venerdì 13 giugno 2014

EUTANASIA PER UNA REPUBBLICA DELLE BANANE

EUTANASIA PER UNA REPUBBLICA DELLE BANANE

Di : Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
Dopo le celebrazioni per la festa della repubblica italiana (per alcuni nata dai brogli del referendum del 2 giugno 1946) il nostro pensiero va a Giorgio Napolitano.
Mentre in Italia qualcuno vorrebbe coinvolgerlo in complotti e in torbide manovre, all’estero non passano inosservate le sue qualità democratiche. Tra i tanti esempi del recente passato, come dimenticare il Premio Dan David dell’Università di Gerusalemme, attribuito nel 2010 a Napolitano per il suo impegno nel “cammino verso la democrazia”?
L’ambito premio è accompagnato da un assegno di un milione di dollari: il camminatore democratico non poteva che devolvere la somma. Forse ai disoccupati, agli esodati, ai cassintegranti, ai pensionati della repubblica italiana?
Rifiutando questa visione populista e demagogica, in cerca di facili consensi, Napolitano ha privilegiato la cultura : Il milione di dollari infatti è stato devoluto all’istituto dell’orchestra West-Eastern Divan, fondata dall’argentino-israeliano Daniel Barenboim.
Con quella somma l’orchestra avrà potuto fare ciò che in Italia è quasi impossibile: rottamare i vecchi tromboni.
                    Da Edoardo avv. Longo                    
Controinformazione Edizioni Edoardo Longo
                                                                                                                                      

mercoledì 11 giugno 2014

AMULETI, RELIQUIE E SUPERSTIZIONE

AMULETI, RELIQUIE E SUPERSTIZIONE



Nei secoli passati, quando la credulità della gente era supportata dalla mancanza di un minimo d’istruzione e l’ignoranza era la condizione di normalità per la maggior parte delle persone, la chiesa cattolica ha approfittato per raggirare i suoi fedeli alimentando la superstizione legata alla miracolosità delle Sante Reliquie”.
Potevano così sorgere santuari dedicati a particolari reliquie che portavano alla chiesa  fedeli, potere ed offerte in denaro.
Tutti abbiamo visto i cosiddetti “Tesori del santuario” che rappresentano solo una minima parte del ricavato di uno spettacolo disonesto e truffaldino.
Il controllo delle coscienze era poi l’altro e più importante risultato raggiunto!
Un breve elenco delle reliquie e la considerazione della loro, a volte perfino ingenua, manipolazione della credulità è più che sufficiente a dimostrare quanto diciamo:

Corona di spine della passione a Parigi
Colonna della flagellazione  chiesa di S. Prassede
Spine sciolte della corona di spine a Grattero
Prepuzio di Gesù  a calcata
Sangue di Gesù a Bruges
Due asciugatoi del lavaggio dei piedi a Roma ed a Acqs ( Germania )
Mangiatoia dove fu deposto Gesù a Roma
Bottiglia di latte da ci beveva Gesù
Santa casa di Maria trasportata in volo dagli angeli a Loreto
Capelli della Madonna
Anello nuziale di S-Giuseppe a Perugia
Bastone di S. Giuseppe a Roma ed a Bologna
Velo della Madonna a S. Maria di Licodi
Corpi dei tre re Magi  duomo di Milano
Sterco dell’asino sul quale Gesù entrò a Gerusalemme a Colonia
Tre piume delle ali dell’Arcangelo S. Michele, Sagra di S. Michele in val di Susa ( autenticate dal Papa Urbano IV )

Crediamo che non siano necessari commenti e che chiunque sia dotato di un minimo di discernimento sia in grado di dare un autonomo giudizio..!!
Quale credibilità possa avere oggi una organizzazione che ha dimostrato di prendere per i fondelli la gente sfruttando buona fede, ignoranza, superstizione, paura e senso di colpa lo lasciamo al giudizio di chi ci legge.
Certamente, in un mondo dove la natura ha le sue leggi che dispongono che la qualità è inversamente proporzionale alla qualità, chi parla alle masse ha sempre la possibilità di vendere fumo e di raggirare, ma ciò non toglie che la verità sia alquanto diversa da quello che truffatori interessati ci raccontano..!!

Alessandro Mezzano
                                                                                                                   


lunedì 9 giugno 2014

EBREI E PALESTINA


EBREI E PALESTINA

I sionisti di Israele sostengono il loro diritto al ritorno in Palestina principalmente per tre motivi:

  1. Quella era la loro terra di origine
  2. La Bibbia afferma che fu loro donata da Dio
  3. Hanno diritto ad un risarcimento a causa delle persecuzioni che hanno subito nei secoli ed in particolare per la Shoa.

A tutto ciò si può rispondere:

  1. La terra di origine degli ebrei e del loro patriarca Abramo era Ur, una località della Mesopotamia, oggi Iraq , da dove migrarono ( la bibbia non dice perché, ma il fatto é che gli ebrei erano un popolo nomade di pastori) e pertanto, se volevano tornare alla terra di origine, i sionisti avrebbero dovuto emigrare in Iraq ( ma né Saddam, né gli Inglesi erano d'accordo..)
  2. La Bibbia è un libraccio razzista e disumano, che parla di un Dio malvagio e sempre incazzato con tutti, che ordina stragi, che ordina a un padre di uccidere il figlio, che tollera il concubinato ( la schiava Agar) ( Il giubileo ogni 49 anni liberava gli schiavi ), che fa trucidare 10.000 ebrei che adoravano il vitello d'oro, ma salva Aronne che lo aveva fabbricato perché era fratello di Mosè, che giustifica la schiavitù  ( Il giubileo ogni 49 anni liberava gli schiavi ), che è sempre là con la spada pronta anziché con l'amore per i suoi figli, che distingue tra prediletti e di serie B .. Pertanto è assurdo, incivile e privo di fondamento basare l'usurpazione di una terra ed il forzato esilio di 800.000 Palestinesi su di un simile libro primitivo, incivile ed ignorante e razzista.!!
  3. Quanto alla richiesta di risarcimento per le persecuzioni subite, essa andrebbe per logica rivolta a coloro che tali persecuzioni attuarono e tra questi non ci sono certamente i Palestinesi che anzi hanno sempre accolto benevolmente gli ebrei nelle loro terre e quindi lo stato di Israele avrebbe dovuto essere fondato in Germania o in Russia, o nei Balcani, o in Spagna, ma certamente non in Palestina..!
Alessandro Mezzano
                                                                                                                                           

venerdì 6 giugno 2014

LA STRANA "DEMOCRAZIA" OCCIDENTALE


Obama ha adottato dal 25 scorso il miliardario ucraino Poroshenko. Lo ha già presentato al mondo come il figlio prediletto della nuova democrazia ucraina ed incoronato quale "campione dei diritti dell'uomo" a Kiev e dintorni.
Che sia giunto al governo tramite il rovesciamento di un presidente (Yanukovich) eletto da "tutto" il popolo ucraino e "ribaltato" dalle sparatorie di piazza Maidan,armate e finanziate con la presenza sul campo della "troika UEista",è dettaglio insignificante.
Oddio,per quanto se ne sappia da noi,Yanukovich non era un granché ma,come mi ripetono da 65 anni,un eletto si cambia con una nuova elezione....no ?
Ed inoltre,certificato dall'Ocse,il voto in Ucraina del 25 maggio scorso è stato "regolare".
Che 5 milioni di cittadini russofoni non abbiano votato e che,anzi,abbiano impedito pure la apertura dei seggi è dettaglio altrettanto insignificante per Obama.
Quel che conta è che il suo figlioccio abbia riportato il 53% dei si dei voti espressi dalla minoranza degli aventi diritto (modello Renzi un Italia).
Poroshenko "diga" della democrazia europea contro Putin,l'aggressore dell'Est.
Guai a chi lo tocca,intima oggi al mondo Obama e,mentre che c'è,consiglia (si fa per dire) ai suoi servi UEisti di aumentare le spese militari.
Per essere pronti alla probabile aggressione dello zar moscovita occorrono nuove armi,rigorosamente di fabbricazione statunitense.
Renzi (per restare a casa nostra) avrà capito bene ?
Si prevedono piú Muos,numerosi F.35 e qualche Sigonella in più.
Intanto che accade nel mondo ?
Che si vota in Siria,piú o meno che nelle stesse condizioni dell'Ucraina.
Con una differenza,di non poco conto :
si vota in due terzi del paese e,incredibile ma certificato,vanno alle urne circa il 75% di siriani.
Ovvero una ampissima maggioranza.
Assad,di riffe o di raffe (non posso escludere nulla) prende l'88% dei voti espressi.
Obama sentenzia : elezioni truffa.
Non cambia niente,appoggiamo i ribelli (di Al Qaeda) che si battono per instaurare la "democrazia" a Damasco.
Che tale impostazione sia ostica da recepire pure da tanti di noi cittadini dell'impero UEista è già un problema sempre piú serio.
Risulta difficile comprendere come una minoranza basata su un 43% di elettori complessivi possa governare un impero di 350 milioni di europei.
Non sembra proprio "democratico".
Se aggiungiamo pure i famosi "euroscettici" che tarlano Bruxelles dall'interno del sistema partitocratico andiamo ben oltre.
Ma l'UEismo altro non è che la longa manus di Obama,per giunta quella finanziaria che si infila nelle tasche dei comuni cittadini per prelevare euro e trasformarli in dollari per le banche.
Quindi Obama decide per tutti :
Poroshenko è buono,bello e "democratico".
Assad brutto,cattivo e "dittatore".
Peste (atomica ?) colga chi attacca l'
Ucraina e difenda Assad...!!
In tutti e due i casi....Putin.

Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello

                                                                                                                                        

giovedì 5 giugno 2014

LAVORO: SCHIAVI E PADRONI



Lavoro: schiavi e padroni
La società moderna ha visto strutturarsi al suo interno due concezioni opposte, entrambi però in difetto.
La prima visione pone la libertà (individuale/economica) al primo posto e sacrifica l'uguaglianza, divenendo liberismo, la seconda , sacrifica la libertà in nome dell'uguaglianza e sconfina nel comunismo.
Negli ultimi due secoli, la proiezione di queste due concezioni nei rapporti umani lavorativi non può che aver proposto soluzioni altrettanto in difetto o monche. Il confronto scontro, tra lavoro e capitale, non ha avuto pertanto a tutt'oggi risoluzione se non a vantaggio del capitale.
Tuttavia per motivi vari, non ultimo l'imborghesimento interiore della classe lavoratrice che sarebbe dovuta essere da supporto rivoluzionario, la supremazia avanzante del capitalista non ha rafforzato la lotta di classe ma ha coinciso piuttosto con il suo annichilimento.
L'oligarchia economica dominante, plutocrazia, fatto tesoro del monito di Rousseau: "Quando il povero non ha più nulla da mangiare , mangia il ricco", s'è industriata per non essere divorata.
Non basta , d'altro canto, come non è bastato nei regimi comunisti dire che i mezzi di produzione, cosi' come la fabbrica, sono di proprietà dello Stato per sentirsi partecipi del processo produttivo.

Cambiano i nomi, padrone privato, padrone pubblico, ma il risultato per il lavoratore è lo stesso, il rapporto di forza, dalla sua posizione angolare, rimane quello tra sfruttati e sfruttatori.
Per chi non è d'accordo non resta che l'ultima e unica arma: lo sciopero. Lo sciopero ormai, oltre che normato da rigide leggi, è difficile da attuarsi sia perché i lavoratori sono divisi da differenti contratti capestro ( ideati ad arte in nome della flessibilità), sia perché in molte aziende il sindacato è assente, latitante, quand'anche narcotizzato o ammaestrato.
Ai nostri tempi la figura classica del padrone è sfumata, s'è impersonalizzata, non più capitani d'industria, latifondisti, ma sempre più spesso holding finanziarie, multinazionali e banche, sempre meno coinvolte nell'azienda da un punto di vista umano, limitando di fatto il proprio interessamento al solo tornaconto economico. Questo in un mercato sempre più libero e globale, dove le regole di tutela si affievoliscono, la responsabilità soggettiva del capitalista si vaporizza a ovvio svantaggio del lavoratore.
Arrivati a questo punto, la lotta di classe, reazione naturale nell'era della rivoluzione industriale, oltre ad essere inadeguata è anacronistica.

Tornando alle due concezioni opposte, quali il liberismo e il comunismo, vogliamo sottolineare che se la prima dice che la giustizia è nella libertà ( non si può avere giustizia senza libertà: libertà economica e libertà di proprietà, in primis, libertà civile per finire), la seconda afferma che la vera libertà dell'uomo è nell'uguaglianza.
Il comunismo, con Marx, afferma che le disuguaglianze tra gli uomini risiedono nella ricchezza economica, quindi in primo grado nella proprietà privata. Questo in una società liberista, dove tutto è ridotto all'avere, è senz'altro vero. La proprietà privata e la divisione del lavoro, sono ragioni d'ingiustizia. Se la libertà dell'uomo si concretizza nella libertà d'accumulo incondizionato, magari benedetto anche da Dio ( vedi "Etica protestante e spirito del capitalismo" di Weber) la proprietà privata, insieme all'artificioso arricchimento della finanza, sono motivo di disuguaglianza.
D'altronde non è pensabile neanche che si possa risolvere il problema appiattendo tutti gli uomini vestendoli di una stessa casacca e negando la proprietà privata: in nome dell'uguaglianza produciamo un'altra ingiustizia.
Non ci rimane che partire dall'irrinunciabile presupposto filosofico, opposto all'individualismo delle ideologie liberali, che pone l'uomo, come fece Marx, in un contesto collettivo, ove soltanto nella società consegue la sua individualità, si conferisce alla società stessa un " importantissimo valore morale" pur garantendo la proprietà privata, ma limitando questa al fine di " non essere disintegratrice della personalità fisica e morale".
Da qui si apre uno spiraglio che porta a quella terza via, che piaccia no, tracciata dal fascismo e che rimane percorribile ed attuale.
Senza approfondire l'aspetto ideologico del fascismo, coerentemente al tema trattato, vogliamo proiettare come all'inizio avevamo fatto per il liberismo e il comunismo, questa concezione sul piano dei rapporti umani/lavorativi.

Qual è il principio di ragione che porta il lavoratore sempre a sottostare al padrone o al sistema di potere economico da lui rappresentato? Nessuno, se non un arbitrario atto di forza codificato in legge dalla giurisprudenza, il fascismo con la socializzazione interrompe questa ingiustizia.
Come insegna il sociologo Michels, un rapporto di partecipazione reale non può che avvenire tra uguali. Noi non ci accontentiamo che il lavoratore partecipi con il datore di lavoro, sarebbe semplice collaborazione, noi vogliamo che sia parte essenziale e gestionale del processo di cui fa parte. Questo non potrà che essere fattibile solo quando le parti, lavoro e capitale, braccia e denaro, avranno stesso riconoscimento giuridico e sociale, abbiano in altri termini pari dignità. Non il lavoro a servizio del capitale, ma il capitale a servizio del lavoro, non l'uomo a servizio dell'utile, ma l'utile al servizio dell'uomo.
Parlare di pari dignità tra lavoro e capitale è la chiave di volta per risolvere il problema che non ha avuto a tutt'oggi soluzione.
Certo parlare di pari dignità significa rivoluzionare il senso più profondo di questa società dove tutto è proteso ad un fine utilitaristico e dove il danaro , adottato come unico parametro di riferimento, è sublimato a nuovo ethos, ma sta a noi raccogliere la sfida.
Porre sullo stesso piano chi porta le proprie capacità professionali (manuali o intellettive), e chi ci mette i soldi oltre ad essere la via da battere è un dovere sociale per tutti quelli non disposti ad appiattire l'uomo su un piano esclusivamente economico e/o consumistico.
E' questa la visione dell'umanesimo del lavoro, la concezione antropocentrica che fu tracciata da Gentile e rafforzata da Spirito.
Chiamatela pure socializzazione, o corporativismo integrale, o comunismo con diritto alla proprietà, chiamatela, chiamiamola pure come volete, basta che sia la nostra bandiera per l'emancipazione più alta dell'uomo e del suo lavoro.
Lorenzo Chialastri - Cave (Roma)

martedì 3 giugno 2014

PROCESSO ALLA DEMOCRAZIA

PROCESSO ALLA DEMOCRAZIA


 
PROCESSO ALLA DEMOCRAZIA
( 02-06-14 )
Partiamo da un dato di fatto provato ed  incontrovertibile, una vera e propria legge naturale: in natura la qualità è inversamente proporzionale alla quantità.
Ne consegue che è statisticamente provato che il giusto, l’intelligente, il bene, l’opportuno e il conveniente risiedono nelle minoranze e mai nelle maggioranze perché le seconde hanno una probabilità molto maggiore di sbagliare.
Un vecchio professore, pieno di anni, di esperienza e di acume diceva:” Quando troppa gente mi da ragione, allora sono quasi sicuro di essere in errore”
In democrazia le decisioni più importanti sono prese dalle maggioranze e quindi, per quanto dianzi dimostrato, dai meno preparati, dai meno intelligenti e dai meno capaci e questo ci sembra il modo migliore per prendere decisioni sbagliate per la comunità.
E’ altrettanto vero che in pratica la maggioranza decide solamente su chi comanderà e che i politici di professione se ne infischiano del concetto di democrazia ed applicano una oligarchia che fa capo a gruppi economici ed ideologici che, una volta al potere, fanno interessi che sono particolari e non generali.
In Italia 70 anni di democrazia hanno ampiamente dimostrato quanto andiamo dicendo con gli scandali, le ruberie, la corruzione ed i comportamenti paramafiosi che hanno devastato il Paese e non hanno invece fatto fare quelle leggi e quelle riforme che sarebbero state necessarie per ben governare!
Ma tutto ciò rimane un’aberrazione, un falso ed una presa per i fondelli in cui nessuno è quello che dice di essere e nessuno fa quello che ha promesso di fare!
Sarebbe allora più logico e soprattutto più onesto riconoscere i limiti intrinsechi della democrazia quanto quelli della possibilità della sua realizzazione pratica e non affidarsi ad essa per il governo delle nazioni.
A questo punto i democratici insorgono dicendo che se non c’è la democrazia, allora c’è la dittatura che è molto peggio,
A parte che, come in tutte le forme di governo il bene o il male non dipende dalla forma, ma sempre dalla natura di chi comanda e noi possiamo citare dittatori ottimi come Benito Mussolini che tanto di buono e di bene ha fatto per l’Italia ed agli italiani come dimostrano non le chiacchere, ma la mole di leggi e di riforme realizzate nei venti anni di suo governo, resta il fatto che le dittature presuppongono un dittatore che non sempre è presente e disponibile in quanto per esserlo si debbono avere delle qualità di personalità, di capacità di comando e di intelligenza strategica che non sono sempre alla portata di qualcuno.
Ma la ragione per la quale i democratici si sbagliano ( ed appartenendo ad una maggioranza si capisce bene il perché sempre in ragione che in natura la qualità è inversamente proporzionale alla quantità ) è che la dittatura NON è l’unica alternativa alla democrazia.
Noi riteniamo che l’alternativa più valida alla democrazia sia invece la MERITOCRAZIA.!
Partiamo con un esempio per non perderci subito nella teoria.
Il generale Josef Radetzky che fu governatore del Lombardo Veneto per conto dell’impero austriaco, aveva poteri assoluti e governò bene quelle terre tanto da lasciare un’eredità di ottima amministrazione e di progresso economico tra le più fiorenti d’Italia.
Egli non aveva bisogno di elargire favori a nessun politico ed a nessun faccendiere per conservare la sua carica che gli era stata affidata dall’imperatore per le sue qualità e le sue capacità e quindi il suo unico scopo era quello di dimostrare che la sua amministrazione era corretta e la migliore possibile tramite i risultati positivi ottenuti.
Se il governo delle nazioni, delle regioni e dei comuni fosse attribuito a persone scelte tramite una selezione meritocratica, così come pure avvenisse per i parlamentari, allora non dovremmo assistere allo scambio di favori per ottenere i voti e gli incarichi e si trancerebbe alla base uno dei principali motivi del malgoverno.
D’altronde quando uno di noi deve decidere da quale medico farsi curare, o quale ingegnere assumere per costruirsi la casa od a quale avvocato affidare una causa importante, la prima informazione che assume è se e quanto quella persona sia capace ed esperta.
Non si vede perché non debba usare lo stesso metodo per amministrare la cosa pubblica ed il governo del Paese.
Si potrà discutere su quale possa essere il metodo migliore per raggiungere tale obiettivo, ma l’importante è di incamminarsi sulla strada giusta, nella giusta direzione e con  un preciso traguardo da raggiungere anziché insistere a rimanere in una condizione come la democrazia  virtuale in cui ci troviamo che non può che dare frutti avvelenati!
Un  grande statista del passato, il Tayllerand soleva dire: ” La democrazia è l’arte di contare i nasi anziché i cervelli “
Alessandro Mezzano 

L’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA DURANTE LA R.S.I.

  

  L’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA DURANTE LA R.S.I.

Che il Fascismo attribuisse grande importanza all’industria cinematografica è noto. Come è noto che, con la fondazione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, prima (1932) e con la creazione di Cinecittà poi (1937), esso dette a questa industria un impulso eccezionale, portandola al livello delle principali cinematografie mondiali.
 Meno conosciute sono le vicende della cinematografia italiana dall’8 settembre 1943 all’aprile 1945, cioè durante la Repubblica Sociale Italiana.
  Subito dopo la costituzione della R.S.I. il Ministro della Cultura e Propaganda Fernando Mezzasoma, preso atto della avvenuta distruzione pressochè totale di Cinecittà ad opera dei bombardieri anglo-americani e dei successivi saccheggi, decise di trasferire nel Nord Italia le strutture trasferibili e il personale interessato.
 Il luogo prescelto fu Venezia ed esattamente una ex fabbrica di birra nell’isola della Giudecca.
 Si parlò di Cineisola o, anche, di Cinevillaggio e l’attività fu subito ripresa. Furono iniziate molte pellicole e l’intenzione era di produrre almeno 20 films l’anno. L’andamento del conflitto non consentì di raggiungere tale obiettivo, tuttavia uscirono cinque films : Un fatto di cronaca di Piero Ballerini, Peccatori di Flavio Calzavara, Vivere ancora di Nico Giannini, La buona fortuna di Fernando Cerchio e Aeroporto di Piero Costa. Tali films, ad eccezione di Aeroporto che era la storia di un pilota che, dopo l’armistizio, tornava a combattere, non erano assolutamente di propaganda politica ma libero frutto della creatività di autori e registi.
 Un certo numero di registi ( Piero Ballerini, Fernando Cerchio, Francesco De Robertis, Giorgio Ferroni…..) e molti attori sostennero questa attività e si spostarono al nord. Essi furono:
Silvio Bagolini, Luisella Beghi, Renato Bossi, Rossano Brazzi, Gino Cervi, Andrea Checchi, Valentina Cortese, Nino Crisman, Maurizio D’Ancona, Doris Duranti, Mino Doro, Luisa Ferida, Oretta Fiume, Antonio Gandusio, Lauro Gazzolo, Emma Gramatica, Giovanni Grasso, Liliana Laine, Roldano Lupi, Ondina Maris, Miretta Mauri, Neda Naldi, Germana Paolieri, Milena Penovich, Salvo Randone, Carlo Romano, Tito Schipa, Laura Solari, Elio Steiner, Osvaldo Valenti, Roberto Villa, Elena Zareschi.
  I films prodotti vennero proiettati nelle sale cinematografiche che, come i teatri, rimasero aperte e continuarono a funzionare per tutto il tempo.
 Così anche in questo settore, come in tutti gli altri della vita civile, la R.S.I. riuscì a mantenere, malgrado i gravi disagi provocati dalla guerra, uno stato di normale efficienza.