mercoledì 28 febbraio 2018

GIOVANI EUROPEI DISOCCUPATI

Italia Sociale

Giovani europei disoccupati
di Marco Cottignoli
Secondo recenti stime i disoccupati in Italia sono circa 3.000.000 di cui il 17% sono giovani fra i 15 e i 24 anni. La percentuale non è superiore a quella degli altri paesi europei ma fra i giovani disoccupati dai 25 ai 29 anni, in Italia, il 29% sono laureati. Anche da tale situazione emergono le figure dei “nuovi poveri” che rappresentano, secondo un rapporto Eurispes, il 22%degli italiani; spesso con lavori precari a tempo determinato, atipici e discontinui, deprivati di qualsiasi tutela sociale – malattia, maternità- impossibilitati ad accedere a finanziamenti per l’acquisto di beni, con discontinuità di reddito e dei versamenti pensionistici. della cosiddetta "povertà oscillante", cioè una condizione di difficoltà momentanea, caratterizzata da una certa variabilità della condizione economica dell’individuo, è l’espressione di una precarietà sempre più diffusa ora anche presso il ceto di livello medio. Sebbene con alcune differenze, il problema del lavoro e del reddito riguarda e preoccupa milioni di giovani europei sempre più costretti ad accettare contratti di lavoro a tempo determinato. Non è certo una novità che il lavoro atipico significhi non solamente una marcata discontinuità dell'occupazione, un abbassamento degli stipendi, del reddito e dei versamenti pensionistici ma anche seria difficoltà a costruirsi un futuro. Questo contesto si riflette, inevitabilmente, sul modo di vita dei giovani europei, che hanno serie difficoltà a lasciare la casa dei genitori, ad acquistare una casa, a crearsi una nuova famiglia. Non ci si deve meravigliare che gli indici demografici del vecchio continente siamo così bassi! Ed aspettiamoci una lunga serie di conseguenze che pagheremo nel corso delle prossime generazioni, assieme ad una sempre più massiccia presenza extracomunitaria attratta dalla compressione del cosiddetto costo del lavoro e dalle deregolamentazioni contrattuali. I problemi che la nostra nuova generazione affronta in Italia sono noti anche nel resto delle economie europee. E’ un fenomeno strutturale, non congiunturale. Chi trova lavoro spesso non ha nessuna garanzia e spesso si vede preferire qualcuno più giovane e ad inizio carriera perchè accetta anche compensi bassi e magari vive ancora in famiglia. La verità è che il posto proprio “fisso” non esiste più e che se fino ad una certa età riciclarsi può essere relativamente facile con il passare degli anni tutto diventa sempre più difficile. Chi, fra i nostri stimati politici, ci racconta che la flessibilità lavorativa è uno strumento di arricchimento continuo e di stimolo personale non ha sicuramente problemi di soldi o, meglio, di mera sopravvivenza mensile. La precarietà del lavoro è ormai una costante del nuovo sistema produttivo globalizzato ma le rassicurazioni di chi sosteneva che la flessibilità sarebbe stata necessaria per aumentare l'occupazione e per garantire un primo accesso dei giovani al mondo del lavoro, si sgretolano di fronte all'evidenza delle cifre. Le ultime ad essere diffuse sono quelle del Rapporto Italia 2005 dell'Eurispes, che evidenzia come oltre il 67% dei contratti atipici nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni, vanno avanti da almeno 5 anni senza portare necessariamente ad un'assunzione a tempo indeterminato, ma anzi determinando uno stato di insicurezza tale da aver portato la genitorialità al 6,5%, con un misero 3,4% di giovani atipici che hanno un figlio e un 3,1% che ne ha più di uno. E come se non bastasse, oltre il 50% guadagnano, pur in presenza di titoli di studio elevati, una cifra compresa tra i 400 e gli 800 euro. L’allarme giunge pure dall’International Labour Office che annuncia che la crisi del lavoro ha raggiunto di proporzioni gigantesche e che nella Ue a 25 crescono i disoccupati. I nuovi dati del rapporto Global Employments Trends 2006 riferiscono che la disoccupazione nel mondo cresce e colpisce soprattutto i giovani: quasi la metà dei disoccupati ha tra i 15 e i 24 anni e la probabilità che rimangano senza lavoro è tre volte superiore a quella degli adulti, Europa compresa. Il fatto “ filosofico “, essenziale della questione è il concetto di flessibilità, termine edulcorato e sminuito nei suoi tratti negativi, ormai diventato categorico per il mercato concorrenziale globale ma anche sinonimo di ormai quasi unica possibilità lavorativa. L’adattamento repentino ai mutamenti del mercato, la versatilità continua, la mancanza di impegno contrattuale non portano né ricchezza né benessere; stiamo andando, invece, verso una società sempre più povera, insicura e senza forza di investire nel futuro; sfiducia, indifferenza, distruzione delle relazioni interpersonali e paura. Ecco il nostro domani.


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