martedì 22 dicembre 2020

SPAGNA -- LA DIFESA DELL’ALCAZAR

 

LA DIFESA DELL’ALCAZAR   

SPAGNA: BREVI APPUNTI DI UN VIAGGIO

(di Filippo Giannini)

…….. ero in Spagna con mia moglie per un viaggio programmato da anni. Prima osservazione: cari lettori, questo Paese ci sta superando in tutto: disciplina del traffico, pulizia e ordine nelle strade; pensate, ci sono una miriade di bagni pubblici pulitissimi, muniti di carta igienica, sapone, ecc. Recepito il messaggio…? Ma non è di questo che voglio parlarvi, ma di un evento che ha richiamato alla mia memoria un fatto storico che oggi (è ovvio) è stato cancellato: l’assedio dell’ Alcazar. Sono convinto che poche persone sanno di cosa sto scrivendo, ma è una storia che merita di essere ricordata.
Nel nostro percorso passammo per Toledo e in questa città ci imbattemmo nel poderoso Alcazar, una vecchia fortificazione posta nella parte più alta della bella cittadina di notevole stile medioevale. Qui negli anni ’30 era stata istituita una Scuola d’Applicazione d’Arma per i cadetti della Fanteria, della Cavalleria e dei Servizi d’Intendenza. Nel 1936, anno della rivolta franchista, la Scuola contava circa trecento allievi.
Rammentando la storia della piazzaforte e del suo eroico difensore, cominciai a cercare, fra i numerosissimi negozietti di souvenir che costellano Toledo, una traccia, un qualcosa che ricordasse quei fatti. Nulla! “Quei fatti non erano mai avvenuti”. Per la verità, vivendo in Italia, risulto vaccinato a queste dimenticanze.
Nel 1936 gli allievi erano in vacanza, come pure era in ferie il direttore della Scuola, il colonnello Moscardò. Appena si cominciarono ad udire gli echi della rivolta, Moscardò e un certo numero di allievi fecero ritorno nell’Alcazar e tutti aderirono alla rivolta nazionalista.   



La prima operazione che Moscardò intese mettere in atto fu quella di consegnare la scuola e i suoi allievi nelle mani dei nazionalisti. Ma la cosa si presentò più complicata di quanto ritenesse, perché, se è vero che la maggioranza della cittadinanza simpatizzava per Francisco Franco, la vittoria del Fronte Popolare alle elezioni legislative aveva reso ancora più forti i sindacati e i partiti della sinistra.
Moscardò disponeva di una forza non notevole: 150 ufficiali, 8 cadetti, 160 soldati, 60 falangisti e 600 guardie civili. L’Alcazar li accolse tutti, ma dovette aprire le porte anche a cinque suore della Carità, a una cinquantina di bambini, ad un centinaio di vecchi e a cinquecento donne, per lo più mogli di militari e delle Guardie Civili.
Arrivarono, nel frattempo, ordini dal Governo repubblicano di Madrid: ordini che il colonnello Moscardò non intendeva eseguire. Prevedendo il peggio, il 21 luglio proclamò lo stato d’assedio a Toledo e in tutta la provincia. Ciò scatenò violenti combattimenti e, a seguito di questi, altre duemila persone chiesero e ottennero rifugio nell’interno dell’Alcazar, rendendo ancor più grave la già critica situazione, specialmente dal punto di vista igienico e alimentare.
Madrid inviò il generale Riquelme con un forte contingente di militari e miliziani. Riquelme contattò per telefono Moscardò, chiedendogli i motivi della sua ostinata resistenza. rispose Moscardò .
Questo dette inizio ad un assedio implacabile, cui fece seguito un episodio atroce. Uno dei miliziani toledani, Corbello, decise di ricorrere ad un ignobile ricatto. Alle dieci del mattino del 23 luglio per telefono intimò a Moscardò: .
Ed ecco al microfono una seconda voce che disse semplicemente: <Papà…>.


.
<Nulla, dicono che mi fucileranno se l’Alcazar non cesserà qualsiasi resistenza…>.
Dall’altra parte un momento di silenzio… Poi con voce forte Moscardò disse: .
<Allora?>: era la voce di Coballo che impazientemente aveva riafferrato la cornetta.
rispose Moscardò <l’Alcazar non si arrenderà mai!>.
E Luis Moscardò, di diciassette anni, venne fucilato. Come fu fucilato suo fratello catturato con le armi in pugno a Barcellona.
Il Governo di Madrid era preoccupato per questa accanita resistenza che poteva minare la sua credibilità. A Toledo regnava la calma ma apparente, solo perché i due contendenti si stavano preparando alla battaglia decisiva. Da parte repubblicana erano almeno in 10.000 ad assediare la fortezza. Le possibilità di resistenza per Moscardò erano limitate. I repubblicani controllavano tutte le vie di accesso e avevano avvelenato i pozzi posti nei pressi della fortezza, anche se le cisterne risultavano ancora intatte. La razione del pane non superava i 180 grammi a testa al giorno; tutti i cavalli e i muli furono macellati.
La sera del 22 agosto un aereo nazionalista sorvolò l’Alcazar e lanciò alcuni viveri, ma la maggior parte cadde nel campo degli assedianti.
Il 23 giunse un messaggio indirizzato a Moscardò: .
I “piccoli aiuti”, in realtà, risultarono una esigua quantità di derrate alimentari paracadutate sulla fortezza da aerei nazionalisti.
La situazione nell’interno dell’Alcazar diventava sempre più grave: i feriti venivano curati da svegli per mancanza di anestetici. Anche il numero dei morti divenne preoccupante perché lo spazio non bastava più per seppellirli. L’acqua fu drasticamente razionata
L’8 settembre il comando repubblicano inviò un parlamentate a trattare con Moscardò, proponendo nuove condizioni di resa: vita salva per le donne, per i bambini, per i vecchi, per i malati, per i feriti, per i soldati e per le guardie. Gli assediati dovranno uscire in gruppi di cinque, gli ufficiali saranno deferiti ai tribunali del popolo e giudicati secondo la loro partecipazione al movimento insurrezionale. La risposta di Moscardò fu immediata. . Il parlamentare, dopo aver augurato buona fortuna agli assediati, prima di allontanarsi chiese se avessero bisogno di qualcosa. <Sì, di un sacerdote>, fu la risposta di Moscardò. L’11 settembre il sacerdote repubblicano Vàsquez Camarasa entrò nella fortezza. Ci fu una tale ressa per confessarsi, che il sacerdote fu costretto a impartire l’assoluzione collettiva. Terminato l’ufficio canonico, il sacerdote chiese a Moscardò di lasciare uscire le donne e i bambini. . Venne avanti una donna che parlò per tutti: . Il prete dopo aver ascoltato tornò fra i suoi; ma prima di lasciare l’Alcazar impartì l’ultima benedizione. Poi i combattimenti ripresero con più accanimento di prima.
Gli occhi del mondo intero erano fissati su quanto stava accadendo a Toledo, quindi per i repubblicani farla finita con i difensori dell’Alcazar era una questione più politica che militare. Dalle miniere delle Asturie arrivarono alcuni esperti artificieri per collocare cariche di dinamite nelle fondazioni della fortezza. I lavori continuarono per giorni e notti I martelli pneumatici trivellavano sotto i muri perimetrali del forte. Una sortita dei difensori per impedire i lavori fu respinta.
Il 18 settembre una formidabile esplosione mandò in frantumi tutti i vetri della città; la facciata ovest e una delle torri d’angolo dell’Alcazar crollarono in pezzi. Soldati e miliziani balzarono all’assalto invadendo i corridoi, agitando le bandiere rosse. Ma dalle rovine dei sotterranei, coperti di polvere sbucarono i nazionalisti. Per tre ore si svolsero violenti corpo a corpo; finalmente i difensori, con il coraggio della disperazione, riuscirono ad aver ragione degli assalitori.
I repubblicani, dopo una violenta preparazione d’artiglieria, il 23 successivo ritentarono un nuovo assalto. Vennero di nuovo respinti.
Intanto l’esercito di Franco, vittorioso nella maggior parte dello scacchiere della penisola, poté puntare alla conquista di Madrid. Il socialista Pietro Nenni, giunto anch’egli con le Brigate Internazionali a Toledo, osservò: .
Il 22 settembre Franco decise di liberare gli assediati della fortezza. Il generale Kindelàn lo avvertì: .
ribatté Franco . Quindi dette l’ordine al generale Varela di puntare con due colonne, sull’Alcazar. Il giorno 26 Varela tagliò la strada ai combattenti repubblicani i quali non ebbero altra soluzione che la fuga.
La conquista della città terminò con un ennesimo massacro, caratteristica di ogni guerra civile.
Varela arrivò a Toledo il 26. Moscardò, esausto per la fatica, si mise sull’attenti e fece il suo rapporto: . Tre giorni dopo sarà promosso generale. L’assedio era durato settantun giorni.
In Italia, come in ogni altra parte del mondo, quella dell’Alcazar fu considerata una epopea e un bel film ne siglò la vicenda.
Prima di concludere è doveroso ricordare che il colonnello Pinella, comandante della caserma Simancas, prima di cadere in combattimento, dovette affrontare una prova simile a quella di Moscardò: due suoi figli erano stati passati per le armi quando rigettò l’intimazione di resa…..

                                                                                                          

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