CORONAVIRUS: CON IL MONITORAGGIO IN LOMBARDIA SI È APERTA LA STRADA AL GRANDE
FRATELLO ORWELLIANO?
di Enrica Perucchietti
«Oggi
è stata la Lombardia, domani potrebbero muoversi tutti gli altri presidenti
regionali. E se si permette questo tipo di accertamento a una Regione, perché
non a un Comune? Di questo passo, si può arrivare anche a piccolissimi Comuni
con poche centinaia di abitanti. E allora, anche senza nomi e cognomi, il
tracciamento può essere davvero invasivo».
Persino il Viminale, secondo fonti riprese da La Stampa, sarebbe dubbioso in
merito alla geolocalizzazione
dei contagiati e dei loro contatti in Lombardia. Questo perché si è
creato un precedente che va valutato a fondo e che porta a conseguenze che non
possiamo
ancora prevedere. E come già lamentava il filosofo Giorgio
Agamben qualche giorno fa, si è aperta un’area grigia.
Agamben dalle colonne de «Il Manifesto», ha descritto come “frenetiche,
irrazionali e del tutto immotivate” le misure prese dal governo italiano:
«Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione
l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre
ogni limite».
Tali misure sarebbero, secondo il filosofo, frutto di una intenzione chiara
seppure nascosta: aumentare, “con un pretesto”, il controllo politico sulla
popolazione.
Come in passato, non possiamo non prendere in considerazione che la tutela della
salute possa essere strumentalizzata e utilizzata per imporre limitazioni della
libertà, abituando i cittadini a restrizioni sempre più invasive della libertà e
della privacy, in questo caso per sottoporci a una sempre più stringente
sorveglianza tecnologica. E’ uno dei temi trattati nel mio libro in uscita
venerdì per Uno Editori, scritto a quattro amni con l’avv. Luca D’Auria, Coronavirus.
Il nemico invisibile.
«Nessuno controlla come il Grande Fratello» ha precisato l’assessore
lombardo Giulio
Gallera, che ha spiegato che il tracciamento dei cittadini
«è un’applicazione che le grandi compagnie telefoniche hanno messo a
disposizione per vedere in maniera aggregata e totalmente anonima il flusso
delle persone, come si sono mosse all’interno della regione o fuori».
L’impressione che si vada però verso una direzione diversa si fa sempre più
diffusa.
Oggi dobbiamo infatti domandarci fin
dove e fino a quando si spingeranno le limitazioni alla libertà per ragioni di
sicurezza
sanitaria.
La minaccia totalitaria non
si annida nel futuro, ma è
già oggi, presente. Che sia localizzata a livello nazionale o che si
possa espandere a livello globale non lo possiamo ancora sapere, ma per
prevenire il pericolo dobbiamo essere lucidi e accorti.
PER APPROFONDIMENTI:
E.
Perucchietti, L. D’Auria, Coronavirus. Il nemico invisibile, Uno Editori. In
uscita dal 20 marzo 2020 in ebook.
Dalla spagnola a oggi nessun nemico “invisibile” era riuscito a fare tanto. In
pochi mesi il Covid-19 ha contagiato centinaia di Paesi, provocando migliaia di
morti e spingendo l’OMS a dichiarare lo stato di pandemia globale. Fin da subito
i media e il web hanno favorito la diffusione del panico: la psicosi è così
dilagata tra la popolazione, stravolgendo le abitudini dei cittadini, disposti
anche a cedere la propria libertà in cambio della sicurezza. A differenza delle
altre nazioni, il governo italiano ha scelto di imporre l’autoisolamento,
spaccando l’opinione pubblica in due, tra i sostenitori e gli oppositori del
provvedimento.
In passato abbiamo avuto casi simili con le epidemie di SARS, aviaria, suina,
morbillo o ebola: fenomeni localizzati in alcune aree precise che sono diventati
dei veri e propri “terremoti planetari”. Nulla di paragonabile all’attuale
pandemia: la vita di tutti noi si è trasformata, forse per sempre, in una realtà
“virtuale” che ha cancellato duemila anni di storia dell’umanità.
Con questo libro scoprirai:
le teorie alternative alla genesi e alla diffusione del Covid-19
l’impatto sulla Via della Seta e le accuse della Cina agli usa
la teoria dello shock e la “percezione” di una minaccia globale
i diversi provvedimenti in Europa e le limitazioni della libertà personale
per ragioni di sanità
il rischio di un attacco speculativo
il passaggio dell’uomo da animale sociale ad animale virtuale
Vivi bloccato in una routine che ti fa schifo, ti soffoca,
ti schiavizza. Percepisci che qualcosa non va e vorresti liberarti, ma
non sai come. Così inizi a drogarti, pensando di combattere il sistema,
ma in realtà è lui che frega te.
Non c’entra solo la salute: drogandoti, permetti al sistema di renderti meno lucido e dunque di controllarti meglio.
Distinguere tra droga pesante e leggera è inutile. Ogni sostanza stupefacente che consumi ti rende SCHIAVO!
Oggi che drogarsi è la normalità per i ragazzi come noi, dire NO ALLA DROGA è diventato un gesto rivoluzionario. È la scelta dei ragazzi che rifiutano la morte e vogliono lottare, essere ribelli per davvero, capaci di assumersi le proprie responsabilità e portare a termine un impegno.
In mondo che vuole incatenarci con la droga, noi preferiamo la libertà: non di drogarsi, ma di essere padroni di noi stessi e di combattere per un ideale!
Riuscite a riconoscervi ? ...Il classico
specchietto per le allodole che serve a distrarvi dai problemi
veri in cui questo pseudopaese sta annegando ?
Inebetiti dal continuo speciale sul campionato, sugli anticipi,
sui posticipi, sulla coppa ...del nonno, sui vari intrecci
amorosi del signor e signorina nessuno, degli infiniti e
onnipresenti dibattiti di opinionisti veditori di nebbia, che
siano le trivelle, i diritti degli immigrati, la parità dei
generi, i tagli di spesa pubblica inesistenti, la diminuizione
dei parlamentari, la vendita delle auto blu, la riduzione delle
tasse, la ripresa, le indagini su scandali e tangenti mai
concluse con una condanna, ecc.....TUTTE CAZZATE !!
Nessuno vi spiegherà che le attività che chiudono o
delocalizzano non possono essere sostituite dall'ennesima
municipalizzata o partecipata: le prime pagano le tasse per
produrre, le altre bruciano quelle che le prime pagano
.....senza risultati; nessuno vi garantirà una pensione adeguata
ai versamenti che durante una intera vita lavorativa vi assicura
un DIRITTO, il "tecnico" imposto e politicamente corretto
provvederà ad ... "ACQUISIRE" e stornare i vostri soldi sui loro
vitalizi; la lotta all'evasione si ferma allo scontrino del bar
o alla prestazione dell'artigiano, i movimenti che le varie ENI,
FinMeccanica, ecc estero su estero rimarranno fuori dalle
partite.
Nel Bel Paese restano sempre meno autoctoni, sfruttando la
demagogia delle varie Coop di accoglienza si sta concretizzando
la sostituzione della razza e la generazione mista sarà il
futuro , dove pochi incapaci allevati a politica e inciuci
governeranno su un gregge di pecore belanti che rinnegherà la
nostra storia e le nostre tradizioni.
Gli specchietti per le allodole servono al cacciatore per
frastornare l'animale, lo attraggono, lo confondono e lo
ipnotizzano in modo che perda la ragione ..... la fine è
scontata !!
Il 23 settembre 1943, costituitosi il governo
della Repubblica Sociale Italiana, il Maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani, nominato Ministro della Difesa, affidò subito dopo a Renato
Ricci il compito di riorganizzare l’Opera Nazionale Balilla, sciolta a seguito degli avvenimenti del 25 luglio dello stesso anno.
L’Opera nazionale Balilla per l’assistenza e per l’educazione fisica e
morale della gioventù, nota come Opera nazionale Balilla, in sigla ONB
fu un’organizzazione giovanile del Regno d’Italia, istituita nel
1926. La denominazione fu ispirata alla figura di Giovan Battista
Perasso, detto “Balilla”, il giovane genovese che secondo la tradizione
avrebbe dato inizio alla rivolta contro gli occupanti austriaci nel
1746.
Dopo la marcia su Roma, Mussolini si pose subito il problema di come
“fascistizzare” la società, a partire dai più giovani, per forgiare le
nuove generazioni. Nel dicembre del 1925 Mussolini diede all’ex ardito
Renato Ricci la guida del movimento giovanile del P.N.F. (l’Avanguardia
giovanile fascista) il compito di “riorganizzare la gioventù dal punto
di vista morale e fisico”.
La legge del 3 aprile 1926, n. 2247 sancì così la nascita dell’Opera
Nazionale Balilla, come ente autonomo, che Ricci avrebbe diretto fino al
1937. Complementare all’istituzione scolastica, l’ONB era sulla carta
“finalizzata… all’assistenza e all’educazione fisica e morale della
gioventù”.
Vi avrebbero fatto parte i giovani dai 13 ai 18 anni, ripartiti in due sotto istituzioni: i balilla e gli avanguardisti
e mirava non solo all’educazione spirituale, culturale e religiosa, ma
anche all’istruzione premilitare, ginnico-sportiva, professionale e
tecnica secondo l’ideologia fascista.
Lo scopo dell’ONB era infondere nei giovani il sentimento della
disciplina e dell’educazione militare, renderli consapevoli della loro
italianità e del loro ruolo di “fascisti del domani”. L’ONB confluì,
insieme con i Fasci giovanili di combattimento, nella Gioventù italiana del littorio nel 1937.
Migliaia di giovanissimi volontari di quest’ultima, combatterono
valorosamente nel deserto libico-egiziano nel dicembre del 1941 nella
celebre battaglia di Bir el Gobi inquadrati nel Gruppo battaglioni “Giovani Fascisti”.
Nata la Repubblica Sociale nel settembre del 1943, come detto il neo
ministro della Difesa Rodolfo Graziani decise di riportare in vita
l’Opera Nazionale Balilla e già il 24 affidò il compito alla persona con
l’esperienza necessaria per la sua rapida ricostituzione. Si trattava
del gerarca di Carrara Renato Ricci , colui che aveva presieduto per
tutta la sua durata, proprio l’O.N.B.
Scopo dell’Opera Balilla era anche infondere nei giovani il
sentimento della disciplina e dell’educazione militare, renderli
consapevoli della loro italianità e del loro ruolo di “fascisti del
domani”. Ad essa vennero affidati gli stessi compiti dell’organizzazione
che l’aveva preceduta, e cioè non solo educazione spirituale, culturale
e religiosa, ma anche istruzione premilitare, ginnico-sportiva,
professionale e tecnica.
Essa era formata da: figli della lupa, balilla, piccole italiane, giovani italiane e avanguardisti.
In essa la parte di maggior rilievo, era costituita da quest’ultimi,
i giovani avanguardisti. L’età minima per l’arruolamento era fissata a
15 anni. Vedremo più avanti che furono molti coloro che fecero “carte
false” per poter essere arruolati in diverse città del Nord Italia.
Così agli inizi del 1944, con le direttive emanate da Ricci
il 15 gennaio, ai giovani appartenenti alle lassi 1926, 1927 e 1928
denominanti “Avanguardisti Moschettieri” fu consentito l’arruolamento
volontario in un corpo militare (anche se non destinato al
combattimento), che sarà denominato “Fiamme Bianche” per le candide
mostrine esibite sul bavero della giacca.
La divisa, grigioverde, era costituita da giacca e pantaloni alla
paracadutista (giacca tipo sahariana stretta alla vita da una cintura e
pantaloni lunghi serrati alla caviglia subito sopra gli scarponi e
sborsanti all’estremità). Il berretto era un basco nero con un fregio
argenteo rappresentante una Emme maiuscola con, in mezzo, un fascio
repubblicano.
Il primo reparto “Squadre d’Azione Fiamme Bianche” venne formato a
Milano, seguirono poi Genova e le altre città del Nord. In ogni
provincia, si aprirono gli arruolamenti e si costituirono i battaglioni ,
uno in ciascuna provincia, di “Fiamme Bianche”.
Le domande di arruolamento furono ovunque numerosissime, tanto che
cominciarono a difettare le divise e i moschetti. I giovani volontari
vennero sistemati in apposite caserme e iniziarono la loro vera e
propria vita militare, presto i giovani nati nel 1926 sarebbero stati
chiamati a far parte di reparti combattenti.
Il 20 maggio del 1944, venne l’ordine di concentrare tutti i reparti
provinciali in un Campo Dux (il XXII) dove l’addestramento militare
sarebbe stato completato. Fu così che circa 4.000 avanguardisti vennero
inviate al campo di Velo d’Astico (Vicenza) ed organizzati in 4
battaglioni articolati su 3 compagnie, posti direttamente alle
dipendenze del Comando della Guardia Nazionale Repubblicana.
Durante il viaggio di trasferimento delle “Fiamme Bianche” Toscane,
successe un tragico evento. La partenza avvenne il giorno 22 maggio, in
treno, lungo la vecchia e lunga Porrettana, con arrivo a Bologna il
mattino del 23. Dopo una breve sosta, verso le ore 11 il treno ripartì
in direzione di Ferrara e del Po. Raggiunta Ferrara e attraversato il
Po, ora il treno di trova nei pressi della piccola stazione di Canaro,
12 chilometri dopo Ferrara.
Alle prime ore del pomeriggio, tre aerei “Lighting” attaccarono il
treno mitragliandolo ripetutamente. Viene distrutta la locomotiva,
ucciso il macchinista e particolarmente colpiti i primi vagoni. Le
giovani “Fiamme Bianche” si gettano fuori e cercano di ripararsi alla
meglio, tragico fu il bilancio. Sei “Fiamme Bianche” uccise, oltre a
quindici feriti fra cui quattro ufficiali (Magg. Lancellotti, Cap.
Piccolomini da Siena, Capitano Scardino – il più grave, gli fu amputata
una gamba – e il Ten. Copercini).
Sistemati in tende a sei posti, i giovani avanguardisti iniziarono
con entusiasmo il duro addestramento fatto di marce, esercitazioni
notturne ma anche di esercitazioni con le armi e addestramento al
combattimento. Gli ufficiali che li comandavano appartenevano alla
Guardia Giovanile Legionaria, dipendenti direttamente dal Comando
Generale della G.N.R.
Nel luglio, in previsione della prossima chiusura del Campo, le
giovani “Fiamme Bianche” cominciarono a pensare alla loro destinazione
futura. Quelli giudicati idonei, sarebbero stati assegnati come
complementi a quei reparti che ne avessero fatta richiesta.
Alcuni sarebbero stati arruolati nella Decima Flottiglia Mas, altri
nei paracadutisti, altri nei bersaglieri, altri in vari battaglioni GNR.
Qualcuno finirà anche in qualche Brigata Nera dove già militavano un
padre o un fratello.
L’addestramento proseguì come da programma fino all’agosto del 1944, e
precisamente il 10 allorchè fu ordinata la chiusura del XXII Campo
DUX. Fu allora che il comandante del Campo, Maggiore Giorgio Carlevaro,
reduce dalla Russia, propose la costituzione di un Battaglione
d’Assalto autonomo che avrebbe conservato le fiamme bianche sulle quali,
in luogo dei fascetti dell’O.B. sarebbero state appuntate le doppie “M”
della GNR.
Molti accettarono con entusiasmo e il Battaglione si costituì su tre
compagnie di circa cento uomini ciascuna, con i reparti che proseguirono
in maniera ancora più impegnativa l’addestramento. Intorno alla metà
del mese la seconda compagnia era stata spostata a Tonezza a presidiare
la ex colonia montana dove, fino ai primi di luglio, aveva funzionato
una scuola Allievi Ufficiali poi spostata a Vicenza.
Il 19 dello stesso mese la prima compagnia venne destinata a Tonezza,
mentre la terza sarebbe rimasta a Velo d’Astico. La compagnia, dopo una
marcia di diverse ore, attraverso Arsiero e il monte Cimone, giunse in
vista della ex Colonia verso mezzogiorno.
Dopo pochi minuti un gruppo di partigiani sferrò l’attacco con bombe e
armi automatiche. Ai primi spari, che subito si infittirono, i giovani
risposero al fuoco e corsero alle finestre. Dopo il primo comprensibile
smarrimento, le Fiamme Bianche con i loro ufficiali cominciarono a
produrre un nutrito fuoco con i fucili e le pistole. Il reparto aveva in
dotazione anche una mitragliatrice una Breda 37, che come troppo spesso
succedeva si inceppò.
Ed ecco un grande fragore: una mina, forse precedentemente collocata,
fece crollare una parte dell’edificio. Il Tenente Pettinato tentò una
coraggiosa sortita ma il mitra gli si inceppò e cadde sotto i colpi dei
partigiani. Uditi gli spari il Tenente Chirico, telefonò al comando
generale della GNR che invioò immediatamente un reparto di Granatieri
che erano di guarnigione nella Valle d’Astico.
Prima del loro arrivo i partigiani si dileguarono lasciando sul
terreno un caduto. Purtroppo anche le Fiamme Bianche ebbero delle
dolorose perdite. Caddero il Cap. Pirina, istruttore al citato Corso
Allievi Ufficiali, che non aveva ancora lasciato Tonezza, il già
ricordato Ten. Pettinato, le Fiamme Ciccarelli, Nasuti e Trevisan.
Quest’ultimo, ferito, era stato fatto prigioniero insieme al camerata
Foppiano durante la sfortunata sortita con il Ten. Pettinato e i
partigiani lo avevano ucciso. Foppiano, invece, riuscì a fuggire
saltando da una roccia e rientrò a Velo d’Astico. Le sue indicazioni
consentirono di recuperare subito il corpo del Trevisan.
Quando i granatieri giunsero alla caserma il maggiore Carlevaro aveva
già schierato nel cortile le giovani Fiamme Bianche reduci dal
combattimento che ricevettero i granatieri sull’attenti. Subito dopo le
due compagnie tornarono a Valo d’Astico, e il maggiore Carlevaro elogiò
il comportamento dei giovanissimi combattenti che furono tutti proposti
per una Croce di Guerra.
Il 29 luglio 1944, a bordo di alcuni autobus, tutto il Battaglione
venne portato a Gargnano, sul lago di Garda sede di alcuni Ministeri
della Repubblica Sociale, dove il Duce lo passò in rassegna fermandosi
poi a parlare con i giovani che chiedevano insistentemente di poter
essere inviati al fronte.
Da ricordare infine che le 4600 Fiamme Bianche presenti al campo DUX
non furono le uniche. Molte non parteciparono al Campo ma rimasero
presso i rispettivi Comitati Provinciali e furono utilizzate in vario
modo: servizi di guardia, recupero dei morti per bombardamenti e
assistenza ai feriti, ma anche azioni di contro guerriglia.
Questo significa che il numero dei giovanissimi che corsero ad
arruolarsi nelle “Fiamme Bianche” è significativamente superiore a quei
4600 che parteciparono al XXII Campo DUX. Ed anche fra questi non andati
a Velo d’Astico ci furono molti che riuscirono ad arruolarsi in reparti
combattenti e vissero l’avventura della R.S.I. fino alla fine.
I battaglioni delle “Fiamme Bianche” nei giorni finali del conflitto
furono tra gli ultimi reparti a deporre le armi, per questo motivo, a
guerra ormai ampiamente conclusa, molti di loro al pari dei reparti
della Guardia nazionale Repubblicana, della Decima, della Monterosa
furono uccisi barbaramente.
Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la
speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo
e diamo appuntamento al prossimo.
FASCISMO : 8 SETTEMBRE : LA RESA E LA FUGA DEL RE E DI BADOGLIO
"Camicie Nere, Italiani e Italiane!
Dopo un lungo silenzio, ecco che nuovamente vi giunge la mia voce e sono
sicuro che la riconoscerete: è la voce che vi ha chiamato a raccolta
nei momenti difficili e che ha celebrato con voi le giornate trionfali
della Patria.
Ho tardato qualche giorno prima di indirizzarmi a voi perché, dopo un
periodo di isolamento morale, era necessario che riprendessi contatto
col mondo. La radio non ammette lunghi discorsi. Senza ricordare per ora
i precedenti, vengo al pomeriggio del 25 luglio, nel quale accadde
quella che, nella mia già abbastanza avventurosa vita, è la più
incredibile delle avventure.
II colloquio che io ebbi col Re a Vílla Savoia durò venti minuti e forse
meno. Trovai un uomo col quale ogni ragionamento era impossibile,
poiché egli aveva già preso le sue decisioni. Lo scoppio della crisi era
imminente.
E' già accaduto, in pace e in guerra, che un ministro sia dimissionario,
un comandante silurato, ma è un fatto unico nella storia che un uomo il
quale, come colui che vi parla, aveva per ventun' anni servito il Re
con assoluta, dico assoluta, lealtà, sia fatto arrestare sulla soglia
della casa privata del Re, costretto a salire su una autoambulanza della
Croce Rossa, col pretesto di sottrarlo ad un complotto, e condotto ad
una velocità pazza, prima in una, poi in altra caserma dei carabinieri.
Ebbi subito l'impressione che la protezione non era in
realtà che un fermo. Tale impressione crebbe, quando da Roma fui
condotto a Ponza e successivamente mi convinsi, attraverso le
peregrinazioni da Ponza alla Maddalena e dalla Maddalena al Gran Sasso,
che il piano progettato contemplava la consegna della mia persona al
nemico.
Avevo però la netta sensazione, pur essendo completamente isolato dal
mondo, che il Fuhrer si preoccupava della mia sorte. Gòring mi mandò un
telegramma più che cameratesco, fraterno. Più tardi il Fùhrer mi fece
pervenire una edizione veramente monumentale dell'opera di Nietzsche.
La parola "fedeltà" ha un significato profondo, inconfondibile, vorrei
dire eterno, nell'anima tedesca, è la parola che nel collettivo e
nell'individuale riassume il mondo spirituale germanico. Ero convinto
che ne avrei avuto la prova. Conosciute le condizioni dell'armistizio, non ebbi più un
minimo dubbio circa quanto si nascondeva nel testo dell'articolo 12. Del
resto, un alto funzionario mi aveva detto: "Voi siete un ostaggio".
Nella notte dall'11 al 12 settembre feci sapere che i nemici non mi
avrebbero avuto vivo nelle loro mani. C'era nell'aria limpida attorno
all'imponente cima del monte, una specie di aspettazione. Erano le 14
quando vidi atterrare il primo aliante, poi successivamente altri:
quindi, squadre di uomini avanzarono verso il rifugio decisi a spezzare
qualsiasi resistenza.
Le guardie che mi vegliavano lo capirono e non un colpo partì. Tutto è
durato 5 minuti: l'impresa rivelatrice dell'organizzazione e dello
spirito di iniziativa e della decisione tedesca rimarrà memorabile nella
storia della guerra. Col tempo diverrà leggendaria.
Qui finisce il capitolo che potrebbe essere chiamato il mio dramma
personale, ma esso è un ben trascurabile episodio di fronte alla
spaventosa tragedia in cui il governo democratico liberale e
costituzionale del 25 luglio ha gettato l'intera nazione. Non credevo in
un primo tempo che il governo del 25 luglio avesse programmi cosi
catastrofici nei confronti del partito, del regime, della nazione
stessa. Ma dopo pochi giorni le prime misure indicavano che era in atto
l'applicazione di un programma tendente a distruggere l'opera compiuta
dal regime durante venti anni ed a cancellare vent'anni di storia
gloriosa che aveva dato all'Italia un impero ed un posto che non aveva
maí avuto nel mondo.
Oggi, davanti alle rovine, davanti alla guerra che continua noi
spettatori sul nostro territorio taluno vorrebbe sottilizzare per
cercare formule di compromesso e attenuanti per quanto riguarda le
responsabilità e quindi continuare nell'equivoco. Mentre rivendichiamo in pieno la nostra responsabilità,
vogliamo precisare quelle degli altri a cominciare dal Capo dello Stato,
essendosi scoperto che, non avendo abdicato, come la maggioranza degli
italiani si attendeva, può e deve essere chiamato direttamente in causa.
E' la stessa dinastia che, durante tutto il periodo della guerra, pur
avendola il Re dichiarata, è stata l'agente principale del disfattismo e
della propaganda antitedesca. II suo disinteresse all'andamento della
guerra, le prudenti e non sempre prudenti riserve mentali, si prestarono
a tutte le speculazioni del nemico mentre l'erede, che pure aveva
voluto assumere il comando delle armate del sud, non è mai comparso sui
campi di battaglia.
Sono ora più che mai convinto che casa Savoia ha voluto, preparato,
organizzato anche nei minimi dettagli il colpo di stato, complice ed
esecutore Badoglio, complici taluni generali imbelli ed imboscati e
taluni invigliacchiti elementi del fascismo. Non può esistere alcun
dubbio che il Re ha autorizzato, subito dopo la mia cattura, le
trattative dell'armistizio, trattative che forse erano già incominciate
tra le due dinastie di Roma e di Londra.
E' stato il Re che ha consigliato i suoi complici di ingannare nel modo
più miserabile la Germania, smentendo anche dopo la firma che trattative
fossero in corso. E' il complesso dinastico che ha premeditato ed eseguito le
demolizioni del regime che pur vent'anni fa l'aveva salvato e creato il
potente diversivo interno a base del ritorno dello Statuto del 1848 e
della libertà protetta dallo stato d'assedio. Quanto alle condizioni
dell'armistizio, che dovevano essere generose, sono tra le più dure che
la storia ricordi. II Re non ha fatto obbiezioni di sorta nemmeno, ben
inteso, per quanto riguardava la premeditata consegna della mia persona
al nemico. E' il Re che ha, con il suo gesto, dettato dalla
preoccupazione per l'avvenire della sua Corona, creata per l'Italia una
situazione di caos, di vergogna interna, che si riassume nei seguenti
termini: in tutti i continenti, dalla estrema Asia all'America, si sa
che cosa significhi tener fede ai patti da parte di casa Savoia.
Gli stessi nemici, ora che abbiamo accettata la vergognosa
capitolazione, non ci nascondono il loro disprezzo, né potrebbe accadere
diversamente. L'Inghilterra, ad esempio, che nessuno pensava di
attaccare e specialmente il Fuhrer non pensava di farlo è scesa in
campo, secondo le affermazioni di Churchill, per la parola data alla
Polonia.
D'ora innanzi può accadere che anche nei rapporti privati ogni italiano
sia sospettato. Se tutto ciò portasse conseguenze solo per il gruppo dei
responsabili, il male non sarebbe grave; ma non bisogna farsi
illusioni: tutto ciò viene scontato dal popolo italiano, dal primo
all'ultimo dei suoi cittadini. Dopo l'onore compromesso, abbiamo perduto, oltre i territori
metropolitani occupati e saccheggiati dal nemico, anche, e forse per
sempre, tutte le nostre posizioni adriatiche, ioniche, egee e francesi
che avevamo conquistato non senza sacrifici di sangue.
II regio Esercito si è quasi dovunque rapidamente sbandato. E niente è
più umiliante che essere disarmato da un alleato tradito tra lo scherno
della popolazione.
Questa umiliazione deve essere stata soprattutto sanguinosa per quegli
ufficiali e soldati che si erano battuti da valorosi accanto ai loro
camerati tedeschi su tanti campi di battaglia. Negli stessi cimiteri di
Africa e di Russia, dove soldati italiani e tedeschi riposano insieme,
dopo l'ultimo combattimento, deve essere stato sentito il peso di questa
ignominia.
La regia Marina, costruita tutta durante il ventennio fascista, si è
consegnata al nemico, in quella Malta che costituiva e più ancora
costituirà la minaccia permanente contro l'Italia e il caposaldo
dell'imperialismo inglese nel Mediterraneo.
Solo l'aviazione ha potuto salvare buona parte del suo materiale, ma
anch'essa è praticamente disorganizzata. Queste sono le responsabilità
indiscutibili, documentate irrefutabilmente anche nel discorso del
Fùhrer, il quale ha narrato, ora per ora, l'inganno teso alla Germania,
inganno rafforzato dai micidiali bombardamenti che gli angloamericani,
d'accordo col governo di Badoglio, hanno continuato, malgrado la firma
dell'armistizio, contro grandi e piccole città dell'Italia centrale. Date queste condizioni, non è il regime che ha tradito la
monarchia, ma è la monarchia che ha tradito il regime, tanto che oggi è
decaduta nelle coscienze del popolo ed è semplicemente assurdo supporre
che ciò possa compromettere minimamente la compagine unitaria del popolo
italiano. Quando una monarchia manca a quelli che sono i suoi compiti,
essa perde ogni ragione di vita. Quanto alle tradizioni, ve ne sono più
repubblicane che monarchiche: più che dai monarchici, l'unità e
l'indipendenza d'Italia fu voluta, contro tutte le monarchie più o meno
straniere, dalla corrente repubblicana che ebbe il suo puro e grande
apostolo in Giuseppe Mazzini.
Lo Stato che noi vogliamo instaurare sarà nazionale e sociale nel senso
più lato della parola: sarà cioè fascista nel senso delle nostre
origini. Nell'attesa che il movimento si sviluppi fino a diventare
irresistibile, i nostri postulati sono i seguenti: 1) riprendere le armi a fianco della Germania, del Giappone e
degli altri alleati: soltanto il sangue può cancellare una pagina cosi
obbrobriosa nella storia della Patria;
2) preparare, senza indugio, la riorganizzazione delle nostre Forze
Armate attorno alle formazioni della Milizia; solo chi è animato da una
fede e combatte per una idea non misura l'entità del sacrificio;
3) eliminare i traditori e in particolar modo quelli che fino alle 21,30
del 25 luglio militavano, talora da parecchi anni, nelle file del
partito e sono passati nelle file del nemico;
4) annientare le plutocrazie parassitarie e fare del lavoro, finalmente,
il soggetto dell'economia e la base infrangibile dello Stato. Camicie Nere fedeli di tutta Italia!
lo vi chiamo nuovamente al lavoro e alle armi.
L'esultanza del nemico per la capitolazione dell'Italia non significa
che esso abbia già la vittoria nel pugno, poiché i due grandi imperi
Germania e Giappone non capitoleranno mai.
Voi, squadristi, ricostituite i vostri battaglioni che hanno compiuto eroiche gesta.
Voi, giovani fascisti, inquadratevi nelle divisioni che debbono
rinnovare, sul suolo della Patria, la gloriosa impresa di Bir el Cobi.
Voi, aviatori, tornate accanto ai vostri camerati tedeschi ai vostri
posti di pilotaggio, per rendere vana e dura l'azione nemica sulle
nostre città.
Voi, donne fasciste, riprendete la vostra opera di assistenza morale e
materiale, cosi necessaria al popolo. Contadini, operai e piccoli
impiegati, lo Stato che uscirà dall'immane travaglio sarà il vostro e
come tale lo difenderete contro chiunque sogni ritorni impossibili. La
nostra volontà, il nostro coraggio e la vostra fede ridaranno all'Italia
il suo volto, il suo avvenire, le sue possibilità di vita e il suo
posto nel mondo. Più che una speranza, questa deve essere, per voi
tutti, una suprema certezza.
Viva l'Italia! Viva il Partito Fascista Repubblicano! (Benito Mussolini - Monaco - 18 Settembre 1943)