Quel treno della vergogna
La Storia e le sue tragedie hanno spesso viaggiato sui binari, e
anche questo dramma non ha fatto eccezione: pochi però conoscono la
vicenda del “treno della vergogna”.
Dopo la pulizia etnica operata dai comunisti titini sugli italiani
d’Istria e Friuli Venezia Giulia (forse ventimila persone uccise ed
infoibate), all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale il
regime di Belgrado attuò la seconda fase della pulizia etnica nei
territori dell’Istria: è quello che viene chiamato “Esodo istriano”, 270.000 persone cacciate dalle loro case e dalle loro terre.
Molti di questi italiani erano in Istria da secoli, dal momento che fin
dal XIV secolo faceva parte dei domini della Serenissima Repubblica di
Venezia. Il 10 febbraio 1947 venne firmato il trattato di Parigi che
prevedeva la definitiva assegnazione di gran parte dell’Istria alla
Jugoslavia e per chi volesse mantenere la cittadinanza italiana
l’abbandono della propria terra.
La domenica del 16 febbraio 1947 da Pola partirono per mare diversi convogli di esuli italiani con i loro ultimi beni e, solitamente, un tricolore. I convogli erano diretti ad Ancona dove gli esuli vennero accolti dall’esercito a proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non mostrarono alcun gesto di solidarietà
Il PCI diffondeva la notizia che gli esuli erano in realtà
fascisti e collaborazionisti espulsi dal “paradiso dei lavoratori
socialisti”. Era una menzogna e chi la diffondeva ne era cosciente, ma negli anni della Guerra Fredda prevaleva la solidarietà di partito.
Il giornalista de l’Unità Tommaso Giglio, poi direttore de L’Espresso, scrisse un articolo il cui titolo recitava “Chissà dove finirà il treno dei fascisti?”
La sera successiva partirono stipati in un treno merci, sistemati tra
la paglia all’interno dei vagoni, alla volta di Bologna dove la
Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano
preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Il treno
giunse alla stazione di Bologna solo a mezzogiorno del giorno seguente,
martedì 18 febbraio 1947. Qui, dai microfoni di certi ferrovieri
sindacalisti fu diramato l’avviso Se i profughi si fermano, lo sciopero bloccherà la stazione. Il
treno venne preso a sassate da dei giovani che sventolavano la bandiera
con falce e martello, altri lanciarono pomodori e altro sui loro
connazionali, mentre terzi buttarono addirittura il latte destinato ai
bambini in grave stato di disidratazione sulle rotaie.
Per non avere il blocco del più importante snodo ferroviario d’Italia il
treno venne fatto ripartire per Parma dove POA e CRI poterono
tranquillamente distribuire il cibo trasportato da Bologna con automezzi
dell’esercito; la destinazione finale del treno fu La Spezia dove i
profughi furono temporaneamente sistemati in una caserma.
L’episodio di Bologna viene raccontato anche nel libro “Magazzino 18” di Simone Cristicchi appena uscito nelle librerie, che riporta la citazione dell’Unità del 30 novembre 1946, che considerava gli esuli: “indesiderabili(…) criminali (…) che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici”.
CAPITO I COMUNISTI??
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