25 luglio 1943. L’inizio del tramonto della nazione
di: Valentino Quintana |
Sono
passati 80 anni da quando l’Italia fu gettata nel baratro. Perché, se
l’otto settembre segna la data nefasta dell’ignominioso armistizio, del
tradimento dell’alleato, dello sfacelo delle forze armate, della disgregazione totale dello Stato, il 25 luglio rappresenta l’inizio di quel che avvenne 45 giorni dopo.
Quest’infausta
data non fu altro che una gravissima crisi in cui egoismi, sordi
rancori, obliqui interessi personali e materiali tentarono, sacrificando
ignobilmente la Patria, di prevalere sugli interessi vitali della
Nazione e sui diritti fondamentali del popolo italiano.
Al centro della congiura, ci fu la corona. Come Vittorio Emanuele stesso aveva dichiarato ad un giornale americano, egli voleva “farla finita col Fascismo”.
E’
molto probabile che pensasse di salvare il regno, vista la difficoltà
con cui abdicò molto tempo dopo, consigliato dallo stesso Benedetto Croce e da tutti i rappresentati del governo Bonomi.
Tuttavia,
gli stessi nemici lo avevano categoricamente ammonito che le sorti
della monarchia fossero inscindibilmente connesse con quelle del
Fascismo.
In
un volume di circa 800 pagine, minuziosamente informato su La Chiesa e
lo Stato nell’Italia fascista, un ben noto Professore dell’Università di
Dublino dell’epoca, D.A. Binchy, aveva affermato l’anno precedente:
“Aderendo alla politica dell’Asse e alla guerra a fianco della
Germania, Casa Savoia ha
dimostrato la sua convinzione di dover seguire la sorte del Regime
fascista. il re e suo figlio non possono sperare di sopravvivere sia
pure di cinque minuti, a Mussolini”.
Ma
poco prima del 25 luglio gli anglo – americani avevano insinuato
nell’animo di tanti italiani, facilmente disposti a dimenticare la
secolare perfidia britannica, che l’Inghilterra, l’America e la Russia
non stessero facendo la guerra all’Italia, ma al Fascismo, e le più
rosee speranze potevano essere concepite, le più serene prospettive
potevano aprirsi per il popolo italiano.
Così,
una catena di inganni e di tradimenti si creò, tra i nemici, la
monarchia, lo stato maggiore, un gruppo di gerarchi fascisti, alcuni
ceti plutocratici. Ed essa portò al 25 luglio e da lì all’otto
settembre.
Tutti
furono atrocemente ingannati dal nemico, tutti si ingannarono e si
tradirono a vicenda, ciascun gruppo sperando di salvare se stesso,
incurante del destino degli altri, e tutti insieme assolutamente sordi
ad ogni richiamo della Patria.
Come ha ricordato poche settimane fa, in uno speciale sul Corriere della Sera circa
il 25 luglio Paolo Mieli, portando tre testimonianze di protagonisti
del 25 luglio, poi sopravvissuti, ognuno di loro aveva sentito il
bisogno di tornare a Roma per partecipare a quella riunione, quasi
sentisse una voce misteriosa che li comandasse. Salvo poi purtroppo
trattarsi di un suicidio inconsapevole dell’intera nazione.
Si
vide così un re, che dal Fascismo aveva avuto tre corone, il titolo di
imperatore e di re d’Albania, e che solo per virtù di quella forza
politica aveva potuto mantenere saldo – e accrescere in prestigio e
splendore – il torno già pericolosamente vacillante dopo la guerra vinta
a beneficio altrui, rinnegare d’un tratto vent’anni di solidarietà, di
legami intimi, di gratitudine ripetutamente e apertamente manifestata al
Regime Fascista, gettando alle ortiche Mussolini come un’insopportabile
zavorra.
Si
vide così un soldato, che durante il ventennio era stato dal Fascismo
nominato ambasciatore, governatore, capo di stato maggiore generale,
Maresciallo d’Italia, marchese del Sabotino, duca di Addis Abeba,
assumere il potere con lo scopo di distruggere immediatamente il
Fascismo, consegnare Mussolini al nemico, tradire l’alleato con il quale
aveva fatto combattere le forze armate italiane.
E
– cosa incredibile per un militare – precipitarsi a chiedere non
l’onore di risollevare con le armi, combattendo fino all’ultimo le sorti
della Patria in guerra, ma l’onore della resa a discrezione, la
capitolazione senza condizioni, cioè l’atto che per chiunque sarebbe
stato un castigo indicibile, e che per un soldato, coi titoli nobiliari
vantanti, sarebbe stato più grave della morte.
Si
videro così uomini che dal Fascismo erano stati portati ai più alti
onori e alle massime responsabilità, che tutto ripetevano da Mussolini,
senza il quale sarebbero stati oscuri numeri nella massa, tradire il
loro Capo, abiurare al loro giuramento, mancare ai loro doveri verso la
Patria, verso il popolo, verso sé medesimi e farsi strumento della
trista congiura, fornire al re il pretesto “costituzionale” di “farla
finita col Fascismo”.
Si
videro capitalisti, che dal Regime avevano avuto la pace sociale e la
tranquillità dei loro averi, clero, che solo da Mussolini aveva visto
finalmente riconciliati, Stato Maggiore che dal Fascismo era stato
ricreato dopo il misconoscimento del dopoguerra, far parte della
congiura e aprire al nemico le porte d’Italia, perché, come la
documentazione contenuta nella Storia di un anno dimostra
inoppugnabilmente come si sia voluto il nemico in casa, ci si sia
lasciati invadere in Sicilia dalle truppe angloamericane per abbattere
il Fascismo.
Tanto è accaduto il 25 luglio di 80 anni fa.
Il
popolo italiano può comprendere ancora oggi i risultati di quella
tragica data, che non fu solamente un tradimento nei confronti di
Mussolini e al Fascismo, ma come i terribili eventi hanno poi
dimostrato, fu un qualcosa di perpetuo ai danni del popolo, che ha visto
le sue terre e le sue case devastate dagli orrori delle guerra
fratricida, le sue conquiste, le sue speranze, il suo avvenire
distrutti, il suo onore calpestato, la sua unità nazionale, in un secolo
di Risorgimento raggiunta, spezzata, tutto il suo territorio occupato
dal nemico a sud, dall’alleato a nord, la sicurezza della sua esistenza
che riposava sullo Stato e sulle Forze armate, finita, il caos, l’odio,
la miseria, l’abisso prendere il posto di quell’Italia il cui volto
materiale e morale era stato trasformato nei venti anni dal Regime e che
veniva ammirata dal mondo intero.
I
responsabili del 25 luglio, coscienti o meno, compirono un crimine di
lesa Patria che non ha eguali nella nostra storia, salvo la riunione del
Panfilo Britannia.
Essi
consegnarono l’Italia, mani e piedi legati, al nemico, il quale aveva
voluto la testa del Fascismo, per ottenere quella dell’Italia.
Il
nemico sapeva infatti, più e meglio di noi, che il Fascismo
rappresentava la forza più temibile della Patria, e solo abbattendolo si
poteva avere ragione dell’Italia. Ciò è stato evidenziato anche nel
libro «Husky», di Casarrubea & Mario J. Cereghino, appena dato alle
stampe con documenti segreti.
Ed
è giusto ricordare anche quanto scriveva il Corriere della Sera il 4
agosto 1943, durante l’amministrazione badogliana, subito deluso dalla
terribile piega che gli avvenimenti stavano prendendo, dopo
l’incosciente euforia dei primi momenti: «i nemici andavano ripetendo
che essi facevano la guerra al Fascismo e non all’Italia. Il Fascismo è
caduto – che cosa hanno allora offerto all’Italia? Nulla, fuorché una
vaga promessa di generosità, logoro “guanto di velluto” sopra il pugno
di ferro della “resa incondizionata” non del Governo e dell’Esercito
soltanto, ma dell’Italia. L’Italia ai piedi del vincitore, disfatta e
anelante nell’attesa di una sentenza di cui non le è concesso misurare
il peso e limitare l’estensione. I nemici vogliono l’Italia. L’Italia
non più fascista, l’Italia arresa a discrezione, disonorata dalla fuga
verso le ginocchia del nemico trionfante e di questo disonore
compensata, non già con quel sollievo fisico che si concede
sprezzantemente ai più deboli, ma con un atroce ricrudimento di tutte le
sue sofferenze. Il nemico ci vuol consegnare fiaccati e avviliti alla
storia perché i nostri figli e quelli che verranno da loro abbiano a
vergognarsi di noi e aggravare la nostra memoria del male commesso con
una resa incondizionata».
Questo,
che gli stessi avversari del Fascismo così lucidamente prevedevano
doveva accadere per opera del re e di Badoglio un mese dopo. Le clausole
dell’armistizio che il Governo di Bonomi rivelava al popolo italiano,
potava all’ignominioso otto settembre.
Furono
gli stessi antifascisti, i “più bei nomi” del fuoriuscitismo italiano
in America, alcuni dei quali già muniti di cittadinanza americana, che
comunicarono quali fossero gli scopi e quali fossero stati i risultati
dell’armistizio “elargito” dagli angloamericani al nostro Paese.
Basti
leggere la rivista dell’epoca Life, per leggere le firme dei vari
Toscanini, Salvemini, Borgese, e capire già in quel momento quanto
fossero eloquenti quelle parole: «Da qualche tempo è attesa una
dichiarazione nella quale la Gran Bretagna smentisca ufficialmente le
voci che l’Ammiragliato britannico, sotto il pretesto del separatismo
regnante in Sicilia, spinge l’Inghilterra ad assumersi il controllo
della Sicilia. La Sicilia è più italiana di quanto la Scozia e il Galles
non siano inglesi. Inoltre si richiede una dichiarazione, nella quale
si dica che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non intendono separare
territori e città dall’Italia, come sarebbe il caso di Trieste».
Peccato
che il diktat del 10 febbraio del 1947 separerà definitivamente
l’Istria, parte della Dalmazia, Fiume e il Carnaro all’Italia.
Quanto
alle terre dell’ex Impero Italiano in Africa, il documento del Life
dichiarava che l’Italia vi avrebbe rinunziato a patto che anche gli
altri Stati coloniali avessero fatto altrettanto nei riguardi dei propri
possedimenti, da porsi tutti sotto il controllo di una consociazione
internazionale.
E
il manifesto, concludeva: «Al popolo italiano non è stato dato nulla e
non è stato promesso nulla, eccetto il sarcasmo unito alla schiavitù. In
fondo l’Italia è la vittima che deve pagare ogni cosa. All’Italia è
stato imposto un armistizio così vergognoso che le parti contraenti
hanno accettato di tenerlo nascosto al pubblico. Le ceneri della
vergogna sono state sparse sui resti di una Nazione. Per lungo tempo noi
sperammo che la morte del Fascismo significasse la vita dell’Italia.
Ora l’Italia sta morendo».
Il fatto che l’antifascismo lo abbia riconosciuto, è pur sempre cosa positiva.
Tuttavia,
l’essere gli esecutori materiali della scomparsa dell’Italia e del suo
Stato, nonché del suo ruolo del mondo è una macchia incancellabile nei
secoli, per la quale ogni perdono è impossibile. E che cosa avrebbero
poi guadagnato, gli esecutori di questo 25 luglio? Il re perse la
corona, e al luogotenente del figlio non rimasero che le briciole di
pochi giorni.
I traditori del Gran Consiglio scapparono, furono condannati in contumacia e altri furono processati a Verona.
Lo Stato Maggiore finì con lo sfacelo conseguente alle nefande condizioni armistiziali.
Plutocrazia,
clero e altri si profilarono dietro la figura di Bonomi. Nonché
l’agente di Stalin, Togliatti, il quale giunse in Italia sapendo
perfettamente ciò che voleva, essendo uno dei pochi ad avere ai suoi
ordini un partito organizzato ed armato.
Il
popolo, tuttavia, comprese subito dopo le finte manifestazioni di
giubilo dopo il 25 luglio, quali fossero stati gli amarissimi frutti del
colpo di Stato.
Unico peccato, che non lo comprendano oggi, 80 anni dopo, vista la situazione, tragica altrettanto.
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