Guerra 1940-1945
Inglesi e antifascisti: a futura
memoria
Di Marsilio Bruzio
In un servizio apparso sul
numero 2 di “Storia Verità”, Luigi E. Longo ha trattato il tema
dell’apporto fondamentale della BBC inglese alla propaganda di guerra, e
in particolare dell’opera prestata a Radio Londra nelle trasmissioni per
l’Italia dalla Italian Section, affidata a responsabili inglesi
per il coordinamento, l’impostazione e la regia dei programmi. Nel pezzo
è stato evidenziato il lavoro svolto dai collaboratori italiani al
servizio del nemico anglo-americano.
E’già stato detto
dell’importanza di organismi come il P.W.E. prima e P.W.B.
successivamente, ma ora vorremmo approfondire la conoscenza sia delle
persone che delle opinioni sulle stesse dei responsabili inglesi, il
clima in cui si svolgeva detta collaborazione e, in conclusione, quale
fu la valutazione obiettiva sull’apporto fornito allo sforzo di guerra
britannico dagli antifascisti italiani.Chi si pose al servizio del
nemico contro la Patria, fu coperto, a guerra finita, dall’art. 16 del
Trattato di pace, espressamente imposto dagli Angloamericani per evitare
l’addebito di reati previsti dalla legge vigente. Il premuroso
intervento prova l’illiceità del comportamento di tanti “patrioti”.
Nella ricerca, il punto fermo
è offerto dalla documentazione conservata presso il P.R.Q. di Kew Garden
(l’equivalente del nostro Archivio di Stato) e dall’esame della stessa
si possono trarre interessanti giudizi. Il quadro globale è di desolante
squallore morale, evidenziato dall’improntitudine dei protagonisti nel
superare l’evidente disagio degli inglesi – dallo stesso Churchill a
Stevens, dai funzionari del S.O.E. a quelli del P.W.B. e del Foreign
Office – a servirsi di individui, cui non vengono lesinate
mortificazioni. Tuttavia è una catena lunga, non interrotta a guerra
conclusa, perché si serviranno ancora, i vincitori, dei loro prezzolati,
sistemati nella politica, nella diplomazia, nelle università, nel
giornalismo (Ruggero Orlando inviato poi dalla Rai a New York) nel mondo
finanziario e in altri posti chiave dell’economia italiana, della
magistratura, di enti importanti.
L’armistizio del settembre ’43
non arreca vantaggi all’Italia. Il Nord è compresso tra l’interesse
politico tedesco a disporre di un interlocutore come Mussolini,
personaggio di rilievo nel mondo, e i limiti imposti dal controllo della
situazione italiana, manifestatasi inaffidabile e colpevole di
trascinarsi sulle spalle il pesante fardello del tradimento del Re e di
Badoglio. Da qui sospetti e cautele per la miope visione germanica,
incapace di saper distinguere e portata a caricare sugli italiani colpe
a giustificazione di errori propri.
Al Sud atmosfera ancora più
pesante, creata dallo stato di “resa incondizionata”, gestito dagli
Alleati con rigida chiusura verso le disprezzate istanze dei Savoia, di
Badoglio e del suo non governo, e della stessa emergente classe
politica. Il disegno di superare lo stato di resa offrendo la
cobelligeranza appariva insensato e più ancora lo sperare
“nell’ipotesi di una alleanza alla pari” (come ebbe a scrivere un
alto esponente inglese).
L’incapacità politica di
valutare realisticamente la situazione, non impediva agli esuli
antifascisti in Inghilterra di lavorare contro gli interessi del loro
Paese. A tale proposito interessanti spunti sono offerti dalla
documentazione contenuta nel volume di Peter Sebastian I servizi
segreti speciali e l’Italia 1940-1945 edito da Bonacci e curato da
Renzo De Felice per la collana “I fatti della storia”. Da questa
libro la classe antifascista italiana esce malconcia e svilita, spremuta
come un limone gettato nella pattumiera. Ma non si salvano nemmeno gli
inglesi, perché cade l’affermazione di Churchill che attribuiva al
fascismo tutte le disgrazie italiane: infatti aver ricevuto dagli
antifascisti richieste e indicazioni sui luoghi da bombardare, vanifica
le giustificazioni morali e personali per l’attività terroristica
dell’aviazione britannica nell’estate del 1943. Eppure il Sig. Churchill
aveva già in passato espresso le sue opinioni su Mussolini e il
Fascismo, anche in tono apologetico, e le sue contraddizioni sono ancor
più complicate dall’irrisolto mistero della corrispondenza avuta con il
Duce e delle sue visite sul lago di Como a guerra finita.
La classe politica
antifascista aveva dimostrato nei rapporti con gli inglesi, durante la
guerra, limiti morali e mancanza di progetti costruttivi, anteponendo
sempre l’interesse di parte o personale al sentimento patriottico.
L’impressione suscitata era sgradevole e sprezzante, purtuttavia
facilitava il disegno politico alleato. Solo il Ministro degli Esteri
Eden non abbandonava la sua nota ostilità verso tutti gli italiani
indistintamente e, fautore convinto della resa incondizionata –
Churchill all’inizio fu titubante – non volle mai riconoscere
ufficialmente il Free Italy Movement, scaricandolo al Ministero della
Propaganda, cui fecero capo i fuoriusciti italiani, vecchi e nuovi
arrivati. Facevano parte del movimento: Lussu, Tarchiani, Cianca,
Garosci, Zanni, Gentili, Balzani, Crespi, Sforza, Pettoello, Petrone,
Luzzatto, Orlando, Gentile, De Meo, Gavasi, Tartagli, Galli, panizzi,
Fano, Zencovich, Montani, Mazzucato, Pio, Sampietro, Forti,
Minio-Paluello, Priuli-Bon, De Bosi, Montruschi, Formigoni, Nissim,
Vincis, Zanelli, utilizzati dal S.O.E. sia per la sezione propaganda
(SO.1) della P.W.B. sia, in minima parte, per qulla operativa (SO.2).
Alcuni furono inviati in Italia (sbarcati da sommergibili o
aviolanciati) e tra essi Marini, Zapetti, Andreoli, Sisnaver, Sartori,
Picchi, tutti catturati, processati e condannati alla fucilazione come
spie al soldo del nemico.
L’attività iniziale del F.I.M.
venne giudicata deludente dal responsabile inglese della Italia Section
del S.O.E. Hugh Dal ton ed errata nell’impostazione psicologica per le
accuse generiche e gratuite rivolte verso tutti gli italiani, tanto che
fu ritenuto necessario rivedere tutta l’impostazione. Fu così affidata a
funzionari inglesi la responsabilità delle trasmissioni, incentrando
l’attività propagandistica più incisivamente su Mussolini e il fascismo,
additati come responsabili della guerra e delle sconfitte militari
italiane.
Una relazione datata
30/09/42 del P.W.B. così descriveva i risultati della I.S.:
“molti sforzi sono stati fatti con la propaganda per
trovare una formula attraverso la quale potesse essere creato un
movimento antifascista forte e popolare. Sono stati avvicinati leaders
potenziali, rivolti appelli a gruppi politici e sociali. Tutto fallito.
Persino la famiglia reale non offriva garanzia alcuna né possedeva tra i
suoi componenti qualcuno con qualità carismatiche”.
Anche i più attivi e dinamici
tra i fuorusciti antifascisti, ad esempio Emilio Lussu, affermavano
quanto i fatti smentivano, ossia l’esistenza in Sardegna di una
situazione prerivoluzionaria da far esplodere “con un semplice cenno
della mano”: da qui i sarcastici commenti e la meritata taccia di
millantatore.
Il movimento politico che
riscuoteva qualche credibilità “Giustizia e Libertà”,
specializzatosi purtroppo nel segnalare obiettivi da bombardare, non
ebbe migliore fortuna ed il gruppetto composto da Tarchiani, Cianca,
Garosci e Zanni fu trasferito alla sezione S.O.E. del Cairo nel 1943 in
previsione di poter essere utilizzato dopo lo sbarco in Sicilia. Il
S.O.E. rifiutò però di accettare volontari italiani (ad eccezione di
elementi dotati di particolari qualifiche, tutti ufficiali e
sottufficiali in S.P.E.) così che il divieto rimase in vigore in tutte
le FF.AA. alleate. Accadde anche che un reparto logistico-amministrativo
dell’esercito britannico rifiutasse decisamente di essere aggregato
provvisoriamente ad un reparto militare italiano del Sud affermando che
“…ciò costituirebbe un’indegnità troppo grande per il personale
britannico”. Lo stesso conte Carlo Sforza, uno fra i più noti
antifascisti (nel dopoguerra ministro degli esteri) venne definito da
Churchill “stupido e sleale vecchietto” allorché si rifiutò di
entrare nel governo Badoglio, giudicandolo prossimo alla liquidazione.
Sforza si ebbe una pesante reprimenda dal premier inglese che lo accusò
di “non stare al gioco prestabilito” nel più vasto contesto del
“do ut des”, e fu grazie all’appoggio americano che rimase a
galla fino a che il fatto venne ridimensionato, pur conservandosi
l’acredine inglese.
La classe politica
antifascista, emblematico il campionario londinese, era molto diversa da
quella anglo-sassone, opposizione compresa, per dirittura morale, senso
di patriottismo comportamento responsabile e coerenza di azione con il
War Cabinet. Gli inglesi erano preoccupati non solo per il non
edificante spettacolo offerto dagli esuli ma anche perché essi non
riuscivano ad ottenere “…una analisi obiettiva ed omogenea delle
personalità, delle tendenze, condizioni e opinioni, degli italiani,
soprattutto per le contrastanti risultanze emerse…Il signor Orlando
sottolineò tristemente che era pervenuto alla conclusione che i
rifugiati contassero pochissimo e che ogni vero movimento di rinascita
dovesse provenire dall’interno del paese stesso” (P. Dixon,
funzionario del Foreign Office).
Soltanto con le
relazioni dell’AMGOT gli inglesi poterono avere un quadro obiettivo
anche se sconcertante della realtà politica italiana. Naturalmente nel
clima di ostilità preconcetta, anche le autorità italiane del Sud non
trovarono crediti e consensi, se non un generico e gratuito
incoraggiamento. L’ipocrisia di fondo non offriva alcun serio contributo
al miglioramento dei rapporti diplomatici e della politica generale,
tanto che gli alleati sintetizzavano: “L’Italia
è un nemico sconfitto e allo stesso tempo un cobelligerante che si
aspetta di essere trattato da alleato”.
Con l’avvento di Ivanoe Bonomi al posto del defenestrato
Badogliole cose non cambiarono poiché Londra definì l’avvenimento
sarcasticamente con la frase: “un grande
disastro per l’avvento di questo gruppo di politici vecchi e affamati
così poco rappresentativo”.
Pietro Nenni veniva classificato pericoloso a causa della
sua amicizia con i comunisti, in specie Togliatti. O. Sargent,
funzionario inglese, lo descrisse in un suo rapporto “un disastro”
per le continue minacce del leader socialista nel prospettare la
guerra civile in caso di rifiuto delle istanze social-comuniste
sunteggiate nello slogan “o la repubblica o il
caos”.
Il comportamento cinico e sprezzante degli inglesi non fu
diretto, ad onor del vero, soltanto verso gli italiani , ma ne fecero le
spese francesi e jugoslavi, polacchi e cecoslovacchi e si ebbero
contrastanti comportamenti a seconda delle variazioni politiche
internazionali inserite nel più grande ed egoistico gioco di Churchill.
Si salvarono i reali d’Olanda e Norvegia, ma furono sacrificati quelli
di Jugoslavia e d’Italia, emarginati quelli belgi e greci e caddero o
sopravvissero uomini politici, specie dell’Est-Europa, secondo la logica
di Yalta.
I politici antifascisti
italiani confluiti in Inghilterra non furono molti, anche se di diverse
ideologie politiche: non riscossero piena fiducia ed ebbero scarsa
considerazione, non migliorarono i loro rapporti con gli inglesi e si
alienarono le poche simpatie raccolte. Importante quella del Labour
Party, più incline alla solidarietà internazionale che al miglioramento
dei rapporti con gli italiani, i quali vissero e si agitarono
disordinatamente, incompresi ed emarginati, utilizzati di volta in volta
e poi accantonati, così che “…tutti i tentativi fatti per influenzare
l’opinione pubblica inglese fallirono” scrisse lo storico M.R.D.
Foot. Erano esuli fra esuli, anche se ci furono eccezioni, specie per la
nutrita presenza ebraica, come i Colosso, i fratelli Piero e Paolo
Treves e Carlo Petrone e più tardi Zencovich e Ruggero Orlando (già
squadrista fascista e nipote dello statista siciliano – n.d.a.).
I loro appelli agli italiani
rimasero senza risposta, e un completo insuccesso fu la tentata
costituzione di una missione da inviare nei campi prigionieri
dell’India, dell’Egitto e dell’Africa Orientale per fare proseliti
antifascisti e costituire reparti militari da inviare contro i tedeschi.
Fallito anche questo tentativo
oltre quello radiofonico, rimasti isolati per dissidi interni, non
riuscirono ad accreditarsi presso gli inglesi come “esperti di
problemi italiani” avendo mostrato di ignorare tutto della vita
italiana. Lo stesso Stevens “il colonnello Buonasera” riconosceva la
scarsa rilevanza della loro collaborazione. Essi correvano però il
rischio, in caso di guerra vinta dall’Asse, di essere accusati di alto
tradimento per intelligenza col nemico e di essere fucilati (come
accadde al figlio di Lord Amery impiccato dagli inglesi in quanto
colpevole di aver fatto propaganda per l’Asse in funzione anti-inglese).
Trovarono appoggio soltanto in
Italia, spalleggiati dai loro partiti e dalla partecipazione prestigiosa
di un filosofo come Benedetto Croce, che nel discorso di Bari del 28
gennaio 1944 antepose ad una vittoria del fascismo la sconfitta
dell’Italia, tesi aberrante per l’odio che l’ispirava, per il fanatismo
delle idee che smerciava, per l’assoggettamento della patria al nemico.
Nell’etere venivano profusi i
germi più nefasti dell’anarchia, dell’odio insensato per le istituzioni
nazionali, della demagogia politica, delle lacerazioni delle coscienze,
della dissoluzione morale, del rifiuto dei valori di sempre e tutto per
il trionfo del pensiero individuale e del particolare interesse.
Ben diverso il discorso tenuto
da Giovanni Gentile il 24 giugno del 1943, rivolto a tutti gli italiani,
fascisti o non, che incitava a credere nell’avvenire della Patria da far
grande contro le avversità della natura e degli uomini: ..un popolo
che salvi intatta la coscienza della propria dignità, che non smarrisca
la nozione di quel che esso è e deve essere, potrà vedersi a un tratto
oscurarsi il firmamento sopra di sé, ma a breve le stelle torneranno a
brillare”. Ed ancora nella primavera del ’44, all’inaugurazione
dell’anno accademico, egli diceva: “..è dovere civile di ogni
italiano ricordare, ora e sempre, per avere viva e intera coscienza
delle nostre colpe, del severo castigo meritato, dell’aspra fatica che
ci tocca di affrontare per espiare il passato e riconquistare il posto a
cui ci danno diritto il sacrificio dei morti, la nostra intelligenza, le
virtù del nostro popolo sano e laborioso. Dico, delle nostre colpe,
perché nessuno degli italiani che voglia lavorare alla ricostruzione e
quindi alla concordia del Paese, vorrà declinare la sua parte di dignità
umana. Soffriamo le conseguenze, quantunque sia anche giusto che l’onta
e il danno ricadano maggiormente su coloro che abusarono della fiducia
in loro riposta e nell’ombra tradirono la Patria e ne vollero
dissennatamente lo sfacelo: annientato l’esercito, consegnata al nemico
la flotta, sfasciata la compagine nazionale, spenta nei cuori ogni fede
negli istituti fondamentali, fiaccata e distrutta la coscienza e la
volontà della stirpe: l’Italia, già fiera della sua antica e nuova
storia, e soprattutto della gloriosa parte avuta nella precedente guerra
mondiale e del vigoroso impulso quindi impresso al ritmo di tutte le sue
energie, ridotta un gregge senza capo, sbandata moltitudine senza
un’anima, umiliata e spregiata dallo straniero, vile è ai suoi propri
occhi, come se il disonore di un gesto avesse cancellato venticinque
secoli di storia scintillante di genio, di virtù, di lavoro, di
ardimenti. Un’Italia “libera”, a sentire una bugiarda ed empia leggenda;
quando in verità non c’era più un’Italia, e le sue terre, i suoi uomini,
i suoi tesori d’arte eran preda o ludibrio degli invasori, a cui sono
state aperte le porte”.
Pochi giorni più tardi,
Giovanni Gentile veniva assassinato dai GAP comunisti e, da Radio
Londra, il velenoso Stevens dette la notizia dimenticando d’aver
propiziato con gli inviti alla violenza. Giovanni Spadolini, definì il
22 aprile 1944sul periodico “Italia e civiltà” come: “…spregevole e
infame per la nostra razza l’assassinio del filosofo”. Croce ebbe
modo di pentirsi, fortunatamente per lui, sconfessando sé stesso nel
luglio 1947 alla firma del trattato di pace con l’Italia, perché:
“…profondamente deluso dagli anglo-americani, ai quali mi sono
spiritualmente alleato, con la speranza che riconoscessero all’Italia
un’eguaglianza di merito nella guerra civile e “religiosa” contro
l’Asse: una speranza completamente tradita”. Ed ancora più avanti,
ugualmente deluso dalla nuova classe politica antifascista generata dal
tradimento, enunciava: “…la ricostruzione e l’assicuramento della
libertà precede ed è fondamentale, e non bisogna mescolare e confondere
i suoi problemi con gli altri di carattere variamente particolare, né
illuderci che si possa, con gli allettamenti di particolari riforme e di
vantaggi economici attirare a quella giacché, con procedimenti siffatti
(che sono da dire simoniaci in quanto contaminano il sacro col profano)
si otterrebbe in tal caso, non la libertà, ma la vana sua apparenza, la
retorica democratica o piuttosto demagogica, rumorosa e vacua, energica
a parole e debole nel fatto, e tale da crollare al primo urto”.
Noi non siamo particolarmente
legati al Croce, come uomo in primis, ma dobbiamo riconoscergli il
tardivo pentimento che ci dà ragione.
Gli esuli antifascisti che in
Inghilterra aiutavano il nemico di allora a vincere la sua guerra,
miravano a ben più pingui e remunerativi obiettivi che al ristabilimento
in Italia della libertà e della democrazia. Basta guardare le loro
carriere del dopoguerra.
Indice delle sigle
P.W.E.
Political Warfare Executive
P.W.B.
Psychological Warfare Branch
P.R.O.
Public Records Office
S.O.E.
Special Operation Executive
I.S.
Italian Section
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