domenica 30 agosto 2020

COME FU TRADITA LA POLONIA

COME FU TRADITA LA POLONIA
di Mario Spataro

E’ noto a tutti che la Polonia, incoraggiata e sospinta dalla diplomazia britannica e francese, respinse nel 1939 le ripetute offerte tedesche di una ragionevole sistemazione della questione di Danzica e del Corridoio. Le pressioni esercitate in tal senso sul polacco Josef Beck dagli alleati occidentali si basavano su un accordo di pochi mesi prima, contenente la promessa di un pronto intervento se la Polonia fosse stata attaccata “da una potenza europea”. Dunque non “se fosse stata attaccata dalla Germania”, come sostiene Donald C. Watt nel suo articolo Dopo Monaco apparso sul vol. I della Storia della Seconda Guerra Mondiale (Rizzoli 1967), ma se fosse stata attaccata da chicchessia. “Abbiamo dato la nostra parola d’onore che avremmo difeso la Polonia da qualsiasi aggressione”, confermò infatti alla radio il primo ministri britannico Neville Chamberlain il 4 settembre 1939, tre giorni dopo l’invasione tedesca del territorio polacco. Perché dunque Gran Bretagna e Francia non si opposero all’invasione sovietica della parte orientale della Polonia con la stessa sollecitudine con la quale si opposero alla quasi contemporanea invasione tedesca della parte occidentale?
Le pretese sovietiche sulla Polonia risalivano agli anni immediatamente successivi alla rivoluzione bolscevica, quando nel 1920 l’esercito polacco era riuscito a respingere quello avversario sino a conseguire una breve occupazione di Kiev. Ma poco dopo le superiori forze comuniste avevano avuto la meglio e, come ha scritto H. Fisher nel suo libro A History of Europe (1942, “il rombo delle artiglierie comuniste era facilmente udibile dal centro di Varsavia”. Solo in seguito,e al prezzo di enormi perdite, le truppe di Jozef Filsudki erano riuscite a respingere quelle avversarie e a salvare la Polonia e buona parte d’Europa dalla minaccia dei rossi.
Nel 1939 l’ambiguità delle promesse occidentali alla Polonia fu dimostrata anche dal rifiuto britannico di concedere alla Polonia gli aiuti finanziari di cui la stessa aveva bisogno per prepararsi a fronteggiare un eventuale attacco tedesco: contro una richiesta polacca di 66 milioni di sterline da destinarsi ad acquisti di materiale bellico, era stato offerto un prestito di soli 5 milioni di sterline.
L’attacco sovietico seguì di sole tre settimane quello tedesco ma stavolta, come dicevamo sopra, Francia e Gran Bretagna non mossero un dito. Come riferisce Arthur Bliss Lane (ambasciatore americano a Varsavia dal 1944 al 1947) nel suo libro I saw Poland betrayed, alla Camera dei Comuni, a Londra, nessuno osò chiedere perché mai non si fosse dichiarata guerra alla Russia e perché mai non si criticasse l’immediata deportazione di oltre un milione di polacchi destinati ai lavori forzati in Siberia per fare posto ad altrettanti ucraini che avrebbero dovuto sfruttare le fertili pianure polacche e i giacimenti petroliferi della regione di Lvow.
D’accordo con Hitler, Stalin stabilì la nuova frontiera lungo quella che nel 1919 una commissione alleata aveva definito Linea Curzon. Durante tutta la seconda guerra mondiale quella espansione sovietica verso ovest creò dissapori fra Mosca e il governo polacco in esilio a Londra, ma la Gran Bretagna, che inizialmente si era espressa a favore dei polacchi, col progredire del conflitto andò sempre più spostandosi verso posizioni filosovietiche: “Qualsiasi uomo o qualsiasi nazione si pongano in guerra contro il nazismo avranno il nostro aiuto”, disse Winston Churchill nel corso di un proclama radiofonico.
Ciò ebbe ufficiale conferma nel novembre 1943 a Teheran, quando i Tre Grandi concordarono l’annessione da parte dell’Unione Sovietica delle regioni orientali della Polonia. E decisero pure, come riferiscono Calvocoressi e Wint nel libro Total War (1972), di discutere quella faccenda senza la presenza di rappresentanti polacchi. Era infatti necessaria una assoluta riservatezza: un anno dopo si sarebbero tenute le elezioni presidenziali americane e Roosevelt temeva che la forte comunità polacca degli Stati Uniti si rivoltasse contro di lui. Ma pensò Churchill a tranquillizzarlo. Secondo quanto rivelato dal libro Roosevelt & Churchill, their secret wartime correspondance di Loewenheim, Langley e Jonas (1975), il primo ministro britannico assicurò al presidente americanocce non solo lui stesso, ma anche Stalin avrebbero mantenuto il segreto su ciò che si preparava alle spalle dei polacchi: “Più volte Stalin”, scrisse Churchill a Roosevelt, “mi ha espresso il suo desiderio che tu vinca le elezioni, anche perché ciò tornerebbe a vantaggio dell’Unione Sovietica. Pertanto puoi star certo che da parte sovietica non ci saranno indiscrezioni”.
Ma nonostante ogni cautela, è riferito dal celebre generale polacco Waceslaw Anders nel suo libro An army in exile (1949), la verità giunse alle orecchie del governo polacco in esilio. Il primo ministro polacco Stanislaw Mikolajczyk, trovatosi a Mosca durante un incontro fra Churchill e Stalin, rimase allibito quando Viacheslav Molotov approfittando dell’assenza dei rappresentanti americani gli sussurrò il grande segreto: “Ricordo di aver sentito il presidente Roosevelt dire che per lui la Linea Curzon è perfettamente accettabile come linea di confine fra la Polonia e l’Unione Sovietica, ma che per il momento non è opportuno che la faccenda sia resa pubblica”.


Mikolajczyk non riuscì a trattenere la rabbia e si recò subito a visitare l’ambasciatore americano a Mosca, Averell Harrimann: “Come mai pochi mesi fa”, gli chiese, “a Washington il presidente Roosevelt mi ha detto che soltanto Churchill è d’accordo con Stalin per il massacro della Polonia, e che invece lui, il presidente, non è d’accordo sulla Linea Curzon che lascerebbe all’Unione Sovietica le regioni orientali della Polonia?”.
Quell’intesa fra i Tre Grandi alle spalle del popolo polacco, commenta lo storico inglese Bernard Smith nel suo libro Poland, a study on treachery (1980), fu ancor più cinica del patto firmato da Germania e Unione Sovietica nel 1939: quello del 1939 era infatti un accordo che stabiliva la spartizione di una nazione nemica, mentre adesso si trattava di un accordo che pugnalava alle spalle una nazione alleata. Inoltre, aggiunge Smith, quell’accordo sulla Linea Curzon era una palese violazione della Carta Atlantica firmata da Roosevelt e Churchill nel 1941, che stabiliva che non ci sarebbe stata “alcuna modifica territoriale contraria alla liberamente espressa volontà delle popolazioni interessate”.
Col passare dei mesi, anche se le elezioni americane erano sempre più vicine, la verità divenne palese e la situazione si fece, per Churchill e Roosevelt, ancora più imbarazzante. Mentre Roosevelt scelse il silenzio, il primo ministro britannico decise di gettare la maschera: “Il destino della nazione polacca”, disse il 22 febbraio 1944 in un discorso alla Camera dei Comuni, “sta a cuore al governo di Sua Maestà e a questo parlamento. Ed è stato per me motivo di gioia sentire il maresciallo Stalin dire che lui desidera una Polonia forte, integra e indipendente”. Ma proseguì, Churchill dicendo che la Gran Bretagna non aveva mai garantito il mantenimento delle vecchie frontiere polacche orientali, e che secondo lui le richieste sovietiche non andavano “oltre il giusto e il ragionevole”. Pertanto, concluse Churchill, bisognava considerare “con favore” la decisione di spostare sulla Linea Curzon la frontiera russo-polacca.
IL generale Anders, che in quel momento era impegnato sul fronte italiano di Montecassino col suo corpo di spedizione polacco, riferì in seguito che quel discorso fu per i suoi soldati “un colpo feroce”. Nel suo già citato libro Anders non ebbe esitazioni: “Quando firmò con noi l’accordo del 1939”, si legge a pagina 159, “la Gran Bretagna non fece alcun accenno alla Linea Curzon, né della Linea Curzon ci si parlò mentre noi combattevamo. Le nostre frontiere non furono messe in discussione mentre i nostri uomini si battevano in Francia nel 1940 e, poi, sui cieli inglesi e infine, lasciando sul terreno quattromila morti, a Montecassino. Quel discorso di Churchill ebbe effetto deprimente sui nostri soldati, parecchi dei quali avevano famiglie che vivevano a oriente della Linea Curzon. Fu una grande ingiustizia nei nostri confronti e per la prima volta perdemmo ogni fiducia nei nostri alleati”.


Anders aveva validi motivi per non gradire la consegna ai sovietici di un terzo della Polonia. Lui stesso nel 1939 era stato catturato dall’Armata Rossa (combatteva contro i tedeschi, e i tedeschi erano allora alleati dei sovietici!) e, benché ferito e costretto sulle stampelle, per ben due anni era stato tenuto dai suoi carcerieri sovietici in una cella senza finestre e sottoposto a frequenti bastonature. Poi, quando la Germania era diventata nemica dell’Unione Sovietica, era stato liberato perché riprendesse a combattere contro i tedeschi. Aveva accettato, ma saggiamente aveva preferito stabilire a Londra il centro organizzativo delle sue operazioni.
Nel 1943 e 1944 i rapporti fra il governo polacco in esilio a Londra e le autorità britanniche, un tempo cordiali, si fecero tesi a causa della disputa sui confini orientali polacchi. Unica reazione da parte britannica alle rimostranze polacche fu uno scortese commento di Anthony Eden capo del Foreign Office: “I polacchi devono imparare a controllare le loro emozioni”. Nei mesi successivi nulla avrebbe modificato il cinico orientamento britannico e americano a proposito della frontiera orientale polacca. Neppure la scoperta nel 1943 della verità sul massacro di Katyn e neppure il tradimento nei confronti degli insorti di Varsavia nel 1944 cambiarono la situazione. Come il Daily Telegraph riferì il 1° agosto 1973, durante una riunione di governo Churchill tornò distrattamente sulla questione polacca definendola “molto fastidiosa”. E, dopo aver accennato al fatto che il generale polacco Kazimierz Sosnkowski continuava a “brontolare”, Churchill si compiacque del fatto che lo stesso, su pressione di Anthony Eden, fosse stato rimosso dall’incarico. Poi, a proposito del generale Bor-Komorowski che aveva guidato la rivolta antitedesca, Churchill si disse “lieto” che lo stesso fosse ormai in mano tedesca. E non batté ciglio, Churchill, quando in occasione di un incontro tecnico da tenersi a Mosca Stalin gli disse che la presenza di rappresentanti del governo polacco in esilio non era gradita. Anzi, quando il primo ministro polacco Stanislaw Mikolajczyk protestò, Churchill perse le staffe e lo accusò di essere “un pazzo, un testardo e un cieco” che avrebbe portato il suo paese alla completa invasione da parte dell’Unione Sovietica.
Venne il 1945 e venne Yalta seguita, pochi mesi dopo, da Potsdam. E allora ogni parvenza di giustizia e correttezza venne meno. L’Unione Sovietica si impadronì della Polonia orientale, il resto della Polonia perse di fatto l’indipendenza in quanto trasformato in stato-satellite e, cosa forse peggiore, alla Polonia fu regalata in cambio una cospicua fetta di territorio tedesco sulla quale liberamente attuare una politica di pulizia etnica e di deportazioni.
A Londra un forte gruppo di parlamentari conservatori, guidati da Michael Petherick, presentò un documento col quale si lamentava la remissività del governo di fronte alle pretese sovietiche a spese di un alleato fedele come la Polonia. Preoccupato, il 10 maggio 1945 Churchill inviò a Roosevelt un messaggio riservatissimo nel quale si documentava il ripetersi di arresti collettivi, deportazioni, torture, e uccisioni nella Polonia orientale annessa dall’Unione Sovietica. Roosevelt si limitò a dare ricevuta del messaggio senza però fare commenti. Il 27 marzo Churchill, ormai pentito, insistette: “La Polonia, col nostro beneplacito, ha perduto la propria frontiera. Perderà adesso anche la libertà?”. Ancora, nessuna risposta da Washington.
L’8 giugno 1946 si tenne a Londra la parata ufficiale per la vittoria. Le truppe polacche, che pure erano state le prime a combattere in quella guerra, furono pregate di non partecipare alla cerimonia; la loro presenza, si disse, avrebbe infastidito Stalin. Da Ancona, in Italia, il generale Anderson manifestò pubblicamente il proprio sdegno. Gli fu risposto da Londra di evitare in futuro quelle “imbarazzanti” polemiche se non voleva essere privato dell’incarico.
Come il generale americano Mark Clark ebbe a scrivere alcuni anni dopo, tutto in quella guerra fu fatto per favorire le mire di Stalin: lo sbarco in Normandia anziché in Danimarca o in Olanda, come lo sbarco nella punta estrema dell’Italia anziché nei Balcani, celavano il desiderio di dare all’Armata Rossa il tempo di raggiungere il cuore dell’Europa. La follia dei vertici di Washington giunse anzi sino a fermare l’avanzata americana su Berlino ed a fare arretrare le truppe di Gorge Patton che erano quasi alle porte di Praga. E i bombardamenti angloamericani delle città tedesche a ridosso del fronte orientale (come quello, vergognoso, subito dalla indifesa città di Dresda) altro scopo non avevano che quello di favorire e accelerare l’avanzata sovietica. Ma, tutto sommato, il tradimento nei confronti della Polonia non fu che un dettaglio di una politica autolesionistica dell’Occidente. Non fu che uno dei numerosi tradimenti. Jugoslavia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Germania Est, Stati Baltici e Corea del Nord, a loro insaputa, altro non furono che graziosi regali fatti a Stalin: di ciò i loro popoli avrebbero per mezzo secolo pagato le conseguenze. 

 
Articolo tratto da STORIA DEL NOVECENTO anno V n. 52 luglio 2005 pagine 28-29

                                                                                                                                             

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