Guerra in Europa
Francesco Fatica
RUSSIA, UCRAINA, USA
Dopo brevi cenni sulla storia degli ultimi anni dell’Ucraina nei rapporti con la Russia, si potranno meglio capire gli sviluppi della situazione attuale, che ci stanno portando alla guerra in Europa, impostaci dagli USA per tentare di superare l’impellente grave crisi del dollaro.
Uno dei padri della geopolitica, Harold Mackinder, sostiene che (Chi governa l’Europa orientale comanda la zona centrale) chi ha il controllo della zona centrale controlla l’Eurasia e chi controlla l’Eurasia controlla il mondo. Con la dissoluzione dell’URSS, gli Stati Uniti hanno fortemente ipotecato il comando della zona centrale. Per aspirare a conquistare e mantenere la supremazia mondiale, occorre passare al comando della massa eurasiatica. "La capacità degli Stati Uniti di esercitare un’effettiva supremazia mondiale, dipenderà dal modo in cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forza nell’Eurasia, scongiurando soprattutto l’emergere di una potenza predominante e antagonista in questa regione". (Zbignew Brzezinski: "La Grande Scacchiera", p.8, Longanesi 1998). Nell’effettuare un’analisi geopolitica sull’Eurasia si deve riflettere che il fenomeno geopolitico oggi più importante in assoluto è stato il ritorno della Russia a fattore di potenza in Europa. A produrlo è stata la somma algebrica del declino europeo, del raffreddamento americano verso il Vecchio Continente e della rinascita russa. Sul piano globale, la competizione/cooperazione è stata già multipolare (con Cina e Russia, ma anche Brasile, India e Giappone ad affiancare gli Stati Uniti, (leader da molti ritenuti oggi in affanno), ma senza un polo europeo. L’Unione Europea è troppo eterogenea ed eterodiretta per aspirarvi. Soprattutto, non è, né vuole diventare Stato. Influenti ideologi veterocontinentali ne fanno un vanto; sarebbe una forma di resistenza. Brzezinski è la mente occulta della politica estera di Obama. «È più facile ammazzare milioni di persone che controllarle». Così ragiona la fredda mente del ministro degli Esteri ombra di Barak Obama, dell’uomo che ha pianificato la crisi ucraina, facendola precipitare sul ciglio della guerra civile. Zbigniew Brzezinski è uno dei fondatori, insieme a David Rockefeller, della Commissione Trilaterale, è membro del Club Bilderberg e gran maestro della masssoneria. E’ lui che ha pianificato l’invasione sovietica dell’Afghanistan, facendo cadere il Cremlino in una trappola. E’ lui che ha costruito il sindacato polacco Solidarnosc, portandolo ad avere un ruolo essenziale nella caduta del Muro di Berlino. Dalla sua mente sono nati i miti di Osama Bin Laden e di Al Qaida. È proprio lui che ha ideato il complesso sistema economico politico, politico, militare che sta dietro le oltre venti rivoluzioni colorate che hanno sconvolto il pianeta negli ultimi quattordici anni. Noam Chomsky lo ha definito: «È il Signore del nuovo ordine mondiale»... Il quotidiano britannico “The Guardian” ha scritto: «Brzezinski sta facendo di tutto per impegnare la Russia e l’Europa in una guerra fredda che paralizzi le loro economie e la loro espansione. Secondo fonti interne al Dipartimento di Stato, il polacco non avrebbe alcun problema se la guerra si trasformasse da fredda in calda, se iniziassero a tuonare i cannoni. Per lui l’Ucraina non è che l’ennesimo teatro dove va in scena per affondare le ambizioni egemoniche di Mosca. Chi se ne frega se poi qualche migliaio (o di più) di ucraini ci rimetterà la pelle, o se l’Europa resterà senza gas, o se La Russia piomberà nel caos. Brzezinski considera «l’Eurasia il perno della politica e dell’economia mondiale». Vale a dire che, per dominare il pianeta, bisogna controllare il vasto territorio che va dalla catena himalayana all’Europa orientale, passando per il Medio Oriente e il Mar Nero. E taluni ricercatori notano che non è un caso che rivoluzioni, sommovimenti politici, guerre e terrorismo negli ultimi trentacinque anni siano da circoscrivere in quest’area: l’Eurasia di Brzezinski. E’ da notare che il politologo polacco si riferisce ad un potere superiore al Governo degli Stati Uniti. Per lui l’élite al potere risiede all’interno di esclusivi circoli politico-economici-militari; potrebbe essere un riferimento al Bildeberg o alla Trilateral, ma anche al livello superiore. Stephen Kinzer, uno dei maggiori esperti statunitensi di geopolitica, ha scritto: «Dal crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, gli Stati Uniti hanno instancabilmente perseguito una strategia di accerchiamento della Russia, proprio come hanno fatto con altri presunti “nemici” come Cina e Iran. Hanno portato nella Nato dodici Paesi dell’Europa centrale, tutti ex alleati di Mosca. Ora le forze militari degli Stati Uniti sono ai confini della Russia. La crisi ucraina è in parte il risultato di un calcolo che sta plasmando la politica statunitense nei confronti di Mosca dai tempi della guerra fredda.
La cosiddetta indipendenza dell’Ucraina, inglobata nell’Ue e nella Nato, priverebbe la Russia della sua posizione dominante sul Mar Nero - unico sbocco invernale per le comunicazioni marittime russe - dove Odessa costituiva un avamposto strategico per gli scambi con il Mediterraneo e il più vasto mondo. La perdita della sfera d’influenza sull’Ucraina avrebbe enormi conseguenze strategiche; è necessario infatti chiarire che l’Ucraina era e forse potrebbe essere ancora di fatto un satellite della Russia, essendo un tassello irrinunciabile per la difesa del territorio nell’ambito delle sfere di influenza.
Attualmente l’Ucraina appare come un paese allo sbando, preda delle
tentacolari Organizzazioni Non Governative (Ong) diramate da Washington
e dall’Ue, e infiltrate largamente nella popolazione, incistata così
negli strati disagiati per schierarli in una battaglia contro il
potere, quel potere che in ogni caso non si poteva definire regime, né
tanto meno dittatura, in quanto frutto di libere elezioni e rispettoso
delle istituzioni. Un potere che si è tentato di abbattere, riuscendovi
però solo con un colpo di stato anticostituzionale.
La guerra in corso non deve essere considerata come una guerra tra
l’Ucraina e la Russia, perchè in effetti è una guerra tra Stati Uniti e
Russia. C’è, si dice, addirittura, l’intento del Pentagono di «colpire
la Russia prima del collasso planetario del dollaro». In questa chiave
Carlo Tia inquadra i drammatici sviluppi che oppongono Mosca e
Washington in Ucraina.
«Gli scambi tra la Cina e la Russia sono ormai in yuan, fra la Cina e l’Iran in oro», scrive Tia su “Megachip”.
«La stessa Cina si sta liberando di circa 50 miliardi di dollari al
mese – trasformati in obbligazioni». Perfino George Soros sta
pesantemente speculando al ribasso a Wall Street; Zbigniew Brzezinski e
George Soros e altri registi delle Ong in Ucraina daranno direttive
coincidenti con il piano strategico, mentre si continua a monitorare la
situazione economica e non mancano allarmi. «Sono tutti segni di una
prossima depressione mondiale, da cui forse gli Stati Uniti potrebbero
uscire solo con una prolungata guerra in Europa».
In particolare poi, per valutare la situazione ucraina, si dovrebbe
tener conto anche che più della metà della popolazione è russofila,
addirittura russa o russofona, specie nelle regioni orientali di
Doneck, Dnipropetrovsk, Kharkov, che sono anche le più ricche e
industrializzate, così come nei territori costieri sul Mar Nero
(conquistati dall’Impero zarista nel XVIII secolo) vi è una
predominanza linguistica russa. Si rifletta comunque che le due lingue
sono molto simili e perfettamente comprensibili tra ucraini e russi e
viceversa e quindi convivono senza problemi nello stesso territorio.
Secondo l’ultimo censimento del 1989, i russi in Ucraina erano il
67,9% nella regione di Doneck, il 65,5% in quella di Lugan, il 50,1% in
quella di Kharkov, il 53,4% in quella di Zaporoz e il 67% tra gli
abitanti della Crimea.
I russi che abitano in Ucraina non si sentono una minoranza etnica e
tantomeno sono percepiti come tali dagli stessi ucraini, se si fa
eccezione per le regioni occidentali del paese, profondamente inquinate
da Ong, associazioni umanitarie, patriottiche e quant’altro possa
servire a influenzarle dagli USA..
Sondaggi condotti nel 1999, dimostrano che il 61% degli abitanti
dell’Ucraina avevano una percezione positiva della Russia, più di 1/3
di essi desidererebbe vivere con i russi in un unico Stato e la
maggioranza assoluta si è detta favorevole a frontiere con Mosca del
tutto trasparenti, vale a dire senza controlli doganali o richieste di
visto.
Senza l’Ucraina, la Russia non solo perde i prodotti agricoli delle
terre più fertili, ma anche i tradizionali sbocchi portuali di Odessa,
Mariupol e Ilicevsk.
E’ interessante ricordare che la Crimea (già parte
della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, venne ceduta
in comodato nel 1954 dall’ucraino Nikita Khrushchev all’Ucraina
sovietica) e dunque la Crimea è sempre rimasta sotto l’influenza
russa.
Dalle statistiche emerge che nel 1997 i paesi aderenti alla
Confederazione di Stati Indipendenti (CSI) hanno investito
nell’economia russa 55,6 miliardi di rubli, di essi 26,2 sono
dell’Ucraina (47,1% del volume complessivo) e malgrado una lieve
discesa nel 1998 (6,2 miliardi pari al 23,4% degli investimenti totali
operati dai paesi della CSI), ancora nel 1999 l’Ucraina riceveva dalla
Russia il 40% delle sue importazioni, mentre quest’ultima continuava a
sua volta ad essere il principale importatore della produzione di Kiev.
Prima con la firma di un accordo per la riunificazione delle reti
elettriche dei due paesi, Russia e Ucraina, poi garantendo l’acquisto
da parte della Lukoil (la maggiore compagnia petrolifera russa) di
quote della raffineria di Odessa, infine con la sottoscrizione di un
rilevante pacchetto di accordi intergovernativi fra i quali spicca
un’intesa per il transito del gas per un periodo di 15 anni.
Nel frattempo, però, Washington non è stata inerte nella zona, come
aveva promesso Bush nel 1990 per le “sfere d’influenza”. La lunga
preparazione americana della “rivoluzione arancione” nel quadro di una
non interrotta offensiva antirussa ha avute varie testimonianze, tra le
quali sono particolarmente pesanti quelle che chiamano in causa il
ruolo della Cia e di altre, più o meno spionistiche (Ong)
organizzazioni ipocritamente “benefiche” o “umanitarie” americane e
occidentali in Ucraina - dopo che hanno prodotto ingerenze in vari
stati - fino ai bombardamenti, in Serbia quando c’era troppa resistenza
– e ancora, pur senza arrivare a tanto, in Georgia, e altrove - (v.
E. Ramondino, Stanko Lazendic. “Otpor, arancione a stelle e strisce”,
“Il manifesto”, 30 dicembre 2004; J.-M. Cauvier), La preparazione
sotterranea della lotta alla Russia è continuata senza interruzione e
continua ancora. La tecnica è nota e si ripete con successo. Prima si
creano, agendo su quelle “fratture” presenti in ogni Stato, le
condizioni per una insurrezione perché avvengano incidenti e scontri
facendo attribuire dai media mainstream alle forze governative ogni
sorta di crimini e misfatti, spesso proprio quelli commessi dai
“ribelli”; poi scatta la condanna della “comunità internazionale” con
sanzioni e la richiesta di cambio di regime. Gli episodi di violenza si
moltiplicano, mentre nel Paese agiscono i membri delle solite corrosive
Ong e i “ribelli” godono dell’appoggio integrale dei media mainstream.
Tutto questo è possibile grazie al pressoché totale controllo di
media, di radio, di canali televisivi di siti internet e, in
definitiva, dell’opinione pubblica occidentale da parte dei centri di
potere, già una ventina d’anni fa, Zbigniew Brzezinski, il polacco,
ispiratore maledetto della Casa Bianca, indicò nell’Ucraina un
Paese fondamentale nei nuovi equilibri geostrategici; da sottrarre alla
Russia e portare nell’orbita della Nato e dell’America. Allora iniziò
una lotta accanita tra Washington e Mosca, una guerra sorda, combattuta
con armi non convenzionali, anche usando le “rivoluzioni pacifiste”.
Il metodo si ispira alle teorie dell’americano Gene Sharp e fu
applicato per la prima volta in Serbia nel 2000, in occasione di quelle
prepotenti ingerenze per provocare la caduta dell’allora presidente
Slobodan Milosevic. Si cominciò, come abbiamo descritto nello schema
generale, con le solite proteste di piazza, in apparenza con la pretesa
di spontaneità, in realtà pianificate dettagliatamente, guidate e
foraggiate dalle solite ipocrite Organizzazioni non governative, in un
crescendo di violenti scontri amplificati dai media internazionali e
appoggiati dalle istituzioni, e perfino dall’esercito, se necessario,
fino a provocare la caduta del “tiranno”. L’esperimento serbo
era piaciuto molto al Dipartimento di Stato che aveva deciso di
ripeterlo nel 2003 in Georgia (Rivoluzione delle Rose) e l’anno dopo in
Ucraina, quando, a Natale, il candidato progressista Viktor Juschenko
sconfisse Yanukovich, durante la Rivoluzione arancione.
Un primo capolavoro questo di ipocrisia, che finì per risvegliare
Putin; le indebite ingerenze di Washington nei vari paesi gli hanno
insegnato a prevenirle situando in campo un robusto e manesco «movimento giovanile», Naši
(I Nostri), deputato a prevenire che le piazze russe possano cadere in
mano a manifestanti prezzolati dal nemico. Il Cremlino, fu costretto
ad avviare, la “nuova guerra fredda” con gli Stati Uniti. I rapporti da
cordiali divennero glaciali. E i servizi russi pianificarono la
riconquista dell’Ucraina, usando, a loro volta strumenti non
convenzionali, quali il ricatto del gas, il sabotaggio dell’economia, i
conseguenti disagi sociali, le tecniche spin per demotivare e
indebolire i partiti della coalizione arancione. Ottenendo così nel
2010 che Yanukovich fu eletto presidente e l’Ucraina lasciò l’orbita
americana per tornare in quella russa.
Nei giorni nostri,la protesta è divenuta ancora più violenta per opera
anche di violenti guerriglieri estremisti organizzati. E’ infatti noto
ormai che ad assaltare i ministeri di Kiev non sono stati i pensionati
ucraini, bensì milizie paramilitari sedicenti neonaziste, ben
preparate militarmente, ben armate e molto ben pagate. I pacifisti
sono serviti da corollario, soprattutto mediatico, ma a rovesciare
Yanukovich sono stati guerriglieri fanatici e ultraviolenti. Inviata
speciale dal Dipartimento di Stato americano Victoria Nuland aveva
passato settimane a Kiev, sfacciatamente alimentando gli insorti e
regalando biscotti insieme a milioni di biglietti verdi di
contrabbando, incontrando i leader della rivoluzione, facendo piani e
tramando il colpo di stato.Ognuno dei mercenari che hanno combattuto
ha preso cinquecento dollari alla settimana, quelli più esperti fino a
mille e un comandante di plotone duemila dollari – ammise la
disinvolta Nuland - un ottimo guadagno per tanti disoccupati ucraini. Sono piovute sovvenzioni dall'America e dall'Europa (la Nuland ha calcolato che la spesa investita dagli americani per "costruire la democrazia" sia stata di cinque miliardi di dollari) che forse potevano bastare per chiamare in piazza la gente, ma gli USA avevano bisogno di uno strumento più potente per rimuovere dal governo un presidente democraticamente eletto.
Elementi preziosi per questo strumento erano stati allevati in Ucraina
occidentale: dai figli dei collaborazionisti dei tedeschi, e allattati
con l'odio verso i russi. Si deve ricordare ancora che nel dopoguerra,
con l’aiuto degli USA, fu combattuta una sanguinosa guerriglia contro
l’URSS, che durò fino al 1956. I figli di questi partigiani, educati
all’odio verso il comunismo, l’URSS e i Russi, sono diventati la punta
di diamante dei ribelli anti-governativi pro-USA in Ucraina, il
cosiddetto Right Sector della destra estrema, Si
dichiaravano pronti a combattere, a morire e soprattutto ad uccidere.
Questi sono facinorosi fanatici che non combattono solo per far entrare
il paese nella Ue, contro una permanenza nella lega russa, ma odiano
e sono pronti a combattere anche contro i russi dell'Ucraina e contro
tutta l'etnia ucraina di lingua russa.
E’ ormai chiaro, sostiene Carlo Tia, che secondo i piani dei
“registi” delle Ong operanti in Ucraina (persone come George Soros e
Zbigniew Brzezinski) è prevista una guerra civile fra gli ucraini
dell’ovest e i russofoni dell’est. Dietro la punta di diamante del
Right Sector- l'Estrema-Destra, con i suoi invasati combattenti
anti-comunisti e anti-russi, c’era una organizzazione più grande che
poteva contare sui neo-nazisti di Svoboda..
Pochissimi media occidentali – ha scritto Carlo Tia – hanno trasmesso
la registrazione trapelata del colloquio di Victoria Nuland,
incaricata Usa della cura dei rapporti diplomatici con l’Europa ed con
l’Eurasia, mentre conversava con l’ambasciatore statunitense in
Ucraina». La Nuland comandava la composizione del nuovo governo di
Kiev. I ribelli hanno preso il potere, hanno proibito la lingua russa e
hanno cominciato a saccheggiare Kiev e Lvov, ma ciò non importava ai
fini ultimi, voluti dai registi americani.
La “strategia della tensione” innescata a Kiev, darebbe agli Usa e
alla Nato «il pretesto di intervenire per “pacificare” l’Ucraina,
stabilirsi minacciosamente nel Mar Nero e proiettarsi sempre di più nel
Caucaso e verso il Mar Caspio, ricchissimo di risorse petrolifere e di
gas».
Il tempismo e la disciplina di queste milizie mercenarie sedicenti
neonaziste sono stati perfetti: infatti la sommossa ha raggiunto il suo
acme proprio durante i Giochi di Sochi, quando la Russia non poteva
permettersi di rovinare il ritorno di immagine delle Olimpiadi. Mentre
Kiev bruciava per la “Rivoluzione Brown”, il Cremlino era costretto a
tacere. Ma non solo; vedremo.
Organizzazione perfetta, abbiamo detto, magistrale, quella dei
terroristi della Rivoluzione Brown, la cui dirigenza occulta resta però
chiaramente intuibile, essendo estremamente difficile classificare
come spontanea un’operazione così complessa ed articolata e così ben
orchestrata anche nei tempi.
Però – ammainate le bandiere olimpiche – quell’aggressione ha
innescato una fulminea risposta del Cremlino; Obama forse non
immaginava che Putin potesse arrivare ad occupare la Crimea, ma
l’intelligence russa ha prevenuto in Crimea una ben organizzata replica
del colpo di stato a Kiev, già preparata con l’impiego della
sperimentata milizia semisegreta che si fa chiamare Assemblea Nazionale
Ucraina – Autodifesa del Popolo Ucraino (UNA-UNSO), una semiocculta
forza di attacco paramilitare, sedicente di estrema destra, legata alla
NATO, utilizzando l’Ucraina come base, secondo le dichiarazioni di William Engdahl. Questa forza di attacco di sedicenti nazi era già in combutta perfino con i tartari jihadisti di Crimea.
D’altra parte, vorremmo mettere in risalto che non è che il Cremlino
non si aspettasse, come può apparire, lo scoppio dell’offensiva dei
guerriglieri assoldati dalle Ong di Washington proprio durante i Giochi
di Sochi, e neppure, il colpo di Stato contro l’incapace Yanukovich,
colpo di Stato sia pure mascherato da una patina superficiale di
legalità da parte di Washington, comprando una maggioranza in
parlamento, anche minacciando e terrorizzando i parlamentari che
tentavano di resistere alle imposizioni di Washington . In effetti,
però, si trattò concretamente di un colpo di Stato in quanto una
semplice deliberazione della Verchovna Rada, la Camera bassa del
Parlamento ucraino, non avrebbe potuto e non potrebbe mai, secondo la
Costituzione, destituire un Presidente regolarmente eletto.
Putin, preso fra due fuochi, preferì reagire silenziosamente in
Crimea, realizzando così una più sicura base per la Flotta del Mar
Nero, una presenza ufficiale in un mare caldo, che non gela d’inverno, e
un valido supporto per la zona d’influenza russa.
Obama si è trovato spiazzato, perché l’Ucraina è troppo vicina alla
Russia e pertanto non converrebbe minacciare un intervento che poi non
potrebbe essere attuato. Le pessime figure fatte da Obama in Georgia e
pure in Siria, ovviamente non si potrebbero ripetere, e allora
Washington si è messa da parte, lasciando il campo per le proteste agli
alleati dell’Ue e orientandosi verso sanzioni di carattere economico.
L’opinione pubblica mondiale è rimasta ancora ubriacata dalla propaganda della stampa e delle televisioni mainstream,
però si rende via, via, sempre più chiaro alla riflessione di quelle
persone che riescono ad emanciparsi dalla pressione dei media, che il
confronto decisivo, in Ucraina (nella logica geopolitica) avviene tra
Stati Uniti e Russia; uno scenario, di cui si parla poco, ma che ora
gli avvenimenti ucraini impongono all’attenzione e preoccupazione
mondiale.
Noi europei, seppure, per caso, dovessimo parteggiare per i Russi, in
odio a Wall Street, saremmo, però, costretti, poi in concreto, a pagare
il peso delle sanzioni economiche che dovremmo imporre alla Russia,
rinunziando al suo gas e al suo petrolio. Facile prevedere che avremmo
anche notevoli difficoltà a fornirci di tanti idrocarburi necessari
alla nostra economia e ancora dovremmo subire i disagi del
prevedibilmente provocato aumento del prezzo del greggio e del più
oneroso costo dei trasporti a mezzo di petroliere e navi
gasiere. Pertanto sorgono dubbi sulla possibilità di un’effettiva
imposizione di sanzioni economiche alla Russia da parte dell’Ue.
Bisognerebbe tener conto che per il trasporto del gas dall’America
sarebbe necessario ancora costruire impianti di compressione del gasper
liquefarlo preventivamente al trasporto, e contemporaneamente sarebbe
necessaria la costruzione di mpianti di gassificazione del liquido
trasportato dalle navi.
E importante riflettere che l'aspetto più profondo, non capito da tutti, che anima la questione è quello delle "sfere d'influenza".
All'epoca del crollo dell'Unione Sovietica, nel dicembre 1990,
l'allora presidente Bush rassicurò la dirigenza russa che per gli Stati
Uniti l'Ucraina sarebbe restata nella "sfera d'influenza russa". Da
allora la Russia ha rispettato l'indipendenza ucraina, pur dominando
sempre più l'economia del paese. E'anche molto importante notare che le
forniture energetiche della Russia all'Europa passano principalmente
attraverso l'Ucraina: il 40% del gas e il 25% del petrolio. La
principale base della Marina militare russa nel Mar Nero si trova, come
tutti sanno, a Sebastopoli e, sempre sul territorio ucraino, si
trovano stazioni radar di importanza strategica.
Nell'ultimo decennio l'atteggiamento statunitense è andato cambiando.
L'elemento più evidente, emerso durante le elezioni del 2004 è stata
un'aperta presa di posizione di Colin Powell a favore di Victor
Yushenko durante le elezioni. Lo stesso ha fatto Zbigniew Brzezinski
per conto degli ambienti democratici USA. Al tempo stesso, però, il
presidente russo Putin ha dimostrativamente offerto il suo sostegno a
Victor Yanukovich.
Il contesto geopolitico dell'attuale crisi in Ucraina si deve
completare con le divisioni interne, che hanno una dimensione storica,
culturale e religiosa. Le regioni orientali e meridionali del paese
sono appartenute negli ultimi secoli all'Impero Russo. Le regioni
occidentali sono state originariamente dominate dall'impero
polacco-lituano e, dopo la spartizione della Polonia del 1772, sono
passate sotto l'impero austroungarico, rimanendo sotto la dominazione
austriaca fino al 1918. Queste regioni presero il nome di Galizia e
sono culturalmente orientate verso l'Europa centro-occidentale, una
tendenza rafforzata dalla locale chiesa ortodossa che riconosce il Papa
cattolico di Roma e non il Patriarca ortodosso di Mosca. Dal 1918 al
1939, la Galizia finì sotto la Polonia, prima di essere annessa
all'Unione Sovietica, accorpata alla Repubblica Sovietica dell'Ucraina
nel 1945. Negli anni del dopoguerra i nazionalisti dell'Ucraina
occidentale combatterono per oltre dieci anni, una dura e sanguinosa
guerra partigiana contro i sovietici; essendo sobillati, armati e
foraggiati dai servizi segreti americani, in parte attraverso la
"Organizzazione Gehlen", nata in Germania e passata al servizio della
Nato e della CIA. Questi precedenti sanguinosi hanno lasciato una
pesante scia di avversione verso i Russi e l’abitudine ad appoggiarsi
ai servizi americani.
A confermare che la Russia è risorta allo stato di baluardo nella
competizione di potenza eurasiatica, e dunque globale, (posto che le
competerebbe da un paio di secoli) dobbiamo constatare ancora una
volta, che dalla caduta del Muro, quando tutto sembrava perduto, la
Confederazione russa ha scoperto incredibilmente in sé stessa risorse
formidabili. La cui manifestazione ultima è il patriottismo statolatra
coniugato al più freddo pragmatismo.
Attualmente perfino“Forbes”, l’influente rivista finanziaria
americana illustrata, ha dovuto riconoscere le qualità della Russia,
assegnando a Vladimir Putin lo scettro di uomo più potente della terra,
per il 2013. Il magazine Forbes,pur senza rinunziare alle sue convinzioni sulla preminenza morale, politica ed economica degli States, ogni
anno stila la classifica 'The Most Powerful People in the World',
quest’anno ha preferito "il leader autocratico di un’ex superpotenza al
comandante in capo ' però ammanettato' del Paese predominante al mondo", ovvero Barack Obama, primo nel 2012.
Volendo proseguire nell’analisi geopolitica della Federazione Russa si
deve mettere in risalto che si tratta di un elemento del tutto
peculiare. Come impero multinazionale, esteso ben oltre le steppe
centroasiatiche fino all’Artico, alla frontiera cinese e al Pacifico; è
uno stato sui generis, non omologabile ad altri. Né tanto
meno, solubile in alleanze, come la Nato, che implicano la rinuncia
alla sovranità in favore del paese leader. Nelle parole di Putin, «La
Russia sarà indipendente e sovrana, o non sarà».
E pertanto si dice in Russia, che non accadrà più che Mosca accetti
un’imposizione americana, o sia costretta a ripiegare, umiliata e
offesa. A Putin brucia ancora la costrizione subita dall’allora premier
Primakov, costretto nel marzo 1999 a tornare indietro mentre, in volo
per Washington, apprendeva che la Nato stava bombardando Belgrado. Il
rapporto Russia-Usa deve essere di scambio, dicono i Russi, duro, se
necessario, ma a livello paritario.
Nel progetto di Putin, un’esigua élite di Stati sovrani “più eguali degli altri”
si attribuirebbe la responsabilità di regolare il sistema-mondo
sempre attraverso il compromesso fra i grandi. Al cui tavolo è tornata a
sedersi la Russia. Per restarci.
E anche per questo, va precisato ancora che a Mosca il tronco d’impero
denominato Federazione Russa, residuo della disintegrazione dell’Urss,
sta troppo stretto a moltissimi russi. Dovrebbe ricrescere. In
prospettiva, alcuni territori già sovietici andrebbero reintegrati
nello spazio federale. Compresa «la parte più importante» dell’Ucraina,
citata chiaramente da Putin a Bush a Bucarest. il 4 aprile 2008
rivolgendosi al «caro George».
Nulla di più alieno, però, anzi contrario alla mentalità dominante a Washington, a parte ogni accattivante modo di porgere.
La mentalità fanatica, in politica estera, largamente diffusa negli
Stati Uniti, lascia increduli noi europei, abituati ad un più razionale
modo di pensare e di vivere.
Infatti si deve sforzarsi di capire che fin dal 1845 il pastore e
scrittore John L. O’Sullivan aveva impostato, abbastanza
presuntuosamente, una sua sedicente “dottrina”, pretenziosa e apodittica, la cosiddetta “Dottrina del Manifest Destiny”, che pretendeva indottrinare il popolo yankee circa la mitologica missione degli Stati Uniti, “scelti da Dio per evangelizzare il mondo”. Questo dogma fuori da ogni logica, e da ogni fonte giustificativa, ha trovato acriticamente e supinamente negli States innumerevoli fanatici e faziosi, ingenui o interessati sostenitori.
Si è affannata a darci una qualche “spiegazione” la sociologa
americana Roberta Coles rilevando che la tradizione americana del “destino manifesto” deriverebbe da “miti originari della religione americana”: il mito della “nazione moralmente superiore perché scelta da Dio, col dovere di redimere il continente e forse il mondo”. Vedi anche Emilio Gentile, La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Laterza, Roma-Bari, 2006.
(E ci credevano gli Yanquis devotamente, tanto che, e
per redimere il continente, massacrarono indiani a migliaia; per
redimere il mondo scatenarono guerre disastrose a decine. E continuano “nel nome “dell’Onnipotente”).
Nel 1885, ancora un altro pretestuoso pastore, Josiah Strong, preminente imperialista americano, non aveva dubbi: il “Manifest Destiny” possedeva una destinazione “geopolitica” (sic!): «la creazione di un impero mondiale».
La continuità delle mire belliche espansioniste americane fin dall'epoca della Dottrina del Manifest Destiny è stata, com’è facile controllare, la caratteristica dominante della politica estera americana.
Dunque gli americani ritengono di esibire un loro moralismo nel quale
interessi nazionali e aspirazioni ecumeniche si sostengono
reciprocamente. Infatti gli Stati Uniti d’America non si considerano
una nazione fra le altre, ma la «nazione indispensabile» dotata di una
missione universale, rivoluzionaria: portare la libertà e la prassi
democratica in terra. Anche Franklin D, Roosevelt, come tutti, “credeva” nella missione americana “to evangelize the World”.
In questi termini è ben difficile trovare un punto d’incontro nella soluzione del falso problema ucraino tra Russi e USA.
I Russi sono ormai ben coscienti che fattori obiettivi del loro
prestigio sono: il rango di potenza nucleare bicontinentale, estesa su
un territorio vastissimo, straricco di materie prime. Un impero in
espansione geopolitica (riconquista di spazi perduti da
Gorbachev-Yeltsin) o natural-geopolitica (rivendicazioni nelle
immensità artiche in via di emancipazione dai ghiacci, sempre che il
clima sia d’accordo).
Altro importantissimo fattore di potenza della Federazione Russa è l’esportazione di idrocarburi,
che vale il 44% (gas) e il 30% (petrolio) delle importazioni europee.
Una straordinaria fonte finanziaria, che permette alla Russia, e
soprattutto ai suoi centomila milionari e oltre cinquanta miliardari
(in dollari), di fare shopping in giro per il mondo, mentre nelle casse
dello Stato riposano oltre 420 miliardi di riserve in dollari e oro.
Pertanto, su scala mondiale, Mosca sogna addirittura di massimizzare
l’effetto geopolitico e l’efficienza economica del suo patrimonio
energetico nella futura «Opec del gas», in cui intende associare a sé,
ossia sotto di sé, gli altri grandi esportatori, dall’Iran al Qatar, dal Venezuela alla Nigeria e all’Algeria.
Fattori di potenza, anche se visibili solo in superficie, sono tante agenzie informali
(come la rete esterna dell’ex Kgb, ben ramificata nel nostro
continente) e perfino mafie, più o meno infiltrate e usate dallo Stato
(e viceversa) onde promuovere interessi insieme economici e
geopolitici.
A tal proposito si dovrebbe tener conto della profonda penetrazione
russa nei Balcani fino al Mare Adriatico, dove la disintegrazione del
«socialismo reale» ha prodotto Stati, mafia e terre di nessuno.
Putin intenderebbe,poi, molto seriamente ridimensionare l'immagine
della potenza militare americana. Propaganda a parte, l'esercito
statunitense non ha brillato né in Iraq né in Afghanistan; il tanto strombazzato aereo americano F35
non entrerà in servizio, e diversi aerei di quarta generazione,
eurofighter compreso, sono superiori all'americano F22 "raptor", aereo
mediocre e tutto sommato poco efficace.
L’idea globale ampiamente diffusa della potenza militare americana si
basa essenzialmente sull’immagine che ne ha dato Hollywood nel mondo, e
Putin lo sa bene; farebbe di tutto per cambiarla. Altro obiettivo, non meno ambizioso, Putin
aspira anche a mostrare che i paesi europei, dichiarazioni a parte,
nei fatti non sarebbero realmente con gli USA. Si, i governi
cancelleranno il G8, ma l'Italia, per esempio, esporta nella Russia 75
miliardi di dollari ogni anno. Quasi un terzo dell'export. Dovrebbe
necessariamente trovare il sistema di non fare vere sanzioni. Lo stesso
dicasi per Germania e Francia: commerciano con i russi troppo per fare
delle effettive sanzioni.
Tornando ai giorni cruciali della “Rivoluzione Brown”, che stava
detronizzando Yanukovich, mentre tutti guardavano verso Kiev, dove i
flash dei media amplificavano la rivoluzione e la illeggittima
destituzione di Yanukovich, Putin infiltrava i suoi uomini in Crimea e
armava le milizie filorusse. Nel silenzio mediatico i russi hanno preso
la Crimea. Sul campo Putin aveva già vinto senza sparare un colpo. La
guerra, cioè, era finita sul campo. Adesso iniziava quella
propagandistica, psicologica, fatta di tensioni, di provocazioni
misurate, di minacce pendenti ed incombenti, e pure di concertazioni,
di contatti sotto banco, se possibile.
Putin, uomo di ghiaccio, dai nervi saldi, gran giocatore di scacchi,
non perde mai la calma, applica le strategie degli scacchi alla realtà
senza cedere alle emozioni; legge nella mente del nemico e prevede le
sue mosse, conduce il gioco senza lasciar spazio a ripensamenti.
Muoverà truppe in casa ai confini con l’Ucraina, dove la tensione salirà
al massimo; i golpisti ucraini chiederanno la protezione di
Washingtion, che però non potrà venire e Putin sa bene che gli USA, per
ragioni di bilancio e di specificità di quella zona a vantaggio dei
russi, non hanno potere di proiezione in Ucraina. Né ce l'hanno gli
europei. Ma Putin non attaccherà gli ucraini, prevede Uriel Fanelli su
“Don Chisciotte” , “si limiterà al massimo a qualche scaramuccia e a qualche sorvolo, per aumentarne e il senso di impotenza”.
Un’analisi che ben vede il concatenamento logico dei fatti e che si
spinge oltre a prevedere che Putin la tirerà molto in lungo, perché
tutto il mondo acquisti la convinzione dell'impotenza degli americani.
Tutto bene in una logica stringente e ben coordinata, finché una
qualche scheggia impazzita non faccia saltare i congegni, così ben
controllati fino adesso.
Ma l’obiezione fondamentale che si deve fare sulle previsioni future è
che la Cupola del grosso capitale mondialista non permetterà mai che
sorgano ostacoli sulla strada del governo unico mondiale. E Putin
purtroppo non ha ancora la forza di opporvisi.
Zbgniew Brzezinski infatti, tiene contatti con la Trilateral e col
Gruppo Bildeberg, a livello ben superiore alla stessa Casa Bianca e
così la serrata logica di Putin può essere spezzata da una nuova mossa
strategica: un piano USA per imporre la guerra in Europa - si sta già
studiando: «C’è l’intento del Pentagono di colpire la Russia prima del
collasso planetario del dollaro» – riporta il sito Libre in un articolo
dal titolo “Piano Usa: guerra in Europa, prima che crolli il dollaro”
– “In questa chiave – continua l’articolo – Carlo Tia inquadra i
drammatici sviluppi che oppongono Mosca e Washington in Ucraina
È ben chiaro a chiunque, anche se si può fingere di non vedere, che Putin, il quale vive
una costante sindrome di accerchiamento da parte dell’Occidente, non
può distrarsi proprio dalle continue, aggressive indebite ingerenze
dell’Occidente. Cedere il controllo sull’Ucraina per Putin,
oltre ad essere un affronto non tollerabile, significa concretamente
lasciare campo libero alla Nato per completare proprio l’accerchiamento
della Russia. L’Occidente non si rende conto, o finge di non rendersi
conto delle estreme minacce di Putin verso l’Ucraina, in quanto questa
starebbe per diventare disponibile all’aggressività della Nato. Questa
per la Russia è quindi una minaccia molto più grave: l’Ucraina infatti
potrà costituire il tassello che chiude l’accerchiamento.
La Russia è psicologicamente preparata alle sanzioni dall’Occidente: meglio subire sanzioni riprendendosi l’Ucraina, che subirle solo per la Crimea. L’Occidente non vorrebbe, certo, combattere per l’Ucraina. Putin invece, si dice, sarebbe già pronto.
Il deus ex machina sta preparando la False Flag.