Una voce dal cielo [ di Filippo Giannini ]
Sì, è una voce che viene dal cielo, è la voce di quel giusto, è la voce del male assoluto
che, ancora una volta si rivolge al suo popolo. Molti conosceranno
quanto stò per riproporre e riguarda l’intervista rilasciata da Benito
Mussolini, poco meno di una settimana dal suo assassinio, al giornalista
Gian Giacomo Cabella de “Il Popolo di Alessandria”.
Sarò costretto, per ovvi motivi ad estrapolare solo alcune parti della
lunga intervista, anche se le parti mancanti non sono davvero meno
doverose da essere ricordate.
Iniziamo dal punto dove Cabella scrive e ricorda:
Allora mi feci animo: “Duce, permettete che vi rivolga qualche domanda?”.
Mussolini si alzò. Mi venne vicino. Guardandomi negli occhi, con un
accento e un’espressione che non dimenticherò mai, mi chiese
d’improvviso: “Intervista o testamento?”.
A quella domanda inaspettata io rimasi esterrefatto. Non seppi cosa
rispondere. Non sfuggì la mia emozione a Mussolini, che cercò di
dissipare la mia confusione con un sorriso bonario. “Sedetevi qui. Ecco una penna e della carta. Sono disposto a rispondere alle domande che mi farete.”.
(…). Alla domanda di Gian Gacomo Cabella di quali ordini o disposizioni
doveva attendersi dal Duce, questi a sua volta domandò: “Voi cosa fareste?”.
Debbo aver accennato un gesto istintivo di sorpresa, Mussolini mi toccò il braccio, e sorrise di nuovo: “Non vi stupite. Faccio questa domanda a tutti. Desidero sentire il vostro parere”.
“Duce, non sarebbe bello formare un quadrato attorno a voi e al
gagliardetto dei Fasci e aspettare, con le armi in pugno i nemici? Siamo
in tanti, fedeli, armati…”.
“Certo, sarebbe la fine più desiderabile…ma non è possibile fare
sempre ciò che si vuole. Ho in corso delle trattative. Il Cardinale
Shuster fa da intermediario. Non sarà versata una goccia di sangue (…).
Un trapasso di poteri. Per il governo, il passaggio fino in Valtellina,
dove Onori sta preparando gli alloggiamenti. Andremo anche noi in
montagna per un po’ di tempo”.
Osai interromperlo: “Vi fidate, Duce, del Cardinale?”. Mussolini alzò gli occhi e fece un gesto con le mani. ”E’
viscido. Ma non posso dubitare di un Ministro di Dio. E’ la sola strada
che posso prendere. Per me è, comunque finita. Non ho più il diritto di
esigere sacrifici dagli italiani”.
“Ma noi vogliamo seguire la vostra sorte….
“Dovete ubbidire. La vita dell’Italia non termina in questa settimana
o in questo mese. L’Italia si risolleverà, è questione di anni, di
decenni, forse. Ma risorgerà, e sarà di nuovo grande come l’avevo voluta
io”. Dopo una brevissima pausa continuò: “Allora sarete ancora
utili per il Paese. Trasmetterete ai figli e ai nipoti la verità della
nostra idea. Quella verità che è stata falsata, svisata, camuffata da
troppi cattivi, da troppi malvagi, da troppi venduti e anche da qualche
piccola aliquota di illusi” (…). Il Duce continuò: “Dicono che ho
errato, che dovevo conoscere meglio gli uomini, che ho perduto la
testa, che non dovevo dichiarare la guerra alla Francia e
all’Inghilterra. Dicono che mi sarei dovuto ritirare nel 1938. Dicono
che non dovevo fare questo e che non dovevo fare quello. Oggi è facile
profetizzare il passato. Ho una documentazione che la storia dovrà
compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio e ai primi
di giugno del 1940 se critiche venivano fatte erano per gridare allo
scandalo di una neutralità definita ridicola, impolitica, sorprendente.
La Germania aveva vinto. Noi non solo avremmo avuto alcun compenso; ma
saremmo stati, certamente, in un periodo di tempo più o meno lontano,
invasi e schiacciati. E cosa fa Mussolini? Quello si è rammollito.
Un’occasione d’oro così non si sarebbe più presentata. Così dicevano
tutti e specialmente coloro che adesso gridano che si doveva rimanere
neutrali e che solo la mia megalomania e la mia libidine di potere, e la
mia debolezza nei confronti di Hitler aveva portato alla guerra. Ma non
si poteva rimanere neutrali se volevamo mantenere quella posizione di
parità con la Germania che fino allora avevamo avuto. I patti con Hitler
erano chiarissimi. Ho avuto ed ho per lui la massima stima. Bisogna
distinguere fra Hitler e alcuni suoi uomini più in vista”.
A queste considerazioni Mussolini ne aggiunse varie altre. Questa ad esempio:
“Ho parlato sempre on il Führer della sistemazione dell’Europa e
dell’Africa. Non abbiamo mai avuto divergenze di idee. Già all’epoca
delle trattative per lo sgombero dell’Alto Adige, controprova
indiscutibile delle sue oneste e solidali intenzioni, il Führer dimostrò
buon volere e comprensione”. La sistemazione dell’Europa avrebbe dovuto attuarsi in questo modo:
“L’Europa divisa in due grandi zone di influenza: nord e nord-est
influenza germanica, sud e sud-est e sud-ovest influenza italiana. Cento
e più anni di lavoro per la sistemazione di questo piano gigantesco.
Comunque, cento anni di pace e di benessere. Non dovevo forse vedere con
speranza e con amore una soluzione di questo genere e di questa
portata? (…). Una forza di trecento milioni di europei, di veri europei,
perché mi rifiuto di definire gli agglomerati balcanici e quelli di
certe zone della Russia anche nelle stesse vicinanze della Vistola; una
forza materiale e spirituale da manovrare verso l’eventuale nemico di
Asia e di America. Solo la vittoria dell’Asse ci avrebbe dato diritto di
pretendere la nostra parte dei beni del mondo, di quei beni, che sono
in mano a pochi ingordi e che sono la causa di tutti i mali, di tutte le
sofferenze e di tutte le guerre. La vittoria delle Potenze cosiddette
alleate non darà al mondo che una pace effimera e illusoria. Per questo
voi, miei fedeli, dovete sopravvivere e mantenere nel cuore a fede. Il
Mondo, me scomparso, avrà bisogno ancora dell’Idea che è stata e sarà la
più audace, la più originale e la più mediterranea ed europea delle
idee (…). Siamo stati i soli ad opporci ai primi conati espansionistici
della Germania. Mandai le divisioni al Brennero; ma nessun gabinetto
europeo mi appoggiò, Impedire alla Germania di rompere l’equilibrio
continentale ma nello stesso tempo provvedere alla revisione dei
trattati; arrivare ad un aggiustamento generale delle frontiere in modo
da soddisfare la Germania nei punti giusti delle sue rivendicazioni, e
cominciare a restituirle le colonie; ecco quello che avrebbe impedito la
guerra. Una caldaia non scoppia se si fa funzionare a tempo una
valvola. Mussolini voleva la pace e questo gli fu impedito”.
Dopo qualche istante di silenzio ardii chiedergli: “Avete detto che l’eventuale vittoria dei nostri nemici non potrà dare una pace duratura. Essi nella loro propaganda affermano…”.
“Indubbiamente abilissima propaganda, la loro. Sono riusciti a convincere tutti. Io stesso a volte…” (…). “Ho
concluso che ho sopravvalutato l’intelligenza delle masse. Nei dialoghi
che tante volte ho avuto con le moltitudini, avevo la convinzione che
le grida che seguivano le mie domande fossero segno di coscienza, di
comprensione, di evoluzione. Invece era isterismo collettivo … ma il
colmo è che i nostri nemici hanno ottenuto che i proletari, i bisognosi
di tutto si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli
affamatori del grande capitalismo (…). La vittoria degli alleati
riporterà indietro la linea del fronte delle rivendicazioni sociali. La
Russia? Il capitalismo di stato russo (credo superfluo insistere sulla
parola bolscevismo) è la forma più spinta e meno socialista di un ibrido
capitalismo, che si può solamente sostenere in Russia, appoggiato
all’ignoranza, al fatalismo e alle storie di cosacchi, che hanno
lasciato lo knut per il mitra (…). Sarà un giovane. Io non sarò
più. Lasciate passare questi anni di bufera. Un giovane sorgerà. Un
puro. Un capo che dovrà immancabilmente agitare le idee del fascismo.
Collaborazione e non lotta di classe; Carta del Lavoro e socialismo; la
proprietà sacra fino a che non diventi un insulto alla miseria; cura e
protezione dei lavoratori, specialmente dei vecchi e degli invalidi;
cura e protezione della madre e dell’infanzia ...” (…). E continuò:”Assistenza
fraterna ai bisognosi; moralità in tutti i campi; lotta contro
l'ignoranza e contro il servilismo verso i potenti; potenziamento, se si
sarà ancora in tempo, dell’autarchia, unica nostra speranza fino al
giorno utopico della suddivisione fra tutti i popoli delle materie prime
che Iddio ha dato al mondo; esaltazione dello spirito di orgoglio di
essere italiano; educazione in profondità e non purtroppo, in superficie
come è avvenuto per colpa degli avvenimenti e non per deficienza
ideologica. Verrà il giovane puro che troverà i nostri postulati del
1919 e i Punti di Verona del 1943; freschi e audaci idee. Idee che
troppi interessati non hanno voluto che comprendesse e apprezzasse e che
ha creduto fossero state fatte contro di lui, contro i suoi interessi
morali e materiali (…). Venti anni di Fascismo e settanta di
indipendenza non sono bastati per dare all’anima di ogni italiano quella
forza occorrente per superare la crisi e per comprendere il vero. Le
eccezioni, magnifiche e numerosissime non contano. Questa crisi
cominciata nel 1939, non è stata superata dal popolo italiano.
Risorgerà, ma la convalescenza sarà lunga e triste e guai alle ricadute.
Io sono come il grande clinico che non ha saputo fare la cura (…).
Molti medici si affollano per la successione. Molti di questi sono già
conosciuti per inetti; altri non hanno che improntitudine o gola di
guadagno. Il nuovo dottore deve ancora apparire. E quando sorgerà, dovrà
riprendere le ricette mie. Dovrà solo saperle applicare meglio. Un
accusatore dell’Ammiraglio Persano, al quale fu chiesto che colpa,
secondo lui, aveva l’Ammiraglio: “quella di aver perduto” rispose. Così
io. Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le me forze di
impedire la guerra che mi permettono i essere perfettamente tranquillo e
sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia”.
Nel dire “ho qui tali prove”, indicò una grande borsa di cuoio. Mi sembra, delle tre, fosse quella di pelle gialla. Poi toccò una cassetta d legno.
“Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno” riprende Mussolini “ricordatevi
bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e dei grandi
speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di
vivere. Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli
all’asse, io avrei proposto al Führer, a vittoria ottenuta, la
socializzazione mondiale”.
Mussolini sorrise lievemente quando parlò della sua serenità e
tranquillità. Il sorriso si mutò in una smorfia di disprezzo allorché
parlò degli affaristi e degli speculatori. “La socializzazione
mondiale, e cioè: frontiere esclusivamente a carattere storico;
abolizione di ogni dogana; libero commercio tra paesi e paesi, regolato
da una convenzione mondiale; moneta unica e, conseguentemente, l’oro di
tutto il mondo di proprietà comune e così tutte le materie prime,
suddivise secondo i bisogni dei diversi paesi; abolizione reale e
radicale di ogni armamento. Colonie: quelle evolute erette a stati
indipendenti; le altre, suddivise fra quei paesi più adatti per densità
di popolazioni o per altre ragioni, a colonizzare e a civilizzare,
libertà di pensiero e di parola e di scritto. Sì, purché regolata e
moderata da limiti giusti, chiaramente stabiliti. Senza di che, si
avrebbe anarchia e licenza. E ricordatevi, sopra tutto la morale deve
avere i suoi diritti. Ogni religione liberissima di propagandarsi: siamo
stati i primi, i soli a ridare lustro e decoro e libertà e autorità
alla Chiesa cattolica. Assistiamo a questo straordinario spettacolo: la
stessa Chiesa alleata ai suoi più acerrimi nemici. La Chiesa preferisce
degli avversari deboli a degli amici forti (…). Con la caduta del
fascismo, la Chiesa cattolica si ritroverebbe d fronte a nemici di ogni
genere, vecchi e nuovi nemici. E avrebbe cooperato ad abbattere il suo
vero, sincero difensore (…). Se la vittoria avesse arriso a noi, questo
programma avrei offerto al mondo e ancora una volta, sarebbe stata Roma a
dare luce all’Umanità (…). Mi dissero che non avrei dovuto accettare,
dopo l’armistizio di Badoglio e la mia liberazione, il posto di Capo di
Stato e del governo della Repubblica Sociale. Avrei dovuto ritirarmi in
Svizzera, o in uno Stato del Sud America. Avevo avuto la lezione del 25
luglio. Non bastava forse? Era libidine di potere, la mia? Ora chiedo,
avrei davvero dovuto estraniarmi? Ero fisicamente ammalato. Potevo
chiedere, per lo meno, un periodo di riposo. Avrei visto lo svolgersi
degli avvenimenti. Ma cosa sarebbe successo? I tedeschi erano nostri
alleati. L’alleanza era stata firmata e mille volte si era giurata
reciproca fedeltà, nella buona e nella cattiva sorte. I tedeschi,
qualunque errore possano aver commesso erano, l’otto settembre, in pieno
diritto di sentirsi e calcolarsi traditi. I traditori del 1914
erano gli stessi del 1943. Avevano il diritto di comportarsi da padroni
assoluti. Avrebbero senz’altro nominato un loro governo militare
d’occupazione. Cosa sarebbe successo? Terra bruciata. Carestia,
deportazioni in massa, sequestri, moneta di occupazione, lavori
obbligatori. La nostra industria, i nostri valori artistici,
industriali, privati, tutto sarebbe stato bottino di guerra. Ho
riflettuto molto. Ho deciso ubbidendo all’amore che ho per questa
divina adorabile terra. Ho avuto precisissima la convinzione di firmare
la mia sentenza di morte. Dovevo salvare il più possibile vite ed averi,
dovevo cercare ancora una volta di fare del bene al popolo d’Italia. E
la moneta di occupazione. I marchi di guerra, che già erano stati messi
in circolazione, sono stati per mia volontà ritirati. Ho gridato. Oggi
saremmo con miliardi di carta buona per bruciare.
Invece nel Sud, i governanti legali, hanno accettato le monete di
occupazione. La nostra lira nel regno del Sud non ha praticamente più
valore. La più tremenda delle inflazioni delizia quelle regioni così
dette liberate. Quando arrivammo nel Nord, in questo Nord che la
Repubblica Sociale ha governato malgrado bombardamenti, interruzioni di
strade, azioni di partigiani e di ribelli, malgrado la mancanza di
generi alimentari e di combustibili, in questo Nord dove il pane costa
ancora quanto costava diciotto mesi fa e dove si mangia nelle Mense del
Popolo anche a otto lire, quando arriveranno a liberare il Nord,
porteranno, con altri mali, la inflazione. Il pane salirà a cento lire
il chilo e tutto sarà in proporzione (…).
Tutto questo ho fatto. Ho impedito che i macchinari venissero
trasportati in Baviera. Ho cercato di far tornare migliaia di soldati
deportati, di lavoratori rastrellati (…). Dalla Germania sono tornati
oltre quattrocento mila soldati ed ufficiali prigionieri, o perché hanno
optato per noi, o per mio personale interessamento secondo i casi più
dolorosi. Ho impedito molte fucilazioni anche quando erano giuste. Ho
cercato con tre decreti di amnistia e di perdono di procrastinare il più
possibile le azioni repressive che i Comandi germanici esigevano per
avere le spalle dei combattenti protette e sicure. Ho distribuito a
povera gente, senza informarmi delle idee dei singoli, molti milioni. Ho
cercato di salvare il salvabile. Fino ad oggi l’ordine è stato
mantenuto: ordine nel lavoro, ordine nei trasporti, nelle città (…).
Dovevo di fronte ad una situazione che vedevo tragicamente precisa,
disertare il mio posto di responsabilità? Leggete: sono i giornali del
Sud. Mussolini prigioniero dei tedeschi. Mussolini impazzito. Mussolini
ammalato. Mussolini con la sua favorita. Mussolini con la paralisi
progressiva. Mussolini fuggito in Brasile. Invece sono qui, al mio posto
di lavoro, dove mi troveranno i vincitori. Lavorerò anche in
Valtellina. Cercherò che il mondo sappia la verità assoluta e non
smentibile di come si sono svolti gli avvenimenti di questi cinque anni.
La verità è una.
A questo punto Cabella esclamò: “Ma noi vi siamo stati e vi saremo sempre fedeli”. Al che Mussolini disse con accento triste: “Quanti
giuramenti! Quante parole di fedeltà e di dedizione! Oggi solo vedo chi
era veramente fedele, chi era veramente fascista! Siete voialtri,
sempre gli stessi fedeli delle ore belle e delle ore gravi. Facile era
osannare nel 1938! Ho una tale documentazione di persone che non
sapevano più che fare per piacermi. E al primo apparire della tempesta,
prima si sono ritirati prudentemente per osservare lo svolgersi degli
avvenimenti. Poi si sono messi dalla parte avversaria. Che tristezza. Ma
che conforto, finalmente, poter vedere che vi sono i puri, i veri, i
sinceri. Tradire l’idea… tradire me… Ma tradire la Patria (…).
Solo la nostra vittoria avrebbe dato al mondo la pace con la giustizia.
Mi hanno tanto rinfacciato la forma tirannica di disciplina che imponevo
agli italiani. Come la rimpiangeranno. E dovrà tornare se gli italiani
vorranno essere ancora un Popolo e non un agglomerato di schiavi. E gli
italiani la vorranno. La esigeranno. Cacceranno a furor di popolo i
falsi pastori, i piccoli malvagi uomini asserviti agli interessi dello
straniero. Porteranno fiori alle tombe dei martiri, alle tombe dei
caduti per un’idea che sarà la luce e la speranza del mondo. Diranno,
allora, senza piaggeria, e senza falsità: .
Tre giorni dopo Cabella tornò da Mussolini per fargli vedere il dattiloscritto. Alla fine disse: “Va
bene. Ci rivedremo forse in questi giorni. Qualunque cosa accada, non
fate vedere ad alcuni questo scritto. Se dovesse accadere il crollo, per
tre anni tenetelo nascosto. Poi fate voi, secondo le vicende e secondo
il vostro criterio. Ora andate”.
Così Cabella conclude il suo lavoro: “Salutai senza poter dire una
parola. Mi sorrise e fece un gesto di arrivederci. Uscii dalla
Prefettura con l’animo in tumulto. Non dovevo, più rivederlo.
Milano, 22 aprile 1945.
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