DA OGGI IL DISPACCIO LO PUOI ASCOLTARE!
«Una sola cosa conta: avere una vita valida, affinare la propria anima, avere cura di essa in ogni momento, sorvegliarne le debolezze ed esaltarne le tensioni»
Léon Degrelle
In piena emergenza da c.d. “Coronavirus”, le riflessioni sono tante. Ci si interroga sulla sua effettiva mortalità, sui soggetti più o meno vulnerabili, sull’atteggiamento più giusto da assumere: se più cauto o meno, come – in fondo spontaneamente – consigliano i 20 anni, prima che subentri la mediocrità piccolo-borghese, che tarla le anime dall’interno.
È la stessa mediocrità della vigliaccheria – che nulla ha a che fare con la prudenza – delle tristi corse ai supermercati, delle fughe e dei treni presi d’assalto, dell’incapacità di formulare un pensiero con la dovuta lucidità, quando qualcosa minaccia la regolarità della quotidianità.
In fondo, è la stessa vigliaccheria del 25 luglio 1943, quella per la propria pelle.

Virus per il borghese piccolo piccolo


Il borghese si è ricordato di non essere immortale, insidiato da un nemico invisibile. Egli ha toccato con mano tutta l’inutilità dei dott./avv./prof./pres., che gli davano tanta sicurezza.
Deve ora fare i conti con le conseguenze dell’illusione di essere venuto al mondo per caso, libero da responsabilità, per massimizzare il proprio godimento e, in fondo, consumare senza sosta.
Addirittura i suoi cari, quelli a cui telefona per «non uscire, ché c’è il Coronavirus» sono, in fondo, l’estensione biologica della sua sicurezza.
Vivere per godere, vivere per vivere: il ‘bios’
Tale modo di vivere, imbevuto di istinto di autoconservazione, è quello tipicamente liberale e democratico, consumista, dunque moderno, in senso meramente biologico, che gli antichi chiamavano bios. È la vita intesa quale mera vitalità e fonte di godimento: tanto più genera benessere, tanto più vale e va conservata solo in quanto può regalare continui momenti di godimento e soddisfazione, che ne diventano il fine stesso.
Tale modo di vivere regala l’ebbrezza della perpetuità nella consumazione del piacere, momentanea, e nella continua ricerca spasmodica di altro appagamento, procedendo all’indefinito. Chi vive così, rifugge e scansa costantemente il pensiero della morte, da cui gli deriverebbe tutta la vacuità del proprio intendere e del proprio agire, senza rendersi conto che proprio il vivere in questa maniera rappresenta la morte stessa.


Non a caso, tale concezione, fondata sul godimento, è proprio quella alla base di tutte le ideologie della morte. Tra le stesse, la prima è l’abortismo, che giustifica l’omicidio di un essere perché il nascituro limiterebbe le possibilità di godimento dei propri genitori, o ancora l’eutanasia, per cui la vita del malato si suppone inutilmente protratta, poiché egli non può rivendicare per sé alcuna aspirazione, divenendo, così, un’inutile bocca da sfamare.

Vivere per trascendere, vivere per lo Spirito: lo ‘zoon’



Tale dinamicità può essere vissuta solo nella fermezza di una concezione della vita in senso universale ed integrale, dunque tradizionale; quella che gli antichi chiamavano zòon: «io sono la Via, la Verità e la Vita» – «ego eimì me odòs kài me alètheia kài me zòon» dice il Cristo (Giovanni 14:6). Una vita che diviene Vita se, fondata nella Verità, è anche una Via. È la visione del mondo eroico-sacrale, per cui la vita vale in quanto esprime una possibilità del Princìpio, che al Princìpio ricongiunge. È la vita quale Via guerriera, in quanto battaglia, in quanto vittoria.
La vita che medita costantemente sulla morte, al fine di trovare sempre il proprio senso profondo, ma che ne rifiuta a priori le ideologie.
È la vita fatta di dono, di slanci e di gioia.

Basta un virus a minare le “certezze” del Progresso

Eppure, ancora una volta, con l’emergenza ‘Coronavirus’, il bios si è affermato istericamente sullo zòon, armato di amuchina e scatolame, con pieno beneficio delle logiche del consumo.
Il sistema capitalista si è fatto gioco, ancora una volta, della paura della morte di migliaia di consumatori, egoisti e suscettibili, e ha inferto un altro colpo al suo nemico più grande: la Visione sacra della vita. Il sintomo più evidente di tutto ciò è stata la sospensione delle Messe, senza alcun tipo di opposizione. Se qualcuno avesse avuto mai dubbi, oggi abbiamo definitivamente la conferma: la vita spirituale è ritenuta “accessoria, perché non è remunerativa”.

Allora, poiché veramente la Tradizione è il centro della nostra vita, dobbiamo dimostrare a noi stessi l’effettività di tale radicamento.

Affrontare la quarantena come la trincea



Contribuiamo alla lotta con forme nuove o in parte inedite – vedi Anti-Virus, la web-tv di AzioneTrazionale.com contro l’epidemia della disinformazione -, scriviamo articoli e riflessioni, elaboriamo nuove iniziative, facciamo critica di noi stessi e dell’attività fin’ora svolta dalla comunità, per apportarvi miglioramenti. Insomma, per ogni militante, sia questo un periodo di sano ‘rientro in se stessi’, riscoprendo la dimensione di cui i forsennati ritmi della modernità ci hanno privato.
E’ dunque ancora più necessario e fondamentale conservare lo spirito guerriero che deve contraddistinguerci: la calma è apparente, è solo una pausa che precede la tempesta o, meglio ancora, è la prima fase della tempesta stessa. E’ la fase che può far pensare che nulla si può fare perché tutto è fermo, quando invece molto può essere fatto, prima di tutto nei confronti di noi stessi e della nostra tenuta.
Riscopriamo l’essenzialità, sperimentando molto in piccolo, molto alla lontana, quella condizione di guerra (da guerrieri, non da guerrafondai) che, con la tensione data anche da una condizione mentale di limitazione, e dalle angustie ci riporti a una maggiore semplicità.


Cerchiamo il silenzio e la solitudine, chiediamoci «chi sono io?», «perché sono qui?», non cerchiamo nei display delle uscite d’emergenza dalla mediocrità. Incanaliamo le pulsioni, interroghiamole e sublimiamole, ritroviamo la nostra Vita, il nostro zòon, dimostriamo la nostra tenuta in un momento che può dissolverci nella più totale passività o elevarci nel coltivare, in questa apparente morìa, la tensione della trincea.

Codreanu trovò in carcere un senso di superamento


Con le dovute proporzioni, è questo l’esempio da seguire.
Questo sia per noi un’occasione di verifica: è in momenti tali, che si distingue chi ha vissuto la militanza come una scuola di vita, dunque come una Via, o, al contrario, come un dopolavoro.
Ricordiamoci che questo isolamento non è veramente nulla rispetto a quanto è stato richiesto ai nostri coetanei di ottanta anni fa, che hanno vissuto la desolazione ed il terrore di una guerra combattuta sul campo.
Eppure, proprio dalle pagine di Militia, che Degrelle ha segnato con il fuoco del fronte russo, impariamo come le anime nobili sappiano crepitare.
Consigli di lettura