venerdì 21 luglio 2023

25 luglio 1943. L’inizio del tramonto della nazione

 

25 luglio 1943. L’inizio del tramonto della nazione

di: Valentino Quintana

Sono passati 80 anni da quando l’Italia fu gettata nel baratro. Perché, se l’otto settembre segna la data nefasta dell’ignominioso armistizio, del tradimento dell’alleato, dello sfacelo delle forze armate, della disgregazione totale dello Stato, il 25 luglio rappresenta l’inizio di quel che avvenne 45 giorni dopo.
Quest’infausta data non fu altro che una gravissima crisi in cui egoismi, sordi rancori, obliqui interessi personali e materiali tentarono, sacrificando ignobilmente la Patria, di prevalere sugli interessi vitali della Nazione e sui diritti fondamentali del popolo italiano.
Al centro della congiura, ci fu la corona. Come Vittorio Emanuele stesso aveva dichiarato ad un giornale americano, egli voleva “farla finita col Fascismo”.
E’ molto probabile che pensasse di salvare il regno, vista la difficoltà con cui abdicò molto tempo dopo, consigliato dallo stesso Benedetto Croce e da tutti i rappresentati del governo Bonomi.
Tuttavia, gli stessi nemici lo avevano categoricamente ammonito che le sorti della monarchia fossero inscindibilmente connesse con quelle del Fascismo.
In un volume di circa 800 pagine, minuziosamente informato su La Chiesa e lo Stato nell’Italia fascista, un ben noto Professore dell’Università di Dublino dell’epoca, D.A. Binchy, aveva affermato l’anno precedente: “Aderendo alla politica dell’Asse e alla guerra a fianco della Germania, Casa Savoia ha dimostrato la sua convinzione di dover seguire la sorte del Regime fascista. il re e suo figlio non possono sperare di sopravvivere sia pure di cinque minuti, a Mussolini”.
Ma poco prima del 25 luglio gli anglo – americani avevano insinuato nell’animo di tanti italiani, facilmente disposti a dimenticare la secolare perfidia britannica, che l’Inghilterra, l’America e la Russia non stessero facendo la guerra all’Italia, ma al Fascismo, e le più rosee speranze potevano essere concepite, le più serene prospettive potevano aprirsi per il popolo italiano.
Così, una catena di inganni e di tradimenti si creò, tra i nemici, la monarchia, lo stato maggiore, un gruppo di gerarchi fascisti, alcuni ceti plutocratici. Ed essa portò al 25 luglio e da lì all’otto settembre.
Tutti furono atrocemente ingannati dal nemico, tutti si ingannarono e si tradirono a vicenda, ciascun gruppo sperando di salvare se stesso, incurante del destino degli altri, e tutti insieme assolutamente sordi ad ogni richiamo della Patria.
Come ha ricordato poche settimane fa, in uno speciale sul Corriere della Sera circa il 25 luglio Paolo Mieli, portando tre testimonianze di protagonisti del 25 luglio, poi sopravvissuti, ognuno di loro aveva sentito il bisogno di tornare a Roma per partecipare a quella riunione, quasi sentisse una voce misteriosa che li comandasse. Salvo poi purtroppo trattarsi di un suicidio inconsapevole dell’intera nazione.
Si vide così un re, che dal Fascismo aveva avuto tre corone, il titolo di imperatore e di re d’Albania, e che solo per virtù di quella forza politica aveva potuto mantenere saldo – e accrescere in prestigio e splendore – il torno già pericolosamente vacillante dopo la guerra vinta a beneficio altrui, rinnegare d’un tratto vent’anni di solidarietà, di legami intimi, di gratitudine ripetutamente e apertamente manifestata al Regime Fascista, gettando alle ortiche Mussolini come un’insopportabile zavorra.
Si vide così un soldato, che durante il ventennio era stato dal Fascismo nominato ambasciatore, governatore, capo di stato maggiore generale, Maresciallo d’Italia, marchese del Sabotino, duca di Addis Abeba, assumere il potere con lo scopo di distruggere immediatamente il Fascismo, consegnare Mussolini al nemico, tradire l’alleato con il quale aveva fatto combattere le forze armate italiane.
E – cosa incredibile per un militare – precipitarsi a chiedere non l’onore di risollevare con le armi, combattendo fino all’ultimo le sorti della Patria in guerra, ma l’onore della resa a discrezione, la capitolazione senza condizioni, cioè l’atto che per chiunque sarebbe stato un castigo indicibile, e che per un soldato, coi titoli nobiliari vantanti, sarebbe stato più grave della morte.
Si videro così uomini che dal Fascismo erano stati portati ai più alti onori e alle massime responsabilità, che tutto ripetevano da Mussolini, senza il quale sarebbero stati oscuri numeri nella massa, tradire il loro Capo, abiurare al loro giuramento, mancare ai loro doveri verso la Patria, verso il popolo, verso sé medesimi e farsi strumento della trista congiura, fornire al re il pretesto “costituzionale” di “farla finita col Fascismo”.
Si videro capitalisti, che dal Regime avevano avuto la pace sociale e la tranquillità dei loro averi, clero, che solo da Mussolini aveva visto finalmente riconciliati, Stato Maggiore che dal Fascismo era stato ricreato dopo il misconoscimento del dopoguerra, far parte della congiura e aprire al nemico le porte d’Italia, perché, come la documentazione contenuta nella Storia di un anno dimostra inoppugnabilmente come si sia voluto il nemico in casa, ci si sia lasciati invadere in Sicilia dalle truppe angloamericane per abbattere il Fascismo.
Tanto è accaduto il 25 luglio di 80 anni fa.
Il popolo italiano può comprendere ancora oggi i risultati di quella tragica data, che non fu solamente un tradimento nei confronti di Mussolini e al Fascismo, ma come i terribili eventi hanno poi dimostrato, fu un qualcosa di perpetuo ai danni del popolo, che ha visto le sue terre e le sue case devastate dagli orrori delle guerra fratricida, le sue conquiste, le sue speranze, il suo avvenire distrutti, il suo onore calpestato, la sua unità nazionale, in un secolo di Risorgimento raggiunta, spezzata, tutto il suo territorio occupato dal nemico a sud, dall’alleato a nord, la sicurezza della sua esistenza che riposava sullo Stato e sulle Forze armate, finita, il caos, l’odio, la miseria, l’abisso prendere il posto di quell’Italia il cui volto materiale e morale era stato trasformato nei venti anni dal Regime e che veniva ammirata dal mondo intero.
I responsabili del 25 luglio, coscienti o meno, compirono un crimine di lesa Patria che non ha eguali nella nostra storia, salvo la riunione del Panfilo Britannia.
Essi consegnarono l’Italia, mani e piedi legati, al nemico, il quale aveva voluto la testa del Fascismo, per ottenere quella dell’Italia.
Il nemico sapeva infatti, più e meglio di noi, che il Fascismo rappresentava la forza più temibile della Patria, e solo abbattendolo si poteva avere ragione dell’Italia. Ciò è stato evidenziato anche nel libro «Husky», di Casarrubea & Mario J. Cereghino, appena dato alle stampe con documenti segreti.
Ed è giusto ricordare anche quanto scriveva il Corriere della Sera il 4 agosto 1943, durante l’amministrazione badogliana, subito deluso dalla terribile piega che gli avvenimenti stavano prendendo, dopo l’incosciente euforia dei primi momenti: «i nemici andavano ripetendo che essi facevano la guerra al Fascismo e non all’Italia. Il Fascismo è caduto – che cosa hanno allora offerto all’Italia? Nulla, fuorché una vaga promessa di generosità, logoro “guanto di velluto” sopra il pugno di ferro della “resa incondizionata” non del Governo e dell’Esercito soltanto, ma dell’Italia. L’Italia ai piedi del vincitore, disfatta e anelante nell’attesa di una sentenza di cui non le è concesso misurare il peso e limitare l’estensione. I nemici vogliono l’Italia. L’Italia non più fascista, l’Italia arresa a discrezione, disonorata dalla fuga verso le ginocchia del nemico trionfante e di questo disonore compensata, non già con quel sollievo fisico che si concede sprezzantemente ai più deboli, ma con un atroce ricrudimento di tutte le sue sofferenze. Il nemico ci vuol consegnare fiaccati e avviliti alla storia perché i nostri figli e quelli che verranno da loro abbiano a vergognarsi di noi e aggravare la nostra memoria del male commesso con una resa incondizionata».
Questo, che gli stessi avversari del Fascismo così lucidamente prevedevano doveva accadere per opera del re e di Badoglio un mese dopo. Le clausole dell’armistizio che il Governo di Bonomi rivelava al popolo italiano, potava all’ignominioso otto settembre.
Furono gli stessi antifascisti, i “più bei nomi” del fuoriuscitismo italiano in America, alcuni dei quali già muniti di cittadinanza americana, che comunicarono quali fossero gli scopi e quali fossero stati i risultati dell’armistizio “elargito” dagli angloamericani al nostro Paese.
Basti leggere la rivista dell’epoca Life, per leggere le firme dei vari Toscanini, Salvemini, Borgese, e capire già in quel momento quanto fossero eloquenti quelle parole: «Da qualche tempo è attesa una dichiarazione nella quale la Gran Bretagna smentisca ufficialmente le voci che l’Ammiragliato britannico, sotto il pretesto del separatismo regnante in Sicilia, spinge l’Inghilterra ad assumersi il controllo della Sicilia. La Sicilia è più italiana di quanto la Scozia e il Galles non siano inglesi. Inoltre si richiede una dichiarazione, nella quale si dica che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non intendono separare territori e città dall’Italia, come sarebbe il caso di Trieste».
Peccato che il diktat del 10 febbraio del 1947 separerà definitivamente l’Istria, parte della Dalmazia, Fiume e il Carnaro all’Italia.
Quanto alle terre dell’ex Impero Italiano in Africa, il documento del Life dichiarava che l’Italia vi avrebbe rinunziato a patto che anche gli altri Stati coloniali avessero fatto altrettanto nei riguardi dei propri possedimenti, da porsi tutti sotto il controllo di una consociazione internazionale.
E il manifesto, concludeva: «Al popolo italiano non è stato dato nulla e non è stato promesso nulla, eccetto il sarcasmo unito alla schiavitù. In fondo l’Italia è la vittima che deve pagare ogni cosa. All’Italia è stato imposto un armistizio così vergognoso che le parti contraenti hanno accettato di tenerlo nascosto al pubblico. Le ceneri della vergogna sono state sparse sui resti di una Nazione. Per lungo tempo noi sperammo che la morte del Fascismo significasse la vita dell’Italia. Ora l’Italia sta morendo».
Il fatto che l’antifascismo lo abbia riconosciuto, è pur sempre cosa positiva.
Tuttavia, l’essere gli esecutori materiali della scomparsa dell’Italia e del suo Stato, nonché del suo ruolo del mondo è una macchia incancellabile nei secoli, per la quale ogni perdono è impossibile. E che cosa avrebbero poi guadagnato, gli esecutori di questo 25 luglio? Il re perse la corona, e al luogotenente del figlio non rimasero che le briciole di pochi giorni.
I traditori del Gran Consiglio scapparono, furono condannati in contumacia e altri furono processati a Verona.
Lo Stato Maggiore finì con lo sfacelo conseguente alle nefande condizioni armistiziali.
Plutocrazia, clero e altri si profilarono dietro la figura di Bonomi. Nonché l’agente di Stalin, Togliatti, il quale giunse in Italia sapendo perfettamente ciò che voleva, essendo uno dei pochi ad avere ai suoi ordini un partito organizzato ed armato.
Il popolo, tuttavia, comprese subito dopo le finte manifestazioni di giubilo dopo il 25 luglio, quali fossero stati gli amarissimi frutti del colpo di Stato.
Unico peccato, che non lo comprendano oggi, 80 anni dopo, vista la situazione, tragica altrettanto.

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