli italiani vennero schierati lungo la strada e fucilati
all'istante. Nella stessa giornata, poco distante dal luogo dove era
avvenuta l'esecuzione, un'altra compagnia, la A, catturò 45 soldati
italiani e tre tedeschi. Uno dei sottufficiali, il sergente Horace T.
West, aveva ricevuto l'ordine di scortare 37 di loro (gli altri pare
fossero feriti), tutti italiani, nelle retrovie per farli interrogare dal
servizio informazioni del reggimento. West, insieme a un caporale e un
gruppetto di suoi soldati, prese in consegna i prigionieri e si avviò
lungo la strada provinciale in direzione di Acate. Dopo avere percorso un
paio di chilometri bloccò la marcia dei 37 prigionieri, facendoli disporre
lungo un fosso, ai margini della carreggiata. Gridando che avrebbe ucciso
quei «figli di una cagna», aprì il fuoco. Ne uccise 36.
Uno dei progionieri tentò la fuga, ma venne colpito alla schiena dal
caporale americano al quale il sergente West aveva ordinato a sua volta di
sparare. Il massacro venne portato a conoscenza del comandante del II
corpo d'armata. Ornar Bradley, il quale a sua volta informò il generale
Patton. Quest'ultimo cercò in qualche modo di minimizzare l'accaduto,
suggerendo a Bradley di dire che «gli uomini uccisi erano cecchini o che
avevano tentato la fuga», aggiungendo che, «d'altra parte, ormai sono
morti e non c'è più niente da fare». Bradley fece esattamente il
contrario, deferendo i due uomini alla corte marziale con l'accusa di
omicidio premeditato di 73 prigionieri di guerra. La corte marziale
americana si riunì il 30 agosto per dibattere il caso. West aveva 34 anni
ed era nato nell'Oklaoma. L'imputazione era chiara: violazione dell'art.
92 del codice di guerra per avere «fucilato con premeditata cattiveria,
volontariamente, illegalmente e con crudeltà 37 prigionieri di guerra».
Gli atti che riportano l'interrogatorio del sergente West e di altri
testimoni della vicenda fanno emergere l'inaudita violenza dell'eccidio.
West, dopo avere sparato una prima raffica di mitra contro i prigionieri,
caricò nuovamente l'arma e fece ancora fuoco su coloro che ancora non
erano morti. Il cappellano militare William E. King, nella sua
testimonianza, racconta di essersi imbattuto in quei corpi senza vita il
giorno dopo, mentre viaggiava lungo la strada che conduce all'aeroporto di
Biscari. Si accorse subito che tutti quei cadaveri, disposti in linea,
l'uno di fianco all'altro, con la faccia in su, non potevano essere stati
trasportati lì per la sepoltura e che qualcuno li aveva uccisi in quel
luogo. King testimoniò di avere notato subito che alcuni corpi avevano
sulla schiena un foro di proiettile calibro 90, mentre altri presentavano
un foro di pistola nella testa.
A sua difesa, sergente West sostenne di avere eseguito gli ordini del
generale Patton. Questi avrebbe detto ai suoi soldati che durante i
combattimenti non bisognava prendere prigionieri. Alla fine, la corte
stabilì che West aveva compreso male le parole del suo generale e che
Patton avrebbe semplicemente affermato che non bisognava fare prigionieri
durante i combattimenti e non dopo che il nemico si fosse arreso. Per la
commissione medica che doveva pronunciarsi sullo stato di salute mentale
dell'imputato. West era sano di mente quando compì la feroce esecuzione.
La corte marziale condannò West all'ergastolo, senza però l'aggravante
della degradazione. Venne mandato nella prigione di Lewi-sburg in
Pensilvania, dove però scontò solo pochi mesi di pena. Riguardo
all'eccidio compiuto dal capitano Compton, la Corte marziale dichiarò
quest'ultimo prosciolto dall'accusa. Delle 73 vittime non si conosce
nulla. Non si conoscono i nomi né se fossero tutti militari. Si sa
soltanto che furono seppelliti in una fossa comune sul luogo dell'eccidio.
Probabilmente la notizia della loro morte, a guerra finita, è giunta ai
parenti con l'amara motivazione di «caduto in combattimento». •
Prigionieri italiani vengono presi in consegna e perquisiti
dai militari Usa SARANNO ASSASSINATI!