domenica 7 dicembre 2014

"DIMENTICANZE" PARTIGIANE -- Vincenzo Mannello

 
Ho letto giorni fa  un articolo a firma di Sergio Sciacca su La Sicilia inerente "le partigiane stuprate ed uccise dai nazifascisti".
Se lo avessi letto sulla Unità degli anni 1960-70 lo avrei ritenuto piú adeguato ai tempi della "lotta dura e pura" e del Sol dell'avvenire. Oggi,alla luce delle verità venute fuori grazie a scrittori come Pansa (antifascisti dichiarati doc) non pensavo proprio di poter leggere una celebrazione rituale palesemente faziosa ed incompleta,oltre che letterariamente pomposa stile Russia stalinista.
Comunque se il sig. Sciacca e le donne dell'UDI vogliono ricordare così le cadute della Resistenza facciano pure. In fin dei conti fin pochi decenni fa sembrava proprio quella la reale configurazione di quei tragici anni. Eroine immacolate,tutte bellissime,gioiose ed affascinanti,vere star del cinema (lo scrive Sciacca) impugnarono le armi contro il nemico e per questo vennero uccise,arrestate,torturate e violentate dai nazifascisti. Quindi,improvvisamente,dal giorno dopo il 28 aprile 1945...non si sa più (secondo lo articolo) cosa fecero queste sante donne...ovviamente le sopravvissute.  A parte la confusione fatta dal sig. Sciacca che tra le violentate ha messo pure la Ciociara scambiando gli stupratori marocchini (protettori delle sue partigiane) con i teutonici ariani,ho notato come nessun accenno sia stato fatto alle altre donne,quelle militanti nella Repubblica Sociale Italiana. Niente,di niente sulle vittime degli agguati partigiani che assassinarono donne in camicia nera. Fino al 28 aprile 1945 era la guerra...,ma dopo ?  Nel maggio e nei mesi successivi di quali stragi al femminile si macchiarono i partigiani e le partigiane affascinanti o meno che fossero ? Forse quelle erano fasciste (militari del Servizio Ausiliario Femminile e pure civili) e meritavano stupri,torture nonché di essere trascinate per strada e poi assassinate ? Peccato la guerra fosse finita....ma per Sciacca e UDI forse non lo è neppure oggi. Comunque anche io sono un italiano ed un lettore de La Sicilia. Spesso ho visto che il pluralismo di opinioni viene rispettato comunque la si pensi sia da La Sicilia sia da altre testate in indirizzo. Spero quindi di poter leggere queste mie righe e che i lettori si facciano la propria opinione con facoltà di scelta.

P.s. proprio in questi giorni le democratiche associazioni partigiane,assieme ai pacifici centri sociali,hanno preteso (neppure tanto civilmente) il ritiro del film "I segreti d'Italia" reo di trattare di una delle numerose stragi "resistenziali" commesse nel dopoguerra a Codevigo (Pd). Accusando addirittura Romina Power di essere "fascista".

Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello
                                                                                                                                                                                                                                              

sabato 6 dicembre 2014

LAVORO: schiavi e padroni



Lavoro: schiavi e padroni
La società moderna ha visto strutturarsi al suo interno due concezioni opposte, entrambi però in difetto.
La prima visione pone la libertà (individuale/economica) al primo posto e sacrifica l'uguaglianza, divenendo liberismo, la seconda , sacrifica la libertà in nome dell'uguaglianza e sconfina nel comunismo.
Negli ultimi due secoli, la proiezione di queste due concezioni nei rapporti umani lavorativi non può che aver proposto soluzioni altrettanto in difetto o monche. Il confronto scontro, tra lavoro e capitale, non ha avuto pertanto a tutt'oggi risoluzione se non a vantaggio del capitale.
Tuttavia per motivi vari, non ultimo l'imborghesimento interiore della classe lavoratrice che sarebbe dovuta essere da supporto rivoluzionario, la supremazia avanzante del capitalista non ha rafforzato la lotta di classe ma ha coinciso piuttosto con il suo annichilimento.
L'oligarchia economica dominante, plutocrazia, fatto tesoro del monito di Rousseau: "Quando il povero non ha più nulla da mangiare , mangia il ricco", s'è industriata per non essere divorata.
Non basta , d'altro canto, come non è bastato nei regimi comunisti dire che i mezzi di produzione, cosi' come la fabbrica, sono di proprietà dello Stato per sentirsi partecipi del processo produttivo.

Cambiano i nomi, padrone privato, padrone pubblico, ma il risultato per il lavoratore è lo stesso, il rapporto di forza, dalla sua posizione angolare, rimane quello tra sfruttati e sfruttatori.
Per chi non è d'accordo non resta che l'ultima e unica arma: lo sciopero. Lo sciopero ormai, oltre che normato da rigide leggi, è difficile da attuarsi sia perché i lavoratori sono divisi da differenti contratti capestro ( ideati ad arte in nome della flessibilità), sia perché in molte aziende il sindacato è assente, latitante, quand'anche narcotizzato o ammaestrato.
Ai nostri tempi la figura classica del padrone è sfumata, s'è impersonalizzata, non più capitani d'industria, latifondisti, ma sempre più spesso holding finanziarie, multinazionali e banche, sempre meno coinvolte nell'azienda da un punto di vista umano, limitando di fatto il proprio interessamento al solo tornaconto economico. Questo in un mercato sempre più libero e globale, dove le regole di tutela si affievoliscono, la responsabilità soggettiva del capitalista si vaporizza a ovvio svantaggio del lavoratore.
Arrivati a questo punto, la lotta di classe, reazione naturale nell'era della rivoluzione industriale, oltre ad essere inadeguata è anacronistica.

Tornando alle due concezioni opposte, quali il liberismo e il comunismo, vogliamo sottolineare che se la prima dice che la giustizia è nella libertà ( non si può avere giustizia senza libertà: libertà economica e libertà di proprietà, in primis, libertà civile per finire), la seconda afferma che la vera libertà dell'uomo è nell'uguaglianza.
Il comunismo, con Marx, afferma che le disuguaglianze tra gli uomini risiedono nella ricchezza economica, quindi in primo grado nella proprietà privata. Questo in una società liberista, dove tutto è ridotto all'avere, è senz'altro vero. La proprietà privata e la divisione del lavoro, sono ragioni d'ingiustizia. Se la libertà dell'uomo si concretizza nella libertà d'accumulo incondizionato, magari benedetto anche da Dio ( vedi "Etica protestante e spirito del capitalismo" di Weber) la proprietà privata, insieme all'artificioso arricchimento della finanza, sono motivo di disuguaglianza.
D'altronde non è pensabile neanche che si possa risolvere il problema appiattendo tutti gli uomini vestendoli di una stessa casacca e negando la proprietà privata: in nome dell'uguaglianza produciamo un'altra ingiustizia.
Non ci rimane che partire dall'irrinunciabile presupposto filosofico, opposto all'individualismo delle ideologie liberali, che pone l'uomo, come fece Marx, in un contesto collettivo, ove soltanto nella società consegue la sua individualità, si conferisce alla società stessa un " importantissimo valore morale" pur garantendo la proprietà privata, ma limitando questa al fine di " non essere disintegratrice della personalità fisica e morale".
Da qui si apre uno spiraglio che porta a quella terza via, che piaccia no, tracciata dal fascismo e che rimane percorribile ed attuale.
Senza approfondire l'aspetto ideologico del fascismo, coerentemente al tema trattato, vogliamo proiettare come all'inizio avevamo fatto per il liberismo e il comunismo, questa concezione sul piano dei rapporti umani/lavorativi.

Qual è il principio di ragione che porta il lavoratore sempre a sottostare al padrone o al sistema di potere economico da lui rappresentato? Nessuno, se non un arbitrario atto di forza codificato in legge dalla giurisprudenza, il fascismo con la socializzazione interrompe questa ingiustizia.
Come insegna il sociologo Michels, un rapporto di partecipazione reale non può che avvenire tra uguali. Noi non ci accontentiamo che il lavoratore partecipi con il datore di lavoro, sarebbe semplice collaborazione, noi vogliamo che sia parte essenziale e gestionale del processo di cui fa parte. Questo non potrà che essere fattibile solo quando le parti, lavoro e capitale, braccia e denaro, avranno stesso riconoscimento giuridico e sociale, abbiano in altri termini pari dignità. Non il lavoro a servizio del capitale, ma il capitale a servizio del lavoro, non l'uomo a servizio dell'utile, ma l'utile al servizio dell'uomo.
Parlare di pari dignità tra lavoro e capitale è la chiave di volta per risolvere il problema che non ha avuto a tutt'oggi soluzione.
Certo parlare di pari dignità significa rivoluzionare il senso più profondo di questa società dove tutto è proteso ad un fine utilitaristico e dove il danaro , adottato come unico parametro di riferimento, è sublimato a nuovo ethos, ma sta a noi raccogliere la sfida.
Porre sullo stesso piano chi porta le proprie capacità professionali (manuali o intellettive), e chi ci mette i soldi oltre ad essere la via da battere è un dovere sociale per tutti quelli non disposti ad appiattire l'uomo su un piano esclusivamente economico e/o consumistico.
E' questa la visione dell'umanesimo del lavoro, la concezione antropocentrica che fu tracciata da Gentile e rafforzata da Spirito.
Chiamatela pure socializzazione, o corporativismo integrale, o comunismo con diritto alla proprietà, chiamatela, chiamiamola pure come volete, basta che sia la nostra bandiera per l'emancipazione più alta dell'uomo e del suo lavoro.
Lorenzo Chialastri - Cave (Roma)
                                                                                                                                                                      

giovedì 4 dicembre 2014

LAVORO: schiavi e padroni

Lavoro: schiavi e padroni
La società moderna ha visto strutturarsi al suo interno due concezioni opposte, entrambi però in difetto.
La prima visione pone la libertà (individuale/economica) al primo posto e sacrifica l'uguaglianza, divenendo liberismo, la seconda , sacrifica la libertà in nome dell'uguaglianza e sconfina nel comunismo.
Negli ultimi due secoli, la proiezione di queste due concezioni nei rapporti umani lavorativi non può che aver proposto soluzioni altrettanto in difetto o monche. Il confronto scontro, tra lavoro e capitale, non ha avuto pertanto a tutt'oggi risoluzione se non a vantaggio del capitale.
Tuttavia per motivi vari, non ultimo l'imborghesimento interiore della classe lavoratrice che sarebbe dovuta essere da supporto rivoluzionario, la supremazia avanzante del capitalista non ha rafforzato la lotta di classe ma ha coinciso piuttosto con il suo annichilimento.
L'oligarchia economica dominante, plutocrazia, fatto tesoro del monito di Rousseau: "Quando il povero non ha più nulla da mangiare , mangia il ricco", s'è industriata per non essere divorata.
Non basta , d'altro canto, come non è bastato nei regimi comunisti dire che i mezzi di produzione, cosi' come la fabbrica, sono di proprietà dello Stato per sentirsi partecipi del processo produttivo.

Cambiano i nomi, padrone privato, padrone pubblico, ma il risultato per il lavoratore è lo stesso, il rapporto di forza, dalla sua posizione angolare, rimane quello tra sfruttati e sfruttatori.
Per chi non è d'accordo non resta che l'ultima e unica arma: lo sciopero. Lo sciopero ormai, oltre che normato da rigide leggi, è difficile da attuarsi sia perché i lavoratori sono divisi da differenti contratti capestro ( ideati ad arte in nome della flessibilità), sia perché in molte aziende il sindacato è assente, latitante, quand'anche narcotizzato o ammaestrato.
Ai nostri tempi la figura classica del padrone è sfumata, s'è impersonalizzata, non più capitani d'industria, latifondisti, ma sempre più spesso holding finanziarie, multinazionali e banche, sempre meno coinvolte nell'azienda da un punto di vista umano, limitando di fatto il proprio interessamento al solo tornaconto economico. Questo in un mercato sempre più libero e globale, dove le regole di tutela si affievoliscono, la responsabilità soggettiva del capitalista si vaporizza a ovvio svantaggio del lavoratore.
Arrivati a questo punto, la lotta di classe, reazione naturale nell'era della rivoluzione industriale, oltre ad essere inadeguata è anacronistica.

Tornando alle due concezioni opposte, quali il liberismo e il comunismo, vogliamo sottolineare che se la prima dice che la giustizia è nella libertà ( non si può avere giustizia senza libertà: libertà economica e libertà di proprietà, in primis, libertà civile per finire), la seconda afferma che la vera libertà dell'uomo è nell'uguaglianza.
Il comunismo, con Marx, afferma che le disuguaglianze tra gli uomini risiedono nella ricchezza economica, quindi in primo grado nella proprietà privata. Questo in una società liberista, dove tutto è ridotto all'avere, è senz'altro vero. La proprietà privata e la divisione del lavoro, sono ragioni d'ingiustizia. Se la libertà dell'uomo si concretizza nella libertà d'accumulo incondizionato, magari benedetto anche da Dio ( vedi "Etica protestante e spirito del capitalismo" di Weber) la proprietà privata, insieme all'artificioso arricchimento della finanza, sono motivo di disuguaglianza.
D'altronde non è pensabile neanche che si possa risolvere il problema appiattendo tutti gli uomini vestendoli di una stessa casacca e negando la proprietà privata: in nome dell'uguaglianza produciamo un'altra ingiustizia.
Non ci rimane che partire dall'irrinunciabile presupposto filosofico, opposto all'individualismo delle ideologie liberali, che pone l'uomo, come fece Marx, in un contesto collettivo, ove soltanto nella società consegue la sua individualità, si conferisce alla società stessa un " importantissimo valore morale" pur garantendo la proprietà privata, ma limitando questa al fine di " non essere disintegratrice della personalità fisica e morale".
Da qui si apre uno spiraglio che porta a quella terza via, che piaccia no, tracciata dal fascismo e che rimane percorribile ed attuale.
Senza approfondire l'aspetto ideologico del fascismo, coerentemente al tema trattato, vogliamo proiettare come all'inizio avevamo fatto per il liberismo e il comunismo, questa concezione sul piano dei rapporti umani/lavorativi.

Qual è il principio di ragione che porta il lavoratore sempre a sottostare al padrone o al sistema di potere economico da lui rappresentato? Nessuno, se non un arbitrario atto di forza codificato in legge dalla giurisprudenza, il fascismo con la socializzazione interrompe questa ingiustizia.
Come insegna il sociologo Michels, un rapporto di partecipazione reale non può che avvenire tra uguali. Noi non ci accontentiamo che il lavoratore partecipi con il datore di lavoro, sarebbe semplice collaborazione, noi vogliamo che sia parte essenziale e gestionale del processo di cui fa parte. Questo non potrà che essere fattibile solo quando le parti, lavoro e capitale, braccia e denaro, avranno stesso riconoscimento giuridico e sociale, abbiano in altri termini pari dignità. Non il lavoro a servizio del capitale, ma il capitale a servizio del lavoro, non l'uomo a servizio dell'utile, ma l'utile al servizio dell'uomo.
Parlare di pari dignità tra lavoro e capitale è la chiave di volta per risolvere il problema che non ha avuto a tutt'oggi soluzione.
Certo parlare di pari dignità significa rivoluzionare il senso più profondo di questa società dove tutto è proteso ad un fine utilitaristico e dove il danaro , adottato come unico parametro di riferimento, è sublimato a nuovo ethos, ma sta a noi raccogliere la sfida.
Porre sullo stesso piano chi porta le proprie capacità professionali (manuali o intellettive), e chi ci mette i soldi oltre ad essere la via da battere è un dovere sociale per tutti quelli non disposti ad appiattire l'uomo su un piano esclusivamente economico e/o consumistico.
E' questa la visione dell'umanesimo del lavoro, la concezione antropocentrica che fu tracciata da Gentile e rafforzata da Spirito.
Chiamatela pure socializzazione, o corporativismo integrale, o comunismo con diritto alla proprietà, chiamatela, chiamiamola pure come volete, basta che sia la nostra bandiera per l'emancipazione più alta dell'uomo e del suo lavoro.
Lorenzo Chialastri - Cave (Roma)
                                                                                                                                                                

lunedì 1 dicembre 2014

NICOLA BOMBACCI




Nicola Bombacci
Nasce a Civitella di Romagna, in provincia di Forlì, il 24 Ottobre 1879. Avviato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica, lascia, a vent'anni, il Seminario di Forlì per iscriversi alla Regia Scuola Normale di Forlimpopoli, dove consegue il diploma magistrale. Insegnante elementare nelle campagne emiliane, è lì che si avvicina al "Verbo socialista", diventando, in pochi anni, un oratore intransigente e carismatico, direttore dei fogli "Il cuneo" e "Il Domani". Al congresso del Psi, nel 1912, si schiera con l'ala massimalista, capitanata da Benito Mussolini, dal quale si dissocia negli anni della lotta interventista, alla vigilia della prima guerra mondiale. Acceso assertore della neutralità, Bombacci, eletto segretario del Partito socialista nel 1919, partecipa, nel Gennaio 1921, a Livorno, alla scissione che darà vita al Partito Comunista d'Italia, per il quale viene eletto deputato. Sono gli anni in cui gli squadristi fascisti cantano: "Con la barba di Bombacci/ ci farem gli spazzolini/ per lucidare le scarpe/ di Benito Mussolini". Nel 1925 fonda una società commerciale italo-russa, per incrementare le relazioni tra l'Italia ed il neonato Stato sovietico. I continui viaggi in Urss lo portano a contatto con il "socialismo reale", accentuando gradualmente il suo distacco dal Partito comunista, che lo espelle nel giugno 1927. Scriverà poi, in Questo è il bolscevismo: "Nella Russia di Stalin l'operaio e i contadini non hanno raggiunto una sola delle aspirazioni che voi desideravate giustamente di realizzare. Non hanno realizzato un salario equo; non hanno conquistato un orario umano; non hanno una casa degna di questo nome; non posseggono i mezzi né materiali né spirituali per elevarsi, per educarsi ed istruire i loro figlioli. Nella Russia di Stalin non esiste uno Stato socialista, ma uno Stato-padrone, autoritario, che ha accentrato tutti i poteri economici, politici e polizieschi nella mani di una pletorica e plutocratica burocrazia , la quale ha di fatto il potere di fissare i salari agli operai agricoli ed industriali e di stabilire i prezzi di vendita dei prodotti agricoli ed industriali". Isolato, economicamente in difficoltà, Bombacci trova un impiego per interessamento del fascista romagnolo Leandro Arpinati, presso l'Ice (Istituto di Cinematografia Educativa), dove rimane fino al 1935. Già nel '32, si assiste al lento ravvicinamento dell'ex leader comunista a Mussolini e ad alcuni esponenti della sinistra fascista (in particolare Edmondo Rossoni, tra i fondatori del sindacalismo nazionale), avvicinamento che gli permette di fondare, nell'Aprile 1936, grazie all'appoggio concesso dallo stesso capo del fascismo, il mensile "La Verità". "La rivista - ha scritto Fabio Gabrielli ("La Verità" di Nicola Bombacci, Milano, 1985) - assunse fin dal suo apparire questi connotati che ne avrebbero poi caratterizzato l'intera vicenda editoriale: violentissima ed apertissima lotta alle plutocrazie occidentali corruttrici (laddove con questo si voleva intendere il grande capitale detentore del potere politico), ampi spazi dedicati alla risoluzione dei problemi riguardanti i conflitti tra le classi sociali, ed infine un saldissimo anticomunismo". "La Verità" viene travolta dai fatti del Luglio '43. Ma Bombacci è tra i primi ad accorrere al richiamo del rinato fascismo repubblicano. "L'obbligo che Bombacci sentì - nota Guglielmo Salotti (Nicola Bombacci da Mosca a Salò, Roma, 1986) - fu insieme morale e politico: nei confronti della Patria e del popolo italiano che, secondo lui, l'armistizio dell' 8 Settembre aveva svenduti al capitalismo internazionale, e di Mussolini, tradito dalla borghesia e dalla monarchia, e intento ora, pur tra difficoltà che non potevano nella loro gravità sfuggire anche ai suoi occhi, a dar vita al socialismo, 'unico socialista', come aveva a suo tempo affermato lo stesso Lenin, in grado di farlo in Italia". E' l'ex comunista del PcdI ad ispirare il termine "socializzazione", dando un importante contributo alla stesura dei "18 Punti di Verona", il "manifesto politico" della Rsi, e alla diffusione del nuovo messaggio rivoluzionario. In molti non glielo perdoneranno e a Piazza Loreto, accanto a quella di Mussolini, verrà appesa anche la sua salma.
INTERVISTA IMPOSSIBILE A NICOLA BOMBACCIApostolo della Socializzazione
- Onorevole Bombacci...- Mi chiami Nicola. O Nicolino, se preferisce... Lasci stare l’onorevole: io sono figlio del popolo... E il popolo, me compreso, non contempla altro onore che quello conquistato sui campi di battaglia, nelle trincee o nelle piazze... E chi se lo conquista lì, come spero di aver fatto io nelle piazze, non gode ad essere chiamato “onorevole”, secondo accezione corrente... Non ho un bel ricordo del mio periodo parlamentare... Per cui -la prego - eviti...- Comunque voglia essere chiamato, lei resta “l’Apostolo della Socializzazione”; le viene perfino attribuita la stesura del testo di legge che istituì la socializzazione nella vicenda della Rsi...- Non ho scritto io quel testo; certo, ho approvato e abbracciato totalmente disegno e realizzazione, fino a meritarmi quell’appellativo che lei ha ricordato... Quel progetto era quanto perseguivo da quando, agli inizi del ‘900, iniziai, da socialista, a fare politica... E da socialista - come sa - ho inteso finire di piantar grane a questo mondo...- Proprio il fatto che lei sposò, da socialista, di più: da fondatore del Partito comunista d’Italia, la causa del fascismo repubblicano, a guerra ormai compromessa, la fa ritenere persona controversa ed incoerente...- Beh, se è per questo, anche Togliatti sposò il programma originario del fascismo enunciato a San Sepolcro: ricorda, no? “Il Migliore”, nel 1936, rivolse l’invito “ai fratelli in camicia nera” di rifarsi a quell’atto fondativo e di considerare il comunismo potenziale realizzatore di quel programma...- Sì, ma Togliatti si è ravveduto, mi sembra...- Mica tanto: secondo lei, perché dopo la fine della guerra concesse l’amnistia a migliaia di fascisti incarcerati?- Perché?- Perché pensava di riconquistare alla causa comunista tutti quei fascisti irriducibili a fare, da destra, quanto pretendevano i neo-acquisiti alla logica liberal-liberista che si andava apparecchiando in Italia… E, comunque, se lui, Togliatti, si è ravveduto dal fascismo io mi sono ravveduto dal comunismo... A conti fatti, visto che di comunismo reale si parla ormai solo sulle pagine di storia e neanche tanto positivamente, non so chi dei due si sia ravveduto meglio...- Se è per questo, del fascismo, sulle pagine di storia, si parla anche peggio...- Sì, ma con una, anzi: due differenze...- E cioè?- La prima: il fascismo ha perso una guerra mondiale e, quindi, era abbastanza scontato che pagasse dazio per quella sconfitta... Il comunismo, che pure vinse la stessa guerra che il fascismo ha perso, si è sconfitto da solo per implosione... La seconda...- La seconda?- Il fascismo non ha tradito la sua rivoluzione, il comunismo, invece, sì...- Quindi - mi sembra di capire - lei non si considera né controverso né incoerente...- Accetto senz’altro di essere considerato “controverso”. Del resto, chi non è contro-verso rischia di diventare per-verso e, se lei permette, nessuno può dubitare della mia onestà morale... Sull’incoerenza politica il discorso si complica ma ritengo di potermi spiegare...- La prego...- Ho inseguito per tutta la vita la realizzazione di un progetto di evoluzione del lavoratore da asservito al giogo del capitale, a padrone del proprio destino... Quando vidi scivolare questa originaria e antica aspirazione dell’uomo in un riformismo che avrebbe finito per accettare, di perpetuare i canoni del liberismo economico, abbracciai la rivoluzione comunista e fondai la sezione d’Italia del partito... Quando, ancora, vidi come Stalin tradiva la rivoluzione dei Soviet, dei “consigli degli operai” per intenderci, per dare ad una casta di amministratori e di burocrati, a un Soviet talmente Supremo da essere inaccessibile ai lavoratori, tutto il potere che la rivoluzione, invece, prometteva all’operaio, mi disillusi e guardai oltre...- Al fascismo, com’è noto...- Al fascismo... Perché, no?- Beh, la storia pensa...- La storia non pensa: gli storici pensano...- D’accordo: gli storici pensano che il fascismo non favorì affatto gli interessi dei
lavoratori...
- A me risulta altrimenti, anche se non sono uno storico... Gli storici scrivono, di solito, quello che il potere al potere vuole che scrivano... Nelle eccezioni (rare...), per quanto obiettivi possano essere, sono anche loro, gli storici, dentro la storia: mica la contemplano da Sirio. Vuole che ricordi e le elenchi tutte le leggi che il fascismo promulgò al fine, realizzato, di costruire lo stato sociale, ancora prima di arrivare alla sua fase repubblicana?- Le conosco, grazie... Ma c’è chi pensa che, quelli, fossero atti dovuti in ogni caso e da qualsiasi - come lo chiama lei - “potere al potere”... I tempi erano maturi perché si realizzasse lo stato sociale... Il fascismo fece quanto era improrogabile fare...- ..Talmente improrogabile che, oggi, non fanno altro che smantellare improrogabilmente lo stato sociale... No, lei sbaglia: nessuna contingenza avrebbe costretto il fascismo a realizzare il suo programma rivoluzionario se, questo, non fosse stato iscritto nel suo Dna...- Torniamo, per un attimo, alla difficile assimilazione che lei intese intravedere fra fascismo e comunismo...- Le dirò di più: fino ad un certo momento del percorso della rivoluzione comunista, ho persino sognato - come ricorderà - che le due rivoluzioni, quella fascista e quella comunista, appunto, potessero unirsi...
Ancora nel 1940, sentivo di poter affermare: ??...eppure giorno verrà, in cui il soviet, permeandosi di spirito gerarchico, e la corporazione, di risoluta anima rivoluzionaria, s??incontreranno sopra un terreno di redenzione sociale??.
- Che cosa intendeva dire?- Fascismo e comunismo hanno la stessa matrice ideologica: il socialismo, appunto... Perché crede che sul punto di essere fucilato gridai ??Viva il socialismo???- Non lo so: me lo dica lei...- Il fascismo, all’inizio del suo percorso, divaricò la forbice dalla matrice originaria per poi gradualmente, riavvicinare le punte del comasso. Fino a farle coincidere in una formula, in qualche modo “socialista”, forse inedita nella storia, sì, ma fedele all’originaria aspirazione e, ai miei occhi, a tutt’oggi, insuperata. Il comunismo, invece, uscì sì dallo stesso punto originario, ma poi realizzò la completa ottusità dell’angolo...
Fino ad abortire in una sorta di capitalismo di stato... Cosa, quest’ultima, assai diversa da qualsiasi concezione di socialismo si voglia intendere...
- A seguirla sembra quasi che sia stato il fascismo a realizzare le istanze marxiste...- No, il sistema di socializzazione del fascismo prevedeva la sussistenza della proprietà privata. Il che lo rende irriducibile alle istanze marxiste, almeno a quelle di vulgata...- Infatti, il fascismo non predicò mai l’abolizione della proprietà privata, come prevedeva invece il socialismo...- Anche qui - mi perdoni - si sbaglia: del socialismo esistono diverse concezioni e non tutte prescrivono l’abolizione della proprietà privata. Si rilegga Filippo Corridoni, per esempio... Quest’abolizione la prevedeva, compiutamente, la versione di-vulgata di Marx che, invece - nonostante la vulgata - considerava la fase finale del percorso rivoluzionario del proletariato comunista nella:????Autonomia dei produttori??. In pratica, Marx auspicava il pieno possesso, ovvero: la piena proprietà dell’impresa economica industriale, agricola, commerciale da parte dei lavoratori che la gestiscono. Cioè, ancora, nella piena autogestione delle imprese produttive... Nella socializzazione compiuta, per l’appunto... Guardi, ancora per esempio, il socialismo realizzato nell’ex Jugoslavia titina: lì, mica era una prescrizione tassativa abolire totalmente la proprietà privata... Come invece fu, e con quali esiti! nell’Unione Sovietica...- Ma la proprietà privata non è parte consustanziale del liberismo economico?- Questo lo credono menti depositate nell’archivio a caselle concettuali con tenuta assolutamente stagna e stonfa... La proprietà dell’impresa da parte del lavoratore, nei limiti stabiliti dalla socializzazione, la proprietà della sua casa - ancora e sempre per esempio - sono fondamentali che non smentiscono una versione possibile - sottolineo: possibile - del socialismo... Anzi - a parere mio - la esaltano al di là degli espropri statali comunisti e dei monopoli privati del capitalismo... La proprietà è un istinto naturale dell’uomo... Perché abolirla? O perché concentrarla in poche, avide mani? Nel Manifesto di Verona si stabilisce il diritto “alla” proprietà”, in contro distinzione dal diritto “di” proprietà... Si stabilisce, cioè, un principio di diritto etico del proletario: quello di evolversi in proprietario... Il diritto “di” proprietà, cioè, viene ricondotto nell’ambito dei
superiori interessi della comunità, del popolo, della nazione e non a quelli del capitalismo di pochi individui GIÀ proprietari...
- Non mi dirà che il fascismo sostenne anche la lotta di classe...- La lotta di classe è un espediente, non un dogma... Un espediente che ha trovato nella rivoluzione industriale la sua legittimazione... Intere comunità contadine furono costrette ad inurbarsi in tuguri... E a lavorare in condizioni che a dire schiave è cosa perlomeno appropriata... Quale altro espediente, a parte la lotta di classe, avrebbero potuto adottare, quelle masse, per elevarsi da una condizione di animalità, in cui erano costrette dal neonato capitalismo industriale, a un minimo di condizione umana? Un rivoluzionario
operaista a tutto tondo come Mazzini, non abbastanza celebrato per i motivi che le sto per esporre, poté concepire, invece, un sistema in cui tutti, un giorno, sarebbero stati padroni della propria impresa lavorativa e sociale... Invocando (il Mazzini...) che tutti avevano il diritto ad essere responsabili di questa impresa, senza distinzione fra fornitori di capitale e fornitori di forza-lavoro, auspicava, insomma, un sistema in cui le forze produttive si armonizzano in una responsabile condivisione sociale. In questa realizzazione, lo scontro di classe sarebbe diventato un non senso logico... Cosa che perfino Marx prevedeva come sbocco naturale del comunismo... E la storia ha smentito Marx, mica Mazzini che già, nell’800, intravedeva nel socialismo marxista realizzato ??una vita da castori?? e non da uomini... Quello che appunto fu…
- Non le è mai venuto in mente che la socializzazione fosse un espediente per riconquistare alla causa dell’ultimo fascismo, quello repubblicano, la massa dei lavoratori? Masse che, disilluse dal regime ventennale, si erano, nel frattempo, rivolte altrove per cercare la propria giustizia?- Le posso dire che a Genova, poche settimane prima del fatidico 25 aprile 1945, c’erano almeno trentamila persone in piazza ad ascoltare un mio comizio di propaganda per la socializzazione... E nessuno storico si è mai azzardato a considerare quella folla costretta a venirmi a sentire... E lì - credo - di essermi spiegato...
Così, come nessuno storico ha mai sottolineato abbastanza che il primo atto legislativo del neo governo di liberazione, proprio nella mattina del 25 aprile ’45, abolì il decreto che istituiva la socializzazione delle imprese nella,ormai ex, Rsi... Sarà un caso?
- Credo di no, ne convengo... Ma cosa disse, esattamente, in quel comizio del 12 marzo del ‘45?- Glielo riassumerò, citandomi. Dissi:“Fratelli di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa. Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica sociale italiana è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai”.- Non le si può negare una fede cieca...- Non mi neghi la fede... La cecità - la prego - me la risparmi: non ho mai visto tanto bene come in quei giorni di martirio...- Va bene, andiamo oltre...- Non ho fatto altro per tutta la vita che andare oltre: continuiamo pure...- Secondo lei, che lo frequentò assiduamente, nei seicento giorni di Salò...- ..Della Repubblica sociale, vorrà dire... Scusi: chiami le cose con il loro nome esatto...- ...Nei seicento giorni della Repubblica sociale, allora, come vuole... Quale fu - dicevo - secondo lei, la molla decisiva che indusse Mussolini a concepire e realizzare il progetto di socializzazione, proprio nel momento in cui le speranze, non dico di una vittoria fascista, ma almeno di una sua possibile sopravvivenza, erano praticamente nulle?- Qualcuno (non ricordo chi...), prima di una battaglia che si preannunciava disgraziata, a chi gli faceva notare che non c’era nessuna speranza di vittoria, rispose: ??Sperare non è necessario per intraprendere.??
...Ecco - se lei mi permette - fu proprio questo - io credo - lo spirito che portò Mussolini a varare, finalmente la legislazione socializzatrice... A portare a termine, cioè, in maniera coerente (un termine che - mi sembra - le sta particolarmente a cuore; però, attento: soltanto gli imbecilli non si smentiscono mai...); a portare a termine - dicevo - gli sviluppi logici della rivoluzione fascista... Comunque, c’era, anche, un messaggio, un testamento - se vuole - da lasciare... Una via percorribile da indicare a chi sarebbe venuto dopo e avrebbe ripreso, in qualche modo, il cammino della rivoluzione che gli esiti della guerra stavano stroncando... Queste, e non altre, furono le molle che spinsero Mussolini a ??intraprendere??... Quando tutto, evidentemente, era ormai perduto... Fuorché l’onore... E si figuri che persino io, personalmente, m’illusi, per un momento, che realizzando la socializzazione le stesse sorti della guerra avrebbero potuto essere diverse... Ma Mussolini
era l’unico che aveva, ancora, nonostante tutto, il senso esatto del corso che avrebbero preso la storia... Non fu certamente per caso che Lenin mi confidò che Mussolini era l’unico uomo italiano che avrebbe potuto realizzare, in Italia, la rivoluzione socialista... E i fatti non hanno smentito Lenin... Tanto meno, Mussolini...
- Come saprà, in chi si autoproclamò “erede del fascismo”, la via indicata da Mussolini nel suo testamento politico è rimasta, praticamente, lettera morta... Nel dopoguerra, fino ad oggi, furono altre le istanze che, dal fascismo, i neofascisti assunsero nella pratica della loro azione politica... - Quello che dice è parzialmente vero... La socializzazione non è stata, per molti anni, sventolata come bandiera di discrimine fra chi avrebbe dovuto intendersi, ed essere inteso, interprete della “Terza Via” fra due concetti e due idee, comunismo e capitalismo, che sembrano irriducibili ma che, nella sostanza, non lo
sono: da una parte, infatti, troviamo ancora i sostenitori del libero mercato che tutto legittima in nome del laissez faire e, dall’altra, lo stato che tutto pretende: entrambi espropriatori del destino dell’uomo...
- Quindi?- Quindi, il fascismo, l’ultimo fascismo soprattutto, ha saputo riportare il discorso ai giusti termini: restituire alle mani del popolo la responsabilità diretta della sua impresa, in ogni campo sociale si fosse trovata a manifestarsi... I fascisti del dopoguerra hanno, in non so quanto buona ma sicuramente in larga parte, disatteso la missione che gli fu assegnata. Senza, tuttavia, dimenticarla del tutto... Vedo, ai giorni che sono i suoi e, ahimè, non più i miei, dei sussulti che vanno nella direzione giusta... Vedo dei soprassalti di coscienza e di memoria... Le idee che valgono non muoiono... Respirano piano, ma respirano... Covano, semmai, sotto la cenere... Basterà una ventata più forte e il fuoco riprenderà ad ardere... O prima o poi, il capitalismo imploderà, per legge - oso dire - naturale... Così come, per deficienza interna, è crollato il comunismo... E l’uomo cercherà in altri sistemi di vita comunitaria la soddisfazione del proprio innato senso di giustizia sociale...- Nella socializzazione...- Nella socializzazione...
 
Di Miro Renzaglia
                                                                                                                                                    

sabato 29 novembre 2014

FILIPPO GIANNINI EDIZIONI

Filippo Giannini


Filippo Giannini è nato a Roma.
Architetto, ha lavorato oltre che in Italia, in Libia e in Australia.
E’ collaboratore di numerosi quotidiani e periodici.

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Bibliografia

versailles
marciaroma
sangueoro
Da Versailles al 10 giugno 1940
Dalla marcia su Roma all’assalto al latifondo
Il sangue e l’oro



loretocolor
Gli-ebrei-nel-ventennio-fas
mussolini_italia_miracoli
Dal 25 luglio a piazzale Loreto
Gli ebrei nel ventennio fascista
Nell’Italia dei miracoli
Le guerre di Mussolini sito
storia_nascosta_verita_fascismo2.jpg
Giannini-Grande-diavolo2-mini.jpg
Le “guerre di Mussolini”?
Storia nascosta e verità sul fascismo
Uccidete il “Grande Diavolo”













  • Benito Mussolini l’uomo della pace – Da Versailles al 10 giugno 1940 (recensione).
  • Benito Mussolini l’uomo della pace – Dalla marcia su Roma all’assalto al latifondo (recensione).
  • Benito Mussolini l’uomo della pace – Il sangue e l’oro (recensione).
  • Benito Mussolini l’uomo della pace – Dal 25 luglio a piazzale Loreto (recensione).
  • Benito Mussolini l’uomo della pace – Uno schermo protettore, Mussolini, il fascismo e gli ebrei (recensione).
  • Gli ebrei nel ventennio fascista (recensione).
  • Benito Mussolini nell’Italia dei miracoli (recensione)(acquista).
  • Le “guerre di Mussolini”? (acquista).
  • Storia nascosta e verità sul fascismo (acquista).
  • Uccidete il “Grande Diavolo” (acquista).

Scritti personali

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martedì 25 novembre 2014

Il crollo di una costruzione immaginaria



Il crollo
di una costruzione immaginaria
di Ida Magli | 20.11.2014

  I governanti non guardano mai in faccia i risultati delle loro azioni se non quando, perduta una guerra, sono costretti dai vincitori a pagare i danni della sconfitta. Di fronte all’enorme catastrofe causata dall’unificazione europea e dalla moneta unica, non essendoci vincitori che li costringano a riconoscere quanto fosse sbagliato il loro progetto, continuano a fingere che l’ “Europa” esista, piagnucolano (come ha fatto ultimamente anche il ministro Padoan) davanti ai proprietari della Banca centrale europea, ossia davanti a coloro cui hanno regalato la nostra sovranità e indipendenza, affinché abbiano pietà di noi e non ci mandino qualche lettera di reprimenda insieme alle dovute multe. Ebbene, cosa aspettano governanti e cittadini a riconoscere come tutto ciò sia assurdo? Che la terribile crisi economica, la tragica disoccupazione, la perdita di speranza per il futuro, la rinuncia a fare figli, l’invasione immigratoria che ci devasta, sono tutti risultati di quel progetto irreale chiamato “Unificazione Europea”? La moneta unica, con la delega a dei cittadini privati quali i proprietari della Banca Centrale a creare il denaro prodotto dal nostro lavoro, ha soltanto innescato la bomba che ha fatto esplodere la crisi, ma si trattava comunque di una crisi inevitabile, quella di una costruzione politica immaginaria: l’UE. Costruzione immaginaria che porta su di sé l’impronta di coloro che lavorano abitualmente sempre così, ossia con affermazioni prive di realtà: i Massoni. Appartengono infatti ai più alti gradi della Massoneria tutte le monarchie esistenti in Europa, da quella britannica a quella belga, olandese, danese, svedese, spagnola che partecipano all’Ue e sono anche proprietarie della Banca centrale europea incassandone montagne di denaro; appartengono alla Massoneria pure i grandi e meno grandi esponenti della finanza che partecipano alle Banche centrali, compresa quella europea: dai Rothschild ai Rockfeller ai Draghi, ai Ciampi, ai Prodi, ovviamente incassandone anch’essi montagne di denaro.
L’abitudine a esporre le proprie idee come se fossero realtà è una caratteristica del tutto particolare in cui vedremmo facilmente il pericolo del delirio se ne fosse portatore un singolo individuo. Dato che invece appartiene ad una associazione di grandissimo prestigio come la Massoneria, nessuno si ferma a riflettervi, tanto meno a metterla in luce. Sarà sufficiente, per averne un esempio lampante, leggere l’articolo 1 della Carta dei Diritti Umani (per la prima volta comparsa nel 1789): “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti”. Quale affermazione più errata di questa? Gli uomini nascono poveri o ricchi, liberi o schiavi, servi o padroni, puri o impuri, a seconda del sesso, del regime sociale, della religione, della cultura, della casta, della classe, del tempo e del luogo cui appartengono. L’articolo 1, quindi, espone forse un’aspirazione, un ideale da realizzare, non una realtà, e infatti la Massoneria ha lavorato e lavora con tutte le sue forze a questo scopo, spesso dirigendo e forzando gli avvenimenti sociali e politici nella direzione voluta. Tuttavia la Carta dei Diritti Umani è passata indenne, senza che nessuno ne facesse notare gli errori, fino ai nostri giorni tanto che è stata allegata al Trattato di Lisbona con l’affermazione che l’Unione Europea ne ha fatto propri i principi. Peccato che il Trattato di Lisbona abbia certificato la non esistenza di quella Unione europea tanto ben ideata dai Massoni con le stesse caratteristiche illusorie della loro forma mentis. Un particolare di questi giorni ne testimonia come meglio non si potrebbe l’illusorietà. All’importante riunione convocata a Vienna per discutere del nucleare iracheno, partecipano i cosiddetti Cinque più Uno, ossia Usa, Russia, Cina, Inghilterra, Francia, più la Germania. Ma Inghilterra, Francia, Germania non appartengono forse all’Ue? Sembrerebbe proprio di no. A presiedere il convegno è stata chiamata Lady Ashton quale alto rappresentante dell’Ue al posto della Mogherini giudicata da tutti un’incapace, ma anche perché persona di fiducia dell’Inghilterra e di conseguenza di tutti gli altri paesi.
Sarà lecito aggiungere che noi, cittadini italiani, ci vergogniamo della miserrima conduzione dello Stato italiano, ci vergogniamo di essere governati da persone prive di qualsiasi titolo e competenza nei campi loro affidati.

Ida Magli
20 novembre 2014

                                                                                                                                                                                         

lunedì 24 novembre 2014

QUANT'E' BUONA L'ARANCIA MAROCCHINA!!

 
L'UEismo a Bruxelles ha dato via libera,una decina di giorni fa,all'accordo bilaterale con il Marocco che abbatte i dazi doganali permettendo agli agrumi ed ai prodotti agricoli marocchini di invadere il mercato comunitario e,per prima,proprio la Sicilia.
Certo,la Germania ed i ricchi paesi del Nord Europa mica producono arance,pomodorini,limoni ed affini. Hanno scambiato il tutto con le agevolazioni concesse alle loro esportazioni di produzione industriale.
Fatto sta che,a sostenere l'accordo,hanno massicciamente contribuito gli europarlamentari del Pd e numerosi "ascari" di altri partiti.
Come gruppo si è opposto,compatto, quello della Lega. In altri tempi sarebbe stata una notizia oggi,con Salvini che cerca voti al Sud,è segnale di attenzione ai problemi della agricoltura siciliana e meridionale.
Anche il Pdl,in complesso,si è dichiarato contrario come altri eurodeputati sparsi.
Assenti al voto Sonia Alfano e Rita Borsellino. La fonte di quanto sopra non è  "politica" ma di "categoria" : Confagricoltura di Siracusa.
Che posso aggiungere io che non sono agricoltore ma siciliano si ? Vergogna,ulteriore vergogna....principalmente per il governo che,a chiacchiere,doveva fare la voce grossa per tutelare le "eccellenze" agricole italiane e meridionali in primis. Poi per quei partiti e singoli deputati che ritengono questo il mezzo migliore per difendere gli agricoltori italiani dalla svendita UEista ai marocchini degli interessi nazionali. Infine,e non ultimo,il comportamento della deputazione siciliana. Chi non c'era non sapeva,chi ha votato a favore è complice e quelli contrari non hanno pubblicizzato la cosa fuori dall'aula. Tutti a tavola......

Grazie per l'attenzione
Vincenzo Mannello

                                                       BOICOTTA MAROCCO!!!
                                                                                                                                                                                     
FAVOREVOLI ALL’ACCORDO UE-MAROCCO
Partito Democratico: SALVATORE CARONNA, LEONARDO DOMENICI, ROBERTO GUALTIERI, ANTONIO PANZERI, GIANNI PITTELA, DEBORA SERRACCHIANI, DAVID SASSOLI, FRANCESCA BALZANI, LUIGI BERLINGUER, SERGIO COFFERATI, VITTORIO PRODI, SILVIA COSTA, GIANLUCA SUSTA, PATRIZIA TOIA, FRANCESCO DE ANGELIS, GUIDO MILANA.
FLI: SALVATORE TATARELLA, CRISTIANA MUSCARDINI.
UDC : TIZIANO MOTTI, VITO BONSIGNORE (ora PdL).
PdL: GABRIELE ALBERTINI, ANTONIO CANCIAN.
SVP: HERBERT DORFMANN.
CONTRARI:
PdL: Roberta Angelilli, Carlo Fidanza, Mario Mauro, Erminia Mazzoni, Lia Sartori, Marco Scurria, Raffaele Baldassarre, Paolo Bartolozzi, Sergio Berlato, Elisabetta Gardini, Salvatore Iacolino, Giovanni La Via, Barbara Matera, Alfredo Pallone, Enzo Rivellini, Sergio Silvestris, Iva Zanicchi. Area Centrista Antonello Antinoro (PID, eletto nell’UdC) Clemente Mastella (Popolari per il Sud, eletto nel PdL) Gino Trematerra (UdC)
PD: Pino Arlacchi, Rosario Crocetta, Mario Pirillo (corretto al termine delle votazioni, prima favorevole) Lega Nord: Francesco Speroni, Mara Bizzotto, Mario Borghezio, Lorenzo
Fontana, Claudio Morganti, Fiorello Provera, Oreste Rossi, Giancarlo Scottà,
IDV: Vincenzo Iovine (ApI, eletto nell’IdV), Giommaria Uggias,
Gianni Vattimo (IdV, indipendente), Andrea Zanoni ASTENUTI PdL: Licia Ronzulli, Laura Comi PD: Paolo De Castro (favorevole alla prima dichiarazione di voto,
corretto poi in astenuto)
ASSENTI
UDC: Carlo Casini, Ciriaco De Mita, Giuseppe Gargani (UdC, eletto nel
PdL), Magdi Cristiano Allam (Io amo l’Italia, eletto nell’UdC) PdL: Alfredo Antoniozzi, Aldo Patriciello, Fli: Potito Salatto (FLI, eletto nel PdL) PD: Rita Borsellino, Andrea Cozzolino Lega Nord: Matteo Salvini IDV: Sonia Alfano, Niccolò Rinaldi (assente in aula alla votazione, sebbene presente alle altre della giornata)

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FAVOREVOLI ALL’ACCORDO UE-MAROCCO
Partito Democratico: SALVATORE CARONNA, LEONARDO DOMENICI, ROBERTO GUALTIERI, ANTONIO PANZERI, GIANNI PITTELA, DEBORA SERRACCHIANI, DAVID SASSOLI, FRANCESCA BALZANI, LUIGI BERLINGUER, SERGIO COFFERATI, VITTORIO PRODI, SILVIA COSTA, GIANLUCA SUSTA, PATRIZIA TOIA, FRANCESCO DE ANGELIS, GUIDO MILANA.
FLI: SALVATORE TATARELLA, CRISTIANA MUSCARDINI.
UDC : TIZIANO MOTTI, VITO BONSIGNORE (ora PdL).
PdL: GABRIELE ALBERTINI, ANTONIO CANCIAN.
SVP: HERBERT DORFMANN.
CONTRARI:
PdL: Roberta Angelilli, Carlo Fidanza, Mario Mauro, Erminia Mazzoni, Lia Sartori, Marco Scurria, Raffaele Baldassarre, Paolo Bartolozzi, Sergio Berlato, Elisabetta Gardini, Salvatore Iacolino, Giovanni La Via, Barbara Matera, Alfredo Pallone, Enzo Rivellini, Sergio Silvestris, Iva Zanicchi. Area Centrista Antonello Antinoro (PID, eletto nell’UdC) Clemente Mastella (Popolari per il Sud, eletto nel PdL) Gino Trematerra (UdC)
PD: Pino Arlacchi, Rosario Crocetta, Mario Pirillo (corretto al termine delle votazioni, prima favorevole) Lega Nord: Francesco Speroni, Mara Bizzotto, Mario Borghezio, Lorenzo
Fontana, Claudio Morganti, Fiorello Provera, Oreste Rossi, Giancarlo Scottà,
IDV: Vincenzo Iovine (ApI, eletto nell’IdV), Giommaria Uggias,
Gianni Vattimo (IdV, indipendente), Andrea Zanoni ASTENUTI PdL: Licia Ronzulli, Laura Comi PD: Paolo De Castro (favorevole alla prima dichiarazione di voto,
corretto poi in astenuto)
ASSENTI
UDC: Carlo Casini, Ciriaco De Mita, Giuseppe Gargani (UdC, eletto nel
PdL), Magdi Cristiano Allam (Io amo l’Italia, eletto nell’UdC) PdL: Alfredo Antoniozzi, Aldo Patriciello, Fli: Potito Salatto (FLI, eletto nel PdL) PD: Rita Borsellino, Andrea Cozzolino Lega Nord: Matteo Salvini IDV: Sonia Alfano, Niccolò Rinaldi (assente in aula alla votazione, sebbene presente alle altre della giornata)

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