sabato 13 agosto 2016

LA LOTTA PARTIGIANA: MARZABOTTO

La Lotta Partigiana: Marzabotto


Una Mezza verità è una menzogna intera.
Invito il lettore prima di addentrarsi nella lettura di questo articolo, di soffermarsi su quanto ha scritto il fascista antifascista Giorgio Bocca nel suo “Storia dell’Italia partigiana”: <Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. E’ una pedagogia impietosa, una lezione feroce>.
Oppure quanto scrisse, circa le conseguenze che la lotta partigiana poteva arrecare sulle popolazioni civili, il democristiano Benigno Zaccagnini: <La rappresaglia che veniva compiuta era un mezzo per suscitare maggiore spirito di rivolta antinazista e antifascista, e quindi si giustificava> (Dalla parte dei vinti di Piero Buscaroli).
Siamo all’inizio dell’anno 2013 e nessuno può negare che, almeno in Italia, la situazione è catastrofica, come mai si è verificata nei decenni precedenti. In occasione della farsa dei festeggiamenti (non viviamo forse nell’era dell’immortale antifascismo? Ecco allora, festeggiare la sconfitta della nostra patria!) del 25 aprile  la presidente della camera, signora Laura Boldrini sentenziò che non esiste un fascismo buono. Queste parole sono state pronunciate in occasione della visita ad uno dei monumenti della lotta resistenziale: Marzabotto. Marzabotto: allora vediamo cosa accadde a Marzabotto.
Il film “Miracolo a Sant’Anna” di Spike Lee, in proiezione nelle sale cinematografiche italiane, ha sollevato un tale vespaio su fatti avvenuti nel lontano 1944, che avverto la necessità di riproporre un mio studio su quegli avvenimenti.
Come il lettore potrà constatare si tratta di Storia e come tale suffragata di documentazione e testimonianze.
Sono stati eventi veramente tristi, da qualsiasi lato li si vogliano esaminare.
Qualche lettore avrà pur visto la trasmissione televisiva “Blu Notte” condotta dal bravo Carlo Lucarelli nella serata del 2 settembre 2007, dal titolo “L’armadio della vergogna”.
Lucarelli, tracciando la storia di questo “armadio tenuto nascosto” (da decine di anni, attenzione!) dai Governi di Destra e di Sinistra, “armadio” che conterrebbe documenti sulle atrocità commesse dai nazisti e dai “repubblichini di Salò” (sic). Ebbene, Lucarelli ha toccato vari argomenti che vanno dalle stragi di Marzabotto alle Fosse Ardeatine, dall’Isola d’Arbe (perché Lucarelli non l’ha chiamata col nome di oggi: Rab e il racconto sarebbe stato più veritiero), ai gas gettati sugli etiopi, dal campo di Fossoli alle stragi della Xa Mas e così di seguito.
Ritengo opportuno, pertanto, prima di entrare in argomento presentare quanto andrò a scrivere in più capitoli, capitoli che saranno trattati nei prossimi articoli.
Cominciamo con MARZABOTTO.
Lucarelli ha esordito affermando che alla strage hanno partecipato anche elementi della Xa Mas; è la stessa menzogna presentata da un collega di Lucarelli e precisamente da Arrigo Petacco. Ed ora entriamo in argomento.
Arrigo Petacco il 15 luglio 1989 presentò in televisione una delle settimanali trasmissioni “I giorni della storia”, la “storia delle mezze verità” naturalmente, la stessa “storia” presentata dal Lucarelli.
Sul video apparve una signora presentata da Petacco esattamente con queste parole: <La signora Clara Cecchin aveva otto anni il 19 agosto 1944, abitava a Valla, vicino S. Terenzio Monti, sulla strada per Marzabotto. Il suo paese fu visitato il 19 agosto 1944 dal famoso maggiore Reder dell SS con i suoi uomini e molti fascisti: G.N.R., Brigate Nere, forse anche Xa Mas che lo accompagnavano per fare quello che potete immaginare…>. A questo punto Petacco diede disposizioni di immettere, in video, un breve filmato sull’episodio, quindi riprese la trasmissione in diretta e riferendosi alle vittime disse: <Gente normale, bambini piccoli, anche feti, perché i fascisti e i tedeschi sventrarono anche alcune donne incinte. Sì, c’erano anche i fascisti e li comandava un certo Ludovici>. Indicando il nome “Ludovici”, Petacco passò dalla “mezza verità” che da sola è una menzogna, alla seconda “verità” che si trasforma in “Verità”. Se dimostrata.
La lapide che commemora i caduti di Marzabott
La lapide che commemora i caduti di Marzabott
Andiamo avanti. Petacco passò la parola alla signora Cecchin che testimoniò efficacemente il dramma da lei vissuto. In quel massacro dove persero la vita 107 persone la signora Cecchin fu l’unica miracolosamente sopravvissuta. Nella sua chiara e raccapricciante esposizione, sempre pungolata da Petacco, la signora Cecchin nominò sette volte i “tedeschi” e mai i “fascisti”. Terminata la testimonianza della superstite, Petacco riprese: <La lunga striscia di sangue tracciata da Reder e dai suoi dalla Versilia su in Lunigiana fino a Marzabotto, non fu un atto di ferocia gratuita, aveva un suo disegno strategico. I partigiani erano diventati una forza importante. Impegnavano tre divisioni tedesche e i tedeschi non avevano molte divisioni a disposizione sulla Linea Gotica, che era a ridosso della linea di sangue tracciata da Reder. Kesselring voleva avere le spalle al sicuro, quindi diede ordine a Reder di fare terra bruciata e spargere il terrore. I partigiani in quel momento erano già forti, potevano contare su circa 80.000 uomini impegnati in tutto il Nord Italia. Operavano ormai da mesi perché le prime formazioni erano nate subito dopo l’armistizio nel tardo autunno del ‘43>.
Nell’accusa lanciata da Petacco circa la presenza di “fascisti” nelle stragi, per quante ricerche abbiamo fatto, ci risulta che nessun “fascista” o componente dell’esercito della Rsi, abbia partecipato a quella serie di massacri.
Ne “I giorni dell’odio” pag. XXIV Alberto Giovannini attesta: <Uno degli episodi più noti della rappresaglia tedesca è rappresentato dalla strage di Marzabotto. Una cosa che al riguardo non è detta nella commemorazione ufficiale, è però che, con la popolazione locale, furono massacrati il cappellano delle Brigate Nere di Bologna e alcuni fascisti che, conosciute le intenzioni germaniche, si erano precipitati a Marzabotto per tentare, in qualche modo, se non di evitare, almeno di ritardare la feroce esecuzione di massa>. Mancano, purtroppo, più approfondite prove su questa interessante testimonianza. Infatti, se quanto riferito da Giovannini rispondesse a verità, si vorrebbe far passare per assassini, secondo la tesi di Petacco, coloro che, in effetti, sarebbero dei martiri.
Altra dichiarazione, simile a quella fornita di Giovannini ci viene riferita da Angelo Carboni nel “Elia Comini e i confratelli martiri di Marzabotto” pag. 86: <Un giovane, allora studente di Teologia, Alfredo Carboni, mi racconta come la vigilia di San Michele, il 28 settembre ’44, trovandosi nella località Fornace poco sotto la chiesa parrocchiale di Salvaro, un soldato della Guardia Repubblicana, già suo compagno di scuola alle elementari, di cui non può citare il nome, gli disse chiaramente: “O Alfredo, scappa e mettiti in salvo, perché domani ci sarà qui una tale razzia, che non resterà nemmeno il filo per tagliare la polenta”>. Frase caratteristica questa del nostro Appennino per significare che non sarebbe rimasto nulla.
Quale è stata la lunga striscia di sangue tracciata da Reder? Chi era Reder e quali furono le giustificazioni dei tedeschi per tante atrocità? Per una serena valutazione storica che non debba risentire di condizionamenti emotivi, è necessario immergersi in quel drammatico periodo che fu la guerra fra il ’43 e il ’45. In quegli anni l’attività partigiana si manifestava nel Centro Nord Italia con imboscate, attentati alle vie di comunicazione, colpi contro singoli soldati o civili. Questi fatti, che i partigiani chiamavano “azione di guerra” lasciano comunque comprendere le cause che portarono a spietate rappresaglie nell’Appennino emiliano, esattamente come attestato da Bocca e Zaccagnini. A seguito di queste “azioni di guerra”, il Maresciallo Kesselring, comandante supremo delle forze tedesche in Italia, lanciò, il 1° agosto 1944, un manifesto con il quale avvertiva che qualora quelle “azioni” fossero continuate di aver <impartito alle proprie truppe i seguenti ordini:
1) iniziare nella forma più energica l’azione contro le bande armate di ribelli, contro i sabotatori … 2) costituire una percentuale di ostaggi in quelle località dove risultano esistere bande armate e passare per le armi i detti ostaggi tutte le volte che nelle località stesse si verificassero atti di sabotaggio>.
Kesselring era un soldato d’onore, ma chi eseguì gli ordini non lo era.
Kesselring, nel compilare il sopraccitato ultimatum, si riferiva alle Convenzioni Internazionali firmate da quasi tutti i Paesi; tra questi la Germania e l’Italia. Dal volume “Diritto Internazionale” alla voce “Combattenti” fra l’altro si legge: <Sulla base delle Convenzioni de L’Aja del 1899 e del 1907 sulla guerra terrestre (…) si possono classificare quattro categorie di legittimi combattenti. Nella prima rientrano i militari delle Forze Armate regolari di uno Stato belligerante, purché indossino una uniforme conosciuta dal nemico, portino apertamente le armi, dipendano da ufficiali responsabili e dimostrino di rispettare le leggi e gli usi di guerra (…).
Gli illegittimi combattenti vengono dovunque perseguiti con pene severissime e sono generalmente sottoposti alla pena capitale. Nella guerra terrestre i franchi tiratori che operano nelle retrovie nemiche, infiltrandosi alla spicciolata sotto mentite spoglie, vengono passati per le armi in caso di cattura. Lo stesso dicasi per i “sabotatori”>.
Sempre dal “Diritto Internazionale”, voce “Rappresaglia”: <La rappresaglia si qualifica innanzitutto come “atto legittimo” (…). La rappresaglia condotta obiettivamente illecita, diventa, per le particolari circostanze in cui viene attuata, condotta lecita. La rappresaglia è, fondamentalmente una “sanzione”, cioè una reazione all’atto illecito e non un mero atto lecito, la cui liceità deriva dall’esistenza di un precedente atto illecito (,,,), Poiché la rappresaglia si pone come “risposta” ad un atto illecito, per essere legittima deve obbedire a queste condizioni: vi deve essere stata lesione di un diritto o di un interesse giuridico dello Stato autore e deve essere mancata la riparazione (…). Non può mai violare le leggi umanitarie, cioè fondamentali ed elementari esigenze di umanità (…). La scelta delle misure da infliggere spetta allo Stato offeso. Questo, però, prima di passare all’azione, deve assicurarsi che l’offensore non voglia o non possa riparare il danno (…). Compiuto inutilmente questi passi, potrà applicare le misure che meglio crederà, uniformando però la sua condotta alle condizioni di legittimità che abbiamo sopra esposte (…). La rappresaglia è, cioé, un atto di violenza isolato nel tempo e nello spazio, avente lo scopo di imporre il rispetto del diritto in relazione ad una violazione subita, sì che possa cessare appena riparata l’offesa. La nostra legge di guerra, approvata con R.D.8-VII-1938 n. 1415, regola poi la materia delle ritorsioni e delle rappresaglie in tempo di guerra con gli art.: 8-9-10, (1)”.
Come postilla è interessante riportare quanto previsto sempre dal “Diritto Internazionale”>.
<5 (…). L’art. 33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949, in deroga a quanto prima era consentito dall’art. 50 dei regolamenti de L’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di repressione collettive, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto>. Dettato completamente dimenticato dai russi in Afghanistan, dagli americani in Corea, Vietnam, in Somalia e, ancor oggi in Irak; Afghanistan ecc., senza dimenticare le operazioni di spietata rappresaglia commessi dagli israeliani contro i palestinesi. Così si verifica che mentre si continua a condannare militari che operarono il “Diritto di rappresaglia”, quando questo era previsto dalle leggi, oggi, che è proibito “tassativamente” nessuno ne risponde ed il mondo si è dimenticato di quanto le leggi prescrivono.
Stabilite le parti essenziali del “Diritto Internazionale”, come si presentava il fenomeno partigiano nel territorio bolognese?
Le azioni partigiane, fra la fine del ’43 e gli inizi del ’44, furono isolate e a carattere individuale fino all’attentato condotto contro il Federale Eugenio Facchini, ucciso con sette colpi di pistola il 26 gennaio 1944 a Bologna.
Agli inizi di quell’anno i socialisti non disdegnavano di continuare il dialogo, iniziato da tempo, con esponenti della Rsi e si mantennero quindi decisamente neutrali. Furono i comunisti a prendere con decisione l’iniziativa di condurre la lotta contro il fascismo anche se, gradualmente seguirono tutti gli altri partiti, per non perdere l’opportunità di schierarsi dalla parte di coloro che avrebbero, poi, vinto la guerra.
Sulle montagne si organizzarono bande di partigiani, delle quali parleremo più avanti.
Nelle città i comunisti riuscirono costituire gruppi di guerriglia. Nei primi mesi del ’44, a Bologna, i comunisti, guidati da Giuseppe Alberghetti, nome di battaglia “Cristallo”, furono i primi a raccogliere adesioni per la nuova forma di guerriglia.
E’ opportuno riportare la tecnica adottata dai comunisti per radicalizzare la guerra civile, specialmente nell’Emilia e, come giustamente rileva Giorgio Pisanò nella sua “Storia della Guerra Civile in Italia”, a pag. 1162, osserva: <(…). Una tecnica che trova ancora oggi la sua spietata applicazione in ogni Paese del mondo dove i comunisti tentano la conquista del potere>.
Per capire con quale determinazione i comunisti applicarono quella “tecnica”, anticipiamo che nelle sole strade di Bologna furono uccisi, in attentati, più di 450 fascisti o “presunti tali”. I comunisti, con queste azioni, si aspettavano spietate rappresaglie, ma queste, sia per gli ordini di Mussolini, sia per il sangue freddo dimostrato dai Prefetti, furono rare e, in ogni caso, mai proporzionate alle perdite subite.
Per capire quale fosse la tecnica che i comunisti intendevano porre in essere, proponiamo un ampio stralcio del libro “7° Gap” di Mario De Micheli – Edizioni Cultura Sociale, Roma 1954: <Sin dall’ottobre 1943 il partito comunista aveva preso l’iniziativa di costituire le “Brigate d’assalto Garibaldi” e i “Gruppi d’azione patriottica”: le brigate dovevano operare sulle montagne, i gruppi dentro la città (…). I “Gap” dovevano essere gli arditi della guerra di liberazione, soldati senza divisa (…). Essi dovevano combattere in mezzo all’avversario, mescolandosi ad esso, conoscerne le abitudini e colpirlo quando meno se lo aspetta (…). I complici del fascismo e del tedesco non avrebbero più dovuto trascorrere i loro giorni indisturbati, in quiete e tranquillità; avrebbero, invece, dovuto vivere d’ansia, guardandosi continuamente attorno, trasalendo se qualcuno camminava alle loro spalle. Portare la morte a casa del nemico era insomma la direttiva con cui sorgevano i “Gap” (…)>.
Ecco come i capi comunisti riuscirono a superare gli scrupoli morali che nascevano negli animi dei componenti dei “Gap”: <(…). Creare la mentalità dell’attacco armato sull’uomo fu oltremodo difficile, occorreva vincere scrupoli e inquietudini morali oltreché il timore dello scontro diretto col nemico. Se può essere abbastanza semplice nel fuoco del combattimento, “a sangue caldo” diciamo, colpire e uccidere, non è altrettanto semplice colpire a sangue freddo con studio, premeditazione e calcolo (…). Il partito dovette, dunque, far sentire la sua volontà in maniera energica, dovette ancora una volta intervenire, illuminare, spiegare (…). E’ opportuno aggiungere che in quell’epoca non si era ancora creato quel clima di eroismo (?) che ha poi permesso tante memorabili gesta (…). Ai primi di gennaio, a Bologna, erano stati organizzati soltanto una decina di uomini con questi criteri. Dieci uomini divisi in due squadre. S’incominciò col deporre le bombe a scoppio ritardato nei luoghi di residenza del nemico. La prima bomba di questo tipo fu collocata alla finestra del Comando tedesco di Villa Spada, I tedeschi, che ancora non si attendevano colpi del genere in Bologna, furono irritatissimi. Lanciarono un manifesto carico di minacce e imposero il coprifuoco dalle 18 alle 6 del mattino: era il 18 gennaio (…)>.
E’ difficile credere che i capi e gli organizzatori di queste “eroiche” azioni non conoscessero quanto previsto nelle “Convenzioni Internazionali di Guerra” e le relative deliberazioni del diritto di rappresaglia. Tutto lascia credere, invece, che si volesse giungere ad estreme esasperazioni per ovvie finalità politiche che certi ambienti son riusciti, nel corso degli anni e sino ai nostri giorni, a così ben sfruttare.
Ecco in merito, qualora non fosse sufficiente quanto scritto dall’ex fascista ed ex partigiano Giorgio Bocca (in merito alla ricerca della rappresaglia) quanto si legge nel già citato “7° Gap”: <L’ostacolo più grande da sormontare per il timore delle rappresaglie contro la popolazione, il pensiero che per un’azione militare compiuta contro un tedesco o un fascista decine d’inermi e di innocenti sarebbero stati giustiziati. Allora non era ancora evidente a tutti che l’unico modo per stroncare il terrorismo (!) dei nazifascisti fosse quello di non dar tregua al nemico, di raddoppiare i colpi (…)>.
Così operavano i “gappisti” in città.. Come agivano invece, le «brigate» in montagna e principalmente nei più vicini con¬trafforti appenninici nei pressi di Bologna?
In questa località ed esattamente fra i fiumi Reno e Setta, operava, fra il settembre ’43 ed il settembre ‘44 la formazione armata dei partigiani della ”Stella Rossa”, denominata “Brigata” posta agli ordini di Mario Musolesi di anni 29. La leggenda racconta che (dalla citata opera “Storia della guerra civile in Italia” pag. 1176): «i partigiani si batterono con coraggio leonino contro le S.S. e difesero i monti di Marzabotto palmo a palmo, seminando il terreno di uomini caduti con le armi in pugno: anche il comandante della “Stella Rossa” restò fulminato da una raffica nemica; ma alla fine questi eroi furono sopraffatti e i superstiti riuscirono a stento a raggiungere le linee anglo-americane… i tedeschi si scagliarono come bestie feroci contro la popolazione civile della zona e 1850 innocenti caddero massacrati confondendo il loro sangue con quello dei gloriosi partigiani rossi…». A commento di quanto sopra Pisanò continua: «Ma se questa è la leggenda ben altra è la verità». Infatti la verità è completamente diversa.
I partigiani uccidevano in agguati tedeschi isolati, fascisti in divisa e non. I tedeschi, guidati da Reder, regolarmente scagliarono la loro ira contro le popolazioni indifese e non solo nella zona di Marzabotto come vedremo appresso.
Si chiede Don Carboni nell’opera già citata (pag. 32): «Si era in tempo di guerra: la guerra ha le sue tremende leggi di sterminio e di vendetta: se ammazzate un tedesco (che importanza aveva l’ammazzare un tedesco nello svolgimento e nell’economia generale della guerra?) verranno fucilati dieci civili… Chi dobbiamo ringraziare noi, parenti delle vittime, delle reazioni tedesche? Non certo gli eroi che le provocarono e dopo si eclissarono dandosi alla fuga!». Questa è la domanda di don Carboni, giusta e naturale: «Che importanza aveva ammazzare un tedesco?».
Questa domanda va trasferita e analizzata nel contesto politico del disegno organico costruito dai più alti vertici del comunismo internazionale: uccidere un tedesco (o un fascista), attendere la rappresaglia e, di conseguenza, guidare il terrore e l’odio dei civili nella direzione desiderata e atteggiarsi, quindi, a giudici e vendicatori di tante vittime innocenti. Non possiamo che dar atto della loro cinica abilità.
Ma cosa accadde esattamente a fine settembre 1944 nella zona di Marzabotto?
Ancora dal volume “I confratelli Martiri di Marzabotto pag. 34: <Va pure ricordato che qualche giorno prima della strage qualcuno, segretamente, aveva avvertito la popolazione della imminente rappresaglia, ma quando si seppe che c’erano famiglie di agricoltori decisi ad abbandonare tutto, per mettersi in salvo, i partigiani li minacciarono con queste parole: «se non vi uccidono loro, vi uccidiamo noi se andate via: qui ci siamo noi a difendervi!» .
arcfibocchi1bQuesta testimonianza è stata resa da Bruno Paselli, agricoltore di San Giovanni di Sotto di Casaglia…».
Dato che i fascisti non parteciparono mai ad azioni di stragi tralasciamo la lunga lista di “azioni di guerra” condotta dai partigiani nel colpire i militari fascisti (o supposti tali), in quanto desideriamo seguire la storia del maggiore Walter Reder e delle sue S.S., principalmente, ma non solo nella zona di Marzabotto.
La brigata partigiana “Stella Rossa” nella primavera del ’44 raggiunse la cifra di 500 effettivi. <Si trattava in gran parte di comunisti o simpatizzanti comunisti che non tardarono ad assimilare gli spietati sistemi di guerriglia instaurati dagli emis¬sari del P.C.I.».
Gli attentati contro militari tedeschi iniziarono con proditoria sistematicità. A Rioveggio due ufficiali tedeschi stavano passeggiando con due ragazze. Furono presi alle spalle e uccisi. I nazisti concessero 24 ore affinché gli autori dell’attentato si presentassero, dopodiché scelsero 11 ostaggi. Da quel che si dice a Rioveggio gli attentatori erano del luogo, eppure lasciarono fucilare senza intervenire 11 innocenti.
I partigiani continuarono ad uccidere tedeschi e fascisti isolati.
Racconta Don Alfredo Carboni, parroco a Ronca di Monte S. Pietro: Di questi fatti poco eroici se ne verificarono decine. A Gabbiano di Monzuno, per esempio, due tedeschi che stavano acquistando uova dai contadini furono sorpresi da una pattuglia partigiana comandata da un certo “Aeroplano”. I tedeschi capirono subito di non essere in grado di opporre resistenza e alzarono le mani in segno di resa. Ma i comunisti spararono ugualmente uccidendone uno. L’altro venne trascinato prigioniero alla base partigiana. Conoscendo la ferocia dei guerriglieri il soldato tedesco tentò inutilmente di impietosirli mostrando anche le fotografie della moglie e dei suoi due bambini. Lo legarono con i piedi ad un paletto e gli inchiodarono le mani trafiggendole con due pugnali. Poi lo lasciarono morire così.”
Il parroco di Riposa (un comune di Bologna), Don Libero Nanni, nativo del luogo dove si verificò un altro barbaro massacro, nel quale trovarono la morte anche suoi intimi parenti, si fece promotore di far erigere un tempietto titolato ”Monumento Sacrario ai Caduti di Piano di Setta”. Nel quarantesimo anniversario dell’eccidio fu scoperto un cippo marmoreo e una lampada votiva dalla fiamma sempre accesa. A ricordo dell’evento fu distribuito fra i presenti un foglio commemorativo ove fra l’altro si legge: <Una pagina di storia quasi dimenticata. “Nel lontano luglio del 1944, nel turbine della guerra sempre più distruttrice. l’alta valle del Setta e precisamente piano di Setta, fu scossa improvvisamente dalla feroce, fulminea, terrificante rappresaglia, che seminò morte, incendi, rastrellamenti”>.
Nella notte del 20 luglio, in un breve scontro fra partigiani e tedeschi (era una colonna che raggiungeva il fronte lungo la statale del Setta) ci furono feriti e morirono due tedeschi. Il 21 luglio trascorse lento e cupo; la mattina successiva si scatenò la rappresaglia: rastrellati gli uomini, razziato il bestiame, le donne e i bambini terrorizzati: gli anziani uccisi in un numero quasi imprecisato: forse 20. L’età? Dai 60 agli 80 anni!
<Tutta la valle fu percorsa dal pianto e dal terrore… Era la prima, grossa rappresaglia nella Provincia di Bologna, preludio alla grande rappresaglia di San Martino, Monte Sole, Casaglia, Gardelletta, Marzabotto, Pioppe di Salvaro, San Vincenzo, Piano di Setta – 15 luglio 1944».
Non si presentò alcuno a rivendicare la responsabilità dell’attentato né da parte dei partigiani fu tentato alcunché per salvare gli ostaggi>.
Il 23 luglio 1944 a Pioppe di Salvaro fu ucciso un altro tedesco. Furono rastrellati 10 infelici e uccisi a colpi di mitra. Né l’autore (o gli autori) dell’uccisione del tedesco, si presentò per salvare gli ostaggi né un colpo di fucile fu sparato dagli uomini del ”Lupo” per salvare quegli innocenti.
L’attività della Brigata partigiana “Stella Rossa” è un perpetrare di fatti del genere. Non va dimenticato che, nel frattempo, si susseguivano attentati mortali contro fascisti (o supposti tali) isolati. Ecco, ad esempio, quanto riporta uno dei “bollettini di guerra” diramato dalla “Stella Rossa”: <10 agosto: Una pattuglia del 4° distaccamento procedeva al fermo del fascista Bertoletti Duilio in località Farneto. È stato in seguito giustiziato»; “11 agosto: Una pattuglia del 1° distaccamento procedeva al fermo di un fascista repubblichino in permesso a Castel dell’Alpi. Veniva recuperato un moschetto con relative munizioni. Il fascista veniva più tardi passato per le armi”; ”14 agosto da una nostra pattuglia veniva catturato il fascista Zagnoni Lucio che veniva giustiziato”. E così di seguito. Tornando alle azioni che riguardavano la guerriglia contro i tedeschi, si legge sull’ ”Indicatore Partigiano” n. 4 del 1949, ove viene riportato uno dei «Bollettini di guerra» della ”Stella Rossa”: «1 agosto: Nostra pattuglia in servizio esplorativo si scontrava, nei pressi di Castel d’Alpe, con una pattuglia guardafili tedesca composta da un sottufficiale e un soldato. All’intimazione dell’altolà tentarono di fuggire. Venivano presi, interrogati e confessavano di trovarsi in servizio. Venivano passati per le armi». Pisanò osserva: «… lo strano principio, contrario alle norme e alle convenzioni accettate in qualsiasi Paese e da qualsiasi esercito, in base al quale dei soldati fatti prigionieri potevano essere fucilati perché ”confessavano di trovarsi in servizio”».
Ad ogni azione di questo tipo seguivano rappresaglie con incendi, distruzioni, massacri di ostaggi: sette fucilati a Molinelle di Veggio, dieci a Molpelle. Pochi giorni dopo tredici a Pontecchio di Sasso Marconi e così di seguito. Nessun partigiano osò alcunché per tentare di salvare quella povera gente. Eppure si trovavano nei pressi, ed erano numerosi.
Nel frattempo la guerra continuava e la pressione degli alleati, a sud di Bologna si stava intensificando: il comando tedesco aveva necessità di avere le spalle sicure e le strade senza minacce di attentati.
I tedeschi inviarono negli accampamenti dei partigiani della ”Stella Rossa” alcuni parlamentari con la proposta che, se i partigiani fossero rimasti al loro posto, senza intraprendere azioni di disturbo contro i tedeschi questi, a loro volta, si impegnavano a non iniziare alcuna rappresaglia.
I parlamentari tedeschi furono trucidati. Questo fatto indusse il Comando germanico ad agire con la più grande decisione.
E veniamo ai terribili giorni di fine settembre 1944 e alla cosiddetta “Strage di Marzabotto”.
Marzabotto fu insignita di Medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: «Incassata fra le scoscese rupi e le verdi boscaglie dell’antica terra etrusca, Marzabotto preferì ferro fuoco e distruzione piuttosto che cedere all’oppressore. Per quattordici mesi sopportò la dura prepotenza delle orde teutoniche che non riuscirono a debellare la fierezza dei suoi figli, arroccati sulle aspre vette di Monte Venere e di Monte Sole sorretti dall’amore e dall’incitamento dei vecchi, delle donne e dei fanciulli. Gli spietati massacri degli inermi giovanetti, delle fiorenti spose e dei genitori caduti non la domarono ed i suoi 1830 morti riposano sui monti e nelle valli a perenne monito alle future generazioni di quanto possa l’amore per la Patria».
Abbiamo visto che alcune persone avevano preavvisato la popolazione dell’imminenza di un grande rastrellamento, dato che proprio in quei giorni nella zona di Marzabotto apparve un manifesto, un vero ultimatum, a firma delle SS und Polizeifuehrer-Oberitalien-West, ove, fra l’altro, era chiaramente indicato: «(…) 1) chi aiuta i. banditi è un bandito egli stesso e subirà lo stesso trattamento: 2) tutti i colpevoli saranno puniti con la massima severità (..). Gli autori degli attentati ed i loro favoreggiatori saranno impiccati sulla pubblica piazza. Questo è l’ultimo avviso agli indecisi …» Cosicché a seguito di questi ammonimenti la popolazione locale aveva iniziato ad allontanarsi dalla zona. Come abbiamo precedentemente indicato, i partigiani intervennero e proibirono a quella povera gente di mettersi in salvo costringendola a tornare indietro garantendo che, se i tedeschi l’avessero minacciati, i partigiani della ”Stella Rossa” l’avrebbero protetta.
Fra il 20 e il 25 settembre era affluita nella zona una formazione di ”SS Panzer¬Grenadieren” della divisione ”Reichsfuehrer”, ammontante ad 800 uomini cir¬ca. Alla loro testa era il maggiore Walter Reder.
reder150Questi era un austriaco di 29 anni. Fu sospettato, a suo tempo, di essere coinvolto nell’assassinio del cancelliere Dollfuss nell’operazione nazista del 1934. Tentativo vanificato dal deciso e pronto intervento di Mussolini.
Durante l’estate del ’44 la brigata “Stella Rossa” aveva raggiunto una forza di 1500 uomini, ben armati e riforniti dai continui lanci aerei degli alleati.
La strage avvenne, come detto, sulle alture delimitate dai fiumi Reno e Setta e prese il nome da Marzabotto.
I tedeschi iniziarono i rastrellamenti all’alba del 29 settembre, bruciando e massacrando senza distinzione di sesso e di età: Cresta di Gizzana, 81 morti; Canaglia, 148; Casa Benuzzi, 38; Caprara di Marzabotto, 107; S. Giovanni, 47; Cradotto, Prunaro e Steccala, 145: Cerpiano, 49; Sperticano, 13; Pioppe, di Salvavo, 48. In totale 676 morti. E mentre si perpetravano questi eccidi dove erano i 1500 partigiani?
Va detto che gli uomini del ”Lupo” (Mario Musolesi) negli ultimi giorni del settembre ’44 erano in attesa dell’arrivo degli alleati. Avevano allentato la vigilanza e tutti si erano dati a libagioni, bevevano e dormivano con le loro donne, convinti ormai che, per loro, la guerra era finita.
All’attacco dei tedeschi i partigiani, anche per l’allentata cautela, non tentarono alcuna difesa e, mentre alcuni si ”ritirarono” verso Monte Sole, altri fuggirono verso le linee alleate. Chi difese i civili dalla rabbia teutonica?
Ecco quanto racconta il partigiano Guerrino Avani in ”Marzabotto parla”, nelle pagine 46-47: «Prima dell’alba del 29 settembre, assalita da soverchianti forze nemiche la brigata si trovò stretta in una morsa di fuoco. Dopo alterne vicende, una parte di noi fu asserragliata sulla cima scoperta di Monte Sole, chiusa in una trappola impossibile da infrangere date le nostre scarse forze (?) in confronto al numero e all’armamento del nemico… Dalla cima del monte, col binocolo seguivo i movimenti dei ”nazifascisti” (?). Appena giorno, avevo contato 54 grandi falò di case isolate o a gruppi, bruciare intorno, vicino e lontano. Dal mio posto di osservazione vidi quanto i nazisti fecero nel Cimitero di Casaglia, la gente ammucchiata fra le tombe e loro che preparavano le mitraglie. Provammo a sparare, ma la distanza era troppa per un tiro efficace (perché non si avvicinarono? n.d.r.) … Vidi cinque nazisti trascinarsi dietro sedici donne legate una all’altra con un grosso cavo; una stringeva al petto un bimbo di pochi mesi… Era per noi straziante assistere a fatti simili, impotenti a intervenire e tale visione terribile era più debilitante che il fuoco nemico»..
Ecco il giudizio nel già citato volume di Angelo Carboni, a pag. 50: «(…). La verità è una sola: i partigiani della “Stella Rossa” provocarono coscientemente le rappresaglie tedesche, lasciando incoscientemente che le SS massacrassero centinaia di civili né mai poterono ritornare sui luoghi seminati dalle vittime da loro provocate».
Per una più esatta valutazione delle persone che componevano la brigata ”Stella Rossa” va ricordato che, “come qualcuno ha raccontato”, ai primi colpi dell’attacco tedesco, alcuni partigiani, approfittando della occasione, uccisero il loro capo Mario Musolesi detto ”Lupo” per rubargli un tesoro che questi aveva accumulato per distribuirlo, diceva, a guerra finita, per alleviare le sofferenze di coloro che, dalla guerra, avevano subito più dolorose conseguenze. Quindi è una mistificazione quello che sostengono i partigiani e, cioè che il Lupo cadde combattendo eroicamente per contrastare l’attacco delle SS.
Altra montatura riguarda il numero dei caduti nell’”Eccidio di Marzabotto” indicato in 1830 vittime, cifra imposta dai partigiani a guerra finita. Ma la mistificazione apparve palese quando risultarono fra le vittime, persone ancora in vita, caduti nella prima Guerra Mondiale, deceduti per polmonite o per bombardamenti e, addirittura, nomi di fascisti uccisi durante (e dopo) la guerra civile.
Scrive al riguardo Pisanò, a pag. 1136 dell’opera già citata: «E sufficiente del resto una rapida visita al Sacrario inaugurato a Marzabotto nel 1961 per rendersi conto della mistificazione comunista. Nel Sacrario, infatti, sono raccolte solo 808 salme. Di queste. però, 195 sono di persone che morirono per scoppi di mine, e di militari deceduti nella Prima Guerra Mondiale: solo circa seicento appartengono a vittime del massacro…».
Il 1 primo ottobre 1944, quindi a poche ore dall’eccidio, il Rag. Grava, segretario comunale di Marzabotto, inviò un dettagliato rapporto alle autorità di Bologna e si presentò al vice prefetto De Vita che non credette al racconto del Grava e minacciò di farlo arrestare.
Il povero segretario comunale di Marzabotto descrisse con tanta concitazione «lo spettacolo terrificante» da non essere creduto, tanto che lo stesso ”Resto del Carlino” smentì «(…) le solite voci incontrollate prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra (..).». Oppure ordini superiori imposero di sconfessare, quanto, in effetti, era avvenuto.
Ma molti profughi, fuggiti dalle zone colpite dalle rappresaglie, si riversarono nelle città del Nord e quelle notizie non poterono non giungere sino a Mussolini.
A questo punto, per meglio fotografare i fatti nel loro insieme, riteniamo opportuno tornare indietro nel tempo e ripartire dal momento dell’arrivo in Italia di Reder nel maggio 1944. Reder è reduce dal fronte russo ove ha lasciato il braccio sinistro e, per questo, veniva soprannominato ”il monco”.
Inizialmente il suo reparto, il 16° batta¬glione della 16a divisione ”SS Panzer Grenadieren Reichsfuehrer”, si schiera sul fronte di Cecina-San Vincenzo (Livorno) quindi, a seguito della sia pur lenta, ma persistente pressione degli alleati, segue il ripiegamento delle linee germaniche. Il 25 luglio Reder è sull’Arno, il 9 agosto è a Pietrasanta. Qui il suo reparto è ritirato dal fronte e riceve l’ordine di tener ”pulito” il retrofronte. Così inizia la marcia dell’orrore e sangue che lo guidò dalla Toscana all’Emilia sino a Marzabotto.
12 agosto: Sant’ Anna di Stazzema (Lucca) e zone circostanti, 560 morti. 19 agosto 1944: Bardine S. Terenzio: a seguito di un attacco di partigiani ad un camion tedesco che procurò ai nazisti la perdita di 16 militari, furono uccisi 53 civili.
Nello stesso giorno giunsero a Valla 107 persone (solo 5 uomini) posti sotto un pergolato e fucilati: in totale 160 innocenti trovarono la morte. Il conto esatto: 10 per ogni tedesco ucciso. Inutile ricordare che non solo non sì presentò mai alcun autore degli attentati alle autorità tedesche per salvare gli ostaggi, ma mai si arrischiò un intervento, da parte dei partigiani, per tentare di difendere i paesi ed evitare le rappresaglie.
24 agosto 1944; Vinca, Gragnola, Monte di Sopra, Ponte di Santa Lucia, Branza di Cucina; in questa zona, sembra che non ci fossero partigiani, così almeno attestava la sentenza di condanna di Reder: <(…) non c’erano partigiani, non c’erano combattimenti… c’era soltanto povera gente terrorizzata…». I tedeschi passarono per le armi chiunque incontravano.
17 settembre 1944: Bergiola (Carrara). Anche se non risulta che Reder in persona prendesse parte attiva alle stragi di questa zona, è certo che il suo reparto ne fu artefice. 107 persone furono trucidate lungo le sponde del Frigido. A Bergiola 72 le vittime, in maggioranza donne e bambini. (2)
E, infine, 29 settembre 1 ottobre: Marzabotto. E così il cerchio si chiude.
Ė doveroso ricordare che fra le tante centinaia di vittime di quei tristi giorni: 95 erano sotto i 16 anni, 110 sotto i 10 anni, 22 di 2 anni, 8 di un anno e, addirittura, 15 lattanti.
Il 4 agosto nel ricevere l’ordine di Kesselring di adottare contromisure nell’attività partigiana, il generale Wolf – responsabile delle azioni antiguerriglia – compilò una circolare che terminava: «L`onore del soldato richiede che ogni misura di repressione sia dura, ma giusta».
Da quello che abbiamo visto la repressione risultò al di là del limite della schizofrenia omicida e, quindi, decisamente ingiusta. Il grado di brutalità raggiunto forse è conseguenza non intenzionale di una operazione intenzionale. Ma le vittime innocenti furono reali; ed è altrettanto reale che tutto fu pianificato per cercare e procurare rappresaglie per un preciso e ben disegnato scopo politico.
Abbiamo visto con quale criterio i tedeschi intendevano la rappresaglia; e la voce di tante atrocità giunse fino a Mussolini, il quale il 17 agosto inviò una lettera all’ ambasciatore Rahn, con la quale protestava violentemente per le azioni poste in essere dalle SS. Nella lettera Mussolini evidenziava i rapporti provenienti dalle province colpite e così esponeva il suo pensiero (stralcio dalla lettera): «… Dall’insieme delle segnalazioni che vi ho fatto in questa lettera, ne risulta che bisogna finirla con le requisizioni indiscriminate che hanno ridotto alla miseria intere province, finirla con le rappresaglie indiscriminate … insomma bisogna dare ai 22 milioni di italiani della valle del Po la sensazione che esiste una Repubblica, un Governo e che tale Governo è considerato alleato e il suo territorio non è una “preda bellica” dopo 12 mesi dal riconoscimento ufficiale da parte del Reich… Occorre quindi che questo sistema sia cambiato, poiché in questa maniera non si riesce a distruggere la piaga del ribellismo, ma si fanno dei nuovi clienti al ribellismo stesso e si allontanano le simpatie di quelli rimasti a noi fedeli».
Questa lettera di Mussolini trovò riscontro e simpatia in Kesselring che emanò, il 22 agosto, nuovi ordini per reprimere, o almeno, moderare il furore dei suoi soldati. Egli faceva rilevare, fra l’altro: «(…) Le misure di rappresaglia i cui effetti si ripercuotono in ultima analisi sulla popolazione civile anziché sui ribelli. In dipendenza di codeste azioni si è venuto a cancellare in molti la fiducia nelle Forze Armate Germaniche… Sin da questo momento bisogna che i capi preposti alle azioni di rastrellamento ricevano precise istruzioni circa il modo di agire contro la popolazione civile di paesi infestati dai ribelli e circa le misure di rappresaglia da adottare contro i banditi… In linea di massima le misure di rappresaglia devono colpire soltanto i ribelli e non la popolazione civile innocente. A questo riguardo mi appello al senso di responsabilità dei singoli comandanti…».
Abbiamo visto come le azioni con attentati e colpi di mano da parte dei partigiani siano continuate e come da parte tedesca si sia risposto disattendendo, completamente, gli ordini di Kesselring del 22 agosto.
Proprio nel mezzo delle nuove, dissennate rappresaglie tedesche il 15 settembre Mussolini inviò una nuova, secca nota di protesta all’ambasciatore tedesco Rahn: «Ho lo stretto dovere e insieme il più profondo rammarico di dovervi segnalare un’altra serie di episodi di rappresaglia avvenuti in questi ultimi tempi in diverse parti del territorio della Repubblica, ad opera di reparti militari o di polizia germanici. Richiamo soprattutto la vostra attenzione sul fatto che sono stati uccisi molte donne e molti bambini e incendiati interi paesi gettando nella disperazione più nera centinaia di famiglie. Credevo che la circolare diramata in data 22 agosto dal Feldmaresciallo Kesselring avrebbe posto fine alle rappresaglie cieche, ma debbo constatare che si continua con lo stesso sistema … Come uomo e come fascista io non posso più a lungo sopportare la responsabilità, sia pure soltanto indiretta, di questo massacro di donne e di bambini (…)>.
Purtroppo, nonostante i ripetuti e decisi interventi di Mussolini presso Rahn, le azioni di repressione continuarono con sanguinoso crescendo fino ai massacri della zona di Marzabotto.
Una ancora più violenta protesta di Mussolini chiamò in causa direttamente Hitler; questi predispose una commissione d’indagine composta di varie personalità diplomatiche e di alti ufficiali i quali iniziarono immediatamente le indagini.
Al termine di tali indagini, la commissione provvide alla sostituzione del Comandante militare della piazza di Bologna con la motivazione di aver tenuto nascosti i fatti. Nella relazione della commissione, fra l’altro, era scritto: «…(i tedeschi sono dispiaciuti che) qualche donna o bambino siano morti a Marzabotto, ma si è trattato soprattutto di fatalità, dato che si trovavano asserragliati nei rifugi dei partigiani».
Questa parte della relazione non è davvero una valida giustificazione per la folle e, soprattutto indiscriminata vastità delle stragi, però, non possiamo non ricordare, ancora una volta, che nel momento in cui i civili tentarono di fuggire dalla zona, che poi sarebbe diventato il teatro delle stragi, i partigiani della ”Stella Rossa”, lo impedirono minacciandoli e rassicurandoli: «Se non vi uccidono loro vi uccidiamo noi se andate via: qui ci siamo noi a difendervi»!
E, dato che abbiamo visto quanto sia falsa quella promessa («noi a difendervi»!) e tutto lo svolgersi delle azioni successive, non può non far nascere l’atroce sospetto che quella minaccia-promessa sia servita solo perché i partigiani della ”Stella Rossa” intendessero farsi scudo di poveri innocenti.
Altra obiezione potrebbe nascere spontanea; perché alle prime notizie di indiscriminate stragi Mussolini non inviò nelle zone ”a rischio” elementi militari della RSI per proteggere dai tedeschi (e dai partigiani) le popolazioni minacciate? La risposta può risultare ovvia: Mussolini doveva evitare che la già difficilissima convivenza con ”l’alleato” degenerasse sino allo scontro armato; cosa che, se questo si fosse verificato, si sarebbe esteso nel resto dell’Italia del Nord con sviluppi imprevedibili. È da notare, infatti, che i combattenti repubblicani schierati nei vari fronti, dalla Liguria alla Dalmazia, ignoravano quello che i tedeschi stavano commettendo ai danni della propria gente. È facilmente immaginabile quali sarebbero state le conseguenze se le notizie fossero giunte in tutti i reparti. Riteniamo che per questo motivo Mussolini abbia preferito tenere le notizie circoscritte il più possibile.
Gli effetti dell’ armistizio dell’8 settembre concedevano a Mussolini ristretti margini di manovra, ma si deve pur riconoscere che, anche se tali, seppe responsabilmente sfruttarli. E quali furono le ultime ”azioni” di Reder? Questi, a seguito della firma della resa delle truppe tedesche, fuggì in Baviera e fu, dopo pochi giorni, catturato dalle truppe americane a Salisburgo.
Il governo Badoglio aveva spiccato, sin dal gennaio 1945, ordine di cattura con l’accusa di ”criminale di guerra”. A carico di Reder pesavano accuse per sterminio di ebrei, fucilazioni di comunisti polacchi e partigiani russi.
Reder fu consegnato alle autorità italiane e fu processato dal Tribunale militare di Bologna. La condanna, emessa nel 1951, fu l’ergastolo. Nell’aprile del 1967 Reder si rivolse alla popolazione di Marzabotto, dichiarandosi pentito. Il Consiglio comunale di Marzabotto, ascoltati i parenti delle vittime e i superstiti, rifiutò la liberazione.
Una serie di petizioni, provenienti dalla Germania, dall’Austria e dall’Inghilterra riproposero la grazia per Reder. Questa grazia fu concessa dopo alcuni anni e dopo lunghe insistenze e reiterate dichiarazioni di pentimento.
Concludiamo ricordando la requisitoria nel processo di Bologna del Pubblico Ministero, Maggiore Stellacci che disse fra l’altro: «…Il soldato si distingue dagli assassini perché ha un senso del limite della propria azione».
Giudizio che ci trova assolutamente consenzienti; ma, se deve essere punito colui che commette il male, altrettanto colpevole è colui che potendo evitare che il male venga commesso, non si adopera a questo scopo. Più spregevole poi è colui che, per il raggiungimento di una determinata finalità, opera affinché il male venga posto in essere.
1) Cfr. Luisa Dinando, ass. Diritto Internazionale Università di Torino.
2) Reder non prese parte attiva, secondo le testimonianze rese dal partigiano Giannardi, <al processo contro lo stesso Reder. Il responsabile principale dei massacri fu il tenente Fischer>. Reder fu assolto da altre imputazioni.
      IL DUCE.NET

                                                                                                                                                        


giovedì 11 agosto 2016

BANKSTERS :UNA DIRETTRICE CONFESSA : " CREIAMO SOLDI DAL NULLA".



BANKSTERS :UNA DIRETTRICE CONFESSA : " CREIAMO SOLDI DAL NULLA".



NEW YORK (WSI) – Migliaia di multinazionali creano soldi dal nulla, grazie a un giro di prestiti ottenuti a tassi zero (in pratica crediti che non vengono mai rimborsati). Secondo le voci, si auto presterebbero denaro facendola franca grazie a mirate operazioni di trading sui mercati. La rivelazione choc viene dalla direttrice marketing di una multinazionale, che in un’intervista a Ovnisuisse ha spiegato come funziona il meccanismo.

Aprendo una email che le è stata recapitata per sbaglio la direttrice della multinazionale, che ha chiesto di restare anonima, racconta di aver scoperto l’esistenza di un fondo di investimento da oltre un miliardo di dollari. Le sue dichiarazioni vanno prese con una certa distanza, la prova di quanto sostiene, in quanto il contenuto della email non è ancora stato divulgato.

Stando al resoconto della fonte i soldi “creati dal nulla” vengono da una banca privata delle imprese che si chiama “Fondo Investimento Impresa”. È una banca interna creata in Svizzera che concede all’azienda prestiti a tassi zero. In pratica l’impresa si “auto presta” denaro. Tanto denaro.

La testata indipendente francese StopMensonge ha riportato sul suo sito la conversazione intercorsa tra il giornalista di Ovnisuisse e la fonte. “Come tutte le banche per prestare soldi la FIE crea denaro. Ma in questo caso hanno trovato un modo di frodare. La multinazionale per cui lavoro non restituisce mai i soldi indietro”.

Per restare pulite le multinazionali manipolano la Borsa.

Dovrebbero rimborsare, ma non lo fanno mai. Si parla di miliardi di dollari fittizi, che però poi diventano reali e sono trasferiti direttamente sui loro conti in banca.

“Ma come fanno a fare in modo che tutto sia legale, in regola?”, si chiede il giornalista. La fonte risponde dicendo che “per evitare di farsi beccare o di provocare una inflazione, manipolano la Borsa. Grazie a degli algoritmi fanno trading ad alta frequenza. Comprano azioni proprie e così riciclano il denaro e rendono legale l’affare”.

Insomma, alcune multinazionali – sono “numerose” secondo la fonte che parla di “migliaia di multinazionali implicate” e “forse anche certi governi” – creano soldi da zero riuscendo a restare impunite. “Possono creare 10 miliardi in 30 secondi se vogliono, senza sborsare un soldo”.

Una volta creata una banca interna con la massima segretezza, basta prestare denaro a questo istituto e fissarsi un tasso di interesse dello 0%: questo significa auto prestarsi dei soldi. Il prestito viene poi rimborsato solo su carta. Manipolando i prezzi di Borsa si può poi “riciclare” il denaro così creato.

Ecco spiegato un altro motivo per cui continua ad ampliarsi il divario economico sociale tra poveri e ricchi. Ovnisuisse ha ottenuto dalla fonte la promessa di ricevere l’email originale, che dovrebbe essere pubblicata nella seconda parte dell’inchiesta.


FONTE : wall street journal.

PER SAPERNE DI PIU’ : I LIBRI DELLA LANTERNA :

http://edoardolongo.blogspot.it/2016/05/banksters-i-libri-di-anonimo-pontino-in.html

                                                                                                                                                 

lunedì 8 agosto 2016

ANCORA SULLA STORIA FALSIFICATA

Ancora sulla storia falsificata – Filippo Giannini

G.C. -  Filippo Giannini
Autorizzato dal suo autore (*), riprendo questo articolo che evidenzia ancora una volta come la Storia che ci raccontano sia falsata e funzionale alla creazione di certi “miti”. Ancora una volta, insomma, è proprio il caso di dirlo: Ingannati, fin dai tempi della scuola.
(*) Filippo Giannini è nato a Roma.  Architetto, ha lavorato oltre che in Italia, in Libia e in Australia, vive a Cerveteri . E’ collaboratore di numerosi quotidiani e periodici.

Sempre nel ricordo di Piazzale Loreto
SOLITE INFAMIE
Questa volta ad opera di Paolo Mieli
di Filippo Giannini
   Ė vero: ho un caratteraccio! Sarà che ho ancora dentro di me lo spirito del Balilla che non sopporta le vigliaccate. Mi riferisco alla trasmissione di Ballarò del 23 aprile 2013, quando in un intervento del direttore de Il Corriere della Sera, Paolo Mieli, commentando uno dei tanti inciuci riguardanti il connubio PD/PdL, ebbe a ricordare (cito a memoria): <D’altra parte anche nel 1944, Togliatti rientrato in Italia si alleò con la Democrazia Cristiana e nel 1976 Il Partito Comunista di Berlinguer si alleò con Aldo Moro>. Poi il signor Mieli non poteva mancare di ricordare (e te pare!?) che Mussolini portò l’Italia allo sfascio della Seconda Guerra mondiale e alle infami leggi razziali. Per prima cosa osservo: non è possibile che un simile personaggio non conosca la Storia vera, e quindi la falsità di quanto asserisce.
Proviamo a dimostrare quanto sostengo.
Come e perché si giunse alla Seconda Guerra mondiale. Lo storico Rutilio Sermonti attesta (L’Italia nel XX Secolo): <La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>.
Nella Conferenza di Ginevra sul disarmo (febbraio 1932), alla quale parteciparono sessantadue Nazioni, l’Italia era rappresenta­ta da Dino Grandi e da Italo Balbo. Grandi, a nome del popolo italiano, sostenne il progetto di una parificazione al livello più basso degli armamenti posseduti dalle singole Nazioni. Venne inoltre esposto il progetto mussoliniano tendente all’abolizione dell’artiglieria pesante, dei carri armati, delle navi da guerra, dei sottomarini, degli aerei da bombardamento, in altre parole la mes­sa al bando di tutto ciò che avrebbe potuto portare ad una guerra di distruzione.
Di fatto, la Conferenza non trovò sbocco alcuno per le oppo­sizioni di Francia e Germania.
Possibile che il signor Mieli non ricorda che Mussolini propose il Patto a Quattro (7 giugno 1933), proprio per integra­re, con un patto politico, l’Europa, mediante un diretto­rio delle quattro Potenze: Inghilterra, Francia, Germania e Italia. Il documento propositivo di Mussolini cominciò a circolare nei tre Stati interpellati. Il documento ebbe successo di siglatura, ma fallì quando, presentato per l’approvazione ai parlamenti inglese e francese la siglatura non fu rispettata e decadde definitivamente a Stresa nel 1935. Mussolini camminava nella tradizione romana, carolingia e cattolica: aspirazione antica sempre delusa. Mussolini aveva ammonito con lungimiranza: “Fare crollare la pace in Europa significa fare crollare l’Europa”>.
Visto che ci siamo, signor Mieli, perché non ricordare che Mussolini, quale Capo del Governo italiano si fece, ancora una volta, promo­tore di un incontro che si svolse a Stresa, nei pressi del Lago Maggiore, tra l’11 e il 14 aprile 1935, con i rappresentanti delle tre Potenze alleate della prima guerra mondiale: l’Italia (Mussolini), Gran Bretagna (MacDonald, J. Simon) e Francia (Laval, Flandin).
Al termine dei lavori fu stilato un documento nel quale i tre Governi constatarono che il ripudio unilaterale posto in essere dal Governo tedesco, nei suoi obblighi per il disarmo, avrebbe potuto pregiudicare la pace in Europa e si dichiararono in perfetto accor­do di opporsi con ogni mezzo a qualsiasi ulteriore disconosci­mento unilaterale degli obblighi previsti nei Trattati e si impegna­rono per una continuazione dei negoziati per il loro riesame. Rin­novarono anche il loro impegno per la sicurezza e l’indipendenza dell’Austria. Signor Mieli, perché  decaddero quegli acordi?
I detentori della maggior parte delle ricchezze della terra, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, perché pretesero e ottennero le sanzioni contro l’Italia nel 1935? Per difendere l’Etiopia? Ma non ci faccia ridere; l’Etiopia, forse sobillata proprio da questi Paesi fu responsabile dell’attacco al consolato italiano di Gondar, l’11 novembre 1934 (dove rimase ucciso un militare di colore fedele all’Italia) e, come ricorda il giornalista e storico svizzero, Paul Gentizon (Difesa dell’Italia): <Ancora nel 1924 l’Italia che ha appoggiato lealmente l’accoglimento dell’Etiopia nella Società delle Nazioni riceve festosamente a Roma Ras Tafari, firma con lui un Patto di amicizia accompagnato dalla offerta di un aiuto finanziario. Tutto ciò non disarma la boria e la malvagità del governo abissino che respinge sistematicamente le domande di concessioni e turba il libero commercio tra Eritrea e Etiopia con una tacitamente organizzata guerriglia di rapina. Gli incidenti scoppiano a catena e non si sa più come giustificarli o come accettarne le giustificazioni. Dal maggio ’28 all’agosto ’35 si allineano 26 offese a rappresentanti diplomatici, 15 aggressioni a cittadini italiani, 51 razzie: tutto ciò avviene in territorio italiano e i morti italiani non mancano>.
   La tensione nei rapporti italo-etiopici si aggravarono alla fine del 1934, quando un contingente abissino si accampò davanti al fortino di Ual-Ual difeso dai Dubat, soldati somali fedeli all’Ita­lia, al comando del capitano Roberto Cimmaruta. Lo storico Rutilio Sermonti (L’Italia nel XX Secolo, Edizioni All’Insegna del Veltro, 2001) attesta che le truppe assalitrici erano al comando del colonnello inglese Clifford.
Ual-Ual era una località posta al confine, sin da allora incerto, fra Somalia ed Etiopia, ma mai rivendicato dal Governo Abissino.
II 5 dicembre di quell’anno, dopo che i Dubat rifiutarono la richiesta abissina di sgombero, questi scatenarono l’assalto e lo scontro si concluse all’alba del giorno seguente con la vittoria ita­liana, ma le nostre truppe coloniali lasciarono sul terreno 120 morti. Si è scritto che dietro questo grave incidente ci fosse la mano di Londra e Parigi; ma questo non è provato.
Bruno Barrella su Il Giornale d’Italia del 18 luglio 1993, rammentando i fatti di Ual-Ual, scrive: <È l’ultimo di una catena di episodi di sangue che avvenivano lungo uno dei confini più la­bili dell’epoca>.
    Per risolvere pacificamente il dissidio creatosi a seguito degli incidenti di Ual-Ual, venne istituita una commissione arbitrale italo-etiopica, presieduta dallo specialista greco di diritto interna­zionale, Nicolaos Politis. La commissione, il 3 settembre 1935, emetteva la sentenza attribuendo le cause degli scontri agli atteg­giamenti ostili di alcune autorità locali abissine, escludendo, di conseguenza, ogni responsabilità italiana.
L’alleanza con il nazionalsocialismo? «Ades­so che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi nell’altro campo, la Germania non era più sola» (La Seconda Guerra Mondiale, di Winston Churchill, 1° volume, pag. 209). Quasi con le stesse parole George Trevelyan nella sua “Storia d’Inghilterra”, a pag. 834, ha scritto: <E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatto con l’Austria e i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania>. E vogliamo dimenticare il più noto studioso del fascismo?  Renzo De Felice (Storia degli Ebrei sotto il Fascismo, pag. 137): <Sulla ineluttabilità dell’alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania>. Mussolini era conscio che l’antisemitismo occupava uno spazio preminente nell’ideologia nazionalsocialista, di conseguenza se voleva eliminare le ultime diffidenze tedesche, anche nel ricordo del “tradimento italiano del 1915” e giungere ad una reale alleanza militare, doveva adeguarsi alle circostanze. Riteniamo che fosse questa e non altre la ragione della scelta del Duce.
Tanto, ma tanto ancora avrei da scrivere e condannare i veri criminali dello scorso secolo, e mi riferisco a Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill, personaggi abominevoli che galleggiano su un mare di sangue.
Passo ora a trattare l’argomento più infame: l’accusa di essere Mussolini la concausa della reale, o bugiarda accusa del massacro degli ebrei.
Signor Mieli, mi sa spiegare – e spiegarlo agli italiani – come mai negli anni 1938-1942 gli ebrei che fuggivano dai Paesi occupati dai tedeschi anziché rifugiarsi in Russia o in Inghilterra o negli Stati Uniti si rifugiavano in Italia ed erano decine di migliaia? Eppure in Italia vigevano le leggi razziali.
   Proverò a spiegarlo io, ma se sbagliassi, mi corregga. Se può.
Gli inglesi non usarono solo le parole, ma la violenza contro gli israeliti. Rosa Paini (storica ebrea, Il cammino della speranza) riferisce che nel ’41 un folto nucleo di famiglie fuggito da Bratislava, imbarcato sul piroscafo “Pendeho”, composto da 510 profughi cechi e slovacchi, dopo aver navigato sul Danubio giunse nel Mar Nero. Qui, e precisamente a Sulina, salì a bordo il console britannico e informò i malcapitati che il suo governo li considerava immigranti illegali: di conseguenza, se si fossero avvicinati alle coste della Palestina, sarebbero stati silurati. Dovettero quindi ripartire e, superati diversi incidenti, giunsero all’isola disabitata di Camillanissi dove non c’era nemmeno acqua. Sbarcati, assistettero impotenti all’affondamento del battello. Dopo cinque giorni di sofferenze sopraggiunse una nave della Croce Rossa Italiana che imbarcò i profughi per trasferirli a Rodi, dove rimasero alcuni mesi e quindi imbarcati e trasferiti in Italia. Fra i tanti vale la pena di ricordare un altro dramma: nel febbraio del 1942 lo “Struma”, una nave di profughi proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare, e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero: settecentosettanta persone annegarono (Paul Johnson, Storia degli ebrei, pag. 582).
Lo storico israelita Léon Poliakov (“Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pag. 63) accusa apertamente il governo britannico ricordando che qualche convoglio clandestino, formato con l’aiuto di Eichmann, tentò di discendere il Danubio su barche, mirando alla Palestina, ma le autorità inglesi rifiutarono il passaggio di questi viaggiatori perchè sprovvisti di visto. <Così si assiste al paradosso che la “Gestapo” spinge gli ebrei verso il luogo della salvezza, mentre il governo democratico di Sua Maestà britannica ne preclude l’accesso alle future vittime dei forni crematori>.
Oppure:   L’esperto di sondaggi Elmo Roper osservò: <Gli Stati Uniti avrebbero certamente potuto accogliere un gran numero di profughi ebrei. Invece, durante il periodo bellico, ne furono ammessi soltanto 21 mila, il 10% del numero concesso secondo la legge delle quote. La ragione di questo fatto era l’ostilità dell’opinione pubblica. Tutti i gruppi patriottici, dall’American Legion ai Veterans of Foreign Wars, invocavano un divieto totale all’immigrazione. Ci fu più antisemitismo durante il periodo della guerra che in qualsiasi altro della storia americana (…). Negli anni 1942-44, ad esempio, tutte le sinagoghe di Washington Heights, New York, furono profanate>.
Un’altra testimonianza ci viene offerta dal “Neue Zürcher Zeitung”, il quale il 18 gennaio 2000 ha pubblicato una lettera a firma di Susi Weill che, fra l’altro, ha scritto: <I miei genitori avevano tentato invano di emigrare in America, ed oggi è un fatto stabilito che le rappresentanze diplomatiche americane in Europa avevano ricevuto l’ordine di respingere tali domande>.
Quando fu necessario, il governo americano usò la forza, come ricorda Franco Monaco (op. cit., pag.175): <Allorchè a un piroscafo carico di ebrei, partito da Amburgo, fu vietato l’attracco a New York, quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia>.
   Non è sufficiente? E allora andiamo avanti.
Ha scritto Daniele Vicini su “L’Indipendente” del 20 luglio 1993: <Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze>. Dello stesso parere è Klaus Voigt che in “Rifugio precario” osserva quanto fosse strana la dittatura fascista. Infatti scrisse: <Fino all’entrata in guerra dell’Italia non risulta neppure un caso di condanna o allontanamento di un emigrante per attività politica (…). Eppure dal 1936, la Germania è il principale alleato e quegli “emigranti” sono suoi nemici. Polizia e carabinieri ricevevano disposizioni dal Duce, chiare ed essenziali, anzi ridotte ad una sola parola: “Sorvegliare”. Non arrestare>. Allora, Signor Mieli, come ripeto: in Italia vigevano le leggi razziali. Tutti pazzi?
Andiamo avanti, Signor Mieli? Volentieri, fino a che lo spazio me lo concede.
<Mentre, in generale,  i governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni capi del fascismo italiani manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). È significativo il fatto che i tedeschi non sollevarono mai il problema degli ebrei in Italia. Certamente temevano di urtare la suscettibilità italiana (…). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)> (Léon Poliakov, “Il nazismo e lo sterminio degli ebrei”, pagg. 219-220).
Andiamo avanti?
Poliakov scrive: <Mentre i Prefetti (francesi) ordinavano arresti e internamenti, allestivano convogli per la Gestapo, le autorità militari italiane, a dispetto delle minacce, ordinavano l’annullamento di tali ordini. Tra le autorità d’occupazione tedesche e il Governo di Berlino, tra il governo di Berlino e il Governo di Roma, tra le autorità di Vichy e i generali italiani vi era un continuo scambio di note nervose e impazienti. La Germania chiedeva all’Italia di agire nello spirito delle disposizioni tedesche. L’Italia rifiutava e resisteva>. Non solo, ma il Governo italiano ottenne che gli ebrei italiani residenti nelle zone occupate dall’esercito tedesco fossero esentati dall’obbligo di mostrare la stella gialla.  Lo stesso accadeva nella Legazione di Bruxelles. Addirittura, secondo quanto scrive Martelli, che include un documento nel quale descrive come il Consolato Italiano di Bruxelles esigeva che venissero esentati dall’imporre la stella gialla e dai lavori forzati, anche gli ebrei greci perchè le truppe italiane occupavano parte del territorio greco. Questo, evidentemente era troppo, infatti un ordine del Conte Blanco Lanza d’Ajeta, del Ministero degli Esteri di Roma, con un telegramma datato agosto 1942, imponeva di <sospendere tutte le iniziative prese in merito ai cittadini ebrei greci>. http://motlc.wiesenthal.com
Lo stesso docente dell’Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro “Il razzismo in Europa”, a pag. 245 ha scritto: <Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo. Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni. Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia>.
Vedo che lo spazio a mia disposizione si esaurisce, allora oso chiedere al signor Mieli: se quanto ho scritto risultasse vero, perché tanta vigliaccheria verso l’unico statista onesto e capace che l’Italia abbia avuto da secoli? Mi permetto di esporre la mia idea riferendomi a quanto ha scritto Rutilio Sermonti, e riportato all’inizio di queste pagine: <La risposta poteva essere una sola: perché esse volevano un generale conflitto europeo quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e, soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: soprattutto dell’Italia>. E la risposta viene per bocca dello stesso Benito Mussolini; nel corso di una intervista che il Duce concesse nel suo studio presso la Prefettura di Milano a Gian Gaetano Cabella, direttore del Popolo di Alessandria, nel pomeriggio del 20 aprile 1945, cioè sei giorni prima del suo assassinio: <RICORDATEVI BENE: ABBIAMO SPAVENTATO IL MONDO DEI GRANDI AFFARISTI E DEI GRANDI SPECULATORI (…)>.
E quel mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori, oggi sono i padroni e il mondo è una loro colonia.
E l’abbiamo voluto noi, salvo pochi…e fra questi pochi, non ci sono i vari Mieli, Augias, Minoli ecc.

                                                                                                                                                        

venerdì 5 agosto 2016

ISLAM RELIGIONE DI PACE ?

ISLAM RELIGIONE DI PACE ? 

 Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico, coordinato dall' avvocato Edoardo Longo.


Colpisce stamattina la visita di Papa Francesco al Santuario di Jasna Gora, dove si trova custodita l'immagine della Vergine colpita e sfregiata nel volto, tanto cara ai cattolici polacchi. La santa icona della Madonna, nel corso dei secoli è diventata il segno identitario del popolo oppresso dai vari regimi e dalle ideologie, possa suscitare nel cuore del vescovo di Roma, sentimenti di profonda fede, senza la quale non è possibile costruire la città di Dio. Abbiamo bisogno di edificare ponti, poggiati su Cristo, pietra e roccia irrinunciabile della salvezza dell'uomo. L'immensa moltitudine di fedeli, sacerdoti e vescovi, raccolti in preghiera ai piedi di Maria, ottengano dal cielo la grazia di non rifiutare le radici su cui è edificata la Chiesa e l'Europa.

Ricordiamo Padre Jacques, ucciso in odio alla fede. La testimonianza di questo umile servitore del Vangelo, non può passare inosservata. Il suo sacrificio possa risvegliare la gioia di essere cristiani. Il sangue versato ai piedi dell'altare si è mescolato con quello del Signore Gesù morto sulla Croce, per la salvezza del mondo. Certamente affermare questa verità potrebbe urtare il politicamente corretto, che in tutti i modi cerca di cancellare la presenza cristiana in occidente.



La minimizzazione del martirio, chiamando a difesa forme di prudenza per non accentuare lo scontro; la continua battaglia mediatica, tesa a nascondere la portata gravissima dell'evento, riducendolo ad un gesto folle di squilibrati, che guarda caso entrano in chiesa seminando terrore al grido di Allah Akbar, e procedendo allo sgozzamento di un ministro di Dio dopo il deciso rifiuto ad inginocchiarsi, mentre l'altro terrorista recita versi del Corano, non può essere un episodio grave isolato, senza nessun significato religioso. Purtroppo e lo diciamo con dolore, è stato compiuto in nome di Allah.

Il martirio di Pere Jacques ha un significato preciso: l'eliminazione fisica è una forma di conquista e di sottomissione. Da questa prospettiva è necessaria una seria riflessione sul tema dell'integrazione. Chi viene accolto, come avviene nelle nazioni a maggioranza musulmana, deve accettare i valori e le tradizioni del paese ospitante. Senza esitazioni. Invece in Europa avviene l'esatto contrario: procedere in questa direzione viene etichettato come fondamentalismo o peggio come razzismo. Ribadiamo il dovere umano e cristiano di accogliere i profughi. Ma con l'attenzione di non far entrare quanti hanno intenzione di compiere azioni malvage e violente contro gli infedeli.


Ritorna allora quanto mai attuale il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. L'Islam per essere religione di pace, a partire dalla fede, ha il dovere di scartare ed eliminare la violenza dalla sua compagine sociale e religiosa. L'esempio di Padre Jacques, possa aprire la porta del cuore di quanti per paura fuggono davanti al male e si riparano dietro il perbenismo ideologico che non permette di agire secondo lo spirito del Vangelo. Abbiamo la responsabilità di gridare la verità dai tetti perché la Parola di Dio è come una spada a doppio taglio che chiede di aderire alla luce e rifiutare le tenebre. Coraggio! Il Signore è con noi. Non abbandona i suoi figli. E a quanti sono fedeli riserva il premio eterno della gloria. Dopo la tempesta arriva sempre il sereno.


Don Salvatore Lazzara

SAN FRANCESCO E IL SULTANO


Il Sultano d'Egitto sottopose a Francesco D'Assisi un'altra questione: "II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca, dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici".
Rispose San Francesco: "Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo.

Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato.

Gesù infatti ha detto: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino". Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima. Altrove, oltretutto, è detto: "Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”.

E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio. 

Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete.

Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi".

(Numero 2691 delle Fonti Francescane)

MUSSULMANI " MODERATI".......


Islam : una religione di pace ? 

[...] Emblematico un aneddoto che ebbe a raccontare tempo fa Messori..

Un amico francese, religioso cattolico a Gerusalemme e noto biblista, mi raccontava di recente che , nel loro convento, serviva da sempre, come factotum, un ormai anziano musulmano. Onesto, gran lavoratore, di tutta fiducia, faceva ormai parte della famiglia e tutti quei religiosi gli volevano bene, sinceramente ricambiati.

Un venerdì, l’uomo tornò dalla moschea con un’aria accasciata. Il superiore della casa, insistendo, riuscì a farlo parlare. Disse: <<Oggi l’imàm che dirige la preghiera ci ha detto, nella predica, che nel giorno del trionfo di Allah e del suo Profeta, nel giorno che presto verrà e in cui libereremo questa Santa Città da ebrei e cristiani, tutti gli infedeli che non faranno subito professione di fede dovranno essere uccisi.

Così vuole il Corano cui noi tutti dobbiamo obbedire>>. Una pausa, e poi: «Ma non tema, padre , sa che io vi voglio bene , so come fare, se dovrò sopprimervi troverò il modo di non farvi soffrire».

L’aneddoto, purtroppo, è autentico”.

martedì 2 agosto 2016

PAPA: CI SEI O CI FAI?


di GIANO
La “Fiera delle castronerie è un libro del 1962 di un autore francese, Jean Charles, che in anni di paziente lavoro ha raccolto centinaia di battute esilaranti (che siano vere o inventate non è importante) dette da studenti, ma anche da serissimi professori, giornalisti, magistrati, politici.   Qualcosa di simile lo fece da noi  Marcello D’Orta, un maestro elementare che nel 1990 raccolse decine di temi di alunni di una scuola elementare della Campania in un libro che divenne un successo editoriale, “Io speriamo che me la cavo“, dal quale venne tratto anche un film con Paolo Villaggio. Li ho entrambi nella sezione “umorismo” della mia libreria. Chi non li ha può trovare ampi stralci e citazioni in rete: vale la pena leggerli, ogni tanto bisogna anche rilassarsi. Ormai in rete c’è tutto;  se cercate bene scoprite anche chi vi ha fregato il motorino o il cellulare, se il/la vostro/a partner vi tradisce e trovate pure un arsenale completo di armi ed esplosivo in offerta speciale per “islamici moderati aspiranti terroristi con problemi psichici disadattati per mancata integrazione”. Mi viene in mente quel libro quando sento o leggo le “castronerie” quotidiane che ci propinano illustri ed autorevoli esponenti della politica, della cultura, dell’arte, dello sport, giornalisti, conduttori televisivi ed opinionisti dalle opinioni opinabili. Ma, soprattutto, alcuni personaggi di primo piano che tutti i santi giorni sono in prima pagina e ci deliziano con le loro dichiarazioni e sono convinti di rappresentare la nazione e parlare a nome del popolo, degli italiani: Mattarella, Renzi, Boldrini, cardinali, preti di campagna  e, soprattutto, Papa Bergoglio.
Cito spesso le dichiarazioni del Papa perché sono l’esempio concreto del fatto che i mezzi di informazione (TV, stampa, internet) sono ormai completamente privi di senso critico, sono diventati ufficio stampa e megafono del potere. Non solo, ma certe dichiarazioni vengono ritenute valide, senza nemmeno esaminarle e capirne il significato, non per la loro intrinseca verità, ma perché vengono pronunciate da personaggi illustri. Non è vero perché è vero, o perché è stato dimostrato che lo sia, ma perché lo dice il Papa. Così può dire qualunque sciocchezza che nessuno si permetterà di farglielo notare; anzi, stampa e televisione si limitano a riportare le sue parole “Il Papa ha detto…”. Così come ogni giorno sentiamo e leggiamo “Il premier Renzi ha detto…il Presidente Mattarella ha detto…la presidente della Camera Boldrini ha detto…”. E tanto basta. Mai una volta che, alla dichiarazione dell’autorevole potente di turno segua una spiegazione, un’interpretazione, un giudizio critico.   No, a loro basta riportare le “veline” così come vengono passate dall’ufficio stampa del Quirinale, di Palazzo Chigi, della Camera.  E questi pettegolezzi di redazione li fanno passare per informazione e servizio pubblico. E’ una truffa mediatica, quasi a livello di falso ideologico. Ma siccome tutti ci campano, va bene così.
Ed ecco l’ultima della giornata: “Violenze anche ad opera dei cattolici“. Lo ha dichiarato il Papa durante il volo di ritorno da Cracovia. Si vede che l’aereo lo ispira. Ogni volta che è in volo, tiene la sua conferenza stampa a beneficio dei giornalisti accreditati e non manca mai di fare affermazioni che lasciano perplessi. Ne dice tante che, per non perdere il conto e lasciare traccia anche per i posteri, bisognerebbe raccogliere le affermazioni quotidiane di Bergoglio e pubblicarle in una “Fiera delle castronerie…papali“. Il dramma, però, è che c’è poco da ridere; anzi, la questione è molto seria. Seria e preoccupante. Se un Papa, per giustificare le stragi dei terroristi islamici e non urtare la suscettibilità dei “fratelli musulmani“, dice che in fondo, anche i cattolici commettono violenze, dopo i primi momenti di perplessità, si comincia ad essere seriamente preoccupati per la salute mentale di chi fa un’affermazione simile; che sia il Papa, l’imam della Magliana o un viceparroco della Marmilla. Lo abbiamo visto oggi su tutti i TG chiarire questo concetto facendo riferimento proprio ai fatti di violenza che avvengono in Italia; “Chi uccide la fidanzata, chi uccide la moglie…Anche questa è violenza, e sono cattolici…”, dice. Chiaro? Sta dicendo che le stragi dei terroristi islamici non c’entrano niente con la religione e che sono normale violenza come un qualunque caso di femminicidio. Ma avete mai sentito che qualcuno ammazzi la moglie recitando i Dieci Comandamenti? Ma siamo sicuri che questo Papa, oltre a bere il Mate, non sorseggi anche qualcos’altro?
Papa Bergoglio sta diventando insopportabile. Da un po’ di tempo, nonostante gli attacchi continui e le stragi del terrorismo islamico, evita come la peste di citare l’islam e, men che mai, parlare di “guerra di religione“. Non gli scappa proprio, nemmeno ora che due fanatici hanno sgozzato Padre Jacques in chiesa con un rituale preciso, leggendo versetti del Corano e gridando “Allah Akbar“. Non accenna mai alla radice religiosa del terrorismo, ne dà sempre una lettura diversa. Dice che il terrorismo nasce da motivazioni politiche, interessi economici o di controllo globale, dall’interesse dei produttori di armi, del dio denaro. Tutto ci mette, meno che l’islam, meno che la religione. Anzi nega con forza che sia in atto una guerra di religione, così come lo negano i cattocomunisti, i terzomondisti, gli stessi musulmani che praticano la dissimulazione e autorevoli figure istituzionali come il Presidente Mattarella, quello con la faccia da cordoglio che, in quanto ad espressione molto sveglia, se la gioca a pari merito col ministro Gentiloni, quello che dorme in piedi come i cavalli.
Per giustificare ulteriormente il fanatismo islamico dice che, in fondo, anche i cattolici commettono atti di violenza: “Se io parlo di violenza islamica devo parlare anche di violenza cattolica.”. Il senso logico di questa frase non è subito evidente; forse bisogna riflettere un po’, o molto a lungo; e non è detto nemmeno che si riesca a capirlo. Ma tentar non nuoce; provateci. Stesse argomentazioni senza capo né coda di chi, per giustificare i reati commessi da immigrati e rom, afferma che “anche gli italiani delinquono, rubano, commettono violenze sessuali…”. Sì, ma sono una percentuale minima, e non ne fanno un’abitudine e stile di vita, non violentano le donne o sono dediti a furti, scippi, rapine e accattonaggio per tradizione familiare o culturale, non è una caratteristica nazionale, non è un marchio “Made in Italy“. Forse non siamo proprio esattamente un popolo di “Santi, poeti e navigatori“, o meglio non solo, ma non siamo nemmeno un popolo di accattoni e rubagalline. Noi non campiamo di furti e delinquenza abituale, la Costituzione dice che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro“; sul lavoro, non su furti, scippi, rapine e accattonaggio. Chiara la differenza? E se non vi è chiara andate affanculo lo stesso; ci va un sacco di gente, uno più, uno meno.
Allora, caro Bergoglio, o ci sei o ci fai. Non si può mettere sullo stesso piano il terrorismo di chi uccide in nome di Allah recitando il Corano,  e la presunta violenza (?) dei cattolici che, se pure commettono atti di violenza, non lo fanno certo in nome di Dio e non ammazzano le persone recitando passi del Vangelo. Nessuna persona sensata farebbe questo accostamento, nemmeno lo scemo del villaggio. Men che meno può farlo il capo spirituale della Chiesa e dei cattolici. Oppure a Papa Bergoglio risulta che qualche carmelitano scalzo, un sacrestano o una Perpetua, improvvisamente impazziti abbiano fatto una strage urlando “Dio è grande” e citando le Beatitudini dal Discorso della Montagna? Come si fa a mettere sullo stesso piano le stragi di Nizza, di Parigi, di Dacca, di Tunisi, e  tutte le altre compiute da fanatici islamici al grido di “Allah Akbar”,  e la violenza comune, quella che possono commettere tutti, musulmani, cattolici, buddisti, ebrei, animisti e seguaci di Manitù e che nulla ha a che fare con motivazioni religiose?  Nemmeno Boicu Scrapuddu di Trescagheras in preda ad una sbronza a base di vernaccia arriverebbe a dire simili cazzate prive di qualunque nesso logico e razionale.
Ho già detto che comincio ad avere forti perplessità sulle capacità intellettuali e culturali, ma anche teologiche, di questo Papa (Cose da pazzi), che si fa notare non per il suo acume, la sua intelligenza, per le sue riflessioni spirituali o la profondità della sua ermeneutica biblica, ma per il suo pauperismo, le rivendicazioni sociali e la condanna del capitalismo, più adatte ad un sindacalista o ad un socialista utopista dell’ottocento che ad un Papa, e le sue idee marxiste spacciate per messaggio evangelico. E se non ha gravi lacune culturali, allora è in malafede; lo dimostra ogni giorno con le sue affermazioni strampalate, come in questo caso. Sembrano affermazioni fatte da qualche sfigato dei centri sociali, o dalla Boldrini, o da uno di quegli imam fai da te di periferia che si vedono spesso in TV o, in alternativa, bisognerebbe pensare agli effetti di alcol o droghe più o meno leggere. Ed ancora, invece che rispondere a chi gli chiede perché parlando del terrorismo non cita mai l’islam, risponde non rispondendo; ovvero addebitando la causa del terrorismo a generici interessi economici globali: “E’ terrorismo di base contro l’umanità”. Ma cosa vuol dire?
Non cita l’islam nemmeno se gli chiedono perché non cita l’islam. Sembra un gioco di parole, ma è il classico modo di rispondere di chi non vuole rispondere alle domande scomode. E perché i giornalisti presenti accettano una simile spiegazione sconclusionata senza ribattere? Hanno paura che li buttino giù dall’aereo senza paracadute, oppure che non li invitino più ai viaggi papali? Questo tipo di giornalismo, che poi è quello che ogni giorno fa i titoli di apertura di quotidiani e Tg e funge da ufficio stampa del potere,  lo saprebbe fare anche Topo Gigio. Ora, cosa si può dire di un Papa che giustifica il terrorismo islamico con motivazioni economiche, escludendo del tutto una radice religiosa, e che pone sullo stesso piano la violenza e le stragi commesse dai terroristi che ammazzano in nome di Allah, con le violenze comuni commesse dai cattolici? Niente: o ci è o ci fa.
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   CHE TEMPI

di GIANO
Che tempi, signora mia, non c’è più religione. Anzi, forse la religione c’è, ma sono i religiosi che cominciano a fare un po’ di confusione. Il Papa dice che dobbiamo dialogare con i musulmani “nostri fratelli“ , anche quelli che ci minacciano. Alcuni musulmani, invece,  forse equivocando il messaggio del profeta o interpretandolo troppo alla lettera, a dialogare non ci pensano neanche, anzi pensano che il massimo della fede sia sgozzare la gente come capretti al macello (più ne ammazzi, più vergini ti spettano quando crepi).
Ma non bisogna disperare, magari, prima o poi, si trova un modo di convivere pacificamente. Ora, per esempio, dopo  la morte di Padre Jacques in Francia, sgozzato da terroristi islamici, i musulmani, per  mostrarsi pentiti andranno in chiesa a sentire la messa.  Come se le monache di clausura facessero le comparse nei film porno. Sono i primi timidi segnali di sincretismo (e/o dissimulazione). La CEI è entusiasta del gesto: un miracolo.
Del resto, tempo fa Papa Bergoglio, in occasione della sua visita in Turchia (vedi “Papa a Istanbul“) , insieme a imam e muftì, a pedi scalzi, andò a pregare alla grande Moschea blu, fermandosi in raccoglimento a meditare davanti all’edicola che indica La Mecca. Avrà avuto un attimo di crisi mistica, semplice disorientamento geografico, oppure stava studiando lo stile architettonico dell’edicola per rifarne una uguale a San Pietro? Misteri della fede.  Bisogna riconoscere, però, che questo Papa ha le idee progressiste, molto aperte, così aperte che gli sfuggono, volano via e così, privo di idee, dice molte sciocchezzuole (è un delicato eufemismo). Ma lui, imperterrito, fa finta di nulla, persevera e continua a fare il Papa.
Bene, comunque è già un buon segno; tutti i musulmani in chiesa. Dopo, per ricambiare il favore, tutti i cristiani andranno in moschea. Poi cristiani e musulmani faranno una visita di cortesia in Sinagoga e, per dimostrare ancor più vicinanza agli ebrei sempre discriminati, con volo low cost e pacchetto speciale “Gerusalemme: tre giorni due notti”, andranno a pregare al Muro del pianto.  E poi, cristiani, musulmani ed ebrei, sempre con pacchetto weekend tutto compreso, voleranno in Tibet per rendere omaggio a Budda. Ed infine, buddisti, ebrei, musulmani e cristiani chiuderanno in bellezza a Napoli con una bella pizzata da Ciro alla “Bella Napoli“, con  spettacolo pirotecnico finale; razzi, granate, mortaretti, tarantella, triccheballacche, tarallucci e vino. Viva San Gennaro e sempre…Forza Napoli!

     DA TORRE DI BABELE