ONU smentisce la sinistra: migranti non sono profughi
L’ONU smentisce le balle raccontate agli italiani dalla sinistra:
i migranti non sono profughi, non fuggono dalla fame e dalla guerra e
la metà di loro aveva un lavoro nel Paese dal quale ha finto di fuggire. Chi li chiama profughi mente: sono clandestini, migranti economici puri e semplici. Il dossier sul Fatto: partono per cercare fortuna, “in Gambia avevo una vita confortevole”
Gli agricoltori a Conte: “Chiarezza e controlli su prodotti dall’estero”
La lettera di Realtà Popolare al presidente del consiglio: "Regolarizzare gli arrivi per sostenere l'agricoltura meridionale"
di
Aldair
“Mi
rivolgo a lei perché, rappresentando tutto il governo, potrà farsi
portavoce contemporaneamente presso i dicasteri di competenza per
valutare le nostre istanze. In queste ultime settimane ho più volte
scritto al ministro Bellanova, la quale, pur tralasciando le differenze
di visione politica che non ci accomunano, non ha preso in
considerazione le pubbliche istanze della categoria degli agricoltori
che istituzionalmente dovrebbe rappresentare”. Inizia così la lettera
che Michele Latella, responsabile nazionale per le politiche agricole di
Realtà Popolare, ha indirizzato direttamente al presidente del
consiglio Giuseppe Conte.
Latella ha scritto: “In questi mesi si è parlato della carenza di
farine, questo perché alle navi cargo non conveniva intraprendere un
viaggio e restare in quarantena per consegnare il grano al solito
prezzo. A quel punto la task force dell’agricoltura avrebbe pensato a
statalizzare il prodotto italiano, cosa mai né smentita e né confermata
dal ministro Bellanova. Comunque, dopo un lieve rialzo del prezzo del
cereale italiano rivelatosi inutile se non per delle scorte che senza
conferma genetica sono passate per prodotto locale, l’arrivo di sette
navi al porto di Bari sta provocando nuovamente un ribasso del prezzo ai
minimi termini, creando panico e tensioni tra gli agricoltori del
mezzogiorno”. E ancora: “L’economia del Mezzogiorno, reggendosi
principalmente sulla coltivazione del grano, ha spinto gli agricoltori
al panico come successe prima della sentenza del 5 marzo 2009 che
condanno 26 pastifici per l’uso di farine contaminate. Ora gli
agricoltori chiedono ai ministri che dovrebbero tutelare la salubrità
dei prodotti alimentari locali e esteri di potere essere messi in
condizione di fornire un’alternativa cerealicola locale. Se gli
agricoltori non verranno messi in condizione di poter produrre un
prodotto locale con costi di produzione e burocratici inferiori ne
soffrirà anche il settore della ristorazione che specialmente adesso non
vive un florido periodo. Contemporaneamente nessuna piccola e media
azienda potrà trovarsi nelle condizioni di regolarizzare la manodopera
tantomeno stagionale”.
Infine la richiesta: “Realtà Popolare le chiede di intervenire nel
prossimo decreto, congiuntamente al Ministro degli Esteri per
regolarizzare gli arrivi e i contratti che vengono fatti, al Ministro
della Salute perché vengano fatti i controlli qualità e infine al
Ministro delle Politiche Agricole per tutelare sia i cerealicoltori che i
consumatori”.
Grazie alla rimozione voluta della memoria e al
bombardamento pluridecennale di film e romanzi nei quali abbiamo toccato
i due estremi dell’auto-denigrazione e della cieca esaltazione dell’ex
nemico, divenuto, chi sa come, il nostro grande amico e alleato, la
maggior parte degli italiani ancora oggi ignora che non sempre gli
americani ci hanno soverchiati con la loro poderosa macchina militare, e
che il nostro esercito non sempre è stato costretto ad alzare
miseramente bandiera bianca di fronte ad essi. Anche persone di una
certa cultura, probabilmente, non hanno mai sentito parlare della
battaglia del Passo di Kasserine, in Tunisia, del febbraio 1943, nella
quale le forze italo-tedesche hanno inflitto una pesantissima sconfitta
all’esercito americano da poco sbarcato sulle coste del Marocco e
dell’Algeria, e mirante a ricongiungersi all’Ottava Armata britannica,
già vittoriosa (grazie alla sua schiacciante superiorità in uomini e
mezzi) ad El Alamein; una sconfitta che, dopo pochi giorni di duri
combattimenti, assunse le proporzioni, materiali e anche morali, di una
vera e propria disfatta. Questo, i libri di testo e i nostri professori
di liceo si sono dimenticati di raccontarcelo: che a soli pochi mesi
dallo sbarco in Sicilia, antefatto del crollo dell’Italia e del
disonorevole armistizio dell’8 settembre, i nostri soldati, insieme ai
loro camerati tedeschi e sotto l’eccellente direzione tattica e
strategica di due generali germanici, Rommel e von Arnim, seppero
battersi come leoni e fecero mordere la polvere ai soldati americani
giunti fin laggiù gonfi di boria e convinti che, grazie al loro numero,
all’efficienza logistica e alla disponibilità pressoché inesauribile di
armi e materiali, non avrebbero dovuto quasi combattere, ma si sarebbero
impadroniti di tutto il Nord Africa senza colpo ferire.
Questo episodio, e anche il ruolo notevole svolto dalle truppe italiane, specialmente dalla divisione corazzata Centauro
e da due reggimenti di bersaglieri, è stato rievocato da una delle
storie militari della Seconda guerra mondiale più obiettive, o, se si
preferisce, delle meno tendenziose, diffuse fra il grande pubblico: La seconda guerra mondiale del giornalista e storico Raymond Cartier (titolo originale: La seconde guerre mondiale,
Paris, Librairie Larousse e Paris Match, 1965; traduzione dal francese
di Edmondo Aroldi, Milano, Mondadori, 1968, 2012, vol. 2, pp.130-132):
L’offensiva tedesca inizia il 1° febbraio. Riunite sotto il
comando di un luogotenente di von Arnim, il generale Heinz Ziegler, la
10a e la 21a divisione corazzate cacciano gli
americani dal colle di Faid, chiudendo il balcone che si erano aperti
sulla piana di Gabès. Il 14 riprende l’offensiva. Con 200 carri, Ziegler
prepara una manovra a tenaglia attorno alla località di Sidi-abu-Zid,
un quadrato di case bianche ai piedi della dorsale orientale.
L’avversario è la 1a divisione corazzata americana con forze
equivalenti ma esperienza bellica di gran lunga inferiore. Un debole
contrattacco fallisce. Accerchiati, molti battaglioni si arrendono. 112
carri americani vengono distrutti o catturati. Ike [Dwight D.
Eisenhower] vacilla sotto il colpo. Di ritorno da un giro d’ispezione al
fronte, inalberando per la prima volta la sua quarta stella, stava
visitando le rovine di Timgad nel momento in cui la sua migliore
divisione crollava! Anche in America si dice che egli eccelle solo nella
politica e che dovrebbe cedere le operazioni militari al suo assistente
inglese, generale Alexander. Rommel ha partecipato all’offensiva.
Lasciando le sue truppe non motorizzate sulla linea del Mareth, egli ha
formati con l’Afrika Korps un raggruppamento del valore di una divisione
corazzata con la quale ha marciato su Gafsa. Non ha dovuto combattere
perché la città era stata evacuata dagli americani che si ritiravano
precipitosamente su Tebessa. È una nuova rapida avanzata, tra gruppi di
arabi che acclamano i tedeschi e spogliano i cadaveri. I carri armati
arrivano all’aeroporto di Thelepte tra le fiamme di 30 aeroplani che gli
americani hanno incendiato all’ultimo minuto. Il 17 febbraio Rommel è
ai piedi della dorsale occidentale, davanti al passo di Kasserine, in
collegamento con Arnim che ha appena preso Sbeitla, al centro del
pianoro. Tutto il sud del fronte alleato è crollato. Ma la discordia
regna nel comando tedesco. Rommel, che ha fatto 120 chilometri in tre
giorni, non può comprendere perché von Arnim ne ha fatti appena 30 e
cosa egli aspetti per sfruttare la sua vittoria di Sidi-abu-Zid. Ignora
che Arnim intende spostare il suo sforzo a nord con un’offensiva
frontale nella valle della Megerda, mentre lui, Rommel, fedele alla
tattica del deserto, concepisce la continuazione delle operazioni sotto
forma di un vasto movimento aggirante verso Tebessa e ulteriormente
verso Bona, nell’intento di piombare sulle comunicazioni del nemico e
costringerlo ad evacuare precipitosamente la Tunisia. Gli arbitri,
Kesselring e il comando supremo, sono a Roma. Rommel invia loro il suo
capo di stato maggiore, Bayerlein, e attende febbricitante le loro
decisioni. Arrivano all’una del mattino del 19 febbraio, recandogli
insieme una soddisfazione e una delusione. Vengono poste ai suoi ordini
alcune divisioni corazzate, ma il comando supremo trova troppo ardita
l’idea del movimento aggirante verso Tebessa. Il maresciallo Rommel
dovrà tenersi più ad est, marciando solo su Le Kef, al fine di non
divergere troppo dalla 5a armata corazzata. Rommel deplora la
riduzione della sua manovra, ma non può protrarre la discussione. Il
tempo stringe. Il nemico si rafforza. Bisogna colpirlo. L’offensiva tedesca comincia l’indomani. Rommel ha deciso di
attaccare simultaneamente i colli di Sbiba e di Kasserine, libero di
trasferire il suo sforzo principale nella zona più propizia. Da Sbeitla
la 21a divisone corazzata marcia verso Sbiba. Attraverso
Kasserine il Deutsche Afrika Korps si impegna nei solchi dell’uadi Hatab
che conducono al colle. La 10a divisione corazzata e la
divisione italiana “Centauro” sono di riserva, pronte a portarsi a
destra o a sinistra. La terra inzuppata di pioggia si appiccica ai
cingoli dei carri; una fitta nebbia ritarda l’alba e sopprime l’aurora.
Ancora una volta i combattenti sono circondati dall’Africa gelida. Sui
colli, gli Alleati sono ancora in piena improvvisazione. A Sbiba, un
distaccamento del 19° corpo viene affrettatamente rinforzato con
elementi della 6a divisione corazzata britannica. A Kasserine,
il colonnello americano Stark assume, alle 6 del mattino, il comando del
settore. Non ha con sé che un battaglione del 26° fanteria, un
battaglione di carri e una batteria di vecchi 75 francesi. Occorrono
rinforzi, ma il comando esita a sguarnire gli altri settori, avendo
l’impressione che l’attacco principale si produrrà più a nord, verso
Fonduk o Pont-du-Fahs. Fortunatamente per gli Alleati, i tedeschi
partono da troppo lontano. La 21a divisione corazzata avanza
verso Sbiba con una lentezza che irrita Rommel. Al colle di Kasserine
egli aveva contato sull’azione di sorpresa del 3° battaglione da
ricognizione, ma 200 motociclisti sono veramente un distaccamento troppo
debole per stanare un nemico munito di artiglieria. La battaglia inizia
solo alla fine del pomeriggio. Quando cade la notte, l’Afrika Korps ha
preso una bicocca, il bordj Chami, a 1000 metri dal colle. Ma la linea
delle creste resta agli Alleati. L’indomani cade il colle di Kasserine. I
bersaglieri della divisione “Centauro” hanno brillantemente compiuto
l’assalto finale. 2450 prigionieri validi contro 192 caduti: gli
americani dimostrano che il loro ardore combattivo lascia a desiderare.
Kesselring raggiunge Rommel sul colle e i due marescialli passeggiano
in mezzo a una quantità impressionante di materiale abbandonato.
“Abbiamo molto da imparare da loro” dice Rommel facendo notare la
perfezione del sistema di standardizzazione americano. “Sì” risponde
Kesselring “ma anche loro hanno qualcosa da imparare da noi!”
Pur facendo una certa confusione fra la 131a Divisione corazzata Centauro,
che all’epoca disponeva di soli 23 carri, e i bersaglieri del 5° e del
7° Reggimento, impegnati in duri scontri ravvicinati con gli americani
(il colonnello Luigi Bonfanti, comandante del 7°, cadde eroicamente in
combattimento), lo storico francese riconosce il valore e l’efficacia
della partecipazione italiana alla battaglia del passo di Kasserine, che
si risolse nella più grande sconfitta tattica dell’esercito
statunitense di tutta la Seconda guerra mondiale, con una precipitosa
ritirata di 140 km. in una sola settimana. Forse se ne ricordarono bene
gli americani, qualche mese dopo, durante lo sbarco in Sicilia, allorché
si vendicarono facendo fucilare sul posto, contro ogni legge di guerra,
prigionieri italiani e tedeschi catturati nel corso della battaglia per
la conquista dell’isola, nel tristemente famoso massacro di Biscari
del 10-14 luglio 1943, nel quale vennero passati per le armi 12 civili
italiani, 76 militari italiani e alcuni soldati tedeschi, dopo che si erano arresi.
Si trattò di due episodi distinti, una prima strage ordinata dal
capitano Compton, e una seconda perpetrata dal sergente West, denunciati
da un cappellano militare e che provocarono un’inchiesta, al termine
della quale West fu condannato da una corte marziale, ma poi subito
rimesso in servizio, mentre Compton venne assolto. Entrambi si
giustificarono adducendo di aver preso alla lettera una frase
pronunciata dal generale Patton alla vigilia dello sbarco: Se si arrendono solo quando gli sei addosso, ammazzali! E questi sono i signori che vollero il tribunale di Norimberga…
Le truppe italiane, che si batterono con valore fino a quando il
fronte interno resse e il Comando supremo, che pur non aveva mai
brillato per genialità o per fermezza, continuò ad esistere a a
impartire direttive, non si macchiarono di simili atrocità, pur
battendosi in condizioni materiali e psicologiche assai meno favorevoli
di quelle che assistettero gli americani e gli inglesi nel 1943, prima
in Tunisia e poi in Sicilia. Eppure quanti giovani italiani, e anche
meno giovani, sanno che le nostre forze armate, ancora nel febbraio del
1943, a sei mesi dal crollo, erano ancora capaci di battersi con ardore e
sprezzo del pericolo, e che fecero vedere i sorci verdi all’esercito
più potente che il mondo avesse mai visto? Praticamente nessuno. Eppure
sarebbe stato dovere degli storici, dei giornalisti, dei registi e degli
scrittori tramandare quelle gesta, non per ottuso spirito
nazionalistico, ma per rispetto della verità e per onorare quanti
caddero sul campo dell’onore, sacrificando la vita per ritardare la
sconfitta e l’invasione della patria con l’orrore dei bombardamenti
aerei sulle città indifese. In un Paese normale, il cui popolo possieda
sufficiente coscienza di sé e abbastanza fierezza da non vergognarsi
della propria storia e delle proprie tradizioni, comprese quelle
militari, l’eroico sacrificio dei carristi e dei bersaglieri del passo
di Kasserine sarebbe stato tramandato alla memoria delle nuove
generazioni: sarebbero stati scritti dei saggi storici e anche, perché
no, dei romanzi, e girati dei film, e tenute delle conferenze. Invece
qualcuno, a partire dal 1945, decise che l’Italia doveva tirare un rigo
su tutte queste magnifiche pagine di valore, e che doveva essere
tramandata solo la memoria di quanti combatterono per la “libertà”: vale
a dire che bisognava creare il mito della Resistenza, di una lotta
nobile e pura per altissimi ideali, occultando l’atroce realtà di una
belluina guerra civile, nella quale italiani massacrarono altri
italiani, comprese donne e ragazzi, e incrudelirono soprattutto dopo la
resa dei vinti, calpestando ogni legge umana e divina per perpetrare le
più efferate vendette. Il modello era sempre, guarda caso, quello dei
tanto strombazzati “liberatori”, quello di Patton, che aveva incitato i
suoi soldati a non mostrare pietà e a massacrare anche quelli che si
erano già arresi. Così, gli eroi di Kasserine, come il colonnello
Bonfanti, e quelli di altre cento e cento battaglie, dalla Grecia alla
Russia, dall’Egitto all’Etiopia, e quelli caduti nei cieli e nei mari di
tutto il mondo, vennero rimossi, o ricordati solo malvolentieri e a
denti stretti; mentre si fabbricarono degli eroi di cartapesta, i
partigiani comunisti, molti dei quali furono dei veri e propri
criminali, che avrebbero meritato non gli onori dei libri di scuola e,
addirittura, le medaglie al valore, ma un tribunale che li giudicasse
per le atrocità delle quali si erano macchiati. Così il popolo italiano,
dopo il 1945, è stato cresciuto con una educazione alla rovescia e con
una consapevolezza totalmente distorta dei suoi padri e del suo passato
recente: si è dato a intendere che i valorosi combattenti di Culqualber,
di Nikolaiewka, di El Alamein, avevano sacrificato la vita, nel
migliore dei casi, per un ideale sbagliato, mentre non esiste ideale più
alto, per un soldato, che l’amor di patria, indipendentemente dal
governo che esiste in quel momento storico e dalle finalità strategiche e
politiche per cui la guerra viene combattuta. Non aver capito ciò o
averlo capito tanto bene da volerlo cancellare dalle coscienze è il
crimine di cui si è macchiata, fin dal suo sorgere, la Repubblica
italiana nata dalle rovine di una sconfitta che fu umiliante solo per il
modo in cui avvenne, con la doppiezza, l’inganno e il tradimento, e col
misero opportunismo di voler saltare, all’ultimo minuto, sul carro del
vincitore. Tale fu il prezzo che l’Italia ha pagato per essere accolta
nel consesso delle nazioni, col trattato di Parigi del 1947: e ne fa
fede il vergognoso articolo 16, che impone il condono preventivo ai
traditori, evidentemente persone grate ai vincitori.
Tratto, col gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.
Non siamo né complottisti, né catastrofisti ma semplicemente realisti e perciò valutiamo le cose per quelle che sono secondo la nostra sensibilità politica dettata dall’ispirazione dottrinaria che ci fa essere consapevoli di perseguire una continuità ideale con quei principi che cercarono (ed in parte riuscirono) di preservare lo spirito mediterraneo ed europeo proprio della Civiltà di Roma. Premesso questo dobbiamo valutare l’attuale situazione in un contesto di guerra liquida globale promosso da centrali del terrore che una volta si sarebbero definite demoplutocrazie giudaicomassoniche ed oggi, forse meno enfaticamente, riguardano l’elite oligarco-finanziaria globalista che ha il suo perno – piu’ che mai – nell’asse atlantista governata dall’imperialismo nord americano con il supporto anglofono e sionista.
Senza entrare nel merito di approfondite analisi che non ci competono e su cui lasciamo scrivere persone alquanto piu’ competenti in termini strettamente tecnici non possiamo non rilevare che:
é in atto una contaminazione da virus che sta devastando – oltre alla popolazione anzitutto – l’economia mondiale certamente ma che colpisce in modo significativo senza dubbio il continente europeo ed in particolare l’Italia che é tra gli anelli piu’ deboli della cosiddetta “unione di eurolandia” e che andrà a fiaccare le nazioni francese e tedesca che stavano mostrando (tiepidi) segnali di contrasto al dominio d’occupazione statunitense
misure di contenimento del contagio (amplificato dal mainstream della comunicazione embedded o – per dirla all’italiana – dalla propaganda di comunicazione di massa gestita da una piattaforma giornalistica omologata ed univoca) tali da essere percepite dalla popolazione come necessarie ma che di fatto limitano le libertà individuali e d’impresa
é prossimo l’avvio di una esercitazione militare d’altri tempi che prevedeva in un primo momento la presenza di oltre 20.000 soldati nord americani (forse ora leggermente ridotti ma non ci sono comunicazioni ufficiali a proposito dal comando USA !) e gli “alleati” soprattutto del centro europa (fortunatamente gli assetti italiani non ne faranno piu’ parte…….secondo le indicazioni del nostro ministro della difesa); c’é da chiedersi quanto meno l’opportunità di far circolare e far arrivare tanti uomini nel momento in cui si chiede il sacrificio ai comuni cittadini di non uscire di casa……
l’incapacità di reazione della casta politica (maggioranza ed opposizione) rispetto ad arroganti ed unilaterali chiusure di collegamento statunitense da e per l’Europa (a parte però i suddetti soldati a stelle e strisce !) che dovrebbero convincere unilateralmente gli stati europei a indicare a Washington che la misura é colma e richiedere perciò la chiusura immediata di tutte le basi americane sul territorio europeo e la partenza immediata di tutte le truppe di occupazione di stanza in tali basi
Forse abbiamo dimenticato altri punti ma rimane la percezione sgradevolissima di essere di fronte ad uno scenario di assoggettamento di massa ad una condizione ritenuta quasi ineluttabile e che – viceversa – avrebbe bisogno di trovare dei punti di riferimento rivoluzionari che però al momento non si intravedono perché nel corso degli ultimi decenni sono state lentamente smantellate convinzioni ideali (ricordate la “fine delle ideologie” dichiarate solennemente al triste congresso di Fiuggi……e ancor prima alla bolognina………) che avrebbero potuto tenere in vita organizzazioni capillari di resistenza e militanza attiva che ora non esistono piu’ e che nessuno piu’ é riuscito a riproporre.
Detto ciò siccome Noi rimaniamo e vogliamo rimanere UOMINI LIBERI, SOCIALI, NAZIONALI ED EUROPEI, invitiamo coloro che ancora si ritengono tali a costruire il piu velocemente possibile una nuova struttura patriottica di resistenza europea pronta ad ogni evenienza.
Ecco qua alcune delle cose che Mussolini ha fatto... a chi gliene venissero in mente altre...
ACQUA: per tutta la vita cercò acqua potabile e creò molti acquedotti ANALFABETISMO: eravamo i primi in Europa e diventammo gli ultimi nell’analfabetismo AGRICOLTURA: bonificò milioni di ettari di terreno, rendendoli da incolti, fertilissimi ANIMALI: puniva chi li maltrattava ARCHEOLOGIA: la sviluppò in tutti i suoi rami ARCHIVI: nel 1923 istituì gli Archivi StataliASFALTO: fu il primo ad averlo utilizzato ASSEMBLEA: amava le assemblee con gli stranieri, fondò la FAO ASSISTENZA: creò l’opera per la Maternità e per l’Infanzia per l’assistenza di tutti: piccoli e grandi ATEISMO: fu il primo che fece sentire il nome di Dio e della Chiesa in Parlamento ATLETICA: ci volle tutti atleti, fece iniziare la ginnastica dall’asilo fino alla maturità AUTARCHIA: siamo stati i primi nel mondo a vivere alcuni mesi in perfetta autarchia BIBLIOTECA: volle in tutti i paesi d’Italia la biblioteca a disposizione di tutti BRIGANTAGGIO: la mafia e la camorra in Italia furono completamente eliminate CALCIO: fece del gioco del Calcio il gioco nazionale, l’Italia vinse due titoli mondiali CARBONE: fece scavare carbone in tutte le regioni d’Italia CASA: forse la preoccupazione piu’ grande per il Duce fu la casa per tutti, costruì le case popolari per i poveri CHIESE: ne costruì a migliaia CINEMA: lo amava, fece costruire Cinecittà CIRCEO: un borgo antico abbandonato che il Duce fece rinascere come Parco Nazionale CITTADINE E COMUNI COSTRUITI DA MUSSOLINI IN 10 ANNI: Latina, Aprilia, Sabaudia, Pomezia, Guidonia, Ardea, Ostia Lido, Fregane, Palo, Ladispoli CITTA’ GIARDINO: ogni città italiana possiede un giardino detto Mussoliniano CONSORZI: fondò i consorzi agrari al servizio degli agricoltori DESERTO: fece del deserto libico una zona ad altissima produzione agricola DIGHE: ne fece costruire molte per raccogliere le acque DITTATURA: quella del Duce non fu una dittatura, ma una Democrazia popolare DOPOSCUOLA: fondò i doposcuola per completare la preparazione degli alunni ENCICLOPEDIA: il Duce è l’autore della piu’ grande e piu’ completa enciclopedia del mondo (Opera Omnia) ESPORTAZIONE: i nostri prodotti agro-industriali venivano esportati all’estero ETIOPIA: l’impero coloniale sospirato dal Duce per il popolo FERROVIE: moltiplicate FINANZE: corpo istituito dal Duce, prima non era militarizzato FORESTALE: altro Corpo istituito dal Duce GIORNALE: creò 7 giornali GUARDIE: fondò la milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale ILLUMINAZIONE: al Duce piaceva la luce, illuminazioni in città e paesi LIRA: aumentò il valore della lira MILLE MIGLIA: creazione del Duce MONZA: circuito ideato da Mussolini PANE: per avere il pane per tutti vinse la battaglia del grano PINO, PIOPPO, ABETE: piante predilette dal Duce che distribuiva in tuta Italia PREVIDENZA SOCIALE: in ogni città sorse il Palazzo della Previdenza Sociale RADIO: Mussolini amava la radio e il suo inventore aiutato da lui REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA (R.S.I.): fu un bene operato dal duce per la salvezza della Patria RICERCHE: fondò l’istituto delle Ricerche ROMA: la passione del Duce, ne fece una metropoli (vedi le sue strade, le università, le accademie, i palazzi, i ministeri) STRADE: le centuplicò TREBBIATRICI: le comprò per i contadini TUBERCOLOSI: era come la sifilide, inguaribile. Costituì il Forlanini per la sua cura UNIVERSITA’: ha costruito innumerevoli università, anche la Città Universitaria a Roma UTOPIA:
il fascismo non fu utopia perché ha realizzato ogni cosa propostasi, fu
utopia il comunismo che pensava di conquistare il mondo, ma ha fallito
VACCINAZIONE: ordinò la vaccinazione di tutti i bambini, anche i piu’ piccoli VELA: divenne sport al tempo del Duce VIGILI DEL FUOCO: istituiti dal Duce VULCANO: propose fin da allora uno studio particolare per le eruzioni dei vulcani ZOLFO: lo cercò in tutte le regioni.