Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. AVV. E. LONGO
DA BABILONIA A BRUXELLES : IL SISTEMA BABILONESE DELLA MONETA DEBITO
di: Anonimo Pontino.
Per capire il sistema
bancario corrente è necessario guardare alla storia.
La pratica truffaldina
della RISERVA FRAZIONARIA (creazione di prestiti per un certo numero di volte
in più della “moneta” reale che una banca ha nei suoi depositi o riserve) era ben conosciuta dai banchieri mercanti e
sacerdoti-re della più remota antichità, come pure la formula dell’interesse
composto (capitalizzazione interessi maturati) come riporta lo studioso
Alexander Del Mar. La novità consiste nel fatto che ora la verità può essere
divulgata; una verità molto diversa da quella che ci hanno insegnato a scuola.
Il tutto
comincia nell’antica Babilonia.
La prima crisi
creditizia rintracciabile risale al XVIII secolo a.C., precisamente a
Babilonia. A quel tempo i contadini depositavano il grano in silos governativi
e in cambio ricevevano dei certificati di deposito (tavolette di argilla) che
in seguito si trasformarono in comune moneta di scambio. I gestori dei certificati
alla fine si convertirono in banchieri ed iniziarono a prestare ad interesse,
usando un sistema di riserva frazionaria e, analogamente agli accadimenti
odierni, ad un certo punto accadde che l’ammontare del debito superasse di
molto il grano disponibile nei silos. Fu allora che il re Rim-Sin decretò la
remissione, il perdono, dei debiti, pur se il suo vero intento era
esclusivamente di ordine militare, infatti, il suo esercito reclutava soltanto
contadini possidenti terrieri liberi: se li avesse rovinati tutti essi
sarebbero stati costretti a vendersi.
Durante il regno di
Hammurabi, gli storici hanno trovato la traccia incontestabile di quattro
annullamenti generali del debito (nel 1792, 1780, 1771 e 1762 A. C.).
Gli annullamenti
generali del debito si sono susseguiti in Mesopotamia per 1000 anni.
Le proclamazioni di
annullamenti generali dei debiti non si limitarono al regno di Hammurabi:
cominciarono prima di lui e si prolungarono dopo di lui. C’è la prova di
annullamenti del debito che risalgono all’anno 2400 A. C., cioè sei secoli
prima del regno di Hammurabi, nella città di Lagash (Sumer), i più recenti
risalgono al 1400 A. C., a Nuzi. In totale, gli storici hanno identificato con
precisione una trentina di annullamenti generali del debito in Mesopotamia tra
il 2400 e il 1400 A. C.
Gli annullamenti
generali del debito costituiscono una delle caratteristiche principali delle
società dell’Età del Bronzo in Mesopotamia.
A partire dall’VIII
secolo avanti Cristo si trovano anche in Egitto proclamazioni di annullamento
dei debiti e di liberazione degli schiavi per debiti. Una delle motivazioni
fondamentali degli annullamenti del debito era che il faraone voleva disporre
di una classe contadina capace di produrre sufficienti alimenti e disponibile quando
fosse necessario per campagne militari. Per queste due ragioni, era necessario
evitare che i contadini fossero espulsi dalle loro terre a causa dell’influenza
dei creditori.
Lo stesso successe a
Gerusalemme, nel V secolo avanti Cristo. Come prova, nel 432 avanti Cristo,
Neemia, certamente influenzato dall’antica tradizione mesopotamica, proclama
l’annullamento dei debiti degli ebrei indebitati verso i loro ricchi
compatrioti. È a quell’epoca che si redige la Torah. La tradizione degli
annullamenti generalizzati del debito
farà parte della religione ebraica e tramite il Levitico si proclama l’obbligo
di annullare i debiti ogni sette anni e in ogni giubileo, cioè ogni 50 anni.
Anche l’antica Roma
propone situazioni che esprimono equivalenze con i tempi moderni. Le filippiche
di Cicerone contro Catilina inducono lo studioso che non osserva il quadro
completo ad accettare che quest’ultimo fosse uno sciagurato traditore. In
realtà, ampliando la veduta si scopre che a quei tempi, attorno al 60 a.C.,
Roma era in piena crisi creditizia. Le famiglie patrizie avevano preso molti
denari a prestito garantendoli con le proprie case ed i possedimenti agricoli.
Il solito giochetto della riserva frazionaria sfociò per l’ennesima volta nella
situazione in cui il debito superava di molto l’ammontare del denaro
circolante, contingenza che si ripropone rigorosamente anche ai nostri tempi.
Catilina si presentò allora alle elezioni sostenendo un programma di condono
del debito per salvare la repubblica, rifacendosi alle precedenti esperienze
babilonesi; ovviamente, ai banchieri romani, di radice
babilonese-egiziana-greca, questo non piaceva affatto.
All'epoca dei
babilonesi le ricevute in argilla erano un sistema di appianamento equiparabile
ad assegni bancari. La massa monetaria in argilla era creabile solo dal Banco
Di Fiera. Per mantenere una tale massa monetaria in argilla i mercanti dovevano
pagare un interesse nei confronti dell'ufficio di emissione.
In breve i creatori del
banco di fiera e i loro associati diventarono così potenti che al re-sacerdote
non restava che assegnare loro un posto al proprio fianco in veste di custodi
delle ricchezze del Tempio. Questa confraternita di BANCHIERI INTERNAZIONALI
aveva un particolare interesse affinché i regni che cadevano sotto la sua
influenza trasformassero il loro sistema monetario in uno basato su ARGENTO E
ORO.
Come è possibile ciò,
direte voi, visto che i grandi commerci dei mercanti si basavano proprio sul
principio di minimizzare i pagamenti con monete metalliche?
Il dilemma è solo
apparente. I mercanti dell'elite vollero tenere per se le conoscenze delle
tecniche di appianamento bancarie e di emissione di lettere di credito. Infatti
avendone capito le potenzialità e la potenza, pianificavano di trarre vantaggi
personali da questo meccanismo.
Il sistema dei metalli
preziosi come base monetaria, dietro l'apparenza di logicità, costituiva invece
uno strumento di instabilità economica.
L'adozione di questo
sistema monetario basato su oro e argento costrinse i governanti di tutto il
mondo ad una corsa affannosa all'approvvigionamento di metalli preziosi, che
già nel VI secolo a.C. viene testimoniata dall'agitazione con la quale
Xenofonte chiede al governo di Atene di acquistare 10.000 schiavi, da dare in
affitto ai proprietari delle miniere di Laureion.
Le numerose tavolette
in argilla che sono state ritrovate in Atene pochi anni dopo mostrano che
l'esportazione di argento ad Oriente stava man mano causando nella città-stato
greca dei vuoti di contanti che venivano con successo riempiti dalle ricevute in
argilla create dai banchieri.
Il potere economico che
si è attribuito a un'alleanza di potenti banchieri babilonesi iniziò appena
possibile a costituire delle filiali sulla costa della Grecia e nelle piccole
isole del Mediterraneo. Individui che
"scrivevano in aramaico", emissari dell'elite di mercanti
internazionali, raggiunsero le coste e le isole della Grecia . Dietro di essi
compariva sempre il mercante di schiavi.
L'isola di Delo,
sebbene praticamente improduttiva e senza speciali vantaggi, divenne molto
ricca; un potente centro di commercio e di attività bancaria, e soprattutto un
centro d'intenso commercio di schiavi. Lo straordinario commercio all'ingrosso
a Delo non avrebbe potuto essere originato da nient'altro se non l'accettazione
dei prestiti del Tempio da parte di quei forestieri-banchieri. Tali persone
erano competenti cambia-valute, nati e formati tra le braccia dei maestri di
sofisticazione finanziaria delle città di Babilonia, Aram, Fenicia, etc.
I cambiavalute, che
costituivano la base di questa piramide di profitto, erano chiamati nell'antica
Grecia TRAPEZITAE, perché si servivano di un banchetto a quattro gambe detto
tetra peza.
Nel libro “The Origin
of Tyranny” il Prof. P. N. Ure mostra che la cacciata dei discendenti del
tiranno Pisistrato (510 a.C.) avvenne quasi immediatamente dopo aver perso le
miniere della regione della Tracia. Il
che equivale a dire che se si dissolveva la fonte di metalli preziosi sui quali
si fondava il potere del locale banchiere, il regnante che egli aveva promosso
diventava obsoleto e inutile. Lo stesso accadde per i tiranni Trasibulo a
Mileto, Ortagora a Sicione, Cipselo a Corinto, Procle a Epidauro, Teagene a
Megara, Panezio a Leontini, Cleandro a Gela, Falaride ad Agrigento.
Vediamo un altro esempio d'interazione tra potere politico e
mercanti.
Creso, figlio
primogenito del re Aliatte di Lidia (610-561 a.C.), sapendo delle ambizioni del
padre di conquistare la Caria, si accinse a chiedere un prestito per imbastire
l'azione militare. Nicola di Damasco scrive:
"Con questo suo
proposito in mente si recò da Sadiatte, il più ricco mercante della Lidia.
Costui, occupato nelle sue abluzioni mattutine, prima fece aspettare un Creso
impaziente alla porta. Poi gli accordò di entrare, ma ciò fu solo per
comunicargli che rifiutava di concedergli il denaro: "Se devo prestare
denaro a tutti i figli di Aliatte," egli gridò, "non ce ne sarebbe
abbastanza". Respinto, Creso si recò ad Efeso dove grazie ad un amico
ottenne aiuti finanziari. Creso, rifornitosi di truppe, fu il primo a unirsi
all'esercito del padre, di cui riguadagnò il favore, e che lo ebbe come alleato
nella spedizione che avrebbe conquistato la Caria. Creso più tardi si vendicò
di Sadiatte, che lo aveva cacciato via, confiscandogli l'intero suo
tesoro".
L'episodio illustra un
chiaro esempio dello sforzo dell'elite dei mercanti di controllare la
SUCCESSIONE POLITICA. Infatti la vera ragione del rifiuto del prestito a Creso,
era che il potente mercante Sadiatte si era già impegnato ad appoggiare
Pantaleone, fratellastro di Creso, che era visto chiaramente come più adatto,
condiscendente e "non tutto d'un pezzo" rispetto al determinato
Creso.
L'arroganza di Sadiatte
nel far aspettare a lungo Creso alla porta, per poi riceverlo e rifiutargli
senza mezzi termini il prestito di denaro richiesto, sicuramente costituì uno
stimolo che portò Creso a voler capire di più sul raggiro del sistema del
denaro basato sulle misure di metalli preziosi.
Creso capì che affinché
il suo status di regnante avesse davvero un senso, sopra ogni altra cosa era
necessario che l'emissione di massa monetaria fosse rimossa dal controllo di
persone private, e ciò lo indusse ad effettuare una riforma monetaria nel suo
regno.
Allora, l'elite
internazionale dei banchieri diede rifornimenti di soldati mercenari e il
meglio delle armi a Ciro. Creso li aveva offesi, non solo sottraendo il loro
tesoro tenuto dall'emissario Sadiatte, ma anche eliminando i conii dei mercanti
e facendo tornare al regnante il suo potere essenziale, cioè il controllo
dell'emissione monetaria. Bisognava fare di questa vicenda un esempio che
potesse funzionare da deterrente di simili azioni da parte di altri principi, e
per operare fu scelto l'ambizioso Ciro, che non era altro che un insignificante
principe persiano. La ferocia dell'annientamento da parte di Ciro dello
sventurato Creso, che fu scuoiato vivo, senza dubbio fu effettuata allo scopo
di ricordare ad altri re che mentre il loro potere era nazionale, c'era un
altro POTERE INTERNAZIONALE, al di sopra e oltre quello di un qualsiasi
regnante locale.
Dopo la totale
umiliazione di Creso, avendo Ciro dato prova della sua sollecitudine nel
promuovere i piani dei suoi sostenitori finanziari, il passo successivo fu la
conquista relativamente facile di Babilonia, che fu organizzata per lui 14 anni
dopo. Ciro fu da allora in poi nominato Il Grande. Egli restaurò e allargò i
poteri dei Guardiani del Tempio di Babilonia, come testimoniano le inusuali
circostanze dei sacerdoti del Tempio che osannano l'invasore e che ricevono
privilegi e speciali concessioni da lui.
Le sventurate masse
dell'Antico Oriente non immaginavano neppure lontanamente che il regnante che
essi vedevano era tutt'altro che un essere divino sulla Terra, e che si
trattava invece di un burattino manipolato dalle forze segrete esercitate
dall'elite dei banchieri che cospiravano per diventare i controllori privati
della INVISIBILE EMISSIONE DI DENARO.
Dei nuovi tiranni della
Grecia, tra il 650 e il 500 a.C , il Professor Heichelheim scrisse: "Questi
tiranni erano per lo più membri della nobiltà essi stessi, che avevano
guadagnato tale titolo usando le nuove possibilità politiche ed economiche del
loro tempo per rovesciare i loro stessi pari e soggiogare temporaneamente la
città-stato".
La possibilità di
armare eserciti non veniva negata ai tiranni condiscendenti con l'elite che
manipolava la vita finanziaria delle nazioni. Anche Alessandro Magno istituì
molte nuove zecche, ognuna posta sotto il controllo di ricchi
mercanti-banchieri, e questi sicuramente lo ricompensarono non facendogli
mancare armi ed eserciti.
L’ esempio di
Sparta.
SPARTA, di tutte le città-stato greche, fu
quella che fece più resistenza alle prevaricazioni della confraternita
internazionale di banchieri e alla circolazione di metalli preziosi come mezzo
di scambio.
Sappiamo per certo che
nel 736 a.C. il re Teopompus di Sparta era sotto il controllo dei banchieri
internazionali, dei cui ragionamenti erano impregnati i suoi discorsi.
Nel giro di qualche
decennio, però, Sparta, arrivò a comprendere le distruttive forze esercitate
dai controllori dei metalli preziosi e dai mercanti internazionali, ed il loro
reale significato e attività verso la distruzione di qualsiasi volontà ed
autonomia (soprattutto sulla questione dell’emissione monetaria). Sparta così
si liberò della tirannia del re.
Licurgo era consapevole
che uno stato che basasse il proprio sistema monetario sui metalli preziosi si
mettesse alla mercé di forze organizzate di stranieri (tanto più se uno stato
non aveva miniere sue), in quanto dietro le quinte questa confraternita
regolava sia il prezzo che i volumi disponibili di tale metalli, potendo dunque
affermare la sua avida legge o anche stritolare qualunque economia a suo
piacimento.
le famose leggi , con le quali Licurgo adotta dei provvedimenti per prevenire il tentativo dei banchieri
internazionali e del suo sistema monetario di entrare in Sparta, sono descritte
da Plutarco:
“Licurgo stabilì che il
ferro dovesse essere la sola forma di valuta in uso, una piccola somma di
denaro la quale aveva una grossa mole e peso. Parliamo di monete di 30 o 40
chili di ferro il chè richiedeva un armadio alquanto grande, e per spostarlo
non si sarebbe potuto evitare di andare a prendere i buoi. Questi “pelanor”
servivano solo come accumulo di ricchezza e come base per lettere di pagamento,
cioè ricevute che generalmente consistevano in note di cuoio. Sparta era di
certo fortunata a possedere giacimenti di ferro molto ricchi. Perciò era
indipendente sia per il suo denaro che per le sue armi, e da questi punti di
vista la sua autonomia dall’estero era assoluta.
Licurgo fu senza dubbio
ispirato nello scrivere le sue leggi dalla limpida comprensione degli infernali
effetti dei sistemi monetari basati sull’argento e oro. Soprattutto egli sapeva
che le monete di argento erano una valuta la cui totale circolazione lo stato
NON POTEVA CONTROLLARE, a causa della domanda internazionale, della
desiderabilità del suo materiale e delle decisioni arbitrarie della
confraternita internazionale.
Il denaro che era stato
istituito a Sparta costituiva valore solo per gli spartani, l’oro e l’argento
non erano usati internamente: i metalli preziosi ricavati dalle vendite o dai
bottini di guerra erano depositati presso il Consiglio dell’Arcadia, e parte di
questi era usato, secondo Augustus Boeckh, per costruire navi o per rifornirsi
di merci dall’estero.
L’uso di questa valuta
nazionale fu la forza che diede a Sparta, nonostante l’EMBARGO INTERNAZIONALE, la leadership del
mondo ellenico fino al termine delle guerre del Peloponneso. Il cosiddetto
“modo di vivere spartano” derivava dalla necessità di questa città-stato di
essere sempre pronta contro una guerra totale dall’esterno, che era scatenata
contro di loro dalla stessa elite di banchieri internazionali che da essi era
stata messa alla porta con l’editto di Licurgo.
Nella città di Sparta
c’era stato un altro ostacolo, oltre alle leggi di Licurgo, all’attecchimento
del potere dei banchieri, cioè l’Eforato (la cui istituzione anch’essa è dovuta
a Licurgo), che era inteso a difendere l’indipendenza nazionale del sistema
monetario. Sugli Efori possiamo dire che i loro obiettivi principali erano il
mantenimento della difesa domestica ed il controllo delle attività del re,
attraverso di cui di solito si insinuava mediante corruzione l’elite
internazionale di banchieri.
Sparta visse questa
condizione di autonomia per circa 300 anni.
Ma entro il 360 a.C. il
sistema monetario di Licurgo era niente più che un ricordo, come testimoniato
dagli scritti di Alexander de Mar. La guerra del Peloponneso si era trascinata
dal 431 al 404 a.C. Il prestito di 5000 talenti di argento che Sparta ricevette
nel 412 a.C. dalla Persia per la costruzione di navi ci dice che, in una Sparta
stremata dall’esterno e logorata dall’interno, gli emissari dei banchieri erano
già riusciti ad infiltrarsi e ad ottenere in una certa misura il controllo. A
questo punto era conveniente per i banchieri finanziare sia lo sforzo bellico
spartano che quello ateniese, perchè sostenendo entrambe le forze distruttive
che si fronteggiavano si arrivava al massimo del risultato, a livello di
dipendenza economica e perdita di autonomia di entrambi. L’elite dei banchieri
internazionali sapeva che anche una Sparta vincente sarebbe stata loro fedele e
la nuova classe dirigente che essi avevano selezionato per lei già avevano
iniziato a rimuovere ogni ostacolo al loro insediamento. I discorsi del 428
a.C. di Archidamos, re di Sparta rivelano proprio questo, cioè la corruzione e
l’ipocrisia tipica di un politico controllato dalla confraternita
internazionale di banchieri.
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