Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. AVV. E. LONGO
COME LA GERMANIA SCONFISSE LA GRANDE DEPRESSIONE
di Mark Weber
“...Coloro che parlano di ‘democrazie’ e ‘dittature’, semplicemente non capiscono che in questo paese ha avuto luogo una rivoluzione, i risultati della quale possono essere considerati democratici nel senso più alto di questo termine, se la democrazia ha un concreto significato...”
(Discorso di Adolf Hitler al Reichstag, 30 gennaio 1937)
Per affrontare la massiccia disoccupazione e la paralisi economica della
Grande Depressione, tanto il governo americano quanto quello tedesco
lanciarono programmi innovativi e ambiziosi. Se le misure varate col
“New Deal” del presidente Franklin Roosevelt offrirono un aiuto solo
marginale, le politiche assai più ampie e mirate del Terzo Reich si
rivelarono notevolmente più efficaci. In soli tre anni la disoccupazione
era stata eliminata e l’economia della Germania era tornata a fiorire. E
se il metodo utilizzato da Roosevelt per fronteggiare la depressione è
abbastanza noto, la rimarchevole storia del sistema adottato da Hitler
contro la crisi non è mai stata pienamente compresa o apprezzata.
Adolf Hitler divenne Cancelliere di Germania il 30 gennaio 1933. Poche
settimane dopo, il 4 marzo, Franklin Roosevelt assunse la carica di
Presidente degli Stati Uniti. Entrambi restarono capi degli esecutivi
dei rispettivi paesi per i dodici anni che seguirono, fino cioè
all’aprile 1945, poco prima della fine della II Guerra Mondiale in
Europa. All’inizio del 1933, la produzione industriale in entrambi i
paesi era crollata a circa metà di ciò che era stata nel 1929. Ciascun
capo di stato adottò rapidamente nuove e coraggiose misure per
fronteggiare la terribile crisi economica, soprattutto con riguardo al
flagello della disoccupazione di massa. E sebbene vi siano alcune
impressionanti similarità tra gli sforzi compiuti dai due governi, i
risultati ottenuti furono molto diversi.
Uno dei più influenti e studiati economisti americani del ventesimo
secolo è stato John Kenneth Galbraith. Fu consigliere di diversi
presidenti e per un periodo ebbe l’incarico di ambasciatore americano in
India. Fu autore di dozzine di libri e per anni insegnò economia presso
l’Università di Harvard. Riguardo ai risultati ottenuti dalla Germania,
Galbraith scrisse: “...L’eliminazione della disoccupazione in Germania
durante la Grande Depressione, senza produrre inflazione – e facendo
inizialmente affidamento sulle sole attività civili – fu una conquista
straordinaria. E’ stata raramente encomiata e non molto sottolineata.
L’idea che da Hitler non potesse venire niente di buono si estende alle
sue politiche economiche, così come, più plausibilmente, ad ogni altra
cosa”.
La politica economica del regime hitleriano, prosegue Galbraith,
comprendeva “prestiti su larga scala per la spesa pubblica, all’inizio
principalmente per opere civili: ferrovie, canali e le Autobahnen [la
rete autostradale]. Il risultato fu un attacco alla disoccupazione che
si rivelò molto più efficace che in qualsiasi altro paese
industrializzato”. [1]
“Alla fine del 1935”, scrive ancora Galbraith, “la disoccupazione in
Germania non esisteva più. Nel 1936 gli alti profitti facevano già
salire i prezzi o rendevano possibile alzarli... Alla fine degli anni
’30, la Germania era un paese a piena occupazione e con prezzi stabili.
Si trattò, nel mondo industrializzato, di un risultato assolutamente
unico”. [2]
“Hitler riuscì anche ad anticipare le moderne politiche economiche”,
nota l’economista,“riconoscendo che una rapida ripresa della piena
occupazione sarebbe stata possibile solo se combinata con il controllo
sui salari e sui prezzi. Non c’è da sorprendersi che una nazione
oppressa dalle paure economiche rispondesse a Hitler come gli americani
risposero a F.D.R.”. [3]
Altri paesi, scrive Galbraith, non furono in grado di comprendere
l’esperienza tedesca o di imparare da essa: “L’esempio tedesco fu
istruttivo ma non convincente. I conservatori britannici e americani
guardavano alle eresie finanziarie del Nazismo – il prestito e la spesa –
e prevedevano concordemente un collasso... E i liberali americani e i
socialisti britannici guardavano la repressione, la distruzione dei
sindacati, le Camicie Brune, le Camicie Nere, i campi di concentramento,
l’oratoria strepitante, e ignoravano l’economia. Nulla di buono[essi
credevano], nemmeno la piena occupazione, sarebbe potuto venire da
Hitler”. [4]
Due giorni dopo aver assunto l’incarico di Cancelliere, Hitler si
rivolse per radio alla nazione. Sebbene lui e altri leader del suo
movimento avessero resa esplicita l’intenzione di riorganizzare la vita
sociale, politica, culturale ed educativa della nazione in accordo con i
princìpi nazionalsocialisti, tutti capivano che, con quasi sei milioni
di disoccupati e l’economia del paese alla paralisi, la massima priorità
del movimento era quella di rimettere in moto la vita economica
nazionale, aggredendo anzitutto la disoccupazione ed edificando opere
produttive.
“La miseria del nostro popolo è terribile da contemplare!”, disse Hitler
nel suo discorso inaugurale. [5] “Accanto ai milioni di lavoratori
dell’industria affamati e senza impiego, vi è l’impoverimento
dell’intera classe media e degli artigiani. Se questo collasso dovesse
infine distruggere anche i contadini tedeschi, ci troveremmo di fronte
ad una catastrofe di dimensioni incalcolabili. Non sarebbe soltanto il
collasso di una nazione, ma del retaggio, antico di duemila anni, di
alcune tra le più grandi conquiste della cultura e della civiltà
umana...”
Il nuovo governo, disse Hitler, avrebbe “intrapreso il grande compito di
riorganizzare l’economia della nostra nazione per mezzo di due grandi
piani quadriennali. I contadini tedeschi devono essere salvaguardati per
garantire le necessità alimentari della nazione e, di conseguenza, la
sua base vitale. L’operaio tedesco verrà salvato dalla rovina grazie ad
un attacco concertato e a tutto campo contro la disoccupazione”.
Ripudiando le prospettive economiche nebulose e poco concrete di certi
attivisti radicali del suo partito, Hitler si rivolse a uomini di
provata capacità e competenza. Molto significativamente, chiese l’aiuto
di Hjalmar Schacht, banchiere e finanziere di spicco con un
impressionante curriculum tanto nell’imprenditoria privata quanto nel
settore pubblico. Sebbene Schacht non fosse di certo un
nazionalsocialista, Hitler lo nominò presidente della banca centrale
tedesca, la Reichsbank, e poi ministro dell’economia.
Dopo avere assunto il potere, scrive il Prof. John Garraty, eminente
storico americano, Hitler e il suo nuovo governo “lanciarono
immediatamente un attacco a tutto campo contro la disoccupazione...
Stimolarono l’industria privata attraverso sussidi e sgravi fiscali,
incoraggiarono la spesa dei consumatori con strumenti quali i prestiti
matrimoniali e si lanciarono in un massiccio programma di opere
pubbliche che produsse autobahn [autostrade], abitazioni, ferrovie e
progetti di navigazione”. [6]
I nuovi capi di regime riuscirono a convincere anche quei cittadini
tedeschi che un tempo erano scettici e perfino ostili, della propria
sincerità, capacità e risolutezza. Ciò accrebbe la fiducia e la
sicurezza, il che a sua volta incoraggiò gli uomini d’affari a compiere
assunzioni e investimenti e i consumatori a spendere con lo sguardo
rivolto al futuro.
Come avevano promesso, Hitler e il suo governo nazionalsocialista
eliminarono la disoccupazione entro quattro anni. Il numero di
disoccupati scese dai sei milioni dell’inizio del 1933, quando Hitler
era salito al potere, al milione del 1936. [7] Il tasso di
disoccupazione si ridusse in modo così rapido che nel biennio 1937-38 si
registrò una carenza nazionale di forza lavoro. [8]
Per la stragrande maggioranza dei tedeschi, i salari e le condizioni di
lavoro andarono rapidamente migliorando. Tra il 1932 e il 1938 la paga
settimanale lorda crebbe del 21%. Se si tiene conto delle trattenute
fiscali e assicurative e degli adeguamenti al costo della vita,
l’incremento degli introiti settimanali durante questo periodo fu del
14%. Allo stesso tempo, il prezzo degli affitti rimase stabile e vi fu
un relativo calo dei costi della luce e del riscaldamento. Calarono
anche i prezzi di alcuni beni di consumo, come apparecchi elettrici,
orologi da muro e da polso e alcuni generi alimentari. Il salario degli
operai continuò a crescere, anche dopo l’inizio della guerra. Nel 1943
la paga oraria media di un lavoratore tedesco era cresciuta del 25% e
quella settimanale del 41%. [9]
La “normale” giornata lavorativa, per molti tedeschi, era di otto ore e
la retribuzione per gli straordinari era generosa. [10] Oltre ai salari
più alti, i benefici includevano anche il miglioramento delle condizioni
di lavoro, ad esempio migliori condizioni sanitarie e di sicurezza,
mense che fornivano pasti caldi, campi di atletica, parchi, recite
teatrali e concerti sovvenzionati dalle aziende, mostre, gruppi sportivi
ed escursionistici, balletti, corsi di educazione per adulti e gite
turistiche pagate. [11] Il preesistente sistema di programmi sociali,
che includeva le pensioni di anzianità e l’assistenza sanitaria, venne
ampliato ulteriormente.
Hitler voleva che i tedeschi avessero “il più alto standard di vita
possibile”, come disse in un’intervista rilasciata ad un giornalista
americano all’inizio del 1934. “A mio giudizio, gli americani hanno
ragione nel non voler porre tutti allo stesso livello, mantenendo invece
il principio della scala. Però, ad ogni singolo cittadino deve essere
garantita l’opportunità di poter salire i gradini di quella scala”. [12]
Per tener fede a questa prospettiva, il governo di Hitler promosse la
mobilità sociale, con ampie opportunità di crescita e di carriera. Come
osserva il Prof. Garraty: “Non vi è ombra di dubbio che i nazisti
incoraggiarono la mobilità sociale ed economica della classe
lavoratrice”. Per promuovere l’acquisizione di nuove competenze, il
governo ampliò a dismisura i programmi di avviamento professionale e
offrì generosi incentivi per gli scatti di carriera dei lavoratori più
efficienti. [13]
Tanto l’ideologia nazionalsocialista quanto la visione di Hitler, scrive
lo storico John Garraty,“spingevano il regime a privilegiare il comune
cittadino tedesco sui gruppi d’èlite. Gli operai... avevano un posto
d’onore all’interno del sistema”. In linea con quest’idea, il regime
concesse ai lavoratori sostanziosi benefici, che includevano mutui
agevolati, escursioni a costi ridotti, programmi sportivi e ambienti di
fabbrica più gradevoli. [14]
Nella sua dettagliata e critica biografia di Hitler, lo storico Joachim
Fest riconosce: “Il regime insisteva che non doveva esserci il dominio
di un’unica classe sociale sulle altre e – garantendo a ciascuno la
possibilità di crescere – dimostrò nei fatti la sua neutralità di
classe... Queste misure fecero realmente breccia nelle vecchie e
pietrificate strutture sociali. Produssero il miglioramento delle
condizioni materiali di gran parte della popolazione”. [15]
Bastano poche cifre a dare l’idea di quanto la qualità della vita fosse
migliorata. Tra il 1932, ultimo anno dell’era pre-hitleriana, e il 1938,
ultimo anno prima dello scoppio della guerra, il consumo di alimentari
crebbe di un sesto, mentre il ricambio di abbigliamento e manufatti
tessili aumentò di oltre un quarto, quello di arredamento e beni per la
casa del 50 %. [16] Durante gli anni di pace del Terzo Reich, il consumo
di vino crebbe del 50%, quello di champagne aumentò di cinque volte.
[17] Tra il 1932 e il 1938, il volume degli introiti per le aziende
turistiche risultò più che raddoppiato, mentre il numero di possessori
di automobili triplicò nel corso degli anni ’30. [18] La produzione
tedesca di veicoli a motore, che includeva automobili prodotte dalle
aziende di proprietà statunitense Ford e General Motors (Opel),
raddoppiò nei cinque anni tra il 1932 e il 1937, mentre l’esportazione
di veicoli a motore tedeschi crebbe di otto volte. Il traffico aereo
passeggeri in Germania aumentò di oltre il triplo tra il 1932 e il 1937.
[19]
Le aziende tedesche rivivevano e prosperavano. Durante i primi quattro
anni dell’era nazionalsocialista, il netto delle grandi aziende si era
quadruplicato e le retribuzioni delle figure manageriali e
imprenditoriali erano cresciute del 50 per cento. “E le cose sarebbero
andate ancora meglio”, scrive lo storico ebraico Richard Grunberger nel
suo studio dettagliato The Twelve-Years Reich. “Nei tre anni tra il 1939
e il 1942, l’industria tedesca ebbe uno sviluppo pari a quello avuto
nei cinquant’anni precedenti”. [20]
Anche se le imprese tedesche prosperavano, i profitti venivano tenuti
sotto controllo e contenuti per legge entro limiti moderati. [21] A
partire dal 1934, i dividendi degli azionisti delle corporazioni
tedesche vennero limitati al sei per cento annuale. I profitti non
distribuiti venivano investiti in titoli del governo del Reich, che
offrivano un interesse annuale del sei per cento, e poi, dopo il 1935,
del quattro e mezzo per cento. Questa politica ebbe il prevedibile
effetto di incoraggiare i reinvestimenti e l’autofinanziamento delle
aziende, quindi di ridurre il ricorso ai prestiti bancari e, più in
generale, di ridurre l’influenza del capitale commerciale. [22]
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