Jolanda Crivelli, uccisa dai partigiani e lasciata giorni appesa a un albero
Il 25 aprile abbiamo assistito a
centinaia di celebrazioni da parte delle istituzioni per la cosiddetta
liberazione, celebrazioni sistematicamente riportate da tutte le tv e
grandi giornali. Nemmeno una parola di ricordo o di pietà per tutti
coloro che combatterono dall’altra parte, per coloro che tennero fede
alla parola data, per coloro che liberamente fecero delle scelte. Scelte
che poi pagheranno carissime. Addirittura abbiamo assistito a
proibizioni da parte delle autorità di tenere celebrazioni in ricordo di
quei caduti dalla parte sbagliata. Finché si proseguirà con
l’insegnamento e la propaganda di una storia a senso unico, manichea,
nella quale tutti i buoni stanno da una parte e tutti i cattivi
dall’altra, l’Italia non sarà mai veramente una nazione. E dopo il 25
aprile, vogliamo ricordare il 26 aprile, a guerra finita, a Italia
liberata. Ecco cosa succedeva, ecco cosa facevano certi liberatori.
Jolanda Crivelli aveva vent’anni
La storia dell’ausiliaria della Saf (Servizio ausiliario femminile della Repubblica Sociale Italiana) Jolanda Crivelli. Aveva solo 20 anni ed era la giovanissima vedova di un ufficiale del Battaglione M, ucciso a Bologna durante la guerra civile, in un agguato dei “sapisti” (costola della banda comunista dei gap). Il 26 aprile Jolanda Crivelli
raggiunse Cesena, la sua città natale, per tornare dalla madre, che
viveva sola. Immediatamente, come capitava in quei terribili giorni, fu
riconosciuta e additata da suoi concittadini ad alcuni partigiani
comunisti:”È una fascista, moglie di fascista!”. Percossa a sangue,
torturata, verosimilmente violentata, denudata, fu trascinata per le
strade di Cesena tra gli sputi della
gente. Davanti alle carceri fu legata a un albero e fucilata. Il
cadavere nudo, rimase per due giorni esposto a tutti come ammonimento
per tutti i fascisti. Poi fu permesso alla madre di seppellirla. Non
abbiamo altre notizie di questa sfortunata ed eroica ragazza né del suo
giovane marito. Non esistono cifre certe sul numero delle ausiliarie e
comunque delle donne fascista o presunte tali assassinate dai partigiani
prima e dopo questo celebrato 25 aprile 1945. Alcune fonti parlano di
circa mille donne uccise in quei mesi, tutte giovanissime, moltissime
torturate e violentate prima di essere assassinate. La cifra si
riferisce non solo alle impegnate politicamente o militarmente, ma anche
figlie, mogli, madri di soldati della Repubblica Sociale, colpevoli
solo di questo. E moltissime di loro sono rimaste per sempre senza nome,
ingoiate dai meandri della storia.
La Crivelli fu solo una delle tante donne assassinate
Ad esempio, nell’archivio dell’obitorio di Torino il giornalista Giorgio Pisanò
scrisse di aver ritrovato i verbali d’autopsia di sei ausiliarie
sepolte come “sconosciute”, ma indossanti la divisa del Saf. Altre
cinque ausiliarie non identificate furono assassinate a Nichelino il 30
aprile 1945 assieme a Lidia Fragiacomo e Laura Giolo. Al cimitero di Musocco poi, a Milano, sono sepolte 13 ausiliarie sconosciute nella fossa comune al Campo X. Inoltre, dicono altre fonti certe, un numero imprecisato di ausiliarie della X Mas
in servizio presso i Comandi di Pola, Fiume e Zara, riuscite a fuggire
verso Trieste prima della caduta dei rispettivi presidii, furono
catturate durante la fuga dai comunisti titini e massacrate. L’elenco è
interminabile quanto atroce: Annamaria Bacchi era la sorella di un
ufficiale della Gnr, la Guardia nazionale repubblicana.
Il suo cadavere fu ritrovato in un campo del Modenese a due anni dalla
scomparsa. Rosaria Bertacchi Paltrinieri e Jolanda Pignati, entrambe
fasciste, furono prelevate dalle loro case, violentate di fronte ai
mariti e figli e quindi sepolte vive. Ines Gozzi, 24 anni, fidanzata di
un fascista, fu violentata e finita con un colpo alla nuca. Laura Rava,
66 anni, fu seviziata ed uccisa ad Ivrea con l’accusa di essere una
spia. Come anche Camilla Durando Chiappirone, di 73 anni. Maria Deffar
Delfino, 55 anni, fu assassinata perché madre di un marò della X Mas. E
le stragfi proseguirono anche dopo la fine della guerra: Rosa Amodio
aveva 23 anni quando fu assassinata nel luglio del 1947, mentre in
bicicletta andava da Savona a Vado. Jole Genesi e Lidia Rovilda furono
torturate all’hotel San Carlo di Arona (Novara) e assassinate il 4
maggio 1945 perché si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta
la loro comandante. Angela Maria Tam, terziaria francescana, fu
assassinata il 6 maggio 1945 a Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver
subito violenza carnale. Adele Buzzoni, Maria Buzzoni, Luigia Mutti,
Dosolina Nassari, Rosetta Ottarana facevano parte di un gruppo di
ausiliarie catturate all’interno dell’ospedale di Piacenza e messe al
muro per essere fucilate. Adele Buzzoni supplicò che salvassero la
sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca, ma non ci fu nulla da
fare, morirono tutte. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Allora,
quando si “festeggia” il 25 aprile, la liberazione, la fine della
guerra, si ricordino doverosamente anche queste vittime innocenti: non è
possibile che l’Anpi per giustificare questi crimini orrendi liquidi
sbrigativamente la faccenda dicendo “c’era la guerra, erano tempi
brutti”. Non basta per giustificare questi eccidi. Per qualcuno, i morti
non sono tutti uguali, è ora di cambiare questa prospettiva e
riconoscere onestamente gli errori fatti.
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