Potrà sembrare incredibile e surreale, ma oltre 70
anni di menzogne storiografiche e messinscene politiche compiute dal
sistema pluto-massonico antifascista (anche a mezzo di tutte le
marionette di destra, centro e sinistra ai suoi ordini) nel tentativo di
seppellire definitivamente in ogni modo i contenuti veraci del
messaggio ideologico di cui era latore il movimento delle camicie nere,
sono quasi riuscite ad occultarne definitivamente il vero e fondamentale
significato ideale, in base al quale il gruppo politico rivoluzionario
fondato e guidato da Benito Mussolini, si auto-denominò
Fascismo, contribuendo a cambiare la storia universale dell’umanità, Ma perché quegli uomini si sono qualificati come
fascisti? Perché il loro richiamo continuo alla Civiltà di Roma,
all’unità della società ed alla giustizia sociale? Ebbene, nonostante
quelle testé esposte rappresentino le domande più elementari che
qualunque mente pensante, scevra da preconcetti e desiderosa di
conoscere seriamente e comprendere il Fascismo prima di giudicarlo,
logicamente si pone, le corrette risposte a tali interrogativi, sono
proprio quelle alle quali, in virtù della mistificazione propagandistica
operata dagli avversari del Fascismo, ben difficilmente le masse sono
in grado di pervenire. Infatti, attribuendo alla parola “fascismo”
qualsiasi significato nefando, confondendolo a bella posta col nazismo
tedesco (annullandone volutamente in tal modo l’originalità politica)
creando dal nulla il concetto storicamente irrealistico e
ideologicamente falso di “nazi-fascismo”, anche col concorso attivo dei
gruppi della destra radicale cosiddetta “neofascista”, che si sono
prestati attivamente ad alimentare tale equivoco fuorviante (in
definitiva è questo il ruolo assegnato dal sistema demo-plutocratico a
questi gruppetti politicamente marginali ed emarginati), si sono
smarrite tutte le coordinate politico-ideologiche per qualificare
correttamente l’autentico messaggio politico fascista. Dunque, va detto a
chiare lettere che gli uomini di Mussolini si qualificarono come
fascisti avendo essi riconosciuto che i valori politico-sociali nei
quali essi si identificavano, erano tutti espressi e racchiusi
mirabilmente in un’unico glorioso simbolo, retaggio della nostra
imperitura Civiltà italiana, erede prima di Roma: il Fascio littorio! Come ha scritto lo storico antifascista Emilio Gentile nel suo libro più famoso, “Il culto del littorio”,
qualche studioso ha sostenuto che la sovrabbondanza di simboli nel
fascismo proverebbe la sua carenza ideologica. Ma una simile
interpretazione riduttiva e fuorviante, sottovaluta la funzione e la
potenza del simbolismo politico, poiché nella religione, come nella
politica, il simbolo è sempre un’interpretazione della vita condensata
in un oggetto, in una parola, in un’immagine, in un comportamento, in un
luogo o in una persona. Ebbene, proprio il Fascio littorio e solo il
Fascio littorio, per tutta una serie di particolari motivi che
cercheremo di esporre brevemente, era in grado di condensare in una
icona il fine politico del fascismo mussoliniano, quello di pervenire ad
una nuova politica, ad un Uomo nuovo, una nuova Italia, in breve ad una
Nuova Civiltà Universale nel solco della NOSTRA CIVILTA’ ITALIANA.
Ma partiamo dal principio. Due tradizioni erano
diffuse a Roma sull’origine del fascio: una lo riteneva autoctono,
un’altra lo ricollegava all’Etruria fissandone poi in età tarda la
provenienza dalla città di Vetulonia; tale tradizione sarebbe confermata
dalla scoperta fatta nella necropoli vetuloniese di una insegna
antichissima di ferro formata da una bipenne infissa in un fascio di
verghe, datata alla seconda metà del VII secolo a.C. ed è il più antico
fascio che si conosca. Secondo Livio e Dionigi i capi della dodecapoli
etrusca avrebbero avuto diritto a 12 fasci corrispondenti alle 12 città
federate; però i monumenti che rappresentano magistrati etruschi
accompagnati da littori sono tutti di età romana e risalgono al massimo
al III secolo a.C. A Roma il fascio sarebbe passato in età assai antica e
forse è da accettare la tradizione che ne fissa la venuta durante il
periodo di influenza o dominazione etrusca sull’Urbe (Tarquinio Prisco,
Servio Tullio, Tarquinio il Superbo). Esso è certamente anteriore alla
Repubblica perché le fonti lo considerano come attributo regio passato
poi ai magistrati supremi repubblicani. Il fascio romano (fascis)
quale è riprodotto in una serie ricchissima di monumenti e quale lo
descrivono le fonti, è costituito da un certo numero variabile di verghe
(virgae) di olmo o betulla e da una scure (securis)
assicurate a un bastone che ne costituisce il nucleo e ne forma
l’impugnatura. Esso è alto da un metro a un metro e mezzo. Il numero e
la grossezza delle verghe decresce dalla epoca repubblicana alla
imperiale in cui esse perdono la loro funzione di strumento di
giustizia. La legatura è fatta con una correggia di cuoio rosso per
mezzo di avvolgimenti orizzontali alternati da passaggi obliqui o
incrociati; essa procede dal basso in alto lasciando in alto un cappio
per appendere il fascio. La scure è sempre collocata nella parte
inferiore del fascio; il suo manico termina in un pomo a testa umana o
di animale; la lama è di forma varia, quasi sempre inguainata in una
custodia di pelle che serve a conservarla e a proteggere il littore. I
littori sono funzionari subalterni della categoria degli apparitores che
rimanevano in carica a vita ed erano riuniti in corporazioni. Essi
portavano sempre lo stesso genere di abito indossato dal magistrato;
erano vestiti di toga a Roma e indossavano al campo il sagum rosso sopra la tunica. L’etimologia della parola littore è probabilmente da licere,
cioè citare, far comparire il reo dinanzi al magistrato. Il fascio era
poi usato come strumento di giustizia: le verghe servivano per le pene
minori, la scure per la pena capitale. Originariamente il magistrato
poteva esercitare la giustizia a discrezione; poi il suo potere fu
limitato al territorio fuori della città e solo allora i suoi fasci
potevano portare la scure; i fasci con la scure potevano anche essere
introdotti in città, in occasione del trionfo e quando occorreva punire
un delitto di parricidio; in questo caso l’esecuzione, affidata ai
littori, aveva luogo nel Foro. Per i delitti privati il magistrato, e
quindi i littori, non intervenivano. Oltre che strumento di giustizia il
fascio era l’insegna del magistrato che l’amministrava e poi prese il
significato generico di insegna di potere. Accompagnando il magistrato i
littori procedevano allineati tenendo il fascio sulla spalla sinistra e
un bastone nella destra con cui allontanavano la folla; essi non
abbandonavano il magistrato in nessuna circostanza. Il fascio era
adorno di alloro in occasione di vittorie e quando il magistrato era
proclamato imperator; i fasci dell’imperatore erano sempre laureati;
il lauro è però comune anche nei fasci dei magistrati inferiori. Nei
funerali il fascio si portava rovesciato. Il littore, oltre che ministro
di giustizia, era anche apportatore di libertà: quando uno schiavo era
proclamato libero il littore del magistrato che presiedeva la cerimonia
lo toccava con una speciale verghetta (vindicta o festuca)
alla presenza del magistrato stesso e del padrone, pronunciando una
formula rituale. Oltre a quelli dell’imperatore e dei magistrati vi
erano altre due categorie di littori: quelli curiatii che pare fossero di spettanza del pontefice massimo e che convocavano il popolo nei comizi e quelli dei vicomagistri
che annunziavano le feste religiose da loro indette. Il numero dei
fasci spettanti a ciascun magistrato era rigorosamente stabilito:
sappiamo dalle fonti che il re ne aveva 24, il dittatore 24, i consoli
12, il pretore 6 (nella provincia ove esercitava la pretura). I
promagistrati avevano lo stesso numero di fasci dei magistrati
corrispondenti se il loro grado era però equivalente (p. es. gli
ex—pretori che fungevano da proconsoli non ne avevano 12 ma 6).
L’imperatore aveva 12 fasci con l’attributo perenne dell’alloro; Augusto
e Domiziano ne ebbero anche 24. I magistrati municipali, gli augustales, i seviri avevano
fasci più piccoli e privi di scure. Dopo la caduta dell’impero romano,
il fascio sparisce, per risorgere, come tanti ricordi, col rifiorire
degli studi umanistici, adorna figure simboliche dell’autorità statale e
delle virtù pregiate dei magistrati; compare perfino negli stemmi
gentilizi (card. Mazzarino). Nuova voga ebbe nella rivoluzione francese,
che si professava emula dei valori della Res-publica romana, nonché
negli stati italiani da essa sorti, ma era di forma ibrida e la scure
divenne un’alabarda nel mezzo delle verghe. Comparve poi talvolta nei
fasti del nostro Risorgimento per indicare unità e libertà. Risorse come
simbolo augusto nazionale quando BENITO MUSSOLINI lo adottò per insegna
del movimento da lui fondato (1).
Emblema fondamentale della nuova “era fascista”
inaugurata dalla marcia su Roma, il fascio littorio fu il nucleo
portante della capillare strategia simbolica di cui il regime fascista
si servì nella propria azione di nazionalizzazione delle masse e di
sistematica penetrazione delle coscienze. Il termine «fascio»,
utilizzato da Mussolini già nel 1915 per designare il suo
raggruppamento interventista (Fasci di azione rivoluzionaria), venne
ripreso dall’esperienza della sinistra post-risorgimentale, per
esprimere un tipo di raggruppamento spontaneo caratterizzato da
un’«unione di forze, piú o meno omogenee, ma tenute fortemente insieme
da vincoli ideali e disciplinari, in vista di fini comuni da
raggiungere» (B. Mussolini, «Fascismo», in Enciclopedia Italiana, Roma
1932-X). Già prima della fondazione del P.N.F., il simbolo del fascio
cominciò a diffondersi rapidamente nell’iconografia fascista assieme a
numerosi altri riferimenti all’esperienza della romanità. Ancora
all’inizio degli anni venti, nell’utilizzo fascista del fascio littorio
continuavano a convivere strati di senso direttamente riconducibili
alla cultura del radicalismo di sinistra, come la tendenziale valenza
antimonarchica evocata dallo stesso Mussolini nel discorso di Bologna
del 3 maggio 1921: «Il nostro simbolo non è lo scudo dei Savoia; è il
Fascio littorio, romano e anche, se non vi dispiace, repubblicano». La
successiva storia del simbolo coincide in gran parte con le vicende del
processo totalitario attraverso cui il fascismo giunse a conquistare,
con il monopolio del potere, «il pieno controllo dell’universo
simbolico dello Stato». Nel gennaio del 1923, a pochi mesi
dall’insediamento del governo presieduto da Mussolini, «il fascio
littorio, simbolo di Roma antica e della nuova Italia» fece il suo
esordio ufficiale sul retro delle monete da 1 e 2 lire, come «segno
imperituro dell’avvento del fascismo al potere». L’incarico di
ricostruire l’originaria versione romana dell’emblema fu affidato a un
archeologo di regime, il senatore Giacomo Boni, che all’« aspetto
arbitrario» e deformato assunto dal fascio littorio nella simbologia
rivoluzionaria e risorgimentale – con una scure o un’alabarda,
sormontata da un cappello frigio, in cima alle verghe – contrappose un
modello raffigurante un fascio di verghe con una scure collocata
lateralmente. In questa veste, con un decreto del 12 dicembre 1926 il
fascio littorio venne dichiarato emblema dello stato, a compimento
della dinamica di progressiva fascistizzazione delle istituzioni dal
quale era nato il nuovo regime. A partire da quel momento, il processo
di capillare diffusione del simbolo del nuovo potere non conobbe limiti e
confini: oltre che sulle monete e sui francobolli, gli italiani lo
avrebbero rimirato sui documenti ufficiali, sugli edifici pubblici,
sulle uniformi, sui libri, sui cartelloni pubblicitari e persino sui
tombini. Per il fascismo al potere, l’emblema del littorio assunse un
significato addirittura religioso come espressione della tradizione
sacra della romanità (2). Tanto che, nella prima parte del documento cardine del pensiero politico fascista, ossia la DOTTRINA DEL FASCISMO, al punto numero XIII, viene espressamente affermato in modo lapidario quanto segue: Il
Fascismo insomma non è soltanto datore di leggi e fondatore d’istituti,
ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuol rifare non le forme
della vita umana, ma il contenuto, l’uomo, il carattere, la fede. E a
questo fine vuole disciplina, e autorità che scenda addentro negli
spiriti, e vi domini incontrastata. La sua insegna perciò è il fascio
littorio, simbolo dell’unità, della forza e della giustizia (3).
Ma purtroppo, nell’era dell’antifascismo
pluto-massonico imperante, siamo costretti ad assistere, anche in questo
caso, all’ennesimo scempio della nostra memoria ed alla suprema delle
beffe contro la nostra storia. Infatti, i “gestori per conto terzi”
della repubblica antifascista Italy-ota, voluta dall’invasore
anglo-americano (tutt’ora occupante incontrastato!) non hanno mancato di
legiferare ad hoc per scoraggiare ed impedire l’uso del Fascio Littorio
da parte dei cittadini italiani e così compiacere servilmente i
desiderata del padrone atlantico, ben sapendo che tale simbolo viene
invece usurpato indegnamente proprio da chi ci vuole obbligare a
cancellare in casa nostra la nostra stessa Civiltà, come mostra la
presenza di due giganteschi Fasci Littori che spiccano vistosamente al
Congresso degli Stati Uniti d’America.
Sebbene questo non sia l’unico esempio in cui tale
icona sia tutt’ora utilizzata ufficialmente come emblema pubblico di
rappresentanza nazionale. Dall’Europa alle Americhe, all’Africa, il
Fascio littorio è presente in tutti i continenti. Per ironia della
sorte, anche la Repubblica francese, da sempre alfiere dell’antifascismo
di maniera, nel suo stemma è anch’essa rappresentata da… un Fascio
Littorio! Insomma, come disse “QUALCUNO” che sapeva bene quel che
affermava… NEMO PROPHETA IN PATRIA SUA! …in questo caso, più che
forzatamente! Eppure, se c’é un simbolo diffuso a livello planetario,
capace di rappresentare pienamente ed efficacemente il senso della
Dottrina del Fascismo, piaccia o meno a lor signori antifascisti di
tutte le risme, di tutti i colori e di tutte le latitudini, questo non è
lo svastica, tantomeno la croce celtica o la fiamma, né alcun altro
utilizzato dai suoi avversari palesi o travestiti da amici, ma
solamente ed esclusivamente il Fascio littorio, che fu, è, ed in tutti
casi sarà sempre il simbolo unico del Fascismo! IlCovo NOTE 1) In “Dizionario di Politica a cura del Partito
Nazionale Fascista”, antologia, volume unico a cura di Marco Piraino e
Stefano Fiorito, Lulu.com, 2014, pp. 226 – 227. 2) In “Dizionario del fascismo” a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto, Torino, 2005, pp. 517 – 518. 3) In “La Dottrina del Fascismo”, terza edizione
riveduta, 1942, ristampa a cura di Marco Piraino e Stefano Fiorito,
Lulu.com, terza ristampa, 2018, p. 18.
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