lunedì 5 gennaio 2015

COME LA GERMANIA SCONFISSE LA GRANDE DEPRESSIONE

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. AVV. E. LONGO

COME LA GERMANIA SCONFISSE LA GRANDE DEPRESSIONE


di Mark Weber

“...Coloro che parlano di ‘democrazie’ e ‘dittature’, semplicemente non capiscono che in questo paese ha avuto luogo una rivoluzione, i risultati della quale possono essere considerati democratici nel senso più alto di questo termine, se la democrazia ha un concreto significato...”

(Discorso di Adolf Hitler al Reichstag, 30 gennaio 1937)
Per affrontare la massiccia disoccupazione e la paralisi economica della Grande Depressione, tanto il governo americano quanto quello tedesco lanciarono programmi innovativi e ambiziosi. Se le misure varate col “New Deal” del presidente Franklin Roosevelt offrirono un aiuto solo marginale, le politiche assai più ampie e mirate del Terzo Reich si rivelarono notevolmente più efficaci. In soli tre anni la disoccupazione era stata eliminata e l’economia della Germania era tornata a fiorire. E se il metodo utilizzato da Roosevelt per fronteggiare la depressione è abbastanza noto, la rimarchevole storia del sistema adottato da Hitler contro la crisi non è mai stata pienamente compresa o apprezzata.
Adolf Hitler divenne Cancelliere di Germania il 30 gennaio 1933. Poche settimane dopo, il 4 marzo, Franklin Roosevelt assunse la carica di Presidente degli Stati Uniti. Entrambi restarono capi degli esecutivi dei rispettivi paesi per i dodici anni che seguirono, fino cioè all’aprile 1945, poco prima della fine della II Guerra Mondiale in Europa. All’inizio del 1933, la produzione industriale in entrambi i paesi era crollata a circa metà di ciò che era stata nel 1929. Ciascun capo di stato adottò rapidamente nuove e coraggiose misure per fronteggiare la terribile crisi economica, soprattutto con riguardo al flagello della disoccupazione di massa. E sebbene vi siano alcune impressionanti similarità tra gli sforzi compiuti dai due governi, i risultati ottenuti furono molto diversi.
Uno dei più influenti e studiati economisti americani del ventesimo secolo è stato John Kenneth Galbraith. Fu consigliere di diversi presidenti e per un periodo ebbe l’incarico di ambasciatore americano in India. Fu autore di dozzine di libri e per anni insegnò economia presso l’Università di Harvard. Riguardo ai risultati ottenuti dalla Germania, Galbraith scrisse: “...L’eliminazione della disoccupazione in Germania durante la Grande Depressione, senza produrre inflazione – e facendo inizialmente affidamento sulle sole attività civili – fu una conquista straordinaria. E’ stata raramente encomiata e non molto sottolineata. L’idea che da Hitler non potesse venire niente di buono si estende alle sue politiche economiche, così come, più plausibilmente, ad ogni altra cosa”.
La politica economica del regime hitleriano, prosegue Galbraith, comprendeva “prestiti su larga scala per la spesa pubblica, all’inizio principalmente per opere civili: ferrovie, canali e le Autobahnen [la rete autostradale]. Il risultato fu un attacco alla disoccupazione che si rivelò molto più efficace che in qualsiasi altro paese industrializzato”. [1]
“Alla fine del 1935”, scrive ancora Galbraith, “la disoccupazione in Germania non esisteva più. Nel 1936 gli alti profitti facevano già salire i prezzi o rendevano possibile alzarli... Alla fine degli anni ’30, la Germania era un paese a piena occupazione e con prezzi stabili. Si trattò, nel mondo industrializzato, di un risultato assolutamente unico”. [2]
“Hitler riuscì anche ad anticipare le moderne politiche economiche”, nota l’economista,“riconoscendo che una rapida ripresa della piena occupazione sarebbe stata possibile solo se combinata con il controllo sui salari e sui prezzi. Non c’è da sorprendersi che una nazione oppressa dalle paure economiche rispondesse a Hitler come gli americani risposero a F.D.R.”. [3]
Altri paesi, scrive Galbraith, non furono in grado di comprendere l’esperienza tedesca o di imparare da essa: “L’esempio tedesco fu istruttivo ma non convincente. I conservatori britannici e americani guardavano alle eresie finanziarie del Nazismo – il prestito e la spesa – e prevedevano concordemente un collasso... E i liberali americani e i socialisti britannici guardavano la repressione, la distruzione dei sindacati, le Camicie Brune, le Camicie Nere, i campi di concentramento, l’oratoria strepitante, e ignoravano l’economia. Nulla di buono[essi credevano], nemmeno la piena occupazione, sarebbe potuto venire da Hitler”. [4]
Due giorni dopo aver assunto l’incarico di Cancelliere, Hitler si rivolse per radio alla nazione. Sebbene lui e altri leader del suo movimento avessero resa esplicita l’intenzione di riorganizzare la vita sociale, politica, culturale ed educativa della nazione in accordo con i princìpi nazionalsocialisti, tutti capivano che, con quasi sei milioni di disoccupati e l’economia del paese alla paralisi, la massima priorità del movimento era quella di rimettere in moto la vita economica nazionale, aggredendo anzitutto la disoccupazione ed edificando opere produttive.
“La miseria del nostro popolo è terribile da contemplare!”, disse Hitler nel suo discorso inaugurale. [5] “Accanto ai milioni di lavoratori dell’industria affamati e senza impiego, vi è l’impoverimento dell’intera classe media e degli artigiani. Se questo collasso dovesse infine distruggere anche i contadini tedeschi, ci troveremmo di fronte ad una catastrofe di dimensioni incalcolabili. Non sarebbe soltanto il collasso di una nazione, ma del retaggio, antico di duemila anni, di alcune tra le più grandi conquiste della cultura e della civiltà umana...”
Il nuovo governo, disse Hitler, avrebbe “intrapreso il grande compito di riorganizzare l’economia della nostra nazione per mezzo di due grandi piani quadriennali. I contadini tedeschi devono essere salvaguardati per garantire le necessità alimentari della nazione e, di conseguenza, la sua base vitale. L’operaio tedesco verrà salvato dalla rovina grazie ad un attacco concertato e a tutto campo contro la disoccupazione”.
“Entro quattro anni”, garantì, “la disoccupazione sarà definitivamente superata. [...] I partiti marxisti e i loro alleati hanno avuto 14 anni per dimostrare ciò che erano in grado di fare. Il risultato è un cumulo di rovine. Ora, popolo di Germania, concedi a noi quattro anni di tempo e poi darai un giudizio su di noi!”.

Ripudiando le prospettive economiche nebulose e poco concrete di certi attivisti radicali del suo partito, Hitler si rivolse a uomini di provata capacità e competenza. Molto significativamente, chiese l’aiuto di Hjalmar Schacht, banchiere e finanziere di spicco con un impressionante curriculum tanto nell’imprenditoria privata quanto nel settore pubblico. Sebbene Schacht non fosse di certo un nazionalsocialista, Hitler lo nominò presidente della banca centrale tedesca, la Reichsbank, e poi ministro dell’economia.
Dopo avere assunto il potere, scrive il Prof. John Garraty, eminente storico americano, Hitler e il suo nuovo governo “lanciarono immediatamente un attacco a tutto campo contro la disoccupazione... Stimolarono l’industria privata attraverso sussidi e sgravi fiscali, incoraggiarono la spesa dei consumatori con strumenti quali i prestiti matrimoniali e si lanciarono in un massiccio programma di opere pubbliche che produsse autobahn [autostrade], abitazioni, ferrovie e progetti di navigazione”. [6]
I nuovi capi di regime riuscirono a convincere anche quei cittadini tedeschi che un tempo erano scettici e perfino ostili, della propria sincerità, capacità e risolutezza. Ciò accrebbe la fiducia e la sicurezza, il che a sua volta incoraggiò gli uomini d’affari a compiere assunzioni e investimenti e i consumatori a spendere con lo sguardo rivolto al futuro.
Come avevano promesso, Hitler e il suo governo nazionalsocialista eliminarono la disoccupazione entro quattro anni. Il numero di disoccupati scese dai sei milioni dell’inizio del 1933, quando Hitler era salito al potere, al milione del 1936. [7] Il tasso di disoccupazione si ridusse in modo così rapido che nel biennio 1937-38 si registrò una carenza nazionale di forza lavoro. [8]
Per la stragrande maggioranza dei tedeschi, i salari e le condizioni di lavoro andarono rapidamente migliorando. Tra il 1932 e il 1938 la paga settimanale lorda crebbe del 21%. Se si tiene conto delle trattenute fiscali e assicurative e degli adeguamenti al costo della vita, l’incremento degli introiti settimanali durante questo periodo fu del 14%. Allo stesso tempo, il prezzo degli affitti rimase stabile e vi fu un relativo calo dei costi della luce e del riscaldamento. Calarono anche i prezzi di alcuni beni di consumo, come apparecchi elettrici, orologi da muro e da polso e alcuni generi alimentari. Il salario degli operai continuò a crescere, anche dopo l’inizio della guerra. Nel 1943 la paga oraria media di un lavoratore tedesco era cresciuta del 25% e quella settimanale del 41%. [9]
La “normale” giornata lavorativa, per molti tedeschi, era di otto ore e la retribuzione per gli straordinari era generosa. [10] Oltre ai salari più alti, i benefici includevano anche il miglioramento delle condizioni di lavoro, ad esempio migliori condizioni sanitarie e di sicurezza, mense che fornivano pasti caldi, campi di atletica, parchi, recite teatrali e concerti sovvenzionati dalle aziende, mostre, gruppi sportivi ed escursionistici, balletti, corsi di educazione per adulti e gite turistiche pagate. [11] Il preesistente sistema di programmi sociali, che includeva le pensioni di anzianità e l’assistenza sanitaria, venne ampliato ulteriormente.
Hitler voleva che i tedeschi avessero “il più alto standard di vita possibile”, come disse in un’intervista rilasciata ad un giornalista americano all’inizio del 1934. “A mio giudizio, gli americani hanno ragione nel non voler porre tutti allo stesso livello, mantenendo invece il principio della scala. Però, ad ogni singolo cittadino deve essere garantita l’opportunità di poter salire i gradini di quella scala”. [12] Per tener fede a questa prospettiva, il governo di Hitler promosse la mobilità sociale, con ampie opportunità di crescita e di carriera. Come osserva il Prof. Garraty: “Non vi è ombra di dubbio che i nazisti incoraggiarono la mobilità sociale ed economica della classe lavoratrice”. Per promuovere l’acquisizione di nuove competenze, il governo ampliò a dismisura i programmi di avviamento professionale e offrì generosi incentivi per gli scatti di carriera dei lavoratori più efficienti. [13]
Tanto l’ideologia nazionalsocialista quanto la visione di Hitler, scrive lo storico John Garraty,“spingevano il regime a privilegiare il comune cittadino tedesco sui gruppi d’èlite. Gli operai... avevano un posto d’onore all’interno del sistema”. In linea con quest’idea, il regime concesse ai lavoratori sostanziosi benefici, che includevano mutui agevolati, escursioni a costi ridotti, programmi sportivi e ambienti di fabbrica più gradevoli. [14]
Nella sua dettagliata e critica biografia di Hitler, lo storico Joachim Fest riconosce: “Il regime insisteva che non doveva esserci il dominio di un’unica classe sociale sulle altre e – garantendo a ciascuno la possibilità di crescere – dimostrò nei fatti la sua neutralità di classe... Queste misure fecero realmente breccia nelle vecchie e pietrificate strutture sociali. Produssero il miglioramento delle condizioni materiali di gran parte della popolazione”. [15]
Bastano poche cifre a dare l’idea di quanto la qualità della vita fosse migliorata. Tra il 1932, ultimo anno dell’era pre-hitleriana, e il 1938, ultimo anno prima dello scoppio della guerra, il consumo di alimentari crebbe di un sesto, mentre il ricambio di abbigliamento e manufatti tessili aumentò di oltre un quarto, quello di arredamento e beni per la casa del 50 %. [16] Durante gli anni di pace del Terzo Reich, il consumo di vino crebbe del 50%, quello di champagne aumentò di cinque volte. [17] Tra il 1932 e il 1938, il volume degli introiti per le aziende turistiche risultò più che raddoppiato, mentre il numero di possessori di automobili triplicò nel corso degli anni ’30. [18] La produzione tedesca di veicoli a motore, che includeva automobili prodotte dalle aziende di proprietà statunitense Ford e General Motors (Opel), raddoppiò nei cinque anni tra il 1932 e il 1937, mentre l’esportazione di veicoli a motore tedeschi crebbe di otto volte. Il traffico aereo passeggeri in Germania aumentò di oltre il triplo tra il 1932 e il 1937. [19]
Le aziende tedesche rivivevano e prosperavano. Durante i primi quattro anni dell’era nazionalsocialista, il netto delle grandi aziende si era quadruplicato e le retribuzioni delle figure manageriali e imprenditoriali erano cresciute del 50 per cento. “E le cose sarebbero andate ancora meglio”, scrive lo storico ebraico Richard Grunberger nel suo studio dettagliato The Twelve-Years Reich. “Nei tre anni tra il 1939 e il 1942, l’industria tedesca ebbe uno sviluppo pari a quello avuto nei cinquant’anni precedenti”. [20]

Anche se le imprese tedesche prosperavano, i profitti venivano tenuti sotto controllo e contenuti per legge entro limiti moderati. [21] A partire dal 1934, i dividendi degli azionisti delle corporazioni tedesche vennero limitati al sei per cento annuale. I profitti non distribuiti venivano investiti in titoli del governo del Reich, che offrivano un interesse annuale del sei per cento, e poi, dopo il 1935, del quattro e mezzo per cento. Questa politica ebbe il prevedibile effetto di incoraggiare i reinvestimenti e l’autofinanziamento delle aziende, quindi di ridurre il ricorso ai prestiti bancari e, più in generale, di ridurre l’influenza del capitale commerciale. [22]
 
                                                                                                                                        

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