martedì 20 gennaio 2015

DILEMMA CRUDELE TRA STORIA E MEMORIA

DILEMMA CRUDELE TRA STORIA E MEMORIA

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, ci è stata data la versione dei vincitori sui fatti bellici più importanti. Come tutti sanno, è stato detto che le truppe di Hitler non si interessavano soltanto ai combattimenti, ma mettevano in pratica un feroce piano di sterminio rivolto soprattutto agli ebrei. Per molti anni tutti abbiamo creduto a questa versione dei fatti, ci siamo commossi guardando film sull’argomento, e siamo rimasti inorriditi dagli scheletri ammassati nei pressi dei lager.
Ma negli ultimi anni diversi storici indipendenti hanno messo in dubbio questa versione dei fatti, sostenendo che su molti aspetti di questa versione non ci sono prove, o non ci sono fatti storici sufficienti a suffragarla. Uno di questi studiosi è il prof. Robert Faurisson, di cui pubblichiamo uno scritto suddiviso in due parti.
“Shoah con gas” o ” Shoah con pallottole”: nessuna prova materiale o medico-legale!
Del prof. Robert Faurisson
“In una sentenza resa il 26 aprile 1983 i magistrati francesi hanno riconosciuto il carattere scientifico delle mie ricerche e conclusioni su ciò che la storica Olga Wormser-Migot, nel1968, chiamava “il problema delle camere a gas“. Hanno concluso che tutti dovevano avere il diritto di dichiarare, come l’avevo fatto io, che quelle pretese armi di distruzione di massa non erano esistite nè avrebbero potuto esistere. La sentenza della prima camera, sezione A, della Corte d’Appello di Parigi, presidiata da François Grégoire, è consultabile nell’Epilogo giudiziario dell’affare Faurisson, di Jessie Aitken, edizioni de La Vieille Taupe, 1983 (riedizione nel 1986).Sono stato io, il 19 marzo 1976 a scoprire, i piani [di costruzione] sino ad allora cosi accuratamente nascosti, dei crematori di Auschwitz e di Birkenau che presumibilmente avrebbero dovuto contenere camere a gas (omicide). Questi piani hanno rivelato che quei crematori non hanno mai avuto camere a gas ma, a seconda dei casi, o un deposito in superficie (Leichenhalle), oppure dei depositi seminterrati per proteggere i cadaveri dal calore (Leichenkeller), o altri ambienti inoffensivi. Avevo rapidamente, constatato che gli storici e i giudici che trattavano il “genocidio degli ebrei” e delle “camere a gas naziste” si accontentavano, su questi soggetti, di “testimonianze” o di “confessioni” e si esoneravano freddamente dalle prove materiali. In particolare, malgrado si trattasse, di crimini atroci e sistematici, innumerevoli e senza precedenti, nessuno aveva ricercato la prova medico-legale dell’esistenza e del funzionamento di una sola di quelle stupefacenti camere. Eccezione fatta per la pretesa camera a gas dello Struthof, vicino Strasburgo, avvenuta in Francia a partire dal 1944. Nessuna fortuna per l’accusa! Il primo dicembre 1944, il professor René Fabre, decano della Facoltà di farmacia di Parigi, incaricato della perizia, concludeva le sue ricerche tossicologiche con una doppia negazione: non c’era nessuna traccia di HCN sia nella pretesa camera a gas dello Struthof, sia nei cadaveri degli ebrei, falsamenti gasati (e parzialmente conservati all’Ospedale civile di Strasburgo).
Fatto notevole: il rapporto della sua perizia, in una data indeterminata, scompariva dagli archivi della Gendarmeria e della Giustizia militare (Le Blanc, Indre), ma, fortunatamente nel 1982, scoprii personalmente un rapporto firmato da esperti medici Simonin, Fourcade e Piedelièvre che attestavano la doppia constatazione negativa del professor Fabre. Fatto non meno importante: malgrado la pubblicazione, da parte mia, all’inizio del 1980, di queste scoperte riguardanti la perizia del citato professore, gli storici si ostinavano a tacerla. A tal punto che, per esempio, lo storico Robert Steegmann non ha nemmeno menzionato il nome di René Fabre nelle due opere di 875 pagine che ha consacrato allo Struthof nel 2005 e nel 2009 e dove presenta come accertati sia l’esistenza che il funzionamento di una camera a gas omicida in quello stesso campo. (http://robertfaurisson.blogspot.fr/2013/05/il-est-temp-den-finir-avec-la-chambre.html). Sono stato il primo e , durante lunghissimi anni, il solo a contestare l’esistenza e il funzionamento della magica camera a gas nazista presentando prove fisiche, chimiche, archichetturali e topografiche che sono di uso abituale nelle ricerche criminali della polizia tecnica (con indagine in situ sull’arma del crimine) e della polizia scientifica (con analisi di laboratorio). Mi sono lanciato su numerosi studi e consultazioni nel domini scientifici, nel Laboratorio centrale della Prefettura di Parigi, consultando esperti di gas, in Francia o all’estero, presso fabbricanti o utilizzatori di Zyklon B per disinfezione, presso specialisti di camere a gas di disinfezione o disinfestazione, di forni crematori ecc.. Mi sono particolarmente interessato alle camere a gas di esecuzione utilizzate fino agli ’90 nei penitenziari americani (funzionanti con HCN, che è l’elemento essenziale dello Zyklon B). Mi ha sorpreso constatare che in Germania, in Austria e negli Stati Uniti, paesi in cui non mancano certo né ingegneri, né chimici, non ci si sia mai posti la domanda sulla fattibilità del gasaggio di milioni di uomini, di donne e bambini con il HCN cioè con un gas esplosivo, cosi pericoloso da manipolare che gli Americani avevano dovuto, per l’esecuzione di una sola persona, mettere a punto un locale completamente in acciaio, straordinariamente complicato, munito di una porta a volante come nei sottomarini, dotato di un macchinario sofisticato, soprattutto per la ventilazione del gas da evacuare e da neutralizzare, in mancanza del quale, dopo l’esecuzione, non si sarebbe potuto toccare un cadavere impregnato di HCN e farlo uscire dalla camera. Negli Stati Uniti, per una sola esecuzione, tutto il penitenziario era sul piede di guerra. Poiché il gasaggio per l’esecuzione è oltremodo più pericoloso di quello per la disinfezione. L’argomento della camera a gas americana si è rivelato di una tale efficacia che in un certo qual modo, il mio studio della vera camera a gas americana ha permesso di discreditare totalmente l’immaginaria camera a gas tedesca. Detto questo, si resta perplessi davanti al livello di credulità, a questo proposito, degli uomini sia del XX secolo e dell’inizio del XXI secolo. In questi “secoli di scienza” si è arrivati ad abbindolare miliardi di persone e a convincerle di ciò per anni, i Tedeschi hanno utilizzato un’arma di distruzione di massa che non è mai stata mostrata se non in forme vaghe o fantasmagoriche. Ancora oggi, a Auschwitz si fa visitare ai turisti un locale battezzato “camera a gas” mentre, come ha finalmente ammesso lo storico Eric Conan nel 1955, “Tutto è falso” (“Le falsificazioni di Auschwitz secondo un dossier di L’Express“; “Note sulla rivista L’Histoire, dicembre 1999“, “La “Camera a gas”di Auschwitz“. Ma Padre Patrick Desbois non ha fatto lo stesso con la sua “Shoah da pallottole“? Afferma di aver scoperto in Ucraina siti di 850 carnai contenenti un milione e mezzo di cadaveri ebrei. Mostra le supposte aree di alcuni carnai ma nessun cadavere, se non in un cimitero ebreo. Ci spiega che un rabbino, da lui interpellato a Londra, gli ha assicurato che le vittime della Shoah sono sante e che quindi, nessuno ha il diritto di disturbare il loro riposo con degli scavi.
E il gioco è fatto. E’ sufficiente avere la fede olocaustica e credere, come nel Museo dell’Olocausto di Washington, nell’iscrizione che, nel mezzo della sua esposizione permanente, sovrasta la fotografia di un impressionante ammasso di “scarpe dei gasati” (sic), di scarpe parlanti che ci dicono in coro: “Siamo gli ultimi testimoni”. Tutte le autorità politiche, religiose, universitarie hanno all’inizio osannato Padre Desbois. Con la sua “Shoah con pallottole” (e la sua “Shoah da soffocamento” piumini o cuscini) non aveva trovato un sostituto a una ”Shoah con gas” che mostrava gravi segni di affanno? Sfortunatamente per il taumaturgo, il discredito comincia a colpire anche lui, e la sua stella sbiadisce (“Querelle intorno a Padre Desbois” Le Monde 19/06/09). La scienza non è altro che una lunga serie di errori rettificati. Nella sua essenza è revisionista. Invece di punirlo come un malfattore, l’apparato giuridico, dovrebbe proteggere il ricercatore innamorato dell’esattezza. Quel ricercatore, che lo voglia o no, è un benefattore dell’umanità.
 è’ ora di finirla con gli 86 « gasati » nella « camera a gas » di Natzweiler-Struthof
Il vecchio campo di concentramento de Natzweiler-Struthof, è collocato sul territorio del comune di Natzwiller (Basso- Reno), a 50 chilometri da Strasburgo. Distante qualche centinaio di metri c’è un edificio che si presume contenere una camera a gas d’esecuzione, funzionante ad acido cianidrico. Nel 1951 è stato classificato come “monumento storico”, una targa sulla facciata ne attesta la classificazione. L’impostura è evidente. In ogni modo una perizia scientifica condotta dal Professor René Fabre, decano della facoltà di farmacia a Parigi, ha provato che non c’era traccia di acido cianidrico, né nei cadaveri o frammenti di cadaveri accuratamente conservati a Strasburgo, né nel locale che si suppone sia servito nell’agosto 1943 a gasare, in quattro sequenze, un totale di 86 ebrei. E’ il 27 Marzo 1980, quando scopro l’esistenza di questo rapporto, datato 1°dicembre 1945 e delle sue conclusioni, ma … il rapporto stesso era sparito dagli archivi della Gendarmeria e della Giustizia militare. Fortunatamente ho scoperto un’altra perizia, firmata da tre medici e testimoniante del rapporto Fabre e del suo contenuto doppiamente negativo. Penso sia inutile aggiungere quanto i nostri storici di corte, si preoccupino di far passare sotto silenzio questo documento, che disturba veramente troppo la tesi sterminazionista.

 E’ ora di finirla con la « camera 
a gas » dello Struthof e i suoi 86 « gasati »
L’attualità mi costringe a tornare sulle voci relative al campo di Natzweiler-Struthof, campo che per l’ennesima volta si tenta di resuscitare. Già il 12 dicembre 2005, mi correva l’obbligo di scrivere un testo intitolato « Resurrezione di un vecchio serpente di mare: la camera a gas e gli 86 gasati dello Struthof » Come molte voci di guerra questa ha conosciuto versioni estremamente variabili e contraddittorie finendo per fissarsi sotto la seguente forma: nell’agosto del 1943 Josef Kramer, il comandante di questo campo situato a 50 chilometri da Strasburgo, vi avrebbe personalmente (!) giustiziato per mezzo di acido cianidrico, in una piccola camera a gas, in diverse infornate, 86 ebrei, inviati apposta da Auschwitz, su richiesta del professor August Hirt… desideroso di arricchire la sua collezione di scheletri a Strasburgo. Sono ormai più di sessantasei anni che una perizia tossicologica, firmata dal Dott. René Fabre, decano della Facoltà di farmacia a Parigi, ha stabilito, nelle conclusioni rese il 1°dicembre 1945, che né il locale, né i cadaveri (o resti dei cadaveri) presentavano tracce di acido cianidrico! Quindi alla data del 1°dicembre 1945 le conclusioni erano perfettamente chiare : non c’erano né armi (la pretesa camera a gas) né vittime (86 pretesi gasati), per confermare la voce di queste uccisioni. La voce era quindi solo una voce. L’esistenza di questa perizia era stata taciuta in modo ostinato. Con quale diritto? E come si può continuare a scrivere di questa pretesa camera a gas omicida e delle sue pretese vittime senza tener conto della suddetta perizia e soprattutto avere l’accortezza di non nominarne mai l’autore?
Le mie scoperte del 27 marzo 1980
Poiché, in realtà il crimine non è stato commesso, due misteri si dissolvono in un colpo solo. Sin qui, in effetti, ci si chiedeva come mai, alla fine del 1944, abbandonando il campo di Struthof, i Tedeschi non si fossero preoccupati di far sparire l’arma del delitto e come mai a Strasburgo, il Dottor Hirt avesse lasciato sul posto i cadaveri di quelle vittime. La chiave di questi due “misteri” sta, si vede dalla perizia Fabre, nel fatto che quell’arma prodigiosa e quelle vittime di un omicidio abominevole, non sono mai esistite. Quella perizia ci spiega anche un terzo “mistero”: il fatto che dopo la guerra, durante i processi a carico dei medici dello Struthof (a Metz nel 1952 e a Lione nel 1954), “sembrerebbe” che i tribunali francesi non abbiano condannato questo “orrore nazista”, che se fosse veramente accaduto, sarebbe stato il maggior crimine di Struthof. Sono costretto a dire “sembrerebbe” perché non avendo avuto accesso ai dossier dei processi, malgrado la mia richiesta scritta mi sono limitato:
1) innanzitutto agli articoli di stampa di questo processo
2) alle affermazioni di tre avvocati da me consultati (di cui Avv. Albert Naud e Avv. Raymond Geouffre de la Pradelle) e infine
3) alle opere concernenti lo Struthof.
In compenso, ho avuto accesso, nel modo che vi indicherò più sotto, a consistenti dossier della Gendarmeria e della Giustizia militare relativi a questo campo. E proprio li, il 27 marzo 1980, alla presenza di tre persone che mi accompagnavano nell’ indagine, ho fatto una doppia scoperta:
1) un documento firmato dai due professori di medicina (Piédelièvre e Simonin) e da un medico (Fourcade) che attestava l’esistenza sia delle conclusioni negative, che della perizia Fabre;
invece
2) la perizia stessa restava INTROVABILE nell’integralità dei dossier consultabili.
Dalla fine degli 1990 ad oggi, si può constatare come  tra gli storici, ma non sui media, né per il grande pubblico, le camere a gas naziste siano in via di rarefazione o sparizione. Non c’è più fede (si vedano a questo titolo, le mie osservazioni nel « Les chambres à gaz et Le Monde en perdition » “[http://robertfaurisson.blogspot.it/2012/09/les-chambres-gaz-et-le-monde-en.htmle « Serge Klarsfeld : à Auschwitz 1000 juifs déportés de France ont été gazés … au lit ! » [http://robertfaurisson.blogspot.it/2012/12/serge-klarsfeld-auschwitz-1000-juifs.html. Certo, alcuni storici affermano ancora qui e lì, la presenza di camere a gas naziste ad Auschwitz o altrove e continuano a usare le parole « gasare », « gasaggi » o « gasati », ma solo come convenzione e automatismo di linguaggio. Non si soffermano più sul soggetto, lo schivano. E questo ad un punto tale, che verso la fine degli anni 1990, la moda del « la Shoah da gas » sembrò cedere il passo alla moda del « la Shoah da pallottole » ma quest’ultima invenzione, dovuta a Père Patrick Desbois (un sacré farceur !),( un grande burlone !) ha iniziato anch’essa a perdere lustro.
Nel 2005 e nel 2009, lo storico Robert Steegmann appoggia la tesi ufficiale
Tra gli storici che hanno poca fede nella camera a gas nazista, si noti un’eccezione: quella di Robert Steegmann, storico dello Struthof. La sua camera a gas, è vero, non misura nemmeno 9 mq, ma va bene, gli è sufficiente. Il nostro storico vi si attacca e ne difende ancora l’esistenza e l’autenticità, al contrario, per esempio dei suoi colleghi, che nemmeno nel caso di Auschwitz, osano più pretendere di possedere prove fisiche dell’esistenza e del funzionamento delle pretese camere a gas omicide (si veda su Robert Jan van Pelt :  http://robertfaurisson.blogspot.it/2011/09/les-victoires-du-revisionnisme-suite.html.Nei due grossi dotti libri che ha consacrato allo Struthof nel 2005 (Struthof, Strasbourg, La Nuée bleue 496 p.) e nel 2009 (Le camp de Natzweiler-Struthof, Paris, Seuil, 379 p.) R. Steegmann ha parlato di questa « camera », con insistenza nella prima delle due opere. Ma ci nasconde caparbiamente l’arma del crimine: non ci mostra nessuna foto, nessun disegno tecnico, nessuno studio tecnico o scientifico! Eppure quella prima opera conteneva circa 40 foto e nella seconda ci si dice che «Solo lo stabile della camera a gas resta chiuso [ai visitatori ]” (pag. 354), ciò che in realtà avrebbe dovuto spingere l’autore a mostrarcela in foto. Infine, sulla scia dei suoi predecessori, ci gratifica con l’orribile storia del Dottor Hirt, della sua “ordinazione” di ebrei ad Auschwitz e del gasaggio degli stessi allo Struthof.
Rimessa in discussione della tesi ufficiale
Ho personalmente discusso molto della «camera a gas» dello Struthof, ho potuto esaminarla nel 1974, prima di tornarci nel 1978 con l’Avvocato Eric Delcroix e altri testimoni. Ho pubblicato delle fotografie e ne ho spesso ricordato tanto  la leggenda quanto la verità. Nel 1980, Serge Thion ha riprodotto fedelmente numerosi miei scritti sul soggetto in questione nella Vérité historique ou vérité politique ? / Le dossier de l’affaire Faurisson / La question des chambres à gazParis, la vielle Taupe. Si vedano le pagine 26, 61, 78, 82, 86, 89, 101, 104, 108-109, 111, 123, 173, 185, 207 (n.), 312-313, 335. Nella pagina 312 figurano due fotografie che da sole, mostrano l’assurdità della tesi di un gasaggio in un locale simile: l’acido cianidrico avrebbe gasato lo stesso gasante in mancanza di:
1) un isolamento draconiano,
2) di una porta a tenuta stagna come nei sommergibili,
3) dei ventilatori orientabili,
4) un estrattore potente o un neutralizzatore del gas da evacuare.
Tempi addietro avevo sfiorato il soggetto in una  lettre au Monde (16 janvier 1979, p. 13) ; questa lettera fu in seguito riprodotta nel mio Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoireParis, La Vielle Taupe, 1980, p. 83-88. Vi avevo sottolineato che alla stregua di tutte le altre pretese camere a gas naziste, sia allo « stato originario » sia allo stato di rovine, quella dello Struthof, all’indomani della guerra, non era stata oggetto di nessuna perizia criminale completa. In seguito però, come ho scritto sopra, il 27 marzo 1980, scoprii
1) che la « camera a gas » dello Struthof era stata oggetto di una perizia in debita forma;
2) che le conclusioni della stessa perizia erano state negative;
3) che anche se il testo della suddetta perizia era sparito, la sua esistenza era attestata da tre esperti che se non specialisti in tossicologia, lo erano in medicina legale.
Per anni, instancabilmente sono tornato sul soggetto in questione, ma le mie tre scoperte, i miei argomenti, le mie domande non hanno mai avuto risposta; peggio, hanno fatto finta che il professor René Fabre, non avesse mai redatto la perizia. Mentre nei primi quattro volumi dei miei Ecrits révisionnistes, il nome del professore appare nelle pagine, 232, 253, 395, 519, 879, 1060, 1230, 1399, 1552-1553, 1576, 1682, il nome dello Struthof appare in una sessantina di pagine annotate nel sommario. Il 12 dicembre 2005, nelle pagine 87-88, ho riprodotto il mio articolo sulla «Résurrection d’un vieux serpent de mer ».

 Per approfondire: http://robertfaurisson.blogspot.it/








Dalla fine della Seconda guerra mondiale, ci è stata data la versione dei vincitori sui fatti bellici più importanti. Come tutti sanno, è stato detto che le truppe di Hitler non si interessavano soltanto ai combattimenti, ma mettevano in pratica un feroce piano di sterminio rivolto soprattutto agli ebrei. Per molti anni tutti abbiamo creduto a questa versione dei fatti, ci siamo commossi guardando film sull’argomento, e siamo rimasti inorriditi dagli scheletri ammassati nei pressi dei lager.
Ma negli ultimi anni diversi storici indipendenti hanno messo in dubbio questa versione dei fatti, sostenendo che su molti aspetti di questa versione non ci sono prove, o non ci sono fatti storici sufficienti a suffragarla. Uno di questi studiosi è il prof. Robert Faurisson, di cui pubblichiamo uno scritto suddiviso in due parti.
Seconda parte: 
Nel 2013 Le Monde rilancia la tesi ufficiale!
Nell’aprile 2013 è riapparso il serpente di mare (nel gergo giornalistico il “castagno”) [tòpoi]. In quest’occasione e con una certa prontezza, la stampa francese ha tentato di riproporci i rumori sullo Struthof. Cosi nel suo supplemento « Télévisions » (28-29 avril 2013, p. 9), Le Mondepubblica un articolo di Jean-Baptiste de Montyalon in cui si annuncia che, il lunedì 29 Aprile, France 3 avrebbe diffuso un documentario di 55 minuti: «In nome della razza e della scienza – Quando i nazisti volevano conservare tracce degli ebrei che sterminavano». Questi erano il titolo e il sottotitolo dell’articolo di cui ecco un estratto:
 …“Una missione é inviata [nel 1943] ad Auschwitz per scegliervi 115 persone. I requisiti di quest’ultime sono indirizzati a Hirt, che ne sceglie 87 e poiché i cadaveri rischierebbero di  deteriorarsi con il trasporto, gli ebrei sono convogliati verso il blocco 13 del campo dello Struthof, in Alsazia. Al fine di dare loro un buon aspetto fisico, vengono nutriti correttamente. Nello stesso tempo una piccola camera a gas è allestita in una vecchia sala per le feste, distante 800 metri dal campo. In una sera dell’agosto 1943, tutti vengono condotti li, in quattro gruppi distinti. Una donna si ribella ed è uccisa, il suo corpo sarà scartato dalla « collezione ». – Il primo dicembre 1944 quindi, nei sottosuoli dell’Istituto di anatomia dell’università del Reich di Strasburgo, gli alleati scoprono 86 corpi, di cui 16 cadaveri sono interi, i restanti invece mutilati e irriconoscibili. Per delle ragioni restate misteriose Hirt una volta preparata, non ha potuto fare la sua « collezione ».Ha solo tentato di mascherare il crimine per poi negarlo.”…
Nel 1979, la LICA(LICRA), alla quale si univano altre otto associazioni, mi aveva intentato un vasto processo per “danni”, causati, dicevano, “dalla falsificazione della storia” perché, ne Le Monde e altrove, al termine di una lunga e meticolosa inchiesta, avevo all’epoca concluso che le pretese camere a gas hitleriane (allo Struthof come altrove) e il preteso genocidio ebreo costituivano una sola e stessa menzogna storica. Non è più possibile oggi, immaginare quanto questa conclusione avesse indignato anche gli storici più esperti; i tempi sono cambiati e specialmente grazie ad internet, ”gatta ci cova” e “l’ingranaggio non funziona più”: La LIC[R]A era partita in battaglia armi alla mano e sicura della sua vittoria. Ma dovette disilludersi presto. Due avvocati ebrei tra cui Robert Badinter, erano tornati praticamente a mani vuote da una missione in Polonia e in Israele dove erano andati a cercare prove dell’esistenza di camere a gas naziste. Abbondanti in quantità, i documenti raccolti però si rivelarono di una cosi cattiva qualità, che nel dicembre 1992 davanti alla prima corte d’appello di Parigi, sezione A, fecero disperare l’Avvocato Bernard Jouanneau, il corifeo della LIC[R]A. Prendendo un’iniziativa che stava per ritorcersi contro di loro, i miei avversari avevano chiesto alle autorità competenti il diritto di accedere ai documenti giudiziari riguardanti il campo dello Struthof e conservati al Blanc (Indre) dalla direzione della Gendarmeria e della giustizia militare: Ne ignoravano il contenuto, ma contavano sulla Provvidenza per fare scoprire alle autorità in un mucchio di documenti, la prova che almeno nello Struthof era esistita e funzionava una camera a gas nazista. Fu loro accordato l’accesso ai documenti e di conseguenza anche a noi. Nel Palazzo di Giustizia, dal 27 marzo al 5 giugno 1980, per 8 lunghe sedute di consultazione, sotto la sorveglianza, discretamente rilassata di un funzionario, l’Avvocato Eric Delcroix, io e altre due persone che ci accompagnavano, avemmo la possibilità di scoprire un certo numero di documenti che avrebbero nettamente rinforzato le conclusioni revisioniste. Fummo costretti a prendere appunti, poiché le fotocopie erano vietate. Dal primo giorno e dal mio primo esame del primo dossier, m’imbattei su quelli che chiamammo tra di noi «gli altarini» e che non erano altro che la doppia conclusione del rapporto Fabre. Come costatammo, sfortunatamente in seguito, il testo del rapporto restò introvabile sino alla fine. La sua scomparsa era datata o recente?
Questo singolare rapporto era sparito, guarda caso l’antivigilia della nostra consultazione, cioè il 25 marzo 1980, giorno in cui George Wellers per conto della LIC[R]A, aveva ottenuto il privilegio di aprire la serie di consultazioni? 
Le conclusioni negative della perizia del Professor René Fabre
Il fatto certo è che noi abbiamo la prova circostanziata che René Fabre avesse chiuso la sua inchiesta in maniera doppiamente negativa. Lo stesso cartone n°1 conteneva in effetti, un “Documento 96/B”, consisteva in un “rapporto di perizia” del Professor Piédelièvre (Parigi)  Dottor Simonin (Strasburgo) e del Dottor Fourcade (Strasburgo). Il rapporto era relativo
1) allo Struthof, la « camera a gas » che stranamente, i Tedeschi non si erano preoccupati di distruggere;
2all’Ospedale civile di Strasburgo, i cadaveri o i loro resti che sempre stranamente, i Tedeschi non si erano preoccupati di far sparire.
Eppure, l’evacuazione del campo non era stata fatta in fretta: era cominciata all’inizio del 1944 e gli Americani erano arrivati solo il 25 novembre; a titolo d’esempio, il Professor Hirt, come sempre in tempo di guerra, aveva fatto distruggere dei documenti dalla sua segretaria, prima di lasciare il posto (Steegmann 2009, p. 327). Nel loro rapporto i tre esperti (che non erano tossicologi e deludevano le conclusioni del prestigioso tossicologo R. Fabre) scrivevano:
Ricerche tossicologiche. Inventario dei reperti sottomessi all’esperto tossicologo, Professor FABRE della facoltà di Farmacia a Parigi.
– Reperto W. Prodotto di raschiamento del muro esterno della camera a gas, intorno al camino.
– Reperto X. Calcinaccio proveniente dal camino esterno della camera a gas nel momento della sua rimozione (pag. 52).
Ricerche farmacologiche. I prelievi di sangue dalle viscere, fatti nel corso delle autopsie hanno dato luogo, da parte del Dottor FABRE, a ricerche tossicologiche.
– Dal suo rapporto datato 1° dicembre 1945, riproduciamo le conclusioni:
“ Nelle viscere conservate nel liquido di conservazione (alcol + formalina) dati ai fini delle analisi, non sono state riscontrate sostanze volatili tossiche, e in particolar modo di acido cianidrico”. E’ opportuno ricordare che quella tossicità, secondo le prove preliminari, non sarebbe stata riscontrata, se non presente in una dose superiore ai 6 milligrammi sul campione prelevato. (pag.61). [In seguito i medici dando la loro opinione aggiunsero come commento ]  :Le conclusioni negative della perizia del professor FABRE non sono da ritenere false nel quadro della possibilità, anzi della grande probabilità, di intossicazione da acido cianidrico (pag. 67). Si noti come in quest’ultima affermazione, dove si trattava  di “possibilità” o di “grande probabilità” e non di “certezza”, non c’ era nemmeno un accenno di una qualunque giustificazione da parte dei tre medici. Durante il processo intentatomi dalla LIC[R]A e altre 8 associazioni, la mia scoperta del 27 marzo 1980 mise i miei avversari nell’imbarazzo e, suppongo, contribuì all’apprezzamento che i magistrati della Corte d’appello fecero in seguito, per la qualità delle mie ricerche, in generale, sulla questione delle camere a gas naziste. In ogni modo, un’importante quantità di fatti da me riportati nei miei numerosi scritti sul soggetto, rendeva impossibile l’esistenza, soprattutto sul piano fisico in quel luogo di una camera a gas di esecuzione con acido cianidrico. Vi rinvio su questo alle constatazioni che ho potuto fare negli Stati-Uniti, sulla spaventosa complessità e l’estrema pericolosità del’exécution d’un seul condamné au moyen précisément de ce gaz.. Al processo i miei avversari, hanno in pratica rinunciato volontariamente a citare l’argomento della «camera a gas» dello Struthof. Il corso del processo volgeva manifestamente a mio favore a tal punto che durante le udienze anche i nostri avversari non hanno potuto sfruttare in nulla quegli archivi, archivi dai quali ho ricavato il più grande profitto. Da qui  la conclusion formulée, le 26 avril 1983, dalla prima camera della Corte d’appello (presidente François Grégoire), conclusione che nel linguaggio di un profano può essere riassunta cosi : sul capitolo delle camere a gas naziste non ci sono, nelle ricerche dl Signor Faurisson né leggerezza, né negligenza, né ignoranza intenzionale, né menzogna; pertanto tutti (esperti, storici e pubblico) devono avere il diritto di affermare eventualmente come Faurisson che le camere a gas naziste non sono esistite. Certo fui condannato, ma se si può riassumere cosi questa famosa sentenza, cosi chiara e decisa nella prima parte e cosi confusa nella seconda, sembrerebbe che sebbene il mio lavoro fosse impeccabile sulle camere a gas naziste, agli occhi dei magistrati della corte, mi sia reso colpevole di malevolenza.
Non si può persistere in una menzogna di questo calibro per oltre due generazioni
La Facoltà di farmacia di Parigi ha da tanto tempo una sala che porta il nome di René Fabre (1889-1966) ornata da un busto dell’onorevole decano, ma nel repertorio delle sue opere, consultabile presso la Biblioteca interuniversitaria di farmacia, 4 Avenue de l’Observatoire di Parigi (VI), la perizia è assente. Di questo rapporto ne è esistito più di un esemplare. Oggi che riemerge l’affare Struthof, occorre più di prima, intraprendere delle ricerche per trovare un esemplare del rapporto scomparso. Sono cosciente della gravità del dilemma davanti al quale si troveranno gli storici che sino a oggi hanno sostenuto la tesi ufficiale e immagino la confusione delle associazioni e delle autorità che hanno chiesto e deciso l’iscrizione della camera a gas dello Struthof nella lista dei monumenti storici. Ma non si può persistere in una menzogna che, con l’arrivo della terza generazione, diventa sempre più fragile. Dal 1941 al 1944, lo Struthof è stato testimone delle sofferenze degli uni , poi dal 1945 al 1948, testimone delle sofferenze degli altri (chiamati “collaborazionisti”). Riportato alla sua autenticità, costituisce l’emblema, tra i tanti, dei veri orrori e delle vere sofferenze della guerra e della guerra civile. Ecco, ora basta.
Il caso personale di R. Steegmann
Per quanto riguarda R. Steegmann, che scriveva a proposito della sua opera nel 2009: « Questo libro è il risultato di un lungo lavoro di vent’anni » (pag. 375) e che sicuramente conosce tutti i documenti del dossier, ci piacerebbe che rispondesse alle seguenti domande :
1) Perché ha taciuto l’esistenza del rapporto Fabre e delle sue conclusioni negative ?
2) Perché ha citato i medici Piédelièvre, Simonin e Fourcade, ma non quelli che hanno menzionato il rapporto Fabre? (Steegmann 2005 pagg. 313-316, cosi come le note 1261 – 1264, poste nelle pagine 479-480).
3) Perché ha citato The Struthof Album (New York, The Beate Klarsfeld Foundation, 1985) di Jean-Claude Pressac senza rivelare il contenuto dei passaggi devastanti dove Pressac, senza citare René Fabre, ne cita le conclusioni, apparentemente approvandole quando scrive : « toxicological testing was negative » (p. 12), « toxicological analyses, which seem to have yielded negative results » ou « the toxicological examination for cyanides did not yield any positive results » (p. 41)?
4) Perché non aver segnalato lo sbriciolamento da parte dello stesso J-C Pressac di alcune “testimonianze” tra cui quella del preteso gasante Josef Kramer, vecchio libraio, in particolare alle pagine 5, 9, 29, 30-36 del suo libro, dove si può leggere dalla piuma dell’autore, una conclusione revisionista anche nella sua formulazione : « he would have ended up gassing himself » [se ciò che dice fosse vero,] avrebbe finito con il gasarsi da solo » (p. 5) ?
5) Perché nelle due opere del 2005 e del 2009, non ha mai dato la benché minima rappresentazione fisica della « camera a gas dello Struthof »?
6) Perché non ha pubblicato la lettera integrale dove il Professor Hirt, chiamato in causa dalDaily Mail di Londra il 3 (e il 6) gennaio 1945, ha scritto da Tübingen, una e lunga e decisa « Presa di posizione » (Stellungnahme) in tre punti, cominciando con: «Questo reportage [del Daily Mail] è una tipica favola immaginaria di atrocità» (ein typisches Greuelmärchen) ?
7) Perché, invece di riprodurci questo testo (ciò che per una volta, avrebbe permesso di dare la parola ad un perpetuo accusato), si è accontentato di indicarci il riferimento e di riassumercene alcuni frammenti in tono di presa in giro (in particolare 2009, p. 337)? A proposito di Hirt si legge : « Molto provato dalla scomparsa della moglie e di suo figlio, morti nel bombardamento di Strasburgo, il 25 settembre 1944, si suicida il 2 giugno del 1945 a Schönenbach nella Foresta Nera (ora Schluschsee) » (p. 338); perché solo questa nota umana (dove, lo sottolineo, è evocata l’atrocità – vera, quella lì – del bombardamento sistematico delle popolazioni civili da parte degli Anglo- Americani).
Perché è coperta dai facili oltraggi indirizzati alla memoria dell’uomo che si è ucciso per disperazione: « vanitoso » « orgoglioso », « ossequioso », « mostruoso », « criminale»? R. Steegmann, ha avuto il merito di correggere le formidabili esagerazioni diffuse da certi storici dello Struthof e da Henri Amouroux, che davano a credere che la minuscola «camera a gas» di questo campo era servita a carneficine massicce e regolari. Negli anni 1970, mentre fiorivano ancora i più sfrenati racconti sulla «barbarie nazista», si accoglieva in maniera favorevole l’opera di Henry Allainmat, citato da R. Steegmann e intitolata in maniera significativa: Auschwitz en France/La vérité sur le seul camp d’extermination nazi en France, Presses de la Cité, 1974, 249 p.OR R. Steegman, rivedendo e correggendo quel punto di vista, é portato a concludere cosi:« Per quanto considerevole, sia la mortalità, soprattutto in cinque anni, e malgrado la presenza di una camera a gas, ciò non é sufficiente a fare di Natzweiler (o dello Struthof) un campo di sterminio. L’espressione è ricorrente dal 1945,perpetuata con le menzogne e i racconti dei superstiti.
Che dilemma crudele tra storia e memoria!
Il dibattito non ha ragione di esistere. Poiché, se c’é stato sterminio, è stato percepito e vissuto come tale, per effetto del lavoro, dell’usura, del non-rispetto dei diritti più elementari dell’uomo,ma non deriva certo dalla condanna a morte pianificata e sistematica di interi gruppi» (2009; pagg. 308-309.) Peccato che R. Steegmann qualche volta sia fermo, come si è già visto, al linguaggio vendicativo degli anni 1950 e alle semplificazioni estremiste degli storici dell’epoca. Citando un passaggio del libro di François Bayle apparso nel 1955 sotto il titolo diCroix gammée contre caducée, sull’affare Hirt fa sua la seguente conclusione (metto alcune parole in grassetto): «Cosi la mostruosa idea di un solo criminale [Hirt ], affidata ad ungrande idiota ben collocato [Brandt] e un demoniaco violento [Sievers], distribuita da un capo crudele, ottuso, curioso e insensibile [Himmler], fu realizzata con cura da una bruta disciplinata(al femminile nel testo originale N.d.T.) [Kramer]» (2009, p. 338). E’ giustificabile che, per ragioni personali, l’odio che R. Steegmann nutre verso il nazionalsocialismo lo porti ad approvare, nei testi di F. Bayle, tali eccessi di pensiero, ma il nostro storico dovrebbe avere la buona idea di andare a vedere un po’ meglio quegli scritti revisionisti che molto probabilmente non ha letto, ma si accontenta di chiamare “la spregevole produzione dei negazionisti” (2009, p. 329). Vi potrebbe attingere considerevoli insegnamenti sul modo di condurre un’inchiesta storica, diversamente da come fanno coloro che io chiamo gli «storici di carta», i quali si preoccupano troppo poco della consistenza dei fatti, soprattutto quando si tratta di studiare un crimine. Gli ricorderebbe che bisogna stabilire i fatti prima di commentarli e che conviene prima di tutto, essere concreti, terra terra e materialista come lo sono, in principio, uno specialista di polizia tecnica (sulla scena del crimine) e uno specialista di polizia scientifica (in laboratorio). Imparerebbe ugualmente a leggere con più attenzione i documenti e, nel caso in questione, tra gli altri « les « aveux » du SS Kramer  nelle diverse versioni, che sono assurde e inconciliabili. Forse prenderebbe in considerazione, la ferma negazione dei tedeschi interrogati dalla Giustizia francese della camera a gas falsamente omicida e del preteso gasaggio degli 86 ebrei. Presterebbe più attenzione alle testimonianze secondo le quali questa miserabile camera a gas, cosi semplice,cosi artigianale, con i suoi giunti di « feltro » (!), era stata in realtà utilizzata per l’inoffensiva esercitazione delle reclute al porto della maschera antigas (con passaggio in atmosfera semplicemente viziata), quando non utilizzata per le ricerche del Dottor Bickenbach sull’urotropina o altro antidoto destinato alle sfortunate vittime del tifo o dei bombardamenti al fosforo. Nei miei scritti apprenderebbe che, durante l’estate del 1943, le autorità del campo, stavano ancora considerando l’installazione di una semplice camera a gas di disinfestazione e che il piano che avevano sottoposto a Berlino e a Francoforte gli era stato rinviato con osservazioni scortesi sulla mancanza di serietà del loro progetto (lettera della ditta di disinfestazione Heerdt-Lingler del 3 settembre 1943). A questo proposito ci si chiede come, poco prima, Kramer, libraio di professione nella vita civile, avrebbe potuto, munito di qualche consiglio, improvvisarsi maestro nel costruire camere a gas omicide al punto tale da accumulare quattro esecuzioni di gruppi umani, per un totale di 86 vittime e questo con un materiale e una tecnica che avrebbero normalmente provocato una serie di catastrofi sia per l’esecutore sia per la cerchia vicina e lontana.
Il dovere di esattezza 
R. Steegmann dovrebbe abituarsi all’idea che viviamo in tempi in cui le nuove generazioni mal sopportano che gli si faccia la morale con cosi tanta insistenza. Sorridono o si irritano nel vedere che ci ostiniamo, al liceo o altrove, a inculcare loro delle scelte di ordine morale e a filosofeggiare sull’«innominabile », o l’importanza di «dire l’indicibile » (2009, p. 311). L’odio del nazista con il coltello tra i denti, l’obbligo morale, che ci è imposto, di andare a sputare sulle tombe dei vinti, la ripugnante abitudine presa dal vincitore di ergersi al contempo accusatore e giudice di un vinto totalmente alla mercé , il cinismo che consiste nel dichiarare a priori : «Il Tribunale non é tenuto alle regole tecniche relative all’amministrazione delle prove…» o ancora : «Il Tribunale non esigerà che sia resa la prova di fatti di notorietà pubblica, ma la considererà come scontata… » (articoli 19 e 21 dello Statuto del Tribunale di Norimberga), tutto questo, che persiste da cosi tanto tempo dopo la guerra, comincia a datare e stancare. Gli americani chiamano questo fenomeno di rigetto « Holocaust Fatigue ». Già tra il 1938-1939 i giovani Francesi avevano le orecchie stanche sia dai ritornelli della Prima Guerra mondiale su « les Boches » (Crucchi ndt,) le loro « fabbriche di cadaveri », « i bambini belgi con le mani tagliate » e dagli slogan troppo spesso bellici su « l’amore per la patria », « la gloria delle armi » o il mito de « la tranchée des baïonnettes ». I ritornelli di oggi sono riciclati da quelli di ieri, riportano lo stesso tono di esagerazione, di falso e di indottrinamento.
R. Steegmann ripete spesso che lo storico non è né giudice né accusatore ma la sfortuna vuole, che da un capo all’altro delle sue due opere principali sullo Struthof, abbia adottato il linguaggio di un giudice-accusatore troppo poco preoccupato di dichiarare “la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”. Ha soprattutto nascosto al suo lettore l’esistenza e il contenuto di una perizia scientifica di primaria importanza e ha ignorato troppi fatti essenzialmente di ordine materiale che, da soli, erano sufficienti a convincere che il racconto dei pretesi gasaggi omicidi dello Struthof non poteva che essere un’impostura.Il futuro ci dirà se quest’impostura andrà presto a raggiungere tanti altri racconti sulle “camere a gas naziste”, che dal 1960 ai giorni nostri, sono finiti nelle immondizie della storia. Si renderebbe giustizia per il rispetto che meritano le vere sofferenze di tutte le vere vittime della Seconda Guerra mondiale.
N.B.: R. Steegmann valuta il numero dei detenuti morti allo Struthof in un totale di circa 20 000, che gli sembrava « plausibile, di cui 3 000 nel « campo-madre » (2009, pag. 287). Era proprio alla cifra di 3 000 che si era fermato nel suo atto di accusa, al processo di Metz, nel 1952, il tenente colonnello della Giustizia militare Guyon, commissario del governo al Tribunale militare permanente delle forze armate, che dichiarava: « In tre anni e mezzo di esistenza del campo, lo Struthof che è da classificare tra i più temibili, è stato la tomba di 2165 vittime calcolate, fatta eccezione per una trentina di esecuzioni clandestine e di tutti i Russi, Polacchi, Ebrei morti tra metà settembre del 1943 e il 29 maggio 1944. Il numero dei decessi deve avvicinarsi a 3 000, la media effettiva dei deportati durante lo stesso periodo è stata di 1983».R. Steegmann è giunto alla stima dei 20 000 solo con l’aggiunta di elementi eterocliti e non accompagnati da giustificazioni verificabili. La « nebulosa » dei campi satelliti, con i suoi propri morti, occupava a volte spazi geografici notevolmente lontani dallo Struthof, che potevano andare per esempio dal Lussemburgo all’Austria. Per quanto riguarda le vittime delle « marce della morte », sono difficilmente imputabili a una Germania che, in preda ai bombardamenti e alle epidemie, era agonizzante e sul bordo del caos, soprattutto nei trasporti. Infine, per tornare al cuore del nostro soggetto, la camera a gas dello Struthof, è opportuno sapere che durante il processo di Metz, secondo un giornale, il capitano Henriez, sostituto del commissario del governo, avrebbe dichiarato: « Non posso fornire la prova che ci siano stati dei morti da avvelenamento allo Struthof » (Dernières Nouvelles d’Alsace, 18 décembre 1952, p. 15).
Fonte originale: http://robertfaurisson.blogspot.it/2013/05/il-est-temps-den-finir-avec-la-chambre.html


giovedì 15 gennaio 2015

COME ACQUISTARE I LIBRI DELLA LANTERNA



COME ACQUISTARE I LIBRI DELLA LANTERNA

Edizioni della Lanterna
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Pubblichiamo  testi politici controcorrente, ristampe di classici politici degli ani ‘ 30, opere dell’ avv. Edoardo Longo.  E’ la sola casa editrice italiana specializzata in libri e documenti sulla malagiustizia imperante e sui processi politici italiani sconosciuti al grande pubblico. In catalogo 54  opere controcorrente.
I ricavi delle vendite vengono reinvestiti immediatamente  per la pubblicazione di altre opere. Mediamente ogni mese vengono pubblicate due nuove opere.
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martedì 13 gennaio 2015

Ora che su Parigi è calato il sipario, possiamo provare a fare un paio di riflessioni.


 
ALZO ZERO 2015

Ora che su Parigi è calato il sipario, possiamo provare a fare un paio di riflessioni.

di Massimo Mazzucco

1 - Domenica Renzi, Rajoy, Merkel, Cameron e Hollande si incontreranno a Parigi. Ne uscirà certamente un qualche accordo fra i maggiori stati europei "per contrastare il terrorismo". Naturalmente, non faranno nulla che possa servire veramente a contrastare un'eventuale terrorismo - anche perché loro sanno meglio di noi quale sia la matrice reale di questo "terrorismo". Ma vorranno certamente dare l'impressione che "l'Europa è unita nel combattere il terrorismo", perché questo è il messaggio che in questo momento fa comodo a tutti loro. Prepariamoci all'ennesima messinscena.

2 - Sul fatto che i due assassini di Parigi siano stati identificati grazie alla carta d'identità "dimenticata" in macchina, si sono già espressi in modo efficace i nostri utenti nel precedente articolo. Non c'è bisogno di aggiungere nulla, se non forse il fatto che anche i "terroristi pakistani" degli attentati di Londra del 2005 furono identificati grazie alla carta d'identità contenuta nello zainetto di uno di loro. Insomma, fare il poliziotto oggi è diventato facile: basta saper leggere un indirizzo su una carta di identità, e la medaglia è garantita.

3 - Dai vari telegiornali di oggi è venuto fuori che gli attentatori di Parigi erano molto ben conosciuti ai servizi francesi, e quindi molti si domandano come mai costoro abbiano potuto agire in piena libertà, ...

... mentre in realtà avrebbero dovuto essere tenuti sotto stretta osservazione.
Forse una risposta la può dare la vicenda degli altri due "fratelli assassini" di recente memoria, quelli della maratona di Boston. Anche loro erano molto ben conosciuti all'FBI, ma anche a loro fu data ampia libertà di agire. Talmente tanta libertà, che si sospetta che siano stati in realtà manovrati dalla stessa FBI. (Poi per fotterli è un attimo: pubblichi il video che li vede passeggiare tranquilli fra la folla di Boston, oppure piazzi nella Citroen la carta di identità del patsy di turno).

4 - Infine, rivolgo una domanda a tutti i nostri giornalisti: è stato molto bello, in questi giorni, vedervi difendere a spada tratta i vostri colleghi francesi, nel nome della difesa della libertà d'espressione. E' stato molto bello vedere i vari santoro che inneggiavano a Voltaire, sciacquandosi rumorosamente la bocca con il "diritto inalienabile che ciascun uomo ha di esprimere la propria opinione". "Siamo tutti Charlie", dicevano in coro questi giornalisti con magliette, con cartelli, e con didascalie che comparivano generosamente dappertutto nei loro telegiornali.

Ora, a tutti questi "Charlie" vorrei porre una semplice domanda: dove eravate quando in Europa sono state fatte le leggi che proibiscono di mettere in dubbio l'Olocausto, o comunque di parlar male degli ebrei? Perché "va bene" fare vignette satiriche che offendono il Corano e l'intero mondo islamico, ma "non va bene" offendere, criticare, o deridere in qualunque modo gli ebrei?

Dov'era la vostra voce, cari "Charlie" da strapazzo, quando il famoso diritto inalienabile che ciascun uomo ha di esprimere la propria opinione è stato brutalmente calpestato, con il vostro silente assenso, da una particolare minoranza di persone che si ritengono palesemente al di sopra di tutti gli altri e al di sopra delle leggi dei comuni mortali?

Perchè allora siete stati zitti? Perchè allora non avete detto niente?

Resto in attesa di una risposta, che con certezza assoluta non arriverà mai, perché siete solo dei vigliacchi, degli ipocriti, dei codardi senza spina dorsale.
 

12/01/2015

                                                                                                                           

domenica 11 gennaio 2015

SE IN ITALIA CI FOSSE LA DEMOCRAZIA



            SE IN ITALIA CI FOSSE LA DEMOCRAZIA



Premettiamo che a noi la democrazia non piace per  “principio.
Senza scomodare il parere del grande politico del passato Tallyerand che diceva che “la democrazia è l’arte di contare i nasi anziché i cervelli”  non ci piace un sistema in cui le decisioni vengono prese a maggioranza da una maggioranza che rappresenta statisticamente l’insieme dei meno intelligenti e dei meno preparati e che quindi ha il massimo delle probabilità di prendere decisioni sbagliate!
Ricordiamoci che in natura la qualità è inversamente proporzionale alla quantità…!
Se in uno stadio raduniamo a caso 10.000 persone e ne valutiamo scientificamente le capacità intellettuali, troveremo tre o quattro geni, un centianio di intelligentissimi, un paio o tre centinaia di intelligenti, tre o quattromila mediocri e circa 6.000 cretini.
Ebbene, in democrazia a prendere le decisioni sarebbero quei 6.000 cretini..!!
Se poi andiamo a considerare quale sia effettivamente il grado di democrazia ( che significa “Governo del popolo” dal greco “Demos” e “Cratos “ ) in Italia, veniamo a scoprire che quella che governa NON è una democrazia nel senso compiuto della parola, ma una oligarchia di poteri che nascondono interessi privati e di gruppi ( ideologici, economici, finanziari e razziali ) che si nascondono dietro ai principi democratici per farsi concretamente “gli affaracci loro “ alla faccia dei cittadini.
Le cronache ripetute e ricorrenti dei decenni del dopo guerra sono lì a dimostrare con i fatti che abbiamo ragione e, nonostante le contingenti, ipocrite dichiarazioni d’intenti che ad ogni scandalo escono dalle direzioni dei vari partiti ( Tutti, nessuno escluso..) i propositi di cambiamenti hanno poi nella pratica l’efficacia delle famose “Grida manzoniane” contro i “Bravi” e cioè un bel niente..!
D’altronde, aspettarsi dai protagonisti degli scandali, delle ruberie, dei soprusi e della malversazione un rimedio che li colpirebbe, è come mettere le volpi a fare la  guardia al pollaio..!!
Sentiamo già ronzare nelle orecchie le proteste e le critiche a questo nostro dire.
Era scontato così come scontati sono i luoghi comuni che ad esse si accompagnano.
“ Sebbene imperfetta, la democrazia è ancora il sistema di governo meno negativo”
“ La sola alternativa alla democrazia è la dittatura che è molto peggio ..”
“ Senza democrazia non esiste libertà che è il bene più prezioso dell’umanità..”
E via banalizzando….!!
Ebbene, noi NON abbiamo la risposta definitiva, ma diciamo che se si dimostra che un sistema è sbagliato, quanto meno è doveroso, oltre che onesto, cercare un’alternativa ragionevole anziché respingere pregiudizialmente ogni discussione in proposito..!
Abbiamo comunque qualche ipotesi da proporre alla discussione:
-La Meritocrazia che ponga le candidature dei possibili eletti a governare SOLAMENTE in base a meriti accertati e certificati di intelligenza, competenza, comportamento sociale, fedina penale immacolata,  e che limiti la durata delle cariche istituzionali ad un periodo relativamente breve, tale da non assuefare troppo al potere ed alla tentazione della corruzione.
-Il “Vincolo di mandato” per gli eletti in modo tale che essi siano mandati a governare per realizzare le promesse fatte agli elettori  i quali, al termine del mandato, giudicheranno l’operato dei suoi rappresentanti in base alla loro coerenza, all’onestà intellettuale e morale con cui hanno agito ed in base a ciò li confermeranno o li bocceranno mandandoli a casa. ( magari anche con un referendum di controllo e di giudizio a metà mandato ).
-La condizione, per i candidati, di avere frequentato con successo una apposita scuola di amministrazione analoga alla “Ecole de l’adminitration publique” istituita in Francia da Napoleone e tuttora vigente ed obbligatoria per gli addetti alla pubblica amministrazione, tanto per evitare di vedere parlamentari e funzionari che nelle interviste dimostrano platealmente un’ignoranza asinina nelle più elementari questioni..!
E si potrebbe continuare, ma il succo del discorso è che non troviamo logico dovere scegliere tra il cancro e la polmonite, ma riteniamo doveroso di cercare una cura che ci guarisca da entrambe queste malattie..!!

Alessandro Mezzano


venerdì 9 gennaio 2015

DOGMI E CENSURE: UN INVENTARIO


Dogmi e censure: un inventario

di Marco Della Luna
 
Notoriamente, se un’affermazione, per quanto falsa, viene ripetuta decine di migliaia di volte soprattutto dalla tv, alla fine la gente la sentirà come vera.
 
I regimi inculcano così dogmi, insiemi di dogmi, costituenti un senso comune artificiale, utile alla gestione del corpo sociale, a far accettare alla gente come giustificate le operazioni che si compiono sulla sua testa, sulle sue tasche, sulla sua vita, sui suoi diritti. Ma anche sulla società come tale. Un senso comune che produce quindi consenso (legittimazione democratica) e ottemperanza popolare (compliance).
 
Chi osa uscire criticamente dal recinto dei dogmi e della dialettica consentita tra i paletti, viene etichettato come antagonista, estremista, antisociale, populista, eccetera, e viene delegittimato culturalmente, emarginato – finché i fatti e le realtà censurate non rompono l’incantesimo del sistema dogmatico.
 
Facciamo l’inventario, o l’inizio dell’inventario, di questi dogmi nel nostro sistema, sempre più scosso e incrinato dalla pressione della realtà rimossa:
 
1) Dogma dei mercati efficienti: I mercati sono tendenzialmente liberi e trasparenti, prevengono o correggono inefficientemente le crisi e, realizzano l’ottimale distribuzione delle risorse e dei redditi, abbassano i prezzi e le tariffe; puniscono gli Stati inefficienti e spendaccioni mentre premiano quelli efficienti e virtuosi, perciò la regolazione della politica va ultimamente affidata ad essi.
 
2) Dogma della spesa pubblica: la spesa pubblica è la causa dell’indebitamento pubblico, il quale a sua volta è la causa delle tasse, della recessione e, dell’inefficienza del sistema; l’obiettivo è dunque tagliare la spesa pubblica come tale e affidare i servizi pubblici alla gestione del mercato, cioè alla logica del profitto.
 
3) Dogma dell’integrazione europea: l’integrazione europea è insieme benefica, possibile e inevitabile; chi si oppone si oppone a una tendenza naturale e storica, va contro la realtà e gli interessi di tutti; l’Europa quindi legittimamente detta le regole a cui tutti devono adeguarsi.
 
4) Dogma dell’euro moneta unica: l’euro moneta unica produce la convergenza delle economie europee, quindi sostiene l’assimilazione e integrazione tra i paesi europei, favorisce la nuova crescita economica e la loro solidarietà.
 
5) Dogma della preziosità e della scarsità oggettive della moneta: la moneta non è un simbolo prodotto a costo zero, ma è un bene, una commodity, con un costo di produzione che giustifica il fatto che coloro che la producono (come moneta primaria o creditizia), in cambio di essa, tolgano grandi quote del reddito a chi produce beni e servizi reali.
 
6) Dogma dell’immigrazione benefica: l’immigrazione va accolta anche sostenendo grosse spese perché essa è economicamente benefica ed indispensabile per compensare l’invecchiamento e il diradamento della popolazione attiva, quindi per sostenere il sistema previdenziale e per coprire i molti posti di lavoro che gli italiani rifiutano; non è vero che tolga posti di lavoro agli italiani, che faccia loro concorrenza al ribasso sui salari, che serva come manovalanza alle mafie, che comporti un apprezzabile aumento della criminalità o dei costi sanitari o assistenziali.
 
Carattere comune di questi punti dottrinali e propagandistici, è la censura od occultamento dei conflitti di interessi e di bisogni, e ancor più della lotta di classe in atto.
 
Soprattutto viene sottaciuto il conflitto di interesse tra classi sociali, specificamente tra classe globale finanziaria improduttiva parassitaria speculatrice e le classi produttive dell’economia reale, legate ai loro territori, e sempre più private di potere sulle istituzioni nonché di quote di reddito in favore delle rendite finanziarie.
 
Conflitto di interessi tra nord e sud d’Italia, in cui alcune regioni settentrionali patiscono un permanente trasferimento dei loro redditi in favore di alcune regioni meridionali onde tenere unito il sistema paese, ma questo trasferimento sta spegnendo le loro capacità economiche del nord e induce le loro aziende e i loro migliori lavoratori ad emigrare.
 
Conflitto di bisogni oggettivi tra paesi manifatturieri come Italia e Germania, nel quale la Germania ha interesse a tenere l’Italia entro una moneta comune per togliere all’Italia il vantaggio di una moneta più debole, quindi di una maggiore competitività rispetto alla Germania, così da prendere anche sue quote di mercato.
 
Conflitto di bisogni oggettivi tra paesi creditori, come la Germania, e paesi debitori, come l’Italia: i tedeschi, essendo detentori di crediti sia personali, previdenziali, da investimento, sia anche pubblici, sono interessati a mantenere forte il ricorso della valuta in cui quei crediti sono dedicati denominati, cioè l’euro – da qui l’esigenza di tenere stretti i cordoni della borsa, cioè di far scarseggiare la moneta per tenerne alto il corso; per contro l’Italia e gli italiani, essendo indebitati e avendo i loro investimenti perlopiù in immobili, hanno bisogno di una moneta meno forte.
 
Conflitto di bisogni tra paesi in recessione, che hanno bisogno di politiche monetarie espansive, e paesi in crescita, che hanno bisogno di politiche monetarie restrittive; e tra paesi ad economia manifatturiera-trasformatrice e paesi ad economia basata sui servizi finanziari e il commercio (Regno Unito): tutti conflitti che rendono dannosa l’unione monetaria, o meglio che fanno sì che la politica monetaria faccia gli interessi del paese più forte dentro di essa (Germania) a danno dei paesi meno forti.
 
Conflitto di interesse propriamente di classe tra imprenditori e lavoratori: i primi hanno interesse a togliere ai lavoratori quanto più possibile forza negoziale e capacità di resistenza, di sciopero, oltre che di salario. Conflitto di interesse tra cittadini utenti e monopolisti/oligopolisti di servizi pubblici: questi ultimi hanno interesse a imporre tariffe sempre più alte in cambio di servizi sempre più scarsi, onde massimizzare i loro profitti; da qui la privatizzazione sistematica di tali servizi.
 
In conclusione, il regime, cioè il sistema di spartizione del reddito tra le varie classi economiche – sistema che vede oggi la classe finanziaria prendersi tutto il reddito disponibile – si regge su un consenso e un’acquiescenza ottenuti tanto mediante l’indottrinamento con dogmi, quanto con il sistematico nascondimento di conflitti di interessi che non devono apparire onde evitare che la gente percepisca il male che le viene fatto.
 
È stato costruito, con la collaborazione dei media e dei politici (quasi tutti), un senso comune socio- economico, una percezione comune della realtà, che consente a una classe globale parassitaria di perfezionare la spoliazione dei diritti e dei redditi delle altre classi, facendola apparire come espressione naturale di leggi impersonali del mercato, non come una guerra di classe.
 
Di questo senso comune fa parte anche la concezione del genere umano come di una competizione assoluta e totale tra individui per la conquista della ricchezza e del potere – perché questa è l’ide(ologi)a del mercatismo: il bellum omnium erga omnes, un individualismo di massa (ciascuno è solo davanti allo schermo, davanti alle tasse, davanti alle banche, davanti ai problemi di salute, vecchiaia, disoccupazione; e soprattutto davanti a un sempre più impersonale e grande datore di lavoro), senza diritti comuni, senza solidarietà e garanzie, dove tutto è merce e prestazione, dove è proibito agli Stati persino introdurre tutele alla salute pubblica, se queste possono limitare il profitto delle corporations (norme del WTO e del TTIP).
 
Questo modello socio-economico, che viene costruito metodicamente, anche a livello legislativo e costituzionale, nazionale ed europeo, dalle nostre élites, e in Italia ultimamente dalla staffetta dei governi Berlusconi-Monti-Letta-Renzi (sotto la locale regia di Giorgio I), è marktkonform, conforme e ideale per le esigenze del mercato e del capitale e del profitto; però mi pare non molto compatibile con le esigenze psicofisiologiche dell’essere umano, inteso sia come individuo, che come famiglia, che come comunità sociale – esigenze che comprendono una prospettiva stabile per la progettazione e l’impostazione della vita, per la procreazione e l’educazione della prole; ma anche ambiti di non mercificazione e di non competitività, e la garanzia di una dimensione pubblica sottratta alla logica del profitto finanziario.
 
 

                                                                                                                       

lunedì 5 gennaio 2015

COME LA GERMANIA SCONFISSE LA GRANDE DEPRESSIONE

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. AVV. E. LONGO

COME LA GERMANIA SCONFISSE LA GRANDE DEPRESSIONE


di Mark Weber

“...Coloro che parlano di ‘democrazie’ e ‘dittature’, semplicemente non capiscono che in questo paese ha avuto luogo una rivoluzione, i risultati della quale possono essere considerati democratici nel senso più alto di questo termine, se la democrazia ha un concreto significato...”

(Discorso di Adolf Hitler al Reichstag, 30 gennaio 1937)
Per affrontare la massiccia disoccupazione e la paralisi economica della Grande Depressione, tanto il governo americano quanto quello tedesco lanciarono programmi innovativi e ambiziosi. Se le misure varate col “New Deal” del presidente Franklin Roosevelt offrirono un aiuto solo marginale, le politiche assai più ampie e mirate del Terzo Reich si rivelarono notevolmente più efficaci. In soli tre anni la disoccupazione era stata eliminata e l’economia della Germania era tornata a fiorire. E se il metodo utilizzato da Roosevelt per fronteggiare la depressione è abbastanza noto, la rimarchevole storia del sistema adottato da Hitler contro la crisi non è mai stata pienamente compresa o apprezzata.
Adolf Hitler divenne Cancelliere di Germania il 30 gennaio 1933. Poche settimane dopo, il 4 marzo, Franklin Roosevelt assunse la carica di Presidente degli Stati Uniti. Entrambi restarono capi degli esecutivi dei rispettivi paesi per i dodici anni che seguirono, fino cioè all’aprile 1945, poco prima della fine della II Guerra Mondiale in Europa. All’inizio del 1933, la produzione industriale in entrambi i paesi era crollata a circa metà di ciò che era stata nel 1929. Ciascun capo di stato adottò rapidamente nuove e coraggiose misure per fronteggiare la terribile crisi economica, soprattutto con riguardo al flagello della disoccupazione di massa. E sebbene vi siano alcune impressionanti similarità tra gli sforzi compiuti dai due governi, i risultati ottenuti furono molto diversi.
Uno dei più influenti e studiati economisti americani del ventesimo secolo è stato John Kenneth Galbraith. Fu consigliere di diversi presidenti e per un periodo ebbe l’incarico di ambasciatore americano in India. Fu autore di dozzine di libri e per anni insegnò economia presso l’Università di Harvard. Riguardo ai risultati ottenuti dalla Germania, Galbraith scrisse: “...L’eliminazione della disoccupazione in Germania durante la Grande Depressione, senza produrre inflazione – e facendo inizialmente affidamento sulle sole attività civili – fu una conquista straordinaria. E’ stata raramente encomiata e non molto sottolineata. L’idea che da Hitler non potesse venire niente di buono si estende alle sue politiche economiche, così come, più plausibilmente, ad ogni altra cosa”.
La politica economica del regime hitleriano, prosegue Galbraith, comprendeva “prestiti su larga scala per la spesa pubblica, all’inizio principalmente per opere civili: ferrovie, canali e le Autobahnen [la rete autostradale]. Il risultato fu un attacco alla disoccupazione che si rivelò molto più efficace che in qualsiasi altro paese industrializzato”. [1]
“Alla fine del 1935”, scrive ancora Galbraith, “la disoccupazione in Germania non esisteva più. Nel 1936 gli alti profitti facevano già salire i prezzi o rendevano possibile alzarli... Alla fine degli anni ’30, la Germania era un paese a piena occupazione e con prezzi stabili. Si trattò, nel mondo industrializzato, di un risultato assolutamente unico”. [2]
“Hitler riuscì anche ad anticipare le moderne politiche economiche”, nota l’economista,“riconoscendo che una rapida ripresa della piena occupazione sarebbe stata possibile solo se combinata con il controllo sui salari e sui prezzi. Non c’è da sorprendersi che una nazione oppressa dalle paure economiche rispondesse a Hitler come gli americani risposero a F.D.R.”. [3]
Altri paesi, scrive Galbraith, non furono in grado di comprendere l’esperienza tedesca o di imparare da essa: “L’esempio tedesco fu istruttivo ma non convincente. I conservatori britannici e americani guardavano alle eresie finanziarie del Nazismo – il prestito e la spesa – e prevedevano concordemente un collasso... E i liberali americani e i socialisti britannici guardavano la repressione, la distruzione dei sindacati, le Camicie Brune, le Camicie Nere, i campi di concentramento, l’oratoria strepitante, e ignoravano l’economia. Nulla di buono[essi credevano], nemmeno la piena occupazione, sarebbe potuto venire da Hitler”. [4]
Due giorni dopo aver assunto l’incarico di Cancelliere, Hitler si rivolse per radio alla nazione. Sebbene lui e altri leader del suo movimento avessero resa esplicita l’intenzione di riorganizzare la vita sociale, politica, culturale ed educativa della nazione in accordo con i princìpi nazionalsocialisti, tutti capivano che, con quasi sei milioni di disoccupati e l’economia del paese alla paralisi, la massima priorità del movimento era quella di rimettere in moto la vita economica nazionale, aggredendo anzitutto la disoccupazione ed edificando opere produttive.
“La miseria del nostro popolo è terribile da contemplare!”, disse Hitler nel suo discorso inaugurale. [5] “Accanto ai milioni di lavoratori dell’industria affamati e senza impiego, vi è l’impoverimento dell’intera classe media e degli artigiani. Se questo collasso dovesse infine distruggere anche i contadini tedeschi, ci troveremmo di fronte ad una catastrofe di dimensioni incalcolabili. Non sarebbe soltanto il collasso di una nazione, ma del retaggio, antico di duemila anni, di alcune tra le più grandi conquiste della cultura e della civiltà umana...”
Il nuovo governo, disse Hitler, avrebbe “intrapreso il grande compito di riorganizzare l’economia della nostra nazione per mezzo di due grandi piani quadriennali. I contadini tedeschi devono essere salvaguardati per garantire le necessità alimentari della nazione e, di conseguenza, la sua base vitale. L’operaio tedesco verrà salvato dalla rovina grazie ad un attacco concertato e a tutto campo contro la disoccupazione”.
“Entro quattro anni”, garantì, “la disoccupazione sarà definitivamente superata. [...] I partiti marxisti e i loro alleati hanno avuto 14 anni per dimostrare ciò che erano in grado di fare. Il risultato è un cumulo di rovine. Ora, popolo di Germania, concedi a noi quattro anni di tempo e poi darai un giudizio su di noi!”.

Ripudiando le prospettive economiche nebulose e poco concrete di certi attivisti radicali del suo partito, Hitler si rivolse a uomini di provata capacità e competenza. Molto significativamente, chiese l’aiuto di Hjalmar Schacht, banchiere e finanziere di spicco con un impressionante curriculum tanto nell’imprenditoria privata quanto nel settore pubblico. Sebbene Schacht non fosse di certo un nazionalsocialista, Hitler lo nominò presidente della banca centrale tedesca, la Reichsbank, e poi ministro dell’economia.
Dopo avere assunto il potere, scrive il Prof. John Garraty, eminente storico americano, Hitler e il suo nuovo governo “lanciarono immediatamente un attacco a tutto campo contro la disoccupazione... Stimolarono l’industria privata attraverso sussidi e sgravi fiscali, incoraggiarono la spesa dei consumatori con strumenti quali i prestiti matrimoniali e si lanciarono in un massiccio programma di opere pubbliche che produsse autobahn [autostrade], abitazioni, ferrovie e progetti di navigazione”. [6]
I nuovi capi di regime riuscirono a convincere anche quei cittadini tedeschi che un tempo erano scettici e perfino ostili, della propria sincerità, capacità e risolutezza. Ciò accrebbe la fiducia e la sicurezza, il che a sua volta incoraggiò gli uomini d’affari a compiere assunzioni e investimenti e i consumatori a spendere con lo sguardo rivolto al futuro.
Come avevano promesso, Hitler e il suo governo nazionalsocialista eliminarono la disoccupazione entro quattro anni. Il numero di disoccupati scese dai sei milioni dell’inizio del 1933, quando Hitler era salito al potere, al milione del 1936. [7] Il tasso di disoccupazione si ridusse in modo così rapido che nel biennio 1937-38 si registrò una carenza nazionale di forza lavoro. [8]
Per la stragrande maggioranza dei tedeschi, i salari e le condizioni di lavoro andarono rapidamente migliorando. Tra il 1932 e il 1938 la paga settimanale lorda crebbe del 21%. Se si tiene conto delle trattenute fiscali e assicurative e degli adeguamenti al costo della vita, l’incremento degli introiti settimanali durante questo periodo fu del 14%. Allo stesso tempo, il prezzo degli affitti rimase stabile e vi fu un relativo calo dei costi della luce e del riscaldamento. Calarono anche i prezzi di alcuni beni di consumo, come apparecchi elettrici, orologi da muro e da polso e alcuni generi alimentari. Il salario degli operai continuò a crescere, anche dopo l’inizio della guerra. Nel 1943 la paga oraria media di un lavoratore tedesco era cresciuta del 25% e quella settimanale del 41%. [9]
La “normale” giornata lavorativa, per molti tedeschi, era di otto ore e la retribuzione per gli straordinari era generosa. [10] Oltre ai salari più alti, i benefici includevano anche il miglioramento delle condizioni di lavoro, ad esempio migliori condizioni sanitarie e di sicurezza, mense che fornivano pasti caldi, campi di atletica, parchi, recite teatrali e concerti sovvenzionati dalle aziende, mostre, gruppi sportivi ed escursionistici, balletti, corsi di educazione per adulti e gite turistiche pagate. [11] Il preesistente sistema di programmi sociali, che includeva le pensioni di anzianità e l’assistenza sanitaria, venne ampliato ulteriormente.
Hitler voleva che i tedeschi avessero “il più alto standard di vita possibile”, come disse in un’intervista rilasciata ad un giornalista americano all’inizio del 1934. “A mio giudizio, gli americani hanno ragione nel non voler porre tutti allo stesso livello, mantenendo invece il principio della scala. Però, ad ogni singolo cittadino deve essere garantita l’opportunità di poter salire i gradini di quella scala”. [12] Per tener fede a questa prospettiva, il governo di Hitler promosse la mobilità sociale, con ampie opportunità di crescita e di carriera. Come osserva il Prof. Garraty: “Non vi è ombra di dubbio che i nazisti incoraggiarono la mobilità sociale ed economica della classe lavoratrice”. Per promuovere l’acquisizione di nuove competenze, il governo ampliò a dismisura i programmi di avviamento professionale e offrì generosi incentivi per gli scatti di carriera dei lavoratori più efficienti. [13]
Tanto l’ideologia nazionalsocialista quanto la visione di Hitler, scrive lo storico John Garraty,“spingevano il regime a privilegiare il comune cittadino tedesco sui gruppi d’èlite. Gli operai... avevano un posto d’onore all’interno del sistema”. In linea con quest’idea, il regime concesse ai lavoratori sostanziosi benefici, che includevano mutui agevolati, escursioni a costi ridotti, programmi sportivi e ambienti di fabbrica più gradevoli. [14]
Nella sua dettagliata e critica biografia di Hitler, lo storico Joachim Fest riconosce: “Il regime insisteva che non doveva esserci il dominio di un’unica classe sociale sulle altre e – garantendo a ciascuno la possibilità di crescere – dimostrò nei fatti la sua neutralità di classe... Queste misure fecero realmente breccia nelle vecchie e pietrificate strutture sociali. Produssero il miglioramento delle condizioni materiali di gran parte della popolazione”. [15]
Bastano poche cifre a dare l’idea di quanto la qualità della vita fosse migliorata. Tra il 1932, ultimo anno dell’era pre-hitleriana, e il 1938, ultimo anno prima dello scoppio della guerra, il consumo di alimentari crebbe di un sesto, mentre il ricambio di abbigliamento e manufatti tessili aumentò di oltre un quarto, quello di arredamento e beni per la casa del 50 %. [16] Durante gli anni di pace del Terzo Reich, il consumo di vino crebbe del 50%, quello di champagne aumentò di cinque volte. [17] Tra il 1932 e il 1938, il volume degli introiti per le aziende turistiche risultò più che raddoppiato, mentre il numero di possessori di automobili triplicò nel corso degli anni ’30. [18] La produzione tedesca di veicoli a motore, che includeva automobili prodotte dalle aziende di proprietà statunitense Ford e General Motors (Opel), raddoppiò nei cinque anni tra il 1932 e il 1937, mentre l’esportazione di veicoli a motore tedeschi crebbe di otto volte. Il traffico aereo passeggeri in Germania aumentò di oltre il triplo tra il 1932 e il 1937. [19]
Le aziende tedesche rivivevano e prosperavano. Durante i primi quattro anni dell’era nazionalsocialista, il netto delle grandi aziende si era quadruplicato e le retribuzioni delle figure manageriali e imprenditoriali erano cresciute del 50 per cento. “E le cose sarebbero andate ancora meglio”, scrive lo storico ebraico Richard Grunberger nel suo studio dettagliato The Twelve-Years Reich. “Nei tre anni tra il 1939 e il 1942, l’industria tedesca ebbe uno sviluppo pari a quello avuto nei cinquant’anni precedenti”. [20]

Anche se le imprese tedesche prosperavano, i profitti venivano tenuti sotto controllo e contenuti per legge entro limiti moderati. [21] A partire dal 1934, i dividendi degli azionisti delle corporazioni tedesche vennero limitati al sei per cento annuale. I profitti non distribuiti venivano investiti in titoli del governo del Reich, che offrivano un interesse annuale del sei per cento, e poi, dopo il 1935, del quattro e mezzo per cento. Questa politica ebbe il prevedibile effetto di incoraggiare i reinvestimenti e l’autofinanziamento delle aziende, quindi di ridurre il ricorso ai prestiti bancari e, più in generale, di ridurre l’influenza del capitale commerciale. [22]
 
                                                                                                                                        

venerdì 2 gennaio 2015

Non mandate al Colle l'ennesimo servo di Bruxelles




Non mandate al Colle l'ennesimo
servo di Bruxelles



di Ida Magli
il Giornale
| 28.12.2014

  N
essun popolo è stato tradito durante tutta la sua storia dai suoi governanti in maniera così determinata, cinica, perversa quanto gli Italiani. Governanti che, a partire dal predominio del cristianesimo, hanno odiato, disprezzato, calpestato i loro sudditi in modo tale che la storia degli italiani potrebbe configurarsi come una “storia per tradimenti”.  Se si esclude la breve parentesi del periodo del Risorgimento non si vede altro che i detentori del Potere intenti al disprezzo, ossia a poggiare i piedi sugli Italiani come “corpo”, come pedana dalla quale slanciarsi per raggiungere i propri scopi, offrendo ai magnati di turno, di volta in volta Papi, Re, Imperatori, Dittatori, Banchieri, Commissari europei, il territorio, l’indipendenza, la civiltà italiana. L’Italia è il loro “mezzo”, il loro ricchissimo patrimonio-strumento.

Così ha fatto Prodi da quando si è presentato sulla scena politica offrendo l’Italia alla Super Loggia di Bruxelles: senza lo Stato italiano, senza il territorio italiano, senza la civiltà italiana, nessuna Europa unita è possibile. Altrettanto ha fatto e sta facendo Renzi: le sue famose “riforme” non sono altro (come ripete con vigliacca soddisfazione il ministro Padoan) che l’esaudimento delle pretese dei Commissari europei. Bruxelles, del resto, è talmente sicura che il nostro Capo del governo sia al proprio servizio che Renzi può permettersi d’ingannare gli italiani lanciando ogni tanto con la sua abituale villania qualche finta sbruffonata contro l’Europa senza turbare nessuno. Renzi del resto è un politico che aspira alle cariche più alte: l’impero europeo è stato costruito appositamente per questo tipo di politici, calpestando ogni diritto del popolo italiano. Ed è proprio partendo da questo punto di vista che ci si accorge con estrema facilità come Forza Italia sia attualmente priva di qualsiasi idea politica concreta e realistica. “Meno tasse, meno tasse, meno tasse”, grida Berlusconi. Ma il problema delle tasse è nato con gli obblighi dell’unione europea, con il fiscal compact,  con i limiti di bilancio imposti da Bruxelles, con la montagna del debito pubblico, con la rinuncia alla sovranità monetaria, non per un capriccio di Renzi.

 Berlusconi non accenna mai al problema vero dell’Italia, ossia alla sua appartenenza all’Ue e alla moneta unica. In una democrazia il compito delle opposizioni è quello di opporsi, altrimenti si suicida, ma uccide anche la democrazia. La Consulta ha forse dichiarato che non è valida la sentenza con la quale ha affermato l’illegittimità della legge elettorale? Un’opposizione  degna di questo nome non dovrebbe mai aver paura delle elezioni e avrebbe dovuto obbligare le forze politiche a rientrare con il voto nell’ambito della legittimità. L’attuale degrado anche morale in cui vive l’Italia, con gli scandali che scoppiano ogni giorno nell’ambito dei politici e degli amministratori, deriva anche da questa atmosfera di abbandono di ogni norma scaturito dall’illegittimità generale. Quale validità possono riconoscere i cittadini a un governo non eletto da nessuno, che cambia la Costituzione con un parlamento illegittimo e che si appresta a nominare il presidente della Repubblica con elettori illegittimi? Sarebbero sufficienti i primi nomi venuti alla ribalta come quelli di possibili presidenti della Repubblica (Prodi, Amato, Severino), lasciando allibiti gli Italiani che credevano di essersi liberati per sempre di simili personaggi, a ricordarci invece che proprio da queste persone siamo stati venduti all’Ue e che è ancora dall’Ue che siamo governati.


Ida Magli
27 dicembre 2014