domenica 19 aprile 2020

CRIMINI DEI PARTIGIANI : "La Buca del diavolo"

CRIMINI DEI PARTIGIANI : "La Buca del diavolo"


Alla fine della guerra si palesò in tutta la sua evidenza l’odio che trasudava dai partigiani comunisti e assassini, veri e propri mascalzoni assetati di sangue.
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Nel loro delirio di onnipotenza compirono ogni genere di nefandezze, macchiandosi di crimini di tutti i tipi, a partire dal furto sistematico dei beni di proprietà delle loro vittime (con cui iniziarono fiorenti attività commerciali), alla tortura e alle mutilazioni, espressioni degli istiniti bestiali e sadici che animavano i “prodi” combattenti partigiani comunisti, più simili a iene sanguinarie che ad esseri umani, allo stupro di donne indifese, compreso le bambine, che venivano violate anche per intere giornate a turno.
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Le vendette personali costituivano un altro tassello di questo terribile quadro di insieme, oltre ad una smania incontrollabile di potere, estorto sempre con la violenza cieca e irrazionale.
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E’ in questo panorama di sangue e di violenza che il 23 mqggio del 1945 si consumò l’eccidio cosiddetto della “Buca del diavolo” in località Gesso, lungo il Lavino, ad opera di partigiani comunisti vigliacchi e assassini.
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La Storiografia ufficiale tenta ancora oggi di nascondere questi misfatti, con la complicità del PD e degli eredi di Togliatti, il comunista che armò la mano di questi delinquenti, ed è tutt’ora difficile riuscire a trovare notizie dell’accaduto.
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Il PD (che possiamo definire come la metamorfosi del vecchio PCI) ha fatto in modo che sull’accaduto calasse una coltre di silenzio e di omertà, consapevole dell’efferatezza e della ferocia palesata dai suoi stessi “compagni” partigiani e assassini.
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Criminali comunisti partigiani che sfilano insieme a Palmiro Togliatti, il loro leader e protettore
Non a caso, ancora oggi, i politicanti del PD inneggiano al criminale Pamiro Togliatti, denominandolo con il vezzeggiativo di “il Migliore” , intitolandogli anche vie e piazze.
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A contrastare tutto ciò, esiste però una parte di popolazione che conoscendo la tragica verità opera in modo che sia mantenuto il ricordo e la memoria delle vittime, promuovendo cerimonie di commemorazione.
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In questo caso specifico l’evento commemorativo si è svolto il 22 maggio, con la partecipazione del neo parlamentare di Forza Italia, Galeazzo Bignami, e di quei cittadini che, ribadendo un principiò di libertà e di giustizia, vogliono mantenere vivo il ricordo delle vittime della ferocia comunista, stigmatizzandone l’operato e la ferocia.
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Il quotidiano "il Resto del Carlino" ha contribuito con un doveroso trafiletto, in cui racconta quel delittuoso misfatto :
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Da "Il Resto del Carlino" di Venerdi 23 Aprile 2004:
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DALLA "BUCA DEL DIAVOLO", QUELLA NOTTE, SALIRONO ATROCI LAMENTI
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Uno era seppellito a terra fino al collo, la testa gonfia come un cocomero per le percosse subite prima e dopo la morte.
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Gli altri quattro erano legati con fil di ferro ai pioppi a pochi metri di distanza :
gli occhi e le unghie strappate, il corpo e il volto sfigurati da un giorno e una notte di sevizie.
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Li trovarono cosi', due giorni dopo essere stati prelevati da casa da quelli che lo stesso Adolfo Belletti, storico della Resistenza zolese, definisce partigiani.
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Erano alla tristemente nota 'buca del diavolo', una piccola gola scavata dal Lavino [foto omessa] e da un rio affluente a valle della frazione di Rivabella dove il 30 gennaio era stato trovato ucciso a colpi di pistola il podesta' del comune di Monte San Pietro, Vittorio Torri.
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Per un giorno intero, a partire dalla notte del 23 maggio 1945, i contadini della vallata del Lavino restarono con le finestre e gli scuri sbarrati nell'inutile tentativo di smorzare gli urli e i rantoli di Gaetano e Vincenzo Nadalini, Pietro Montanari, Ferruccio Zocca e Guido Cocchi.
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I primi quattro erano stati arrestati all'indomani del 20 aprile e poi scarcerati “perche' nulla era emerso a loro carico”  scrisse Valentino Cuccoli.
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Secondo Adolfo Belletti essi “...si erano particolarmente distinti per le bastonature e le purghe all'olio di ricino...”.
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Guido Cocchi non era 'colpevole' neppure di questo.
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Era il capo fabbrica delle Officine Maccaferri e una memoria scritta narra del suo prelevamento fino al ritrovamento del suo corpo.
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Le indagini che seguirono si scontrarono con il muro impenetrabile fatto di paura e di desiderio di cancellare quella che e' senza ombra di dubbio la pagina piu' tremenda della storia di Zola, dove oggi, vivono ancora figli e nipoti di vittime e  carnefici.
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Gabriele Mignardi
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A corollario di questo articolo sottolineo che Guido Cocchi fu ucciso per vendetta, poiché decise il licenziamento di una donna sorpresa a rubare (alla Maccaferri), come riportato nel libro “Testimone - Notte di passione” a cura di Piergiorgio Ferioli.
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Dissenso

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