L’assassino Sandro Pertini . Benito Mussolini lo salvò….
L’assassino Sandro Pertini e chi lo salvò…. Benito Mussolini
Caro Nobécourt,
ho avuto solo ieri occasione di leggere su “Le Monde” del 29 aprile scorso il tuo pregevole articolo “Il y a quarante ans, l’execution sommaire de Mussolini”;
e poiché si tratta di un articolo dichiaratamente storico, e contiene
qualche inesattezza, credo che i lettori del vostro giornale abbiano
diritto a delle precisazioni, per obiettività e
completezza d’informazione. In quell’articolo, in effetti, si afferma fra l’altro:
1. che ad ordinare l’uccisione di Mussolini fu il “comitato insurrezionale” partigiano,
e cioè un triunvirato formato da Luigi Longo (comunista),
Sandro Pertini (socialista) e Leo Valiani (del Partito d’Azione), ma che
il ruolo determinante, in questa faccenda, lo ebbe verosimilmente Luigi
Longo;
2. che il giorno dopo l'”esecuzione”, il 29 aprile 1945, i cadaveri di
Mussolini, Claretta Petacci e degli altri “giustiziati”, che erano stati
appesi per i piedi alle rampe di una pompa di benzina a piazzale Loreto a Milano, vi furono staccati per ordine di Pertini;
3. che quell’esecuzione (realizzata materialmente da un gruppo di
partigiani capeggiati da Walter Audisio, detto Colonnello Valerio) ebbe
comunque il consenso più o meno tacito di tutti i partners del gioco
politico dell’epoca comprese le destre, il Generale Cadorna (comandante
militare delle forze partigiane) e lo stesso Pietro Nenni, già amico di
Mussolini ma poi diventato suo avversario e ormai diviso da lui da
troppo sangue versato. E, in definitiva, che ebbe anche il consenso di
inglesi e americani;
4. che in particolare gli americani avevano sì mandato tre missioni
per recuperare Mussolini, ma senza fretta. E gli inglesi non si erano
affatto curati del Duce;
5. che tutti costoro preferirono che Mussolini fosse ucciso
sommariamente piuttosto che processato, poiché si sarebbe trattato di un
processo più che a lui, alla politica italiana degli ultimi venti anni;
e dunque il Duce ne poteva uscire ben vivo, e magari riabilitato, come
ti aveva a suo tempo dichiarato lo stesso Longo
“Se non
l’avessimo giustiziato sarebbe stato, due ore dopo, nelle mani degli
americani e vivrebbe oggi con un pensione di ex-Presidente del
Consiglio”.
Al riguardo debbo osservare:
1. per l’ordine di uccidere Mussolini, più che Longo fu determinante
Pertini in quanto rappresentava il Partito Socialista, all’epoca la più
importante fra le forze politiche della Resistenza italiana. In questo
partito lui aveva un peso decisivo che gli aveva consentito, ad esempio,
di essere determinante -e questo lo riconosci nel tuo articolo- anche
nel rifiuto della proposta, avanzata da Mussolini, di trasferire i suoi
poteri al Partito Socialista. Più precisamente, Pertini diede a Walter
Audisio l’ordine perentorio di recarsi a Dongo con un gruppo di uomini
scelti con cura, farsi consegnare Mussolini e i gerarchi catturati e ucciderli a tutti i costi prima che qualcuno potesse impedirlo.
Siccome però i partigiani che avevano catturato il Duce erano
riluttanti a cederlo (intendevano consegnarlo direttamente agli Alleati,
secondo le istruzioni che da tempo
costoro avevano diffuso largamente e ripetutamente fra i partigiani)
Audisio doveva ingannarli, facendo loro credere che avrebbe condotto i
prigionieri appunto dagli alleati. Audisio si presentò ai partigiani di
Dongo esibendo un ordine scritto firmato da Pertini, di consegnarli
Mussolini e gli altri.
Quei partigiani in un primo tempo rifiutarono, ma Audisio riuscì alla
fine a convincerli, ribadendo che avrebbe condotto Mussolini dagli
Alleati senza torcergli un capello. Invece quando lo ebbe nelle mani,
dopo pochi chilometri precisamente a Giulino di Mezzegra- lui e gli
altri del suo “commando” lo uccisero (o, come tu scrivi, lo massacrarono)
insieme agli altri prigionieri, secondo gli ordini di Pertini. Tutto
questo è confermato da numerose fonti ben degne di fede, e concordanti.
Mi limito qui ad indicarne una, particolarmente qualificata: la M.O.
della Resistenza Giovanni Pesce, tuttora vivente, e il suo libro “Quando cessarono gli spari” pubblicato anni fa dalla Feltrinelli, che queste circostanze narra nei dettagli senza mai essere state smentite. 2. Quell’uccisione non ebbe affatto il consenso generale, tutt’altro.
Nessuno dei leaders occidentali e ben pochi dei capi partigiani la
volevano, non confondendo certo il Duce con Hitler. Gli Alleati non si
erano affatto disinteressati della sorte di Mussolini. In particolare
gli americani, oltre ad inviare le tre missioni di cui tu parli, avevano
diramato in lungo e in largo, fra i partigiani italiani, l’istruzione
precisa che nel caso lo avessero catturato dovevano consegnarlo
direttamente, e ben vivo, agli Alleati. Gli Alleati riconoscevano in
effetti a Mussolini -come perfino ai criminali di guerra nazisti- il
diritto a un processo. E in quello che si farò, a Norimberga, fra gli
imputati era previsto anche lui, come precisa fra gli altri lo storico
Silvio Bertoldi che nel suo “Norimberga: guai ai vinti” (pubblicato anche come supplemento al n. 14/85 del settimanale “Oggi”) scrive: “A Norimberga avrebbe dovuto esserci anche Mussolini”.
Chiaro che, essendoci una bella differenza fra il Duce e i criminali
di guerra nazisti, era probabile che lui da quel processo sarebbe uscito
vivo, e magari “riabilitato” in tutto o in parte, come ti confermò Longo.
3. Quanto a Nenni, e a tanti altri capi antifascisti, non solo non
diedero il loro consenso all’uccisione di Mussolini, ma non perdoneranno
mai a Pertini quell’“esecuzione” che giudicavano di una degradante vigliaccheria.
Tanto più che, se Pertini era vivo e sano, lo doveva in gran parte
proprio a Mussolini. Quando difatti era stato a sua volta -alti e bassi
della vita- nelle mani del Duce (era stato arrestato e condannato per
cospirazione contro lo Stato) Pertini era gravemente ammalato di
tubercolosi, malattia da cui all’epoca difficilmente si guariva da
liberi, e figurarsi in prigione. Sarebbe stato facile dunque a
Mussolini eliminare definitivamente questo suo accanito nemico, poiché
nessuno si sarebbe sorpreso se in carcere la malattia avesse seguito il
suo corso abituale, e magari Pertini fosse deceduto. E invece il Duce
(sollecitato da Nenni, suo vecchio amico e conterraneo, anche se
diventato suo avversario politico) gli fece fare cure così assidue ed
efficaci da guarirlo completamente, al punto che Pertini è arrivato
all’attuale età in condizioni di salute ed efficienza eccezionali.
4. Anche per l’esposizione di
piazzale Loreto -che resta tuttora una macchia per la nostra Resistenza,
e tanto ha danneggiato l’immagine
dell’antifascismo e del popolo italiano- Pertini fu determinante. Pur
volendo supporre che non abbia ordinato precisamente di appendere
quei cadaveri per i piedi in quel piazzale (cosa comunque difficile da
escludere avendo lui concepito e pilotato fin dall’inizio l’“operazione massacro”)
non c’è dubbio che senza l’esecuzione non ci sarebbe potuta essere
neanche l’esposizione. Vero è che lui ha poi cercato di giustificarsi
sostenendo di essere intervenuto per farla finire. Ma in realtà ad
intervenire, più che
lui, fu Pietro Nenni, proprio nei suoi confronti e in modo durissimo. E
così Pertini dovette muoversi a farli staccare, quei corpi, ma non lo
fece certo a gran velocità, vista l’ulteriore durata dello spettacolo.
Si tratta di un dettaglio ben conosciuto da chi visse da vicino queste
cose, e mi consta personalmente poiché sono stato socio, in una casa
editrice, proprio di colui che a quel tempo ufficiale partigiano e
tuttora ben vivo, aveva tolto materialmente i cadaveri da piazzale
Loreto portandoli in luogo non esposto.
Non bisogna dimenticare inoltre l’intervento del Cardinale di Milano
Ildefonso Schuster, che in quei giorni si era interessato perchè
Mussolini si consegnasse spontaneamente, con garanzia della vita. Costui
affermò:
“Solo i barbari possono permettersi simili gesta”
e si affrettò ad adoperarsi
presso il comando partigiano perchè lo spettacolo avesse fine; come
testimonia fra gli altri Monsignor Angelo Majo, arciprete del Duomo
di Milano. 5. Pertini fece dunque uccidere
Mussolini contro la volontà degli Alleati e della gran parte dei capi
della Resistenza, ingannando quegli stessi suoi compagni partigiani che
avevano catturato il Duce e volevano che restasse ben vivo. 6. Sul perchè Pertini avesse
tanta fretta di uccidere Mussolini, che gli aveva salvata la vita e la
salute, c’è da considerare che all’epoca molti pensavano, a torto o a
ragione, che gli Alleati intendevano rimettere il Duce al vertice dello
Stato italiano, sia pure con poteri limitati (come si regolarono ad
esempio per il Giappone). Ma ciò avrebbe impedito che quella carica andasse invece (come in Jugoslavia per Tito e in Cina per Mao Tse Tung) a un capo partigiano, fra i quali uno dei favoriti era appunto Pertini.C’è poi il mistero dell’oro di Dongo, cioè del tesoro della Repubblica di Salò che Mussolini aveva con sé quando fu catturato, e che scomparve come nebbia al sole. Mistero che non sarebbe stato tale se Pertini non avesse fatto uccidere Mussolini.Quanti hanno cercato di testimoniare su quella sparizione sono stati tutti, a loro volta, “misteriosamente” uccisi. 7. Comunque Nenni non perdonerà
mai il massacro del Duce, e finché lui ebbe peso nella vita politica
italiana (e cioè fino ad una decina d’anni fa, prima che l’età lo
prostrasse) Pertini fu condannato ad una specie di emarginazione tacita
nel Partito Socialista e nella vita politica italiana, tanto da non
avere incarichi politici di rilievo, neanche di semplice ministro. Era
solo, in pratica, l’uomo politico più rappresentativo di Savona e della
sezione socialista di quella città. Sezione che tuttavia -è emerso poi- è
assai ben piazzata per avere la palma della più corrotta fra le sezioni
provinciali di tutti i partiti politici italiani, compresa
la Democrazia Cristiana; visto che diverse decine di suoi esponenti,
dirigenti e membri sono stati messi in prigione o, comunque, incriminati
per intrallazzi particolarmente vasti (caso Teardi). Solo quando
Nenni, invecchiato, perse autorità, Pertini poté riemergere ed avere la
carica di Presidente della Camera, da cui è poi passato a Presidente
della Repubblica
raggiungendo finalmente il vertice dello Stato, sia pure con tre decenni
di ritardo. E quando, dopo qualche tempo, qualcuno ventilò
l’opportunità di una sua dimissione, Pertini replicò: “Hic manebo optime”. Esattamente come aveva risposto a suo tempo Mussolini… Tutto ciò può sorprendere chi è
abituato all’immagine agiografica di Pertini abitualmente diffusa dai
mass media, in Italia e altrove. Ma questa immagine, che pare messa a
punto con estrema cura, si spiega considerando i potenti e vasti
interessi che si servono di essa come efficace copertura dei gravissimi
abusi che prosperano in Italia su vasta scala. Ma la realtà storica -ed io
sono il primo a dispiacermene come italiano- è ben diversa, e non a caso
ha reso improponibile l’assegnazione a Pertini di un premio Nobel per
la pace, che pure era stata ventilata; o che fosse lui a celebrare, con
un discorso ufficiale al Parlamento europeo, la fine della guerra e la
riconciliazione generale… Il più bello è che poi Pertini si prende la libertà di definire “assassino” uno come Scalzone che, fino a prova contraria, non ha mai ucciso nessuno, e del resto non è mai stato incolpato di questo. Che cosa fu, quello di Pertini
ai danni di Mussolini, se non l’assassinio “politico” di un prigioniero
indifeso? Il quale, per di più, quando lo aveva avuto a sua volta in
suo potere gli aveva salvato la vita e la salute, facendolo curare come
lui stesso non aveva saputo fare?
E’ giusto che i lettori de “Le Monde” queste cose vengano a saperle, appunto per obiettività e completezza di informazione. Con vive cordialità.
Stefano Surace
Da parte sua, Sandro Pertini si limitò a ricordare solo quanto segue:
”Quando mi dissero che il cadavere
di Mussolini era stato portato a piazzale Loreto, corsi con mia moglie e
Filippo Carpi. I corpi non erano appesi. Stavano per terra e la folla
ci sputava sopra, urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai: «Tenete
indietro la folla!». Poi andai al CLN e dissi che era una cosa indegna:
giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei
cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori, Marazza, Arpesani,
Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si precipitarono a piazzale Loreto, con
me, per porre fine allo scempio. Ma i corpi, nel frattempo, erano già
stati appesi al distributore della benzina. Così ordinai che fossero
rimossi e portati alla morgue. Io, il nemico, lo combatto quando è vivo e
non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace
per terra“. – Sandro Pertini –
“Nenni venne fatto prigioniero dai camerati in
Francia per 24 giorni, il 5 aprile 1943 viene consegnato dagli stessi,
ai carabinieri italiani al Brennero con l’ordine di accompagnarlo al
confino di Ponza. Tutto questo su ESPRESSA RICHIESTA del suo amico il
DUCE . Dopo il massacro di quest’ultimo, e la rivoltante codardia
partigiana di quel fine aprile 45, lo stesso Nenni scriverà sull’AVANTI,
circa colui che gli salvò la vita.. “giustizia è stata fatta !” Perciò
deduco che Nenni era una merda di uomo”.
“Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche”.
Purtroppo la storia non consola e non ripaga, tanto è
vero che il suo agire lo portò, come attestò e dimostrò Carlo
Silvestri, esponente socialista (ma anche Piero Parini, Renzo Montagna e
altri collaboratori che lavorarono con lui) a salvare praticamente la
vita a quasi tutti i capi della Resistenza, catturati dai tedeschi o ben
individuati nei loro nascondigli, compresi Parri, Lombardi, Pertini,
ecc., fu “ripagato” con le parole di Sandro Pertini, il partigiano
estremista che in quei giorni di fine aprile ’45 sbraitò alla radio che
Mussolini:
Nessun commento:
Posta un commento