giovedì 17 marzo 2016

NOI FASCISTI E GLI EBREI (Giorgio Pisano')


Questo saggio di estremo interesse è stato scritto da Giorgio Pisanò e pubblicato sulla rivista “Candido” nel 1986. Buona lettura .




Noi fascisti e gli ebrei

PREMESSA

Il problema ebraico; il diritto o meno alla vita dello Stato d’Israele; gli ebrei e i palestinesi; il potere sionista internazionale ieri, oggi e domani; la verità sull’olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale; i nazisti e gli ebrei; i fascisti e gli ebrei.
Sono questi i temi principali di un dibattito che, continuamente alimentato da drammatiche vicende, pone l’argomento “ebrei” al centro di violente polemiche, di contrastanti valutazioni, di duri scontri ideologici e politici, di ricorrenti ondate razziste.
Ma quasi sempre il dibattito si aggroviglia e si disperde per l’assenza di precise conoscenze storiche e di documentate argomentazioni sulle quali ancorare opinioni e fatti specifici.
Il fatto è che dalla fine della seconda guerra mondiale in poi intere generazioni sono state plagiate, imbrogliate, disinformate sistematicamente da una pseudo cultura che si basa, specie per quanto riguarda le verità della storia e le interpretazioni che debbono derivarne, più che altro su tesi propagandistiche, sulle falsità, sulle invenzioni, sulle deformazioni imposte a proprio uso e consumo dai vincitori.
Così, per restare al problema ebraico, si assiste al continuo proliferare di prese di posizioni che, partendo da premesse storicamente errate, giungono ovviamente a conclusioni altrettanto sbagliate.
Riteniamo quindi utile portare un contributo di chiarezza al dibattito in corso sugli ebrei affrontando un tema specifico, che ha però molta influenza sugli atteggiamenti di molti italiani nei confronti della realtà israeliana: vale a dire i rapporti tra fascismo ed ebrei.
È dalla fine della guerra, infatti, che la propaganda antifascista si sforza a sostenere la tesi secondo la quale Mussolini e i fascisti sarebbero stati pienamente solidali con la politica antisemita del nazismo e corresponsabili delle atrocità che vengono attribuite ai tedeschi.
Una tesi finora praticamente incontrastata e quindi accettata per vera, ma che, invece, non ha alcun fondamento, come è dimostrato da una analisi delle documentazioni esistenti, specialmente di fonte ebraica.
Ecco allora, sulla scorta di documenti, ripetiamo, quasi esclusivamente di fonte ebraica e antifascista, la verità sui rapporti che intercorsero tra il fascismo e gli ebrei, dalle origini del movimento fascista nel 1919 fino agli ultimi giorni della Repubblica sociale italiana nell’aprile del 1945.
Da questi documenti, da queste testimonianze che qui pubblichiamo emerge senza possibilità di equivoci che il movimento fascista non fu mai su posizioni antiebraiche e che, nonostante la posizione ufficiale ostile alla razza ebraica assunta alla vigilia della Seconda guerra mondiale, Mussolini e i fascisti si operarono con ogni mezzo, in tutta l’Europa sconvolta dalla guerra, per salvare gli israeliti perseguitati dal nazismo.
Questo libro si compone di due parti. La prima, strettamente documentaria, ristabilisce delle verità storiche che non è più consentito occultare o distorcere. La seconda consiste in una polemica che si svolse nel 1961 sulle colonne del “Meridiano d’Italia” tra il sottoscritto e il commendator Massimo Vitale, allora Presidente del Centro di Documentazione Ebraica e del Comitato Ricerche Deportati Ebrei. Una polemica che ritengo utile pubblicare nuovamente senza alcuna modifica, non solo perché suscitò allora grande interesse e mise in crisi gli organi direttivi del Centro di Documentazione Ebraica, ma soprattutto perché sviluppò e approfondì temi e aspetti del grande dramma ebraico ancora di vivissima e stretta attualità.
Giorgio Pisanò

GLI EBREI E IL FASCISMO

Nelle pagine che seguono documenteremo quale fu l’atteggiamento tenuto dal governo fascista dal 1922 fino all’aprile del 1945 nei confronti degli ebrei, con particolare riguardo al periodo che oggi viene comunemente ricordato come quello delle leggi antisemite e della persecuzione. La ricostruzione degli avvenimenti è stata da noi effettuata, mancando precise testimonianze di parte fascista, quasi esclusivamente sulla scorta di documenti ebraici ed antifascisti che citeremo di volta in volta.

Diciamo subito, comunque, che da tale documentazione emerge una realtà storicamente molto diversa da quella che una propaganda ormai più che quarantennale, è riuscita ad accreditare presso l’opinione pubblica. Tale propaganda, alimentata in maniera massiccia da organizzazioni politiche particolarmente interessate a fomentare confusioni ed equivoci, sostiene che a quei tempi si verificò una netta differenziazione tra la massa del popolo italiano, contraria ad ogni tipo di persecuzione e pronta ad aiutare, come effettivamente aiutò con ogni mezzo, gli ebrei, e il governo fascista, deciso invece a realizzare sull’esempio tedesco la più feroce, spietata e inumana caccia all’ebreo. Questa propaganda sostiene inoltre che se in Italia e nei territori europei occupati dalle truppe italiane non si giunse ai crudeli eccessi cui si abbandonarono i germanici, ciò lo si dovette al fatto che gli italiani, dai generali all’ultimo soldato, si rifiutarono di obbedire agli ordini del governo fascista e agirono di loro iniziativa in nome dei superiori princìpi di umanità.

Tutto ciò, come appare chiaramente dai documenti che pubblicheremo, non è esatto. Dalle testimonianze, e particolarmente da quelle di fonte ebraica, appare infatti evidente che l’atteggiamento degli italiani nei confronti degli ebrei fu ispirato non solo da motivi di umanità ma anche e soprattutto da precise disposizioni emanate dal governo fascista e personalmente da Mussolini, il quale, nonostante il suo apparente antisemitismo determinato da esigenze di politica internazionale, fu l’unico uomo politico europeo che, tra il 1938 e il 1945, si prodigò concretamente per salvare la vita a centinaia di migliaia di ebrei in tutta Europa.

Ciò premesso, entriamo in argomento ricordando prima di tutto che la penisola italiana fu l’unica regione europea dove, nel corso dei secoli, gli ebrei poterono vivere e prosperare con ampissimi margini di sicurezza. Mentre in quasi tutte le Nazioni europee le collettività israelitiche, isolate nei “ghetti”, sottoposte a discriminazioni di ogni genere, divenivano periodicamente vittime di persecuzioni spaventose e di massacri indescrivibili, in Italia la comunità ebraica poté prosperare inserendosi sempre più profondamente nella vita sociale, politica ed economica del Paese. Sta di fatto che già agli albori dell’800 il termine “ghetto” giunse a perdere in Italia quel significato spregiativo che, invece, conservò nelle altre Nazioni, e gli ebrei furono sempre più liberi di inserirsi nel tessuto connettivo della Nazione, mantenendo inalterate le loro organizzazioni comunitarie e integri i loro riti. Si giunse così all’unificazione del Paese. Gli ebrei non stettero in disparte. Parteciparono attivamente e valorosamente alle lotte per l’indipendenza, italiani fra italiani.

Al termine della prima guerra mondiale furono tra i primi ad accorrere nelle squadre d’azione fasciste. Tre ebrei triestini, i fratelli Forti, furono i fondatori del Fascio giuliano; altri parteciparono in prima linea alle attività dei Fasci di Roma, Firenze, Bologna, Genova, Ferrara e così via. Uno squadrista ferrarese ebreo, per esempio, l’avvocato Renzo Ravenna, fu poi per oltre quindici anni podestà della città estense: e ancora a guerra finita, nonostante piangesse ben quattordici familiari massacrati nei lager tedeschi, restò uno dei più strenui difensori della memoria di Italo Balbo.

Documenta lo storico Renzo De Felice, nella sua voluminosa Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo (Einaudi editore, 1961), che gli squadristi ebrei (intendendo per tali gli iscritti al Partito fascista prima della Marcia su Roma) furono ben 746, cifra più che notevole se si pensi che, a quell’epoca, la collettività ebraica in Italia non raggiungeva le 50 mila unità. Tanta fedeltà degli ebrei alla causa nazionale venne puntualizzata ripetutamente da Mussolini durante il periodo rivoluzionario, e in maniera particolare in un articolo apparso sul Popolo d’Italia il 19 ottobre 1920. In questo articolo il Capo del fascismo, prendendo lo spunto dalle leggi antisemite votate dall’Assemblea nazionale ungherese affermò: «L’Italia non conosce l’antisemitismo e crediamo che non lo conoscerà mai».

Dopo l’avvento del fascismo, gli ebrei italiani ottennero un riconoscimento solenne con la legge del 1931 che istituiva le nuove “norme sulle comunità israelitiche e sull’unione delle comunità medesime”. Tale legge, ancora oggi in vigore, venne caldeggiata dagli stessi ebrei che intendevano giungere ad un generale riordinamento delle comunità locali, che si reggevano sulle antiche leggi varate al tempo in cui l’Italia era suddivisa in tanti staterelli. Gli studi relativi a questa legge iniziarono nel 1927 e furono affidati a un’apposita commissione formata dall’allora “Consorzio delle comunità israelitiche”, cui parteciparono Angelo Sacerdoti, rabbino di Roma, e i giuristi ebrei Mario Falco, Giulio Foa e Angelo Sullam. Nel 1929 questa commissione cedette il passo a una commissione ministeriale per la preparazione del disegno di legge, della quale fecero parte Mario Falco, Angelo Sacerdoti e Angelo Sereni, quest’ultimo presidente del Consorzio stesso.

La conclusione fu che gli israeliti italiani, grazie al governo fascista, ottennero la legislazione più liberale, più moderna, più funzionale che mai una collettività ebrea avesse ottenuto, in alcuna altra parte del mondo, in duemila anni di storia. In pieno regime totalitario, infatti, gli ebrei italiani, con la legge del 1931, furono liberi di eleggere democraticamente i loro rappresentanti, di provvedere in maniera autonoma alle loro necessità, all’amministrazione dei loro beni e alla conservazione delle tradizioni e del patrimonio storico ebraico.

Scrive infatti lo storico De Felice nella sua opera già citata: «La nuova legge sulle comunità israelitiche approvata nel 1931 completò infine l’opera, sancendo l’inizio di una nuova fase dei rapporti tra ebrei e fascisti. Nel giro di pochi mesi anche le ultime resistenze e incomprensioni si dissiparono. Ogni possibilità dell’insorgere di un problema ebraico in Italia sembrò ai più, da una parte e dall’altra, tanto remota quanto assurda. A fare dell’antisemitismo rimasero tra i fascisti solo Preziosi e pochissimi altri … ai margini o addirittura al di fuori dell’apparato statale e delle stesse sfere dirigenti del fascismo… Il 25 febbraio 1931 Costanzo Ciano visitando il tempio di Livorno arrivò a dire pubblicamente che in Italia c’erano troppo pochi ebrei. Non può dunque destare meraviglia che persino sul sionista Israel apparissero sempre più di frequente articoli e note filofasciste. Valga per tutti il “fondo” del numero 27 ottobre 1932 in occasione del decennale della Marcia su Roma e intitolato appunto Decennale: “Dopo dieci anni di regime fascista, il ritmo spirituale della vita ebraica in Italia è più intenso, assai più intenso di prima … In un clima storico come quello del fascismo riesce più facile ai dimentichi di ritrovare il cammino della propria coscienza, ai memori di rafforzarlo, presidiandolo di studi e di opere”».

Sempre a proposito della legge del 1931 così scrive ancora il De Felice: «Nel complesso, la nuova legge fu accolta dalla stragrande maggioranza degli ebrei molto favorevolmente. Solo da parte di alcuni rabbini si sarebbe desiderato che fosse dato loro un maggior peso nella direzione delle comunità. Tutti i principali gruppi l’accolsero con vivo compiacimento. Il 17 ottobre, all’indomani cioè della sua approvazione da parte del Consiglio dei ministri, il presidente del Consorzio telegrafò a Mussolini la “vivissima riconoscenza” degli ebrei italiani; analoghi messaggi furono inviati da quasi tutte le comunità».

Con la legge del 1931, gli ebrei italiani, il cui numero non superava le 50 mila unità, videro così consacrato il loro inserimento nella Nazione italiana. In quei giorni nessuno, certo, poteva immaginare che cosa sarebbe accaduto qualche anno più avanti.

È difficile, ora, stabilire una data precisa circa l’inizio della frattura tra il fascismo e gli ebrei italiani. Ma è certo che il radicalizzarsi della lotta tra fascismo e comunismo, tra fascismo e democrazie occidentali, segnò le prime crepe in un accordo che doveva fatalmente rompersi.

Diciamo “fatalmente” a ragion veduta. Gli ebrei, infatti, non avrebbero mai potuto appoggiare sinceramente e decisamente lo sforzo di una Italia tesa a rompere l’assedio all’Europa, che capitalismo da una parte e comunismo dall’altra, stavano sempre più stringendo. Per fare ciò avrebbero dovuto dimenticare di essere ebrei, dimenticare le loro origini, i loro interessi e duemila anni di tradizione e di fede religiosa tramandate rigidamente di padre in figlio. E, sia chiaro, non diciamo questo con tono accusatorio: facciamo una constatazione, prendiamo atto di una realtà che è quella che è da millenni. Prima di sentirsi italiani o tedeschi o francesi o polacchi, e così via, gli ebrei si sono sempre sentiti ebrei. Ciò ha permesso loro in ogni tempo di restare legati a interessi e concezioni ideologiche sovranazionali. La storia moderna infatti, non è che la storia del grande capitale internazionale controllato dagli ebrei, che, di volta in volta, si è alleato a questi o a quegli interessi nazionali per distruggere o modificare quelle situazioni che minacciavano di diventare pericolose per i suoi piani o per la sua stessa sopravvivenza. Era contro natura, quindi, che gli ebrei italiani, o almeno gran parte degli ebrei italiani, facessero eccezione a questa regola proprio nel momento in cui una nuova Europa stava sorgendo dalle rovine di quella pace di Versailles che aveva visto l’ebraismo internazionale deciso a sottomettere il vecchio continente ai voleri del capitalismo anglo-americano.

L’ANTISEMITISMO NAZISTA

La campagna antisemita, immediatamente scatenata dal Partito nazista una volta giunto al potere nel 1933, i successivi primi contatti tra fascismo e nazismo gettarono quindi una profonda inquietudine tra gli strati più evoluti della comunità ebraica italiana. Alla sensibilità degli israeliti, affinata da duemila anni di durissime esperienze, non sfuggì il significato dell’incontro, sul piano europeo, delle due rivoluzioni: non sfuggì soprattutto che l’ondata antisemita, ormai in atto in Germania, avrebbe finito con l’estendersi a tutta l’Europa, dato il peso preminente che, per motivi demografici, economici e militari, il Reich avrebbe avuto in tutto in continente. Fu così che l’antifascismo cominciò a serpeggiare in maniera abbastanza concreta tra le file degli ebrei, specie dei più giovani. Nulla di serio, va detto subito, ma è un fatto che alcune decine di intellettuali israeliti si legarono fin dal 1933 non solo con i gruppi a tinta liberale e socialdemocratica che avevano posto le loro basi soprattutto in Francia, ma anche con i gruppi clandestini comunisti. Questi ultimi, che agitavano le insegne della rivoluzione proletaria internazionale, esercitavano molto fascino su vasti ambienti israeliti che, in un mondo senza più confini, vedevano la conclusione dell’eterno vagabondare della loro gente da una Nazione all’altra.

Sta di fatto che, nella primavera del 1934, la polizia italiana arrestò a Ponte Tresa (Varese) alcuni antifascisti che rientravano dalla Svizzera con manifestini di propaganda. Si scoprì un complotto antifascista: vi facevano parte una ventina di persone in tutto. Di queste, però, undici erano ebree ed erano guidate da Leo Levi, un giovane intellettuale che poco tempo prima aveva ottenuto il “Premio Mussolini”, come migliore studente in agraria dell’Università di Bologna,e, con il premio, una cospicua somma in denaro che gli era servita poi per recarsi a Gerusalemme dove aveva pronunciato discorsi squisitamente e marcatamente anti italiani. Levi e i suoi compagni furono poi prosciolti da ogni accusa dalla Magistratura, ma la scoperta del complotto determinò una levata di scudi in senso antiebraico. «Se gli ebrei italiani», si disse da più parti «vogliono essere veramente italiani, ne saremo felici noi per primi. Ma se intendono vivere tra noi comportandosi da stranieri, come tali finiranno con l’essere trattati». La polemica non ebbe però molto seguito. La maggioranza degli ebrei italiani, che vivevano molto bene e non avevano intenzione di mettersi in urto con il regime, sconfessò l’operato degli undici arrestati. Prese vita, anzi, a Torino, un giornale, La nostra bandiera, diretto e compilato da ebrei, che dal 1934 al 1938 si prodigò perché i rapporti tra la collettività ebraica italiana e il fascismo non si alterassero. Va detto, inoltre, che La nostra bandiera fu forse l’unico giornale stampato in Italia in quel periodo, dove si attaccasse costantemente l’antisemitismo ormai imperante in Germania.

Il rapido, incalzante succedersi degli eventi allargò tuttavia la frattura tra ebrei e fascismo. Una frattura che non si vedeva e non si sentiva e della quale l’assoluta maggioranza del popolo non ebbe mai sentore. Il fatto è che gli ebrei italiani, a partire dal 1935, vissero in uno stato di crescente allarme. Era ormai chiaro che l’internazionale ebraica aveva preso posizione in senso antinazista, prima di tutto, e di conseguenza, antifascista. Ebrei erano accorsi in gran numero nelle file delle Brigate internazionali in Spagna, ebrei fuggivano ogni giorno dalla Germania. Questi ultimi, specialmente, provvidero a seminare il panico tra gli israeliti italiani. La grande maggioranza dei profughi abbandonava infatti la Germania attraverso l’Austria e il Brennero e giungeva in Italia, dove sapeva di trovare una forte collettività bene organizzata, libera di agire e capace quindi di soccorrerla. Dall’Italia, inoltre, molti profughi speravano di poter proseguire per la Palestina e sbarcare in Terra Santa. Tutta questa gente, in ogni modo (si parla di oltre 15.000 persone in pochi anni), venne ospitata in Italia senza che il governo fascista levasse un dito per ostacolare questa opera di soccorso.

Fino a tutto il 1936, comunque, i rapporti tra fascisti ed ebrei in Italia si mantennero buoni. Racconta il De Felice: «Gli ebrei parteciparono, come già si è detto, al generale entusiasmo per l’impresa africana. Oltre i mobilitati, numerosi furono coloro che partirono volontari, così come, del resto, sebbene in numero molto minore, in occasione della successiva guerra di Spagna (un ebreo, Alberto Liuzzi, caduto in Spagna, fu anche decorato di medaglia d’oro al valor militare). Per l’assistenza religiosa di tutti questi combattenti in Africa il ministero della Guerra e l’Unione delle comunità vennero anzi a un accordo per l’istituzione di un “rabbinato militare”, che provvide alla designazione di tre cappellani. Egualmente larghissima fu l’adesione alla “giornata della fede” e all’offerta dell’oro. A questa gli ebrei parteciparono non solo individualmente ma anche come comunità: alcune di queste offrirono “tutti quegli oggetti d’oro e d’argento per i quali non sussisteva al dono un esplicito impedimento rituale”. Offerte giunsero persino da ebrei residenti in lontane regioni d’oltremare, dal Congo belga e dalla Rhodesia. La vittoria e la proclamazione dell’Impero furono salutate dalla stampa ebraica con vero entusiasmo, come il trionfo del diritto e della verità sopra l’arbitrio e la menzogna e furono celebrate anche nei templi.

«La conquista dell’Etiopia fu sentita da molti ebrei non solo come un fatto nazionale, ma anche come un fatto ebraico. Nella zona presso Gondar e il Lago Tana vive una popolazione di razza cuscitica e di religione giudaica, i falascià. Sin dai primi anni del nostro secolo l’ebraismo italiano aveva mostrato un certo interesse per questi correligionari africani e aveva stabilito alcuni rapporti con essi. Per un certo periodo a Firenze era esistito anche un comitato pro-falascià. La conquista dell’Etiopia accrebbe molto questo interesse, facendo sorgere il desiderio di rendere quei rapporti stabili e stretti e di cooperare direttamente all’elevamento morale, civile e religioso dei falascià. Il problema non solo fu illustrato e dibattuto ampiamente dalle organizzazioni e dalla stampa ebraiche, ma subito posto in esecuzione. Ai primi di giugno 1936 l’Unione prendeva contatti col ministro delle Colonie, Lessona, e veniva stabilito che l’Unione si sarebbe occupata dell’assistenza e dell’organizzazione degli ebrei etiopici e avrebbe subito inviato suoi rappresentanti per prendere contatto con i falascià e organizzare due comunità ad Addis Abeba e a Dire Daua. Della difficile missione furono incaricati l’avvocato Carlo Alberto Viterbo, consigliere dell’Unione, e il dottor Umberto Scazzocchio, già segretario della comunità di Roma e residente all’Asinara. Alla fine di luglio il Viterbo partì per l’AOI; giunto ad Addis Abeba, il 22 agosto, fu ricevuto dal Viceré Maresciallo Graziani che gli manifestò la sua comprensione e simpatia per gli israeliti; lo assicurò “che tutti i culti avrebbero avuto rispetto e protezione nei confini dell’Impero e che le popolazioni falascià, note per il loro spirito laborioso, avrebbero ottenuto la particolare benevola attenzione del governo”. Con decreto vicereale del 19 settembre 1936 fu poscia costituita la comunità di Addis Abeba e il Viterbo ne fu nominato commissario».

In realtà, nonostante quest’apparente buona armonia esistente tra il governo fascista e gli ebrei in Italia, la situazione andava deteriorandosi abbastanza rapidamente, tanto che nel 1938 si giunse all’emanazione delle cosiddette “leggi razziali”. Gli scrittori antifascisti, e in maniera particolare il De Felice, hanno teorizzato a lungo sui motivi che determinarono la promulgazione delle leggi antisemite, e sono giunti alla conclusione che l’ondata antiebraica fu, in definitiva, l’esplosione di una tendenza criminale già preesistente nell’ideologia fascista; in altro parole, la logica conclusione di un processo degenerativa già insito nelle origini del fascismo stesso.

Analizzeremo allora, sulla base della situazione esistente nell’Europa e nel mondo in quell’epoca, quali furono i veri motivi che spinsero Mussolini a imbarcarsi in un’azione antiebraica, nonostante le sue intime convinzioni nettamente contrarie a una politica antisemita, convinzioni che traspaiono anche in ogni pagina dell’opera del De Felice.

Nelle decisioni di Mussolini giocarono infatti non solo motivi politici, ma anche, come sempre, una visione molto più ampia di tutto il problema. La situazione, nel 1938, si presentava come segue. La Germania era ormai decisa a liberarsi della presenza, nel suo territorio, degli ebrei: non solo per motivi squisitamente razziali, ma soprattutto a causa dell’odio feroce che i tedeschi avevano accumulato contro gli israeliti nell’immediato dopoguerra, allorché gli speculatori e i finanzieri ebraici avevano contribuito in maniera determinante al marasma economico che si era abbattuto sul popolo tedesco. L’Inghilterra, a sua volta, che aveva ricevuto alla fine della prima guerra mondiale il compito di occupare militarmente la Palestina per preparare la formazione di uno Stato d’Israele, aveva trasformato il “mandato” in una occupazione permanente con finalità imperialistiche allo scopo di controllare, dalla Terra Santa, tutto il Medio Oriente. Non solo non permetteva agli ebrei di sbarcare, ma fucilava e impiccava gli israeliti che, in Palestina, si battevano per la realizzazione dello Stato d’Israele. Francia e Stati Uniti stavano a guardare. I russi, dal canto loro, sembravano disinteressarsi del problema nel senso che se un ebreo dava loro fastidio (come fecero nei confronti della “vecchia guardia leninista”, in gran parte composta di israeliti) lo eliminavano senza tanti complimenti.

Mussolini si trovò preso così in una situazione estremamente difficile e delicata. Gli schieramenti, nel 1938, si erano ormai nitidamente delineati. Il capitalismo occidentale si era già coalizzato contro la nuova Europa; il bolscevismo, al momento opportuno, non avrebbe davvero esitato ad allearsi anche con il diavolo pur di distruggere i suoi nemici più temibili: vale a dire fascisti e nazisti. L’Italia non aveva quindi che una scelta: approfondire l’alleanza con la Germania; quella Germania, in fin dei conti, nelle cui braccia era stata gettata proprio dalla politica cieca e faziosa delle classi dirigenti inglesi e francesi. Ma l’alleanza esigeva delle precise prese di posizione. Una di queste concerneva gli ebrei. Non era possibile conclamare ogni giorno una perfetta identità di vedute con la Germania sul piano sociale, politico, etico e morale e difendere a spada tratta non solo gli ebrei italiani (il che, in definitiva, era una questione che riguardava solo noi) ma anche tutti quelli che fuggivano dalla Germania.

C’era poi un altro interrogativo che esigeva una risposta. Che atteggiamento avrebbero tenuto gli ebrei italiani in caso di guerra? Si sarebbero sentiti italiani o, prima di tutto, ebrei? La risposta non poteva essere che una: si sarebbero sentiti ebrei e avrebbero parteggiato, con lo spirito e con i fatti, con tutti i loro correligionari ormai schierati sull’altra sponda. Lo scontro stava assumendo carattere di guerra santa: sarebbe stato un urto di proporzione mondiale, la lotta sarebbe stata condotta con metodi e finalità totalitarie. O di qua o di là: non ci sarebbero state vie di mezzo. Ma Mussolini fece anche un’altra valutazione. Egli pensò infatti che se anche l’Italia avesse assunto un atteggiamento preciso e ostile nei confronti degli ebrei, l’Inghilterra, molto probabilmente, sotto la spinta dell’opinione pubblica anglosassone, avrebbe aperto le porte della Palestina agli ebrei d’Europa. E centinaia di migliaia di israeliti avrebbero così potuto raggiungere la “Terra promessa” prima dello scoppio della tempesta.

Furono tutti questi motivi a spingere Mussolini a preparare le leggi razziali. Ma l’Inghilterra non mosse un dito e le porte della Palestina restarono ben chiuse.

L’”ANTISEMITISMO” FASCISTA

Eccoci giunti quindi ad analizzare nella loro effettiva sostanza quelle leggi antisemite che vengono presentate ormai da quaranta anni, dalla propaganda antifascista, come la concretizzazione più ignobile della criminalità fascista nei confronti degli ebrei.

Prima di tutto intendiamo precisare che le “leggi razziali” italiane non prevedevano assolutamente:

1) l’uso di un distintivo speciale (la stella gialla, per esempio, adottata in Germania e nei territori sottoposti alla sovranità tedesca) per gli ebrei italiani;

2) la costituzione di campi di concentramento e tanto meno, “di sterminio”;

3) l’arresto per gli ebrei italiani, in quanto tali. Fino all’8 settembre 1943 gli unici ebrei arrestati (poco più di qualche centinaio) subirono la prigione o il confino perché colpiti dalle normali leggi per la difesa dello Stato o di guerra.

Le leggi razziali vennero promulgate nel novembre del 1938 e contemplavano una serie di misure da adottare nei confronti dei cittadini italiani di razza ebraica. In teoria, queste leggi tendevano alla eliminazione degli israeliti dalla vita pubblica. Prevedevano l’esclusione dalle cariche politiche, amministrative e militari dei cittadini italiani ebrei; l’esclusione degli ebrei da ogni tipo di insegnamento: gli scolari e gli studenti ebrei di ogni ordine e grado non potevano essere più iscritti a scuole statali; gli ebrei, inoltre, non avrebbero potuto possedere o gestire aziende dove fossero impiegati più di cento dipendenti, né essere proprietari di terreni che avessero un estimo complessivo di più di 5.000 lire (di allora), o di fabbricati urbani che, in complesso, avessero un imponibile di oltre 20.000 lire (sempre di allora). Le leggi proibivano inoltre i matrimoni “misti” tra italiani non ebrei e italiani di razza israelitica; ai cittadini italiani di razza ebraica era infine vietato esercitare la professione di notaio, mentre speciali limitazioni venivano poste ai giornalisti, medici, farmacisti, veterinari, ostetriche, avvocati, ragionieri, architetti, chimici, agronomi, geometri, periti agrari e periti industriali.

Ora, tenuto presente che la collettività israelitica italiana contava, nel 1938, circa 55.000 unità, vecchi, donne e bambini compresi, vediamo in realtà a che cosa si ridusse, in pratica, l’applicazione di queste leggi.

Cominciamo col dire che in base all’articolo 14 dei “Provvedimenti per la difesa della razza” emanati in data 17 novembre 1938, la legge non veniva applicata:

a) ai componenti le famiglie dei Caduti della guerra libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei Caduti per la causa fascista;

b) a coloro che si trovavano in una delle seguenti condizioni: 1°: mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola; 2°: combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola, che a-vessero almeno la croce al merito di guerra; 3° mutilati, invalidi e feriti della causa fascista; 4°: iscritti al Partito nazionale fascista negli anni 1919, 1920, 1921, 1922 e nel secondo semestre del 1924; 5°: legionari fiumani; 6°: coloro che avessero acquisito eccezionali benemerenze. «Nei casi preveduti alla lettera 6», proseguiva la legge, «il beneficio può essere esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate, anche se queste siano premorte».

Non v’è chi non veda come queste discriminazioni avessero il potere, già in partenza, di ridurre di molto il numero degli israeliti italiani che potevano essere colpiti dalla legge. Ma analizziamo il resto.

SCUOLE. Decisa l’esclusione dalle scuole pubbliche degli insegnanti e degli studenti ebrei, ecco i provvedimenti che il governo prese subito dopo. Li trascriviamo integralmente dal “Testo unico delle norme emanate per la difesa della razza nella scuola italiana”:

Articolo 5: «Per i fanciulli di razza ebraica sono istituite, a spese dello Stato, speciali sezioni di scuola elementare nella località il cui numero di essi non sia inferiore a 10. Le comunità israelitiche possono aprire, con l’autorizzazione del ministro per l’Educazione nazionale, scuole elementari con effetti legali per i fanciulli di razza ebraica, e mantenere all’uopo quelle esistenti. Per gli scrutini e per gli esami nelle dette scuole, il Regio provveditore agli studi nomina un commissario. Nelle scuole elementari di cui al presente articolo il personale potrà essere di razza ebraica; i programmi di studio saranno quegli stessi stabiliti per le scuole frequentate da alunni italiani, eccettuato l’insegnamento della religione cattolica; i libri saranno quelli dello Stato, con opportuni adattamenti, approvati dal ministero per la Educazione nazionale, dovendo la spesa di tali adattamenti gravare sulle comunità israelitiche».

Articolo 6: «Scuole di istruzione media per alunni di razza ebraica potranno essere istituite dalle comunità israelitiche o da persone di razza ebraica. Dovranno all’uopo osservarsi le disposizioni relative all’istituzione di scuole private. Alle scuole stesse potrà essere concesso il beneficio del valore legale degli studi e degli esami, ai sensi dell’articolo 15 del Regio decreto legge del 3 giugno 1938-XVI, n. 928, quando abbiano ottenuto di fare parte in qualità di associate dell’Ente nazionale per l’insegnamento medio: in tal caso i programmi di studio saranno quegli stessi stabiliti per le scuole corrispondenti frequentate da alunni italiani, eccettuati gli insegnamenti della religione e della cultura militare. Nelle scuole di istruzione media di cui al presente articolo il personale potrà essere di razza ebraica e potranno essere adottati libri di testo di autori di razza ebraica».

Articolo 8: «Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il personale di razza ebraica appartenente ai ruoli per gli uffici e gli impieghi di cui al precedente art. 1, è dispensato dal servizio, e ammesso a fare valere i titoli per l’eventuale trattamento di quiescenza ai sensi delle disposizioni generali per la difesa della razza italiana. Al personale stesso, per il periodo di sospensione di cui all’articolo 3 del Regio decreto legge 5 settembre 1938-XVI, n.1390, vengono integralmente corrisposti i normali emolumenti spettanti ai funzionari in servizio».

Articolo 10: «In deroga al precedente articolo 2 (che diceva: “Nelle scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private frequentate da alunni italiani, non possono essere iscritti alunni di razza ebraica”) possono essere ammessi in via trasitoria a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica già iscritti nei passati anni accademici a Università o Istituti superiori del Regno. La stessa disposizione si applica agli studenti iscritti ai corsi superiori e di perfezionamento per i diplomati nei regi conservatori, alle regie accademie di belle arti e ai corsi della regia accademia di arte drammatica in Roma, per accedere ai quali occorre un titolo di studi medi di secondo grado o un titolo equipollente. Il presente articolo si applica anche agli studenti stranieri, in deroga alle disposizioni che vietano agli ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Regno».

Come si vede, tra “discriminazioni”, “deroghe” e così via, la legge, già di per sé molto blanda, in quanto finiva con l’applicare nei confronti degli ebrei, sia pure accentuandole, le normali disposizioni sempre adottate nei confronti degli stranieri, perdeva moltissimo del suo iniziale vigore. Vale quindi la pena di analizzare anche gli altri aspetti.

ESTROMISSIONE DEGLI EBREI DALLE LORO PROPRIETÀ. Abbiamo visto prima i limiti delle proprietà concesse agli ebrei. In realtà, però, che cosa accadde? Che gli ebrei, le proprietà, non le perdettero. A parte il fatto che i patrimoni degli israeliti “discriminati” (una categoria molto vasta cui appartenevano i più abbienti tra gli ebrei Italiani) non vennero toccati, per tutti gli altri venne escogitata una legge che, in pratica, permetteva agli ebrei di vendere case e terreni a un apposito Ente. Non ci furono confische. Anzi, in base all’articolo delle “Norme relative ai limiti di proprietà immobiliare e di attività industriale e commerciale per i cittadini italiani di razza ebraica” emanate il 9 febbraio 1939, venne stabilito che: «In deroga alle disposizioni degli articoli 4 e 5, il cittadino italiano di razza ebraica può fare donazione dei beni ai discendenti non considerati di razza ebraica». Una formula, questa, come è facile immaginare, che permise a moltissimi ebrei di affiliare cittadini non israeliti e trasferire loro, con falsi atti di donazione, le loro proprietà in attesa di tempi migliori.

Questa legge, che, in definitiva, non spogliava gli ebrei dei loro beni, aveva uno scopo preciso: spingere gli israeliti ad abbandonare l’Italia, pagando loro un prezzo equo per le loro proprietà e dando loro la possibilità di andarsene con il capitale liquido realizzato. Lo stesso sistema, del resto, venne adottato nei confronti degli altoatesini, allorché, d’accordo con Hitler, gli allogeni vennero messi in condizione di decidere tra restare in Italia, cittadini italiani, o andarsene in Germania. Per coloro che optarono per la Germania, venne costituito un apposito Ente, che acquistò i beni degli optanti pagando i prezzi stabiliti dalle condizioni di mercato di allora.

DIVIETO PER GLI EBREI DI ESERCITARE LE LIBERE PROFESSIONI. Anche questa disposizione venne immediatamente temperata in maniera talmente vasta da renderla praticamente nulla. Si legge infatti nell’articolo 3 delle norme sulla “Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica” emanate in data 29 giugno 1939: «I cittadini italiani di razza ebraica esercenti una delle professioni di cui all’art. 1, che abbiano ottenuta la discriminazione ai termini dell’articolo 14 del Regio decreto legge 17 novembre, 1938-XVI, n. 1728, saranno iscritti in “elenchi aggiunti”, da istituirsi in appendice agli albi professionali, e potranno continuare nell’esercizio della professione a norma delle vigenti disposizioni, salvo le discriminazioni previste dalla presente legge. Sono altresì istituiti, in appendice agli elenchi transitori eventualmente previsti dalle vigenti leggi o regolamenti in aggiunta agli albi professionali, elenchi aggiunti dei professionisti di razza ebraica discriminati».

Più oltre, all’articolo 21, si stabiliva: «L’esercizio professionale da parte del cittadino italiano di razza ebraica, iscritto negli elenchi speciali è soggetto alle seguenti limitazioni : 1) salvo i casi di comprovata necessità e urgenza, la professione deve essere esercitata esclusivamente a favore di persone appartenenti alla razza ebraica…». Il che, in sintesi significava: i professionisti di razza ebraica restano iscritti agli albi professionali, possono esercitare la professione e, sotto l’usbergo dei previsti “casi di comprovata necessità e urgenza”, possono esercitarla anche a favore di persone appartenenti alla razza non ebraica, vale a dire di qualsiasi cittadino italiano. Il che, sia chiaro, accadde regolarmente.

Sono questi i punti delle principali leggi, cosiddette “razziali”, italiane. Tutto qui: gli “orrori, le crudeltà, le persecuzioni inumane” di cui tanto si parla, sono tutte contenute negli articoli di legge che abbiamo citato.

Ma andiamo avanti, e parliamo anche del “lavoro obbligatorio” a cui il fascismo avrebbe costretto gli ebrei italiani. Ci sono, a questo proposito, delle idee molto confuse: a sentire i propagandisti antifascisti, sembrerebbe che, sferza alla mano, i fascisti abbiano costretto i cittadini israeliti a durissimi lavori forzati. Prima di tutto va detto che questa disposizione del “lavoro obbligatorio” venne emanata solo il 6 maggio 1942, quando cioè la guerra era iniziata già da due anni e gli ebrei erano ormai chiaramente schierati con i nemici dell’Asse. In secondo luogo va aggiunto che si risolse in un nulla di fatto. La legge diceva: «Con disposizione in data odierna, gli appartenenti alla razza ebraica anche se discriminati, di età dal 18° al 55° anno compresi, sono sottoposti a precettazione civile a scopo di lavoro». Gli stessi termini con cui venne formulato il decreto fanno ben capire che nessuno aveva intenzione di applicarlo. Vi si dice infatti che gli ebrei erano “sottoposti a precettazione civile”, vale a dire che potevano essere precettati per il lavoro, non che sarebbero stati senz’altro inviati a lavorare. E, in verità, quei pochi, che, per dare una parvenza di sostanza alle disposizioni, vennero mobilitati e spediti a scavare qualche fosso nelle periferie delle città dove abitavano, non si preoccuparono molto della cosa. Nel volgere di poche settimane, un po’ facendosi raccomandare, un po’ marcando visita, un po’ infischiandosene altamente delle punizioni che, del resto, non sarebbero mai arrivate, piantarono lì vanghe e badili e non si presentarono più ai campi di lavoro. E nessuno disse niente e nessuno li andò a cercare.

E veniamo ai “campi di internamento”, altro argomento graditissimo a tutti coloro che ne parlano in termini apocalittici maledicendo l’inumana “crudeltà” del regime fascista. Ebbene, sia detto una volta per tutte: IN ITALIA NON ESISTETTERO MAI CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER EBREI. DI NESSUN GENERE. Solo allo scoppio della guerra, e in nome delle più elementari misure di sicurezza, furono inviati in campi di internamento circa 15.000 EBREI STRANIERI, vale a dire tutti quelli giunti in Italia negli anni precedenti alla guerra per sfuggire alle persecuzioni antisemite germaniche.

155.000 EBREI ITALIANI NON VENNERO MAI TOCCATI: NON UNO, IN QUANTO TALE, VENNE MAI INTERNATO.
      G.P.                    
                                                                                                                                                       
















martedì 15 marzo 2016

IL PIANO KALERGI



Informare Per Resistere

IL PIANO KALERGI

IL PIANO KALERGI

L’immigrazione di massa è un fenomeno le cui cause sono tutt’oggi abilmente celate dal Sistema e che la propaganda multietnica si sforza falsamente di rappresentare come inevitabile.                                                                                           
Con questo articolo intendiamo dimostrare una volta per tutte che non si tratta di un fenomeno spontaneo. Ciò che si vorrebbe far apparire come un frutto ineluttabile della storia è in realtà un piano studiato a tavolino e preparato da decenni per distruggere completamente il volto del Vecchio continente.

D’altronde l’esproprio delle risorse da parte delle potenti multinazionali occidentali, controllate dall’elite massonico-finanziaria è la prima causa dell’immigrazione.
L’ESSENZA DEL PIANO KALERGI
Nel suo libro «Praktischer Idealismus», Kalergi dichiara che gli abitanti dei futuri “Stati Uniti d’Europa” non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale. Egli afferma senza mezzi termini che è necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’élite al potere.
Ecco come Gerd Honsik descrive l’essenza del Piano Kalergi (2)

Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente,l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa. Affinché l’Europa sia dominabile dall’élite, pretende di trasformare i popoli omogenei in una razza mescolata di bianchi, negri e asiatici. A questi meticci egli attribuisce crudeltà, infedeltà e altre caratteristiche che, secondo lui, devono essere create coscientemente perché sono indispensabili per conseguire la superiorità dell‘elite.

Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile. Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le proteggano, si riuscirà a reprimere la massa. I politici del suo tempo diedero ascolto a Kalergi, le potenze occidentali si basarono sul suo piano e le banche, la stampa e i servizi segreti americani finanziarono i suoi progetti. I capi della politica europea sanno bene che è lui l’autore di questa Europa che si dirige a Bruxelles e a Maastricht.
DA KALERGI AI NOSTRI GIORNI
Benché nessun libro di scuola parli di Kalergi, le sue idee sono rimaste i principi ispiratori dell’odierna Unione Europea. La convinzione che i popoli d’Europa debbano essere mescolati con negri e asiatici per distruggerne l’identità e creare un’unica razza meticcia, sta alla base di tutte le politiche comunitarie volte all’integrazione e alla tutela delle minoranze. Non si tratta di principi umanitari, ma di direttive emanate con spietata determinazione per realizzare il più grande genocidio della storia.
In suo onore è stato istituito il premio europeo Coudenhove-Kalergi che ogni due anni premia gli europeisti che si sono maggiormente distinti nel perseguire il suo piano criminale. Tra di loro troviamo nomi del calibro di Angela Merkel o Herman Van Rompuy.

 La Società Europea Coudenhove-Kalergi ha assegnato
 alla Cancelliera Federale Angela Merkel
 il Premio europeo nel 2010
Il 16 novembre 2012 è stato conferito al presidente del Consiglio europeo
 Herman Van Rompuy il premio europeo Coudenhove-Kalergi 2012 durante un
 convegno specialesvoltosi a Vienna per celebrare i novant’anni del
 movimento paneuropeo. Alla sue spalle compare
 il simbolo dell’unione paneuropea: una croce rossa che sovrasta
 il sole dorato, simbolo che era stato l’insegna dei Rosacroce.
L’incitamento al genocidio è anche alla base dei costanti inviti dell’ONU ad accogliere milioni di immigrati per compensare la bassa natalità europea. Secondo un rapporto diffuso all’inizio del nuovo millennio, gennaio 2000, nel rapporto della “Population division” (Divisione per la popolazione) delle Nazioni Unite a New York, intitolato: “Migrazioni di ricambio: una soluzione per le popolazioni in declino e invecchiamento, l’Europa avrebbe bisogno entro il 2025 di 159 milioni di immigrati. Ci si chiede come sarebbe possibile fare stime così precise se l’immigrazione non fosse un piano studiato a tavolino. È certo infatti che la bassa natalità di per sé potrebbe essere facilmente invertita con idonei provvedimenti di sostegno alle famiglie. È altrettanto evidente che non è attraverso l’apporto di un patrimonio genetico diverso che si protegge il patrimonio genetico europeo, ma che così facendo se ne accelera la scomparsa. L’unico scopo di queste misure è dunque quello di snaturare completamente un popolo, trasformarlo in un insieme di individui senza più alcuna coesione etnica, storica e culturale. In breve, le tesi del Piano Kalergi hanno costituito e costituiscono tutt’oggi il fondamento delle politiche ufficiali dei governi volte al genocidio dei popoli europei attraverso l‘immigrazione di massa. G. Brock Chisholm, ex direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dimostra di avere imparato bene la lezione di Kalergi quando afferma:
«Ciò che in tutti i luoghi la gente deve fare è praticare la limitazione delle nascite e i matrimoni misti (tra razze differenti), e ciò in vista di creare una sola razza in un mondo unico dipendente da un’autorità centrale» (4)
CONCLUSIONE
Se ci guardiamo attorno il piano Kalergi sembra essersi pienamente realizzato. Siamo di fronte ad una vera terzomondializzazione dell’Europa. L’assioma portante della “Nuova civiltà” sostenuta dagli evangelizzatori del Verbo multiculturale, è l’adesione all’incrocio etnico forzato. Gli europei sono naufragati nel meticciato, sommersi da orde di immigrati afro-asiatici. La piaga dei matrimoni misti produce ogni anno migliaia di nuovi individui di razza mista: i “figli di Kalergi”. Sotto la duplice spinta della disinformazione e del rimbecillimento umanitario operato dai mezzi di comunicazione di massa si è insegnato agli europei a rinnegare le proprie origini, a disconoscere la propria identità etnica.? I sostenitori della Globalizzazione si sforzano di convincerci che rinunciare alla nostra identità è un atto progressista e umanitario, che il “razzismo” è sbagliato, ma solo perché vorrebbero farci diventare tutti come ciechi consumatori. È più che mai necessario in questi tempi reagire alle menzogne del Sistema, ridestare lo spirito di ribellione negli europei. Occorre mettere sotto gli occhi di tutti il fatto che l’integrazione equivale a un genocidio. Non abbiamo altra scelta, l’alternativa è il suicidio etnico: il piano Kalergi.

Tratto da: cogitoergo.it

domenica 13 marzo 2016

OH QUANT ' E' BUONO L'OLIO TUNISINO...


...ovviamente quello che entrerà in Europa "senza pagare dazio" ed in nome del "sostegno" alla Tunisia nella sua lotta contro il   "terrorismo" dell'Isis.
Mah..,mi sfugge il perché si debbano favorire i prodotti di alcuni paesi del Nord Africa, inondando i nostri supermercati di ortofrutta varia (pomodorini ed arance in testa) nonché rifornendoli di olio (piú o meno vergine) e pesce (di allevamento o congelato),per combattere il Califfo ed i suoi seguaci...
Gli si diano piú euro ed armamenti appropriati, oppure inviamo da quelle parti i nostri droni e le truppe speciali che sono ad un passo,in Libia !!
No..,facciamo entrare l'olio ed affini,così hanno deciso ben 500 eurodeputati contro 100...Mogherini e Pd d'accordo !!

Misteri della politica : in Puglia,con la xilella, devastano gli oliveti e distruggono pure le piante sane...in Tv difendono l'agricoltura meridionale ed a Bruxelles votano con la Merkel ed i paesi nordici !!
Peraltro cosa fanno gli interessati del settore agroalimentare ??
Protestano,"vibratamente" ma mai come i francesi che danno fuoco pure ai municipi...
E,diciamola tutta, comprano pure qualche uliveto o serra in Tunisia...

L'argomento è semplice e complesso nello stesso tempo,non bastano pagine per spiegarlo (oltretutto non ne capisco granché).
Però una realtà è indiscutibile : l'UEismo è una iattura per tutti i cittadini europei (caste escluse)...ma per alcuni (Grecia,Italia,Spagna e Portogallo) piú nefasta che per gli altri !!
Tutto le decisioni UEiste che riguardano il settore agroalimentare portano alla distruzione delle nostre pregiate filiere produttive,troppo di qualità per sopravvivere alle schifezze da propinare ai consumatori europei...
E,amici lettori,non abbiamo ancora subito il peggio : arriva il TTIP (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) !!
Importeremo tutte le schifezze del mondo in nome del "libero scambio",senza alcuna protezione di fatto da frodi e manipolazioni genetiche....
Non per combattere il Califfo e lo Stato Islamico,ma per agevolare il vero padrone del mondo : il Grande Satana delle multinazionali !!



Grazie per l'attenzione
Vincenzo Mannello

                                                                                                                                                

venerdì 11 marzo 2016

LA DITTATURA DEL " POLITICAMENTE CORRETTO"

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico, coordinato dall' avvocato Edoardo Longo.

LA DITTATURA DEL " POLITICAMENTE CORRETTO"



di: Anonimo Pontino.
 La tirannia del politicamente corretto che si è impossessata della nostra cultura, ha prodotto dei dogmi laici spacciati per principi etici, a cui la massa si è subito conformata.

Eppure è evidente che nei sistemi politici attuali la politica è l’arte di nascondere la truffa.

Se penso a tutte le sofferenze causate  al popolo italiano con 20 anni di privatizzazioni, di deindustrializzazione, di persecuzioni fiscali, di invasioni extracomunitarie, di distruzioni delle sovranità nazionali, mi verrebbe da dire che la classe politica dovrebbe vergognarsi a tal punto da nascondersi la faccia dentro un cesso  e  non farsi più vedere in giro.

Ma questo non è “politicamente corretto”. 

Invece l’aristocrazia politica può permettersi di dire che:

“Se i politici rubano è perché hanno preso il cattivo esempio dai cittadini italiani, che chiedono la raccomandazione e pagano l’idraulico in nero per risparmiare” (ex Ministro della Salute del governo Prodi)
Attualmente contestare questa mondezza che spacciano per “democrazia” è politicamente scorretto proprio come contestare le modalità con cui fu conseguita l'unità d'Italia, oppure la truffa dell'Euro con cui i nostri politici hanno sottomesso la politica alla finanza privata, solo per questo meriterebbero di essere venduti all’asta come scimmie. Proprio come vengono vendute all’asta le case dei padri di famiglia che perdono il lavoro.

I burattini al potere fingono di non accorgersi di quanto ipocrita sia la loro condotta, mentre la massa obbediente che si informa leggendo Repubblica non riesce a capire che gli ideali di plastica da teleminchiata americana, sono sfruttati per il perseguimento delle finalità decise dall’elite.

Il politicamente corretto è lo strumento con cui il cartello bancario sta affermando il suo controllo totalitario tramite i mass media, per impedire che la gente prenda coscienza del Potere dell’Alta Finanza.

Lo stesso cartello bancario che ha inventato l’euro. La moneta privata che ha prodotto in Europa  una condizione di vita e di aspettative di vita con caratteristiche da Terzo Mondo.

Non siete contenti di essere in democrazia?

In democrazia siamo tutti più uguali: ci sono quelli che sono uguali nel campare bene dietro il paravento dello Stato, ci sono quelli che sono uguali nel crepare di fame, e ci sono quelli che sono uguali nel lavorare onestamente per lasciare tutto al governo e ad Equitalia.

Chiaramente gli istituti statistici insieme ai mass media hanno il loro ruolo nel sostenere la menzogna. Spesso fanno anche passare la povertà per ricchezza….

l’Istat definisce soglia di povertà una famiglia che spende meno di 850 euro al mese….l’italiano medio narcotizzato dalle supposte dei partiti che difendono questa “democrazia” potrebbe dire che non c’è nulla di strano.

Tuttavia quando lo Stato che ha accettato il parassita Banca Centrale privata BCE, inizia ad aumentare le tasse a dismisura costringendo tutti a spendere più di 1000 Euro al mese per vivere, ecco che in quel paese è arrivata la ricchezza!

La gente comincia a spendere più di quello che guadagna ed il paese esce dalla povertà!

Prova a parlare di decentramento, sovranità monetaria, autonomia, tradizione, difesa della famiglia naturale (quella famiglia arcaica dove un uomo ed una donna fanno anche dei figli) e subito sei fascista. Non si fa.

È politicamente scorretto, come essere in contrasto con l’ideale dell’integrazione dei popoli. Se fate notare che in un paese con 10 milioni di italiani in povertà e 4 milioni in povertà assoluta il governo invece di aiutare questi italiani, prende gente dagli altri paesi e la porta in Italia a spese degli italiani e la mantiene a spese degli italiani, allora siete anche razzisti. E quindi ovviamente nazisti. 

La difesa della propria individualità, della propria cultura, delle proprie tradizioni, dei principi morali della propria religione, diventa sociopatia.

Esempi di “politicamente corretto” sono la sostituzione del presepe cristiano con i villaggi di Babbo Natale, o la sostituzione nei moduli burocratici delle diciture Madre e Padre con Genitore Uno e Genitore Due, così non vengono “discriminati” i gay….

È politicamente scorretto invece far notare che nel censimento generale della popolazione del 2011 le coppie dello stesso sesso sono solo 7.513… per cui è follia imporre la loro volontà a 60 milioni di italiani. Se lo fate siete razzisti.

Per essere “politicamente corretti”  occorre invece seguire l’esempio del Presidente della Camera Laura  Boldrini, che invece di difendere le 360  ragazze che sono state stuprate dagli africani, ha invece difeso i poveri africani che soffrono il disagio sociale. Il messaggio forte quindi è:

“se volete veramente essere ‘democratici’, se volete veramente  sacrificare qualsiasi forma di discriminazione sull’altare dei diritti civili e della cultura dell’”incontro”, allora lasciate stuprare le vostre donne dagli africani. Diversamente se volete che quei poveri africani vengano puniti duramente, allora siete solo fascisti! "



Anonimo Pontino 

martedì 8 marzo 2016

Il Governo USA: La più completa organizzazione criminale mai apparsa nella Storia



Il Governo USA: La più completa organizzazione criminale mai apparsa nella Storia


Unico tra le Nazioni della terra, il Governo degli Stati Uniti  insiste nel sostenere che le proprie leggi e le proprie direttive  debbano avere un carattere prioritario rispetto  alla sovranità delle altre Nazioni. Washington sostiene il potere dei tribunali degli Stati Uniti nei confronti dei cittadini stranieri e rivendica la giurisdizione extraterritoriale dei tribunali USA su attività estere che Washington o gruppi di interesse americani non approvano. Forse la peggiore dimostrazione del disprezzo che Washington ostenta  per la sovranità degli altri Paesi è quella di aver dimostrato il potere degli USA su cittadini stranieri basato esclusivamente su accuse pretestuose  di terrorismo, prive di qualsiasi evidenza.Governo USA in riunione
Vediamo alcuni esempi.
Washington prima costrinse il governo svizzero a violare le proprie leggi bancarie, poi costrinse la Svizzera ad abrogare le proprie leggi sul segreto bancario. Si presume che la Svizzera sia un paese democratico, ma le leggi di quel Paese sono decise a Washington da persone non elette dai cittadini svizzeri  per rappresentare i loro interessi.
Consideriamo lo “scandalo del calcio” che Washington  ha architettato, a quanto pare, allo scopo di imbarazzare la Russia. La sede del calcio internazionale è la Svizzera, ma questo non ha impedito a Washington di inviare agenti dell’FBI in Svizzera per arrestare alcuni cittadini svizzeri. Provate ad immaginare la Svizzera che invia  i propri agenti federali negli Stati Uniti per  arrestare cittadini americani.
Si consideri poi la multa di 9 miliardi di dollari che Washington ha appioppato ad una banca francese per non aver ottemperato pienamente alle sanzioni USA contro l’Iran. Questa asserzione del controllo di Washington su un istituto finanziario estero è ancor più incredibilmente illegale in considerazione del fatto che le sanzioni imposte all’Iran da parte di Washington, con la richiesta che altri paesi sovrani vi aderiscano, sono esse stesse totalmente illegali. Infatti, questo è un caso di triplice illegalità, dato che le sanzioni sono state imposte sulla base di accuse inventate e menzognere.
Oppure consideriamo quando Washington impose la sua autorità facendo pressione sul contratto tra un costruttore navale francese ed il governo russo, costringendo la società francese a violare il contratto con perdite di miliardi di dollari per la società stessa e di un gran numero di posti di lavoro per l’economia francese.  Questo è stato parte di un piano con cui  Washington voleva dare ai russi una lezione per non aver seguito i suoi ordini in Crimea.
Provate ad immaginare un mondo in cui ogni paese imponga l’extraterritorialità delle proprie leggi. Il pianeta sarebbe nel caos permanente con il PIL mondiale sospeso  in battaglie legali e militari.
I neocon di Washington sostengono che  la Storia ha prescelto l’America per esercitare la sua egemonia sul mondo (il paese “eccezionale”),  di conseguenza nessun’altra legge è rilevante. Conta solamente la volontà di Washington.

Proteste in Pakistan contro gli attacchi dei droni USA

Proteste in Pakistan contro gli attacchi dei droni USA
La legge stessa non è più necessaria, in quanto Washington sovente sostituisce le sue direttive  alla legge, come quando Richard Armitage, vice segretario di Stato (non eletto) intimò al presidente del Pakistan di fare come gli veniva ordinato, oppure “vi faremo tornare all’età della pietra a suon di bombe”.  Vedi: US. Threatened to bomb’ Pakistan
Provate a immaginare i presidenti della Russia o della Cina  che diano un tale ordine ad una nazione sovrana.
Infatti, l’America ha bombardato vaste aree del Pakistan, uccidendo migliaia di donne, bambini e anziani. La giustificazione di Washington era di ribadire la extraterritorialità di azioni militari statunitensi anche in paesi con cui l’America non è in guerra.
Per quanto tutto ciò sia orrendo, il peggiore dei crimini perpetrati da Washington contro gli altri popoli è quello di rapirne i cittadini per consegnarli a Guantanamo, a Cuba, o per rinchiuderli in celle segrete in stati criminali come l’Egitto e la Polonia, dove vengono seviziati e torturati in violazione sia delle leggi degli Stati Uniti che del diritto internazionale. Questi crimini aberrranti dimostrano al di fuori di ogni dubbio che il governo degli Stati Uniti è la peggiore impresa criminale che sia mai esistita sulla terra.
Quando il regime criminale neocon di George W. Bush iniziò la sua illegale invasione dell’Afghanistan, lo stesso  regime criminale di Washington ebbe un disperata necessità  di trovare dei “terroristi”, questo per poter fornire una giustificazione all’invasione illegale che costituiva un crimine di guerra, secondo il diritto internazionale. Tuttavia, poichè  non c’erano terroristi, allora  Washington distribuì volantini  nei territori dei “signori della guerra” offrendo migliaia di dollari di taglia per catturare dei “terroristi”. I signori della guerra locali colsero l’occasione e catturarono ogni persona non protetta per rivenderla agli americani intascando così il premio.
L’unica prova che i cosiddetti “terroristi” fosserto tali, veniva data dal fatto che persone innocenti furono vendute dai signori della guerra agli americani con l’etichetta di “terroristi”.
Pochi giorni fa, Fayez Mohammed Ahmed Al-Kandari, è stato rilasciato dopo 14 anni di torture da “Libertà e Democrazia in America”. L’ufficiale militare degli Stati Uniti, il colonnello Barry Wingard, che ha rappresentato Al-Kandari, ha detto che “non c’è altra prova contro di lui se non che è un mussulmano che si trovava in Afghanistan nel momento sbagliato, a parte le dichiarazioni per doppio e triplo sentito dire, cose che non si sono mai viste per  poter  giustificare l’incarcerazione”. No esistevano  neppure molti  motivi, ha ribadito il colonnello Wingard, di torturarlo per così tanti anni nel tentativo di forzare una confessione per presunti reati.
Non aspettatevi che i  media occidentali, prostituiti alle cantrali atlantiste, riportino questi fatti. Per scoprirlo, si deve andare su RT o sul sito di Stephen Lendman o sui nostri siti.
I media occidentali sono parte attiva  delle operazioni criminali di Washington.
Paul Craig Roberts

                                                                                                                                                    

sabato 5 marzo 2016

PIANO E FAILLA "CADUTI IN GUERRA"


Fausto Piano e Salvatore Failla...i primi due "caduti" italiani nella "guerra di Libia" del 2016. Che siano dei civili sequestrati precedentemente poco importa : sono morti "in combattimento" non appena l'Italia ha manifestato la propria disponibilità interventista con la "concessione" agli Usa di Sigonella per i droni assassini e l'invio degli incursori del Col Moschin a fianco del cosiddetto "legittimo governo di Tobruk".
I due tecnici,infatti,non hanno subito il tragico iter delle esecuzioni-spettacolo ma sono stati colpiti a morte in uno scontro di guerra tra jihadisti e miliziani dell'altro "governo" libico,quello di Tripoli.
Chi abbia premuto il grilletto,tra le due fazioni,ha importanza relativa...quel che conta è il fatto che entrambe le parti in causa non amino affatto l'Italia e gli italiani,cosa che il nostro governo ed i media del regime partitocratico tacciono colpevolmente ai cittadini.
"Tripoli bel suol d'amore" fu il supporto canoro per invadere la Libia nel 1911,ma erano altri tempi...coloniali !
Oggi appoggiamo,come scritto,un'altra fazione,Tobruk...quella che tutela gli interessi (economici) di Francia ed Egitto. Nazioni che,conseguentemente, ne ricambiano con truppe sul campo la sopravvivenza politica.
Noi no,neppure la nostra zona di interesse,sappiamo difendere..infatti a Tripoli sono molto risentiti con Roma per questo motivo : "come,voi avete quasi tutti i pozzi di petrolio e gas nella nostra fascia territoriale ed appoggiate quelle carogne di Tobruk ??".
Questa la sintesi che ha portato alla morte i due innocenti tecnici della Bonatti (colpevole della loro mancata sicurezza).
Sintesi davvero "sinteticissima",scrivo pure per quanti abbiano letto fin qui...perché è tutto ancor piú complicato di quanto esposto sopra : Tripoli e Tobruk,di fatto,rappresentano poco e niente...men che meno le città-stato di Bengasi,Misurata,Sabrata.
Non contano nulla tra le tribù ed i clan familiari che costituiscono il tessuto connettivo libico e che solo Gheddafi riusciva a tenere assieme,tuareg compresi.
E,cosa piú importante di tutte,sono in feroce lotta con Derna ed il Califfato dell'Isis che vuole soffiar loro il potere politico e militare ma,soprattutto,il vitale petrolio.
Insomma,un casino di proporzioni spaventose...pericolosissimo perché a solo un' ora da casa nostra : di aereo..e di missile (ancor meno).
"Siamo pronti a fare la nostra parte",morti ed ostaggi non sono dimenticati...questo il messaggio di Renzi e del governo italiano.
Come avevo a suo tempo previsto (assieme ad altri più qualificati osservatori) il folle azzardo dell'assassinio di Gheddafi per impadronirsi dei pozzi petroliferi da parte franco-inglese,oggi mi sento di anticipare che la "avventura" libica ci costerà tantissimo...da quelle parti e pure in Italia.
È impensabile che i "terroristi" dello Stato Islamico si facciano ammazzare gratis da noi e dai nostri padroni americani...non oso immaginare cosa potrebbe accadere.
Mah,vedremo solo a posteriori quale cazzata Renzi ha già  iniziato a fare...

Grazie per l'attenzione
Vincenzo Mannello

                                                                                                                                                      

mercoledì 2 marzo 2016

LE ELEZIONI IN IRAN

Come sono andate davvero le elezioni in Iran

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Sono arrivati risultati delle elezioni in Iran .
I risultati finali delle elezioni iraniane per l’Assemblea degli Esperti confermano il trionfo del presidente Hassan Rohani e dell’ex capo di stato Hashemi Rafsanjani, la cui lista, sostenuta da riformisti e moderati, ha conquistato nella capitale Teheran 15 dei 16 seggi disponibili. Rafsanjani è stato il candidato più’ votato nel Paese con 2.301.492 preferenze, quasi un milione in più del più votato dei conservatori, Ahmad Jannatì (1.321.130) a cui è andato il sedicesimo seggio. Rohani ha ottenuto 2.238.166 voti e il terzo posto nella capitale, in quello che molti hanno interpretato come un referendum sul suo operato da presidente. Confermata l’affluenza intorno al 60%, che tradotto significa 33 milioni di persone alle urne. 
Sulla scia del clamore dei giorni scorsi, i risultati saranno accolti dai media occidentali come una vittoria dei “riformisti” sui “conservatori”. Ma, approfondendo l’argomento, con questa lucida ed equilibrata analisi, sorprendentemente pubblicata sulle colonne dell’odioso Huffington Post, è facile rendersi conto di come i canti di vittoria di chi vorrebbe un Iran piegato al volere dell’Occidente siano ingiustificati: non ci sarà alcuna “svolta”.
L’Iran è una nazione che non si presta alle divisioni semplicistiche e manichee dei “buoni e dei cattivi”. E voi, giornalisti e politici che ragionate con queste grossolane categorie, rimarrete molto, molto delusi.
(www.huffingtonpost.it) – di Nicola Pedde. Una grande confusione ha caratterizzato la lettura dei risultati elettorali iraniani da parte della stampa internazionale, nell’interpretazione di un voto per le elezioni parlamentari e dell’Assemblea degli Esperti in Iran che ha visto i principali titoli dividersi tra una vittoria netta dei riformisti e del presidente Rohani e le smentite dall’Iran che hanno dato invece per vittoriose le forze conservatrici.
La ragione di questa confusione è in larga misura da individuarsi nel modo in cui, ancora una volta, gli europei e gli occidentali in genere si ostinano a leggere le dinamiche politiche e sociali dell’Iran, delineando una netta linea di demarcazione tra i riformisti e i conservatori.
I riformisti, per gli occidentali, rappresentano il “desiderata politico” con cui misurarsi e che immaginano come una forza ideologica anti-regime, anti-rivoluzionaria e pro-occidentale, animata dal solo desiderio di mutare il connotato politico dell’Iran in un qualche ibrido vicino ai modelli occidentali.
Allo stesso tempo, i conservatori sono visti dalla gran parte degli occidentali come un insieme di anziani teocrati radicali, fanaticamente religiosi e anti-democratici, animati dal solo desiderio di mantenere in vita l’apparato tradizionale islamico forgiato con la rivoluzione.
Leggendo le dinamiche iraniane attraverso stereotipi e paradossi di questo tipo – molto diffusi, purtroppo – è chiaro come risulti poi difficile comprendere il risultato delle elezioni e del quadro istituzionale che viene a delinearsi all’indomani del voto.
Un altro errore marchiano degli occidentali è quello di guardare al solo voto della città di Teheran, che con i suoi otto milioni di elettori è sì importante ma non esaustivo per comprendere la dimensione complessiva del voto in Iran.
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Per avere un quadro più chiaro sulle elezioni politiche di venerdì scorso in Iran e per comprenderne il risultato è quindi opportuno fare due premesse. La prima concerne il grandissimo numero di candidati squalificati dal Consiglio dei Guardiani e quindi non ammessi alle elezioni; la seconda riguarda invece la natura delle liste che si sono presentate alle elezioni e la collocazione ideologica dei principali candidati.
Degli oltre 12.000 candidati che hanno presentato le proprie credenziali per le elezioni parlamentari del 2016, solo 6.229 sono stati approvati dal Consiglio dei Guardiani, e di questi si sono successivamente ritirati in 729, portando il numero complessivo dei nomi sulle liste a 5.500. La gran parte dei candidati squalificati dal Consiglio è certamente riconducibile all’area riformista o pragmatica, e la loro esclusione ha destato un grande clamore in Iran, con l’accusa di un’intenzionale manipolazione finalizzata a garantire la sopravvivenza delle forze politiche di orientamento conservatore.
Questo processo di selezione risponde ad una precisa strategia della leadership iraniana, che non intende promuovere la possibilità di radicali mutamenti nel quadro politico nazionale favorendo quindi un bilanciamento forzato delle componenti politiche e ideologiche presenti, al fine di poterne garantire la rappresentatività in Parlamento e nelle altre istituzioni elettive del paese.
È infine necessario comprendere anche il meccanismo di funzionamento della politica iraniana e la sua articolata composizione ideologica, senza cadere nella trappola interpretativa degli schieramenti netti e contrapposti.
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In Iran prevale innanzitutto l’elemento personale del candidato, che si colloca nell’ambito di una certa posizione ideologica ma che non è necessariamente espressione di uno specifico partito. Anzi, nella gran parte dei casi si formano delle semplici coalizioni che decidono di allearsi al fine di presentarsi alle elezioni in modo compatto, per poi sciogliersi e ricomporsi in sede parlamentare anche con fisionomie differenti rispetto a quelle pre-elettorali. Queste sinergie tra gruppi diversi danno quindi forma alle “liste”, che si propongono agli elettori includendo gruppi e coalizioni spesso di diversa natura e orientamento, che decidono di allearsi perché ritengono di condividere alcune priorità fondamentali.
Lo spettro politico iraniano è infine alquanto ampio e variegato e comprende al suo interno forze di diversa estrazione ideologica e politica, che non sempre ha tuttavia agende e programmi così nettamente differenti da quelli degli avversari.
In termini generali è quindi possibile individuare all’interno di questo mare magnum della politica iraniana i riformisti, che intendono promuovere una formula liberale e modernizzatrice della politica e dei costumi, i pragmatici, che vorrebbero coniugare una visione tradizionale della società con una concezione liberista dell’economia, i principalisti, che rappresentano un vasto ambito ideologico al tempo stesso centrista e conservatore, animato dalla volontà di seguire i dettami etici e rivoluzionari proposti da Khomeini all’interno di una politica tuttavia di moderazione e crescita economica, gli ultraconservatori, che invocano una radicale concezione della politica estera e sociale, guardando con sospetto e ostilità a qualsiasi forma di apertura verso l’esterno, e infine gli indipendenti, che soprattutto nelle regioni periferiche del paese si presentano con programmi e posizioni spesso costruite sulla sommatoria delle istanze dei principali movimenti, di fatto proponendosi come sintesi tra più formule politiche e ideologiche.
La gran parte delle “liste” elettorali presentatesi all’appuntamento dei seggi del 26 febbraio è quindi il risultato di alleanze che includono al loro interno gruppi di diversa estrazione e orientamento, che non possono essere quindi sommariamente quanto arbitrariamente suddivisi in “conservatori” e “riformisti”, rappresentando al contrario posizioni spesso anche molto distanti tra loro.
Questo è certamente il caso, ad esempio, della lista conosciuta come “Coalizione dei Riformisti” o anche come “Lista della Speranza“, che a Teheran si è presentata trionfando con 30 candidati (di cui otto donne) a loro volta espressione di un vasto ambito politico che include riformisti di area “khatamista” e principalisti di orientamento centrista e conservatore.
Voler leggere l’identità ideologica di questo gruppo come esclusivamente riformista è quindi un grave errore, funzionale alla sola necessità degli occidentali di distinguere come sempre in modo netto i “nemici” e i “nemici dei nemici”. Una lettura troppo grossolana e dozzinale per comprendere la natura della politica iraniana e la sua complessità ideologica.
Chi ha vinto dunque le elezioni?
Per stabilire chi avrà davvero vinto le elezioni parlamentari iraniane servirà tempo, dovendo attendere che il Parlamento si insedi e che la variabile geometria delle “liste” si ridefinisca all’interno del Majles.
Ad oggi è possibile fare un mero calcolo algebrico su quanti hanno votato e quali candidati sono stati eletti, individuandoli per ambito di appartenenza. Questo non significa tuttavia che tali ambiti potranno risultare effettivamente compatti o maggioritari all’interno del nuovo Parlamento, dove invece nel corso delle prossime settimane e mesi si andranno a definire gruppi e contesti più o meno omogenei sulla base delle priorità che i singoli intenderanno perseguire.
Mentre lo spoglio delle schede è ancora in corso, si stima che si siano recati alle urne tra il 58% e il 62% dei circa 55 milioni di elettori iraniani, facendo registrare percentuali elevate a dimostrazione del grande interesse della popolazione per questa tornata elettorale.
La “Coalizione Riformista” sembra aver trionfato a Tehran, portando a casa 29 o addirittura 30 dei candidati proposti, sbaragliando in tal modo la lista “Coalizione dei Principalisti” guidata di Haddad Adel. Questa notizia ha fatto esultare gran parte della comunità internazionale, che si è affrettata a definire il risultato come un trionfo dei riformisti, senza in alcun modo considerare come all’interno di questa “lista” siano presenti anche formazioni di indirizzo dichiaratamente “pincipalista”, come ad esempio quella di Motahari.
Poco risalto è stato infine attribuito ai risultati provenienti dalle altre province del paese, dove circa il 55-60% dei voti è stato conquistato dalle liste di ispirazione principalista o ultraconservatrice, e dove le formazioni dichiaratamente riformiste hanno invece fatto registrare risultati più modesti, intorno al 30%. Altrettanto trascurata dai media internazionali è la crescita degli indipendenti, che sembra potersi collocare tra il 15 e il 20%, soprattutto nelle province più piccole del paese, andando in tal modo a costituire un nuovo elemento di bilanciamento in Parlamento.
Sicuramente in mano alla parte più conservatrice è stato anche il risultato elettorale per l’Assemblea degli Esperti, dove entrano trionfando a Tehran sia Rohani che Rafsanjani, nell’ambito tuttavia di una maggioranza saldamente in mano alle forze principaliste e ultraconservatrici.
Sotto il profilo della sommatoria algebrica, il risultato che esce quindi dalle urne (ma lo spoglio è ancora in corso e in alcune città si dovrà andare al ballottaggio per i candidati che non hanno superato lo sbarramento del 25%) vede i principalisti occupare la maggioranza dei seggi del prossimo Parlamento, seguiti dai riformisti e dai pragmatici, dagli ultraconservatori e dagli indipendenti.
I principalisti rappresentano una fascia di elettorato che si colloca tra le formazioni centriste e quelle dei conservatori moderati, e molte delle formazioni principaliste – pur non condividendo le posizioni dei riformisti – appoggiano il governo del presidente Rohani.
È quindi al tempo stesso possibile sostenere che abbiano trionfato i conservatori e le forze pragmatico-riformiste vicine al presidente Rohani, sebbene tale considerazione debba essere valutata in termini di specifico posizionamento dei singoli candidati eletti, e soprattutto del loro futuro posizionamento in ambito parlamentare.
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Prime valutazioni di sintesi
L’entusiasmo occidentale nel proclamare una vittoria riformista è il prodotto di una visione alquanto stereotipata e semplicistica del reale risultato elettorale.
Il risultato che sembra delinearsi dallo spoglio delle schede indica al contrario una concentrazione del voto verso posizioni centriste, che intendono sostenere la linea politica del presidente Rohani senza tuttavia concedere un mandato in bianco al presidente, al quale chiedono risultati e garanzie per la stabilità del paese.
Teheran si conferma la roccaforte delle forze politiche più moderate e di quelle pragmatico-riformiste, mentre le province e le periferie continuano a esprimere preferenze più marcatamente conservatrici. Il segnale che arriva forte dalle urne sembra tuttavia anche essere un monito per le formazioni ultraconservatrici, sopravvissute alla tornata elettorale solo grazie alla massiccia squalifica di molti candidati riformisti, pragmatici e principalisti.
Si delinea quindi, in conformità alle aspettative della stessa Guida Ali Khamenei, un risultato elettorale bilanciato e capace di promuovere quegli equilibri di stabilità in questo momento assolutamente necessari per consolidare la politica di Rohani da una parte, e per favorire la graduale e pacifica transizione politica e generazionale in atto in Iran dall’altra.

            DA AZIONETRADIZ.