lunedì 16 dicembre 2019

Quante vie partirono da piazza Fontana…

Quante vie partirono da piazza Fontana…

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Ma cosa è stata, cosa ha rappresentato la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre ‘69 nella storia e nella vita italiana? Sta lì al centro di un’epoca come cerniera incandescente tra i briosi anni Sessanta e i furiosi anni Settanta, come l’Evento Oscuro per antonomasia, un enorme mistero insoluto che non riusciamo ancora a chiudere definitivamente. Facile liquidarla come una strage fascista, ma poi resta incomprensibile il mistero che la circonda, che la originò e che ha circondato i suoi veri e presunti protagonisti. Ne abbiamo scritto nello speciale di Panorama storia dedicato a Una strage italiana.
Un mistero che si fa ancora più fitto se si considera quella strage come la prima di una lunga, insensata e feroce catena di stragi a Brescia, a Firenze, a Bologna. Se la strage di Milano, a tre settimane dall’assassinio del poliziotto Antonio Annarumma, poteva avere avuto come scopo suscitare una controrivoluzione preventiva contro il caos, l’eversione, l’anarchia, a cui si attribuì in un primo tempo l’eccidio, le stragi seguenti come quella di Brescia o dell’Italicus o della stazione di Bologna a cosa servirono se non a spaventare l’Italia e criminalizzare l’estrema destra? Non si faceva in tempo a dare la notizia e prima di ogni indizio i tg e i giornali già la bollavano come “strage di chiara marca fascista”. Che scopo potevano avere i terroristi di destra a suscitare questa ondata di odio, repressioni e carcere contro se stessi? Il terrorismo nero è una pagina oscura della nostra storia, non si comprendono i confini, le finalità, i collegamenti.
A dover spiegare quelle stragi alla luce del cui prodest, sappiamo per certo che non giovarono all’estrema destra, e tantomeno alla destra politica e parlamentare che nel nome delle “trame nere” si trovò criminalizzata, ricacciata in un ghetto ed esclusa. Agli inizi degli anni Settanta il Msi aveva raccolto un grande successo politico, di piazza e di voti. E le stragi furono la principale arma usata contro il partito di Almirante e l’area di destra per isolarli e demonizzarli per un disegno eversivo di cui erano palesi vittime.
Quelle stragi servirono a riaccendere in Italia la mobilitazione antifascista e a reinserire il partito comunista nel gioco politico attraverso la ripresa del Cln nell’arco costituzionale. E servirono a far nascere nel paese la paura degli estremismi e la necessità di governi consociativi. Meglio un’infame sicurezza che il fanatismo dei terroristi.
In quelle stragi si trovarono invischiati, accusati e scagionati, personaggi di estrema destra, oscillanti tra nazifascismo, anarchia e servizi segreti. Ogni atto terroristico di matrice nera si convertiva in una retata negli stessi ambienti dell’estrema destra. Se c’era un disegno dietro le stragi quel disegno era semmai concepito contro di loro, o comunque passava sopra le loro teste; i neri che vi parteciparono furono piuttosto manovrati, usati e poi gettati dopo l’uso.
Qui subentra il Mistero Profondo della storia italiana: che ruolo ebbero i servizi deviati, gli apparati statali in queste operazioni? Col tempo si parlò anche di matrici straniere, servizi americani, sovietici e medio-orientali; nelle ultime stragi emerse il ruolo della mafia che adottava strategie di diversione. Ma il nodo centrale resta lì e bisogna nuovamente pronunciare la domanda fatidica: furono allora stragi di Stato o comunque di settori dello Stato che rispondevano a grandi registi politici, anche collusi con la criminalità? Gira e rigira non riusciamo a trovare spiegazioni alternative.
Più lineare è stato il terrorismo di matrice comunista, dalle Brigate rosse a Prima linea e agli altri gruppi terroristici di ultrasinistra. Si colpivano obbiettivi mirati, simboli e personaggi-chiave del sistema o giovani militanti di destra. Le Br cercarono pure di far saltare il compromesso storico tra Pci e potere democristiano-capitalistico-atlantico. A lungo negato nella sua matrice comunista, quel terrorismo ha goduto di complicità e omertà assai estese.
Giorni fa è morto il magistrato genovese Mario Sossi che fu sequestrato dalle Brigate rosse nel ’74. Tra le sue indagini imperdonabili, Sossi si era occupato di un personaggio chiave, l’avvocato Lazagna, ex-partigiano ritenuto un ponte non solo simbolico tra la vecchia e la nuova Resistenza. A tale proposito nello stesso ’74 accadde un episodio ad un altro magistrato, Gian Carlo Caselli, che lo raccontò sulla rivista MicroMega: “In quel periodo, ai tempi delle Brigate rosse, non si poteva pensare diversamente che subito si era accusati di essere fascisti. I primi tempi delle inchieste sulle Br io ero trattato da fascista. Di fatto, sono stato espulso da Magistratura democratica – vogliamo dirle queste cose una buona volta? – perché facendo il mio dovere, ho osato portare a giudizio l’avvocato Lazagna (un partigiano doc che assisteva a tutti i convegni di Md”. Caselli aveva emesso su richiesta del pm Caccia, “un mandato di cattura contro Lazagna per collusione con le Br, in base a fatti riscontrati” e perciò, diceva il magistrato torinese “sono stato di fatto “condannato” ed espulso da Magistratura democratica”. Strana storia…
Ma tornando a Piazza Fontana, fu un evento-chiave non solo perché fu l’inizio delle stragi oscure, ma anche perché da lì originò la vicenda Pinelli-Calabresi, la condanna a morte del Commissario da parte di Lotta continua, preceduta da quelle famose ottocento firme contro Calabresi che restano una vergogna della storia civile e intellettuale d’Italia.
Insomma, troppo facile sbrigare Piazza Fontana con la pista fascista e la storia che ne segue come lo svolgimento di una trama nera: quella strage aprì una stagione infame, che fu rossa, nera e oscura, soprattutto oscura.

MV, La Verità 12 dicembre 2019 Marcello Veneziani

                                                                                                                                            

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