ECONOMIA 2013
Napolitano e il governo liberista
scoprono la disoccupazione
di Federico Dal Cortivo
Dopo
aver distrutto quel poco di Stato sociale che i precedenti governi di
centro sinistra e centro destra aveva già ampiamente logorato, dopo aver
sopportato l’insopportabile e spocchioso Monti e la sua cricca bancaria,
ora il governo Goldman Sachs–Bilderberg di Enrico Letta si accorge che
in Italia manca il lavoro e crescono la disoccupazione e il disagio
sociale. Ma il quadro comico e angosciante al tempo stesso non sarebbe
completo senza l’intervento di quel Giorgio Napolitano, reo del golpe di
Mr.Monti, che senza vergogna si allinea alle grida finte dei plutocrati
governativi. Si proprio lui che favorì ampiamente quel governo di
banchieri, che aveva nella Fornero la sua punta di lancia contro il
lavoro.
Accanto a Letta si è schierato anche il cardinale Bagnasco, presidente
della CEI, rappresentante di quella Chiesa che se con il nuovo Papa
sembrerebbe aver ritrovato un certo spirito francescano…, con Bagnasco
invece ne è il peggior esempio, ancorata al suo ruolo di Stato straniero
in Italia, da sempre contro gli interessi nazionali e quelli del nostro
popolo. E proprio per bocca di questo cardinale che vive beatamente la
sua condizione di privilegiato (lui certamente non conosce la cassa
integrazione), escono parole di elogio per Napolitano, il governo Letta
e un attacco al cosiddetto “populismo” (leggasi socialismo e interessi
nazionali), termine che la manipolazione mediatica ha sapientemente
caricato di un aspetto negativo e utilizzato a dovere per demonizzare
ogni movimento che volesse promuovere politiche autenticamente nazionali
e socialiste.
É
dai tempi della Legge Treu, passando poi per quella Biagi, fino ad
arrivare alla Fornero, che in Italia è in atto l’assalto al cosiddetto
“posto fisso”, visto dai neoliberisti come un intralcio, un problema,
allo sviluppo, alla produzione, al capitale, al mercato. Un qualcosa di
obsoleto da sradicare e al suo posto sostituirlo con tutta una serie di
contratti, da quelli a tempo determinato a quelli interinali, che in
pochi anni hanno precarizzato e reso sempre più insicuro il futuro di
tanti giovani e meno giovani.
Si è voluto fare tabula rasa in poco tempo delle grandi conquiste
sociali che ponevano l’Italia già all’avanguardia nel primo dopoguerra
con le leggi fasciste sul lavoro e previdenza, per arrivare poi al 1970
con la Legge 300 meglio nota come “Statuto dei Lavoratori”. Lo volevano
i cosiddetti “mercati”, lo vuole l’Europa, che altro non sono che le
potenti lobby finanziare legate alla City e a Wall Street, e alle quali
ubbidisce l’attuale governo, Napolitano e la gran parte del Parlamento
italiano, tutti insieme tradendo il loro mandato si sono posti al
servizio d’interessi antinazionali, pagine già viste purtroppo in Italia
dove la “dignità nazionale” è una parola sconosciuta ai più.
In nome di un’Europa fasulla e in mano alla BCE di Draghi, altro
campione del gotha usuraio mondialista, si stanno giustificando i tagli
alle pensioni, alla scuola pubblica, alla sanità, alla ricerca, alla
cultura, alla sicurezza dei cittadini, mentre tasse e balzelli di ogni
genere intaccano sempre di più la sicurezza delle famiglie.
Ora il neo Ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, si appresterebbe,
dopo aver raccolto dati (chissà dove ha vissuto fino ad oggi giacché era
presidente dell’Istat, però sappiamo che è stato membro dell’OCSE nel
settore statistico, organismo che - al pari del FMI e della Banca
Mondiale - promuove lo sviluppo di politiche liberiste) a proporre una
serie di misure tese a contrastare la disoccupazione.
In sintesi, le iniziative rivoluzionarie del neo ministro
comprenderebbero un’aggiustata ai “contratti a tempo determinato”,
portando l’intervallo obbligatorio tra un contratto a termine e l’altro
dai sessanta giorni voluti dalla Fornero per quelli fino a sei mesi e
novanta giorni per quelli più lunghi, ai rispettivamente venti e trenta
giorni, per poi introdurre una sospensione di un anno del contributo
aggiuntivo che un’azienda deve pagare sui contratti flessibili, mentre
intatti resterebbero gli sgravi fiscali.
Per passare poi alla “staffetta generazionale”, illuminante idea per
sostituire i lavoratori anziani con i giovani. In pratica il sistema, se
andrà in porto, dovrebbe funzionare basandosi su due modelli:
Il primo utilizzerà i contratti a tempo parziale, dove il lavoratore
vicino alla pensione accetterà un lavoro con meno ore e ovviamente uno
stipendio più basso fino alla fine della carriera, ma a parità di
contributi del tempo pieno, e in cambio saranno assunti due giovani con
un contratto a termine oppure uno con il tempo indeterminato. L’altra
tipologia prevede al posto del tempo parziale, il pensionamento prima
della scadenza, ma con una penalizzazione.
Tutto
questo, che sa solo di presa per i fondelli, a fronte di una situazione
quasi esplosiva, fatta di suicidi d’imprenditori e lavoratori con un
tasso di disoccupazione dell’11,5% , di cui il 38,4% tra i giovani e il
fatturato dell’industria che è calato del 7,9% su base annua, mentre
secondo i dati elaborati dalla CGIA di Mestre dal 2008 al 31 marzo 2013
si sono perse ben 85.000 unità imprenditoriali formate da artigiani e da
piccoli commerciati, di queste 77.670 sono imprese artigiane.
E intanto Marchionne, dopo aver strappato
al sindacato accordi capestro, si appresta a liquidare la parte italiana
di Fiat un pezzo alla volta.
Fiat Industrial, che controlla IVECO, si prepara a planare a Wall Street
con la nuova società olandese che nascerà dalla fusione con Cnh-Fi Cbm
Holdings Nv; l’obiettivo è anche quello di trasferire la sede fiscale in
Gran Bretagna e tutto questo dopo aver succhiato per decenni soldi
pubblici elargiti dai vari governi a piene mani agli Agnelli,
capitalisti servo assistiti dallo Stato, che hanno sempre scaricato
sulla collettività le passività del gruppo torinese, incapace dopo
Ghidella di competere con i propri modelli con gli altri marchi
stranieri, e fatto propri gli utili. Ora la Fiat incassa, saluta e
lascia l’Italia e a nulla serviranno le sceneggiate del Ministro dello
Sviluppo Economico Flavio Zanonato, è tutto già scritto.
Dati e fatti che farebbero vergognare ogni governo, ma non quello
attuale, forte dell’appoggio dei bankester e con la stragrande
maggioranza dei media schierati e asserviti al suo fianco (del resto
sono i padroni dei grandi giornali a dettare la linea editoriale e non i
pennivendoli che vi lavorano, idem per le tv e radio maggiori).
Il tutto, stiamone certi, si risolverà in un nulla di fatto come già
visto in precedenza. Queste misure sono solo palliativi, che servono a
stendere una cortina fumogena attorno all’operato del nuovo governo
diretta emanazione del potere bancario, che non potrà che continuare
nell’operazione di totale distruzione di ogni sicurezza sociale e
lavorativa, quest’ultima infranta da quando è stata messa in discussione
l’esistenza stessa e la sua ragione d’essere dei contratti a tempo
indeterminato, seguiti poi dall’art. 18, dal Contratto Collettivo
Nazionale, depotenziato a favore degli accordi di secondo livello e del
sistema delle pensioni.
Dal 1997 con Tiziano Treu Ministro del Lavoro (governo Dini e Prodi), si
spalancò in Italia la porta al precariato con il lavoro interinale; da
allora la deregolamentazione legislativa non ha avuto più freni trovando
poi un’ulteriore spinta liberista con la successiva Legge Biagi del 14
febbraio 2003, che introdusse nuove e inutili tipologie di lavoro (intermittente-a
progetto-occasionale ecc.), che a nulla sono valse per i giovani in
cerca di una nuova e stabile occupazione, ma sono solo servite a creare
nuove forme di precariato e rendere il cosiddetto “mercato del lavoro”
(termine improprio utilizzato oggi) una giungla senza certezze, se non
quella di avere poche prospettive di un lavoro fisso e duraturo nel
tempo, con tutte le numerose ricadute sociali.
“La moltiplicazione dei lavori flessibili tende a erodere la maggior
parte delle forme di sicurezza che l’Organizzazione internazionale del
lavoro ha proposto tempo addietro per definire il cosiddetto lavoro
decente o dignitoso. Nel 1999 si svolse a Ginevra l’assemblea annuale
dell’Organizzazione e il rapporto del direttore generale s’intitolava
appunto ‘Pour un travail décent’. Erano indicate sette forme base di
sicurezza: sicurezza dell’occupazione-sicurezza professionale-sicurezza
sui luoghi di lavoro-sicurezza del reddito-sicurezza di
rappresentanza-sicurezza previdenziale”.(1)
Oggi si va esattamente verso l’opposto di
tutto questo con la complicità delle maggiori Organizzazioni sindacali
italiane, che da anni hanno oramai accettato e firmato contratti a
perdere e leggi che rendono spesso impossibile tutelare i lavoratori
all’interno delle imprese.
I risultati alla fine sono stati nulli sul piano dell’occupazione, che
non è certo cresciuta, o se è aumentata lo è stato solo conteggiando
precari e non precari alterando così le cifre, mentre ora in fase
recessiva si prosegue sugli stessi binari incuranti dei danni sociali
già prodotti.
Sono i medesimi creatori della recessione,
del mito del “debito pubblico” a volere questo, per loro l’unico
obiettivo è arrivare ad avere masse docili di precari sottopagati,
facilmente ricattabili anche dall’uso sconsiderato della manovalanza
straniera, da utilizzare in cicli continui di lavoro, con pochi diritti
e tanti doveri nei siti industriali, nei centri commerciali, nei servizi
in mano alle grandi multinazionali straniere cui questi ultimi governi
hanno in modo connivente spalancato le porte privatizzando e svendendo i
settori strategici e non, e affossando la piccola e media impresa.
Europeanphoenix.it
(1)
Il Lavoro non è una merce, contro la
flessibilità. Ed Laterza