Italia Sociale
Giovani europei disoccupati
di Marco Cottignoli
di Marco Cottignoli
Secondo recenti
stime i disoccupati in Italia sono circa 3.000.000 di cui il 17% sono
giovani fra i 15 e i 24 anni. La percentuale non è superiore a quella
degli altri paesi europei ma fra i giovani disoccupati dai 25 ai 29
anni, in Italia, il 29% sono laureati. Anche da tale situazione emergono
le figure dei “nuovi poveri” che rappresentano, secondo un rapporto
Eurispes, il 22%degli italiani; spesso con lavori precari a tempo
determinato, atipici e discontinui, deprivati di qualsiasi tutela
sociale – malattia, maternità- impossibilitati ad accedere a
finanziamenti per l’acquisto di beni, con discontinuità di reddito e dei
versamenti pensionistici. della cosiddetta
"povertà oscillante", cioè una condizione di difficoltà momentanea,
caratterizzata da una certa variabilità della condizione economica
dell’individuo, è l’espressione di una precarietà sempre più diffusa ora
anche presso il ceto di livello medio. Sebbene con alcune differenze,
il problema del lavoro e del reddito riguarda e preoccupa milioni di
giovani europei sempre più costretti ad accettare contratti di lavoro a
tempo determinato. Non è certo una novità che il lavoro atipico
significhi non solamente una marcata discontinuità dell'occupazione, un
abbassamento degli stipendi, del reddito e dei versamenti pensionistici
ma anche seria difficoltà a costruirsi un futuro. Questo contesto si
riflette, inevitabilmente, sul modo di vita dei giovani europei, che
hanno serie difficoltà a lasciare la casa dei genitori, ad acquistare
una casa, a crearsi una nuova famiglia. Non ci si deve meravigliare che
gli indici demografici del vecchio continente siamo
così bassi! Ed aspettiamoci una lunga serie di conseguenze che
pagheremo nel corso delle prossime generazioni, assieme ad una sempre
più massiccia presenza extracomunitaria attratta dalla compressione del
cosiddetto costo del lavoro e dalle deregolamentazioni contrattuali. I
problemi che la nostra nuova generazione affronta in Italia sono noti
anche nel resto delle economie europee. E’ un fenomeno strutturale, non
congiunturale. Chi trova lavoro spesso non ha nessuna garanzia e spesso
si vede preferire qualcuno più giovane e ad inizio carriera perchè
accetta anche compensi bassi e magari vive ancora in famiglia. La verità
è che il posto proprio “fisso” non esiste più e che se fino ad una
certa età riciclarsi può essere relativamente facile con il passare
degli anni tutto diventa sempre più difficile. Chi, fra i nostri stimati
politici, ci racconta che la flessibilità lavorativa è uno strumento di
arricchimento continuo e di stimolo personale non ha sicuramente
problemi di soldi o, meglio, di mera sopravvivenza mensile. La
precarietà del lavoro è ormai una costante del nuovo sistema produttivo
globalizzato ma le rassicurazioni di chi sosteneva che la flessibilità
sarebbe stata necessaria per aumentare l'occupazione e per garantire un
primo accesso dei giovani al mondo del lavoro, si sgretolano di fronte
all'evidenza delle cifre. Le ultime ad essere diffuse sono quelle del
Rapporto Italia 2005 dell'Eurispes, che evidenzia come oltre il 67% dei
contratti atipici nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni, vanno avanti
da almeno 5 anni senza portare necessariamente ad un'assunzione a tempo
indeterminato, ma anzi determinando uno stato di insicurezza tale da
aver portato la genitorialità al 6,5%, con un misero 3,4% di giovani
atipici che hanno un figlio e un 3,1% che ne ha più di uno. E come se
non bastasse, oltre il 50% guadagnano, pur in presenza di titoli di
studio elevati, una cifra compresa tra i 400 e gli 800 euro. L’allarme
giunge pure dall’International Labour Office che annuncia che la crisi del lavoro ha raggiunto di proporzioni gigantesche e che nella Ue a 25 crescono i disoccupati. I nuovi dati del rapporto Global Employments Trends 2006
riferiscono che la disoccupazione nel mondo cresce e colpisce
soprattutto i giovani: quasi la metà dei disoccupati ha tra i 15 e i 24
anni e la probabilità che rimangano senza lavoro è tre volte superiore a
quella degli adulti, Europa compresa. Il fatto “ filosofico “,
essenziale della questione è il concetto di flessibilità, termine
edulcorato e sminuito nei suoi tratti negativi, ormai diventato
categorico per il mercato concorrenziale globale ma anche sinonimo di
ormai quasi unica possibilità lavorativa. L’adattamento repentino ai
mutamenti del mercato, la versatilità continua, la mancanza di impegno
contrattuale non portano né ricchezza né benessere; stiamo andando,
invece, verso una società sempre più povera, insicura e senza forza di
investire nel futuro; sfiducia, indifferenza, distruzione delle
relazioni interpersonali e paura. Ecco il nostro domani.
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