giovedì 25 novembre 2021

LA DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI


 

LA DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI                    


IL COSIDDETTO PIANO "DE COURTEN" E LA DIFESA DEI CONFINI ORIENTALI
Sergio Nesi
 
 
    Chi era l'ammiraglio di Squadra Raffaele De Courten è inutile spiegarlo. Per questa vicenda interessa solo il De Courten Ministro della Marina nel governo Bonomi del Regno d’Italia, al Sud, nel periodo 1944-45.
    Cosa era "il Piano De Courten" è invece alquanto difficile da spiegare tutto perché fu così chiamato da personaggi del Nord (e più precisamente della Marina della RSI) un progetto nato al Sud.
    In breve, si trattava di studiare un piano di sbarco in Venezia Giulia ed in Istria di reparti del Sud in accordo con la Marina della RSI e con la X Flottiglia MAS in particolare.
    Come al Nord si sia venuti a conoscenza di questo piano e chi ne abbia portato i contenuti attraverso le linee del fronte è ancora tutto da scoprire. Di certo è che a quel piano di sbarco fu immediatamente abbinato il nome di De Courten e che i messaggi inviati alla Marina della RSI erano indubbiamente di De Courten.
    Da qui è nato un equivoco che chiarirò in seguito, ritenendo necessario procedere per argomenti omogenei.
 
a) Lo "sbarco" visto dal Nord
 
    Il comandante M.O.V.M. Junio Valerio Borghese, nel riferire sui rapporti con le Autorità del Sud, ha elencato le persone che avevano preso contatto con lui durante i 20 mesi di vita della RSI e della X Flottiglia MAS: il prof. Baccarini - il maggiore medico della R. Marina Potzolu - il tenente medico R. Esercito Cino Boccazzi - il t.v.r.m. Marino Zanardi - il Capitano g.n.r.m. R. Marina M.O.V.M. Antonio Marceglia - l' ing. Giorgis. Per ognuno di essi ha narrato gli scopi della loro missione, nessuno dei quali, però, era relativo ad uno sbarco da proteggere. De Courten raccomandava solo che la X Flottiglia MAS e la Marina della R.S.I. si opponessero alle armate comuniste di Tito in difesa dei confini orientali, raccomandazione inutile, in quanto quello che era possibile fare era già stato fatto in maniera autonoma dall'amm. Sparzani e dal com.te Borghese.
    "I presidi possibili erano stati installati in pieno territorio controllato dall'amministrazione tedesca (ma in realtà austriaca) dell'"Adriatische Kustenland" come ho già scritto a suo tempo (v. "Decima flottiglia nostra..." Ed. Mursia 1986).
    I reparti della X erano stanziati:
-A Trieste il Btg. "San Giusto" al comando del c.c. Ezio Chicca, con comandante in 2a il T.V. Aldo Congedo proveniente da Bordeaux. Era un battaglione su tre compagnie più la compagnia comando. Ricevette le insegne di combattimento, dono delle donne di Trieste, nella chiesa di San Giusto nel corso di una solenne cerimonia, Madrina Ida De Vecchi, valorosa patriota triestina. Fra i presenti, il figlio di Nazario Sauro.
-A Cherso, isola del Quarnaro vicino a Fiume, la compagnia "Adriatica", al comando del t.v. Giannelli con 150 marò.
A Fiume la compagnia "D'Annunzio" al comando del s.t.v. Francesco Vigiak. Distaccamenti erano a Laurana, Lussingrande e Lussinpiccolo. Era composta da 130 marò.
-A Pola la compagnia "Nazario Sauro", al comando del c.c. Baccarini e del t.v. Aldo Scopigno. Era composta dai marò del "San Marco" rimasto a Pola dopo che il deposito del reggimento era confluito nella 3a Divisione fanteria "San Marco". Era composto da circa 300 marò.
-A Pola la base dei sommergibili C.B. e C.M. al comando del t.v. Giangrossi e (verso la fine) del t.v. De Siervo.
-A Brioni 80 marò della base Est dei Mezzi d'assalto, al comando del t.v. Nesi.
-A Portorose la scuola Sommozzatori del "gamma" al comando del ten. medico Moscatelli.
-A Trieste il com.te Lenzi, che avrebbe dovuto coordinare i movimenti di sbarco del Sud del "San Marco", proveniente da sole navi italiane, sbarco progettato da De Courten, proteggendolo con il Gruppo d'artiglieria "Colleoni" della Divisione "Decima" e con altri reparti della medesima Divisione".
    Così scrivevo nel 1986 sulla base di ricordi personali.
    A quel tempo, io ero a conoscenza soltanto del fatto che un bel giorno avrei forse visto spuntare all'orizzonte "Un fil di fumo" e che avrei dovuto cooperare a tenere sgombra la costa da eventuali resistenze slave. E mi chiedevo: "perché non anche tedesche ?" - E mi chiedevo ancora: "perché il com.te Borghese mi ha personalmente ordinato, nel caso che me lo avessero chiesto, di offrire qualsiasi aiuto anche agli alpini della Brigata partigiana "Osoppo"'? - Avevo la netta sensazione di essere una pedina di un gioco più grande di quanto potessi supporre, in cui tante altre pedine - all’insaputa per ora l'una delle altre - avrebbero potuto e dovuto riunirsi ad un ordine preciso ed in un preciso momento
    Così ho continuato a scrivere nel 1986:
    "Borghese, per potere realizzare il "piano" di De Courten, aveva mandato Lenzi a Trieste (era il capitano di corvetta Aldo Lenzi dei Mezzi d'assalto di superficie n.d.r.). Ma, per andare a Trieste in territorio occupato e controllato dai tedeschi, bisognava avere un piano operativo di copertura credibile. Fu quindi istituito ufficialmente il Comando dei Mezzi d'assalto dell'Alto Adriatico, da cui dipendevano il Gruppo dei C.B. di Pola, il Gruppo dei "barchini" di Brioni e la Scuola sommozzatori di Portorose. Ma si trattava di pochissimi uomini. Il Comando era in un appartamento di via S. Caterina in Trieste. Serviva di copertura. Serviva soprattutto per dare a Lenzi la possibilità di sondare con molta attenzione l'ambiente; di prendere contatto con le personalità di Trieste, con i gruppi di patrioti istriani ed italiani, con altri gruppi anche slavi di chiara tendenza antititina (tra cui un forte raggruppamento serbo guidato da un pope); per sapere quale sarebbe stata la loro reazione al momento del ritiro delle truppe tedesche, qualora fosse avvenuto uno sbarco di forze italiane del Sud appoggiato da unità della R. Marina, al fine di impedire che il vuoto creato dai tedeschi fosse riempito dai partigiani di Tito.
    "Tutto questo comportò un lavoro delicatissimo, senza risultati apparenti. Nessuno voleva scoprirsi e soprattutto nessuno voleva impegnarsi in qualcosa di positivo o negativo. Ed era un grosso guaio. Lenzi si appoggiò molto al segretario federale Sambo, triestino, di sentimenti italiani, già irredentista ed anche al capo della Provincia dott. Bruno Coceani. In certi momenti sembrava che si potesse arrivare ad una soluzione ed in certi altri, invece, Lenzi si trovò nella nebbia più completa. Tutti volevano restare in attesa alla finestra, in una passività di azione deprimente".
    "Il Com.te Lenzi continuò per molto tempo la sua opera. Per potere penetrare meglio in certi territori ed in certi ambienti, assunse generalità diverse con falsi documenti, abiti civili, auto civili, sempre con targhe diverse. Come un autentico agente segreto. Si spostò così mimetizzato in varie zone dell'Istria, avendo i più disparati contatti, anche con il pope serbo".
    A seguito delle pressioni, talora violente, di Sambo, il Gauleiter Reiner, nel tardo inverno 1944, acconsentì alle richieste di Lenzi, che quindi informò il com.te Borghese a Lonato che era ormai possibile il trasferimento dei due Gruppi di artiglieria della Decima sulle alture dominanti le strade di accesso a Trieste, per proteggere lo sbarco e l'avanzata del "San Marco" del Sud.
    "Borghese - concludevo - aveva rispettato il "piano" di De Courten. Aveva posto i suoi presidi, che avrebbero dovuto resistere sul posto il più a lungo possibile, per dare modo ad un gruppo di combattimento del Sud di sbarcare a Trieste, Portorose, Pola, Fiume, di farli prigionieri e contemporaneamente di rilevarli, in difesa di quel lembo di Patria.
    I presidi resistettero il più a lungo possibile e, ad eccezione del "San Giusto" a Trieste, furono massacrati sul posto, con perdita del 95% degli effettivi. I marò prigionieri furono quasi tutti assassinati nell'isola di Kurzola o nelle foibe e di essi non si seppe più nulla. Sono tra i "desaparecidos" italiani.
    Fino all'ultimo, il com.te Lenzi credette nello sbarco, invocandone la realizzazione. Il messaggio racchiuso nella bottiglia avvolta con un nastro tricolore, che Lenzi mi affidò sulla banchina di Brioni al momento di partire con i due SMA, per essere lanciato nelle acque d'Ancona il 13 aprile 1945, era un ultimo messaggio disperato, scritto a nome delle genti giulie ed istriane, che invocavano lo sbarco (questa volta delle FF.AA. anglo-americane vista la grande delusione del "piano" De Courten) a tutela della loro esistenza, contro le orde di Tito.
    Questo è quanto sapevo fino alla fine dell'aprile 1986. Nel successivo maggio, si sono affacciati improvvisamente su questa storia nuovi protagonisti, sì che necessita un completamento.
 
b) Lo sbarco visto dal Sud
 
    Un giorno di maggio 1986 ho ricevuto una telefonata nella mia casa di Bologna.
"Sono il generale Mastragostino. Ho letto il suo libro appena uscito. Ho bisogno di parlarle: può venire domani alle 17 al Circolo della Caccia? - Ero io che dovevo sbarcare".
    Il gen. Angelo Mastragostino è un notissimo personaggio di Bologna.
    All'indomani, al Circolo della Caccia, il generale mi raccontò una storia sorprendente e mi diede un altrettanto sorprendente documento, redatto in carta da bollo da L. 16 in data 6 settembre 1945 ed autenticato in pari data dal notaio Nicola Domenico Di Mauro a Bari, con firma legalizzata il 5 novembre 1945 dal Tribunale civile e penale di Bari.
    Ecco il testo del documento:
Ed ecco il racconto di Mastragostino.
 
    In data imprecisata del 1944, l'allora t. colonnello fu avvicinato in Bari dal Presidente della "Lega degli Adriatici" prof. Di Demetrio e da ufficiali dell'esercito inglese e americano.
    Con molta cautela gli parlarono dell'idea di uno sbarco fra Trieste e Pola di truppe italiane, trasportate da navi italiane. "La scusa della liberazione della Venezia Giulia dal nazifascismo fu messa nel documento a fine guerra per evidenti motivi di opportunità politica" - disse Mastragostino - "Il fatto vero è che si voleva bloccare l'avanzata delle truppe di Tito".
    L'approccio sorprese non poco l'ufficiale, che chiese il perché si fossero rivolti proprio a lui, esperto solo in velivoli da caccia e la risposta degli ufficiali alleati lo sorprese ancora di più. Poiché per concretizzare l'idea di questa azione di sbarco era necessario creare una organizzazione militare clandestina, composta di soli volontari e di sicura fede, non solo italiana, ma anche anticomunista, fatta una cernita fra una rosa di ufficiali attraverso informazioni su di essi fornite dal Servizio di Sicurezza OSS, la scelta era caduta su Mastragostino "perché Marcia su Roma Volontario Fiumano con D'Annunzio - Volontario di Spagna...".
    Avrebbe dovuto andare in giro per i vari aeroporti e scegliere uno ad uno, tra gli avieri (tutti disoccupati), circa milletrecento/millecinquecento uomini disposti ad una "azione di sorpresa non meglio definita e segreta".
    "Ma perché un’organizzazione così clandestina e segreta?" - volle sapere Mastragostino.
    "Il Governo italiano non deve sapere assolutamente niente. Non ci fidiamo di loro. Troppi comunisti, amici di Stalin ed in particolare di Tito. Anche elementi dei governi americano ed inglese non debbono sapere nulla. Il Comando Alleato, invece, sa ed appoggerà l'azione, ma non vuole, perché non può, apparire in prima persona. Perciò, in caso di fallimento, ignorerà tutto e vi lascerà in balia di voi stessi ".
    Gli ufficiali alleati ed il prof. Di Demetrio spiegarono poi a Mastragostino alcuni particolari dell'organizzazione clandestina. Lui, come detto, avrebbe dovuto "rastrellare" quei milletrecento/millecinquecento volontari tra i militari dell'Aeronautica.
Un altro ufficiale avrebbe dovuto fare altrettanto tra i militari dell'Esercito. Un terzo ufficiale avrebbe dovuto fare altrettanto, ma con più facilità, tra il personale della R. Marina; "con più facilità - dissero - perché il "San Marco" poteva essere utilizzato entro breve tempo, con una forza di millecinquecento uomini". Il comando di questo Gruppo era già stato affidato, con le medesime caratteristiche di segretezza e di clandestinità, al capitano di corvetta M.O.V.M. Cigala-Fulgosi. "Il più affidabile, perché aveva rifiutato di arrendersi l'8 settembre, portando il suo C.T. Impetuoso alle Baleari".
Al momento opportuno, i tre Gruppi, creati all'insaputa l'uno dell'altro, sarebbero stati riuniti sotto il comando di Mastragostino.
    " Un giorno mi dissero che il piano era annullato. Probabilmente perché la notizia era filtrata dove non doveva filtrare. Non so altro". - Così terminò Mastragostino.
    Il c.c. Cigala-Fulgosi, naturalmente, aveva messo al corrente di tutto, con la massima segretezza, il Ministro della Marina amm. De Courten, perché ottenesse dagli Alleati la disponibilità delle navi italiane da utilizzare per il trasporto dei circa cinquemila uomini previsti dal "piano".
    Sempre nel mio libro citato (2a edizione, pubblicata "dopo Mastragostino") scrivevo:
    "Questo "piano" (Piano De Courten n.d.a.) era stato portato a conoscenza di Borghese. Chi portò a Borghese il "piano De Courten""?
    "Questo fa parte di quei rapporti Sud-Nord che rimarranno segreti fino a quando la Marina non aprirà i propri archivi riservati, ammesso sempre che di questi rapporti esista ancora traccia".
Come ipotesi, facevo i nomi del t.v. Rodolfo Ceccacci e del serg. a.u. Aldo Bertucci, appartenenti al Btg. Vega - N.P. della X Flottiglia MAS, che avevano varcato le linee per recarsi a Taranto, ricevendo visite da parte di alcuni prestigiosi esponenti dell'antica X Flottiglia MAS e forse, del c.c. Cigala-Fulgosi, probabilmente il trait-d'union tra De Courten e Borghese, proprio l'ufficiale indicato da Mastragostino.
    Così scrivevo nel 1986. E così chiarivo, sull'onda del racconto di Mastragostino e di un libro contemporaneamente apparso nelle librerie internazionali e recensito in Italia sui maggiori quotidiani.
    "Possiamo però aprire uno squarcio su questo involucro tuttora impenetrabile, nella speranza che un De Felice od un altro autentico storico della sua forza possa penetrare negli archivi e fare parlare i muti.
    Il "piano De Courten" era un piano riservatissimo e "top secret". Di esso non ne era informato alcun membro del Governo, né alcun comando militare italiano.
    In verità, esso era stato elaborato dal Comando in Capo della 8a Armata britannica, che aveva in animo di effettuare uno sbarco in grande stile nell'Alto Adriatico, per tentare di sfruttare i valichi verso l'Austria e la Cecoslovacchia, probabilmente in esecuzione di un piano di più ampio respiro del maresciallo Montgomery, che, come Patton e Bradley, ma in aperto contrasto con Eisenhower, voleva arrivare a Berlino ed a Praga prima dei russi (di questo parla ampiamente lo storico inglese Nigel Hamilton nella sua biografia del maresciallo Montgomery)".
    Le ipotesi di alta strategia e politica (rafforzate purtuttavia dall'ultrasegretissimo convegno di Montecolino sul lago d'Iseo del novembre 1944) esulano però dal tema proposto, che vuole solo far luce sul "piano De Courten".
 
    Fino al 1986 ero quindi a conoscenza dei fatti sopra elencati:
1) L'esistenza di un piano per sbarcare in Istria od in Venezia Giulia reparti italiani del Sud su navi italiane; e questo per conoscenza diretta; piano da Borghese e Lenzi chiamato "piano De Courten";
2) L'esistenza (appreso solo nel 1986) di una organizzazione militare clandestina nella Puglia, denominata "Battaglione Azzurro", facente capo ad una organizzazione civile non clandestina denominata "Lega degli adriatici", supportata segretamente dalle FF.AA. Alleate; e questo in base al racconto del comandante il "Battaglione Azzurro", generale Mastragostino; di questa organizzazione faceva parte anche la M.O.V.M. Antonio Marceglia, affondatore della nave da battaglia "Queen Elizabeth" ad Alessandria;
3) l'esistenza, in questo "Battaglione Azzurro", del com.te M.O.V.M. Cigala-Fulgosi, incaricato del reclutamento dei marinai e dell'organizzazione delle navi necessarie.
    Il collegamento, seppure ignoto a Mastragostino, con l'amm. De Courten da parte di Cigala-Fulgosi era inevitabile e consequenziale.
    A completare il mosaico mancavano però due testimonianze dirette, tasselli fondamentali: la testimonianza di De Courten e la testimonianza degli archivi alleati.
    Mentre questi ultimi probabilmente rimarranno ermeticamente chiusi, in quanto i fatti coinvolgerebbero politici e militari ad alto livello; o, forse sono stati già da tempo svuotati su questi fatti (ricordiamo le parole degli ufficiali Alleati a Mastragostino: "il Comando Alleato ignorerà tutto in caso di fallimento dell'operazione"), sono apparse nel 1993 le "Memorie" di De Courten ad opera dell'Ufficio Storico della Marina Militare. E la sorpresa non è stata piccola.
 
    Quello che interessa il nostro argomento è contenuto essenzialmente nel Cap. XXVI "Trieste e la Venezia Giulia" e la sorpresa sta nell'apprendere che l'Amm. De Courten era solo una pedina in quella organizzazione, di cui "sembra" che ne conoscesse appena l'esistenza, come "sembra" che non conoscesse affatto la presenza e l'iniziativa determinanti del Comando delle FF.AA. Alleate nella vicenda.
    Una sua tranquilla confessione può anche indurre a sospettare che l'annullamento del "piano" sia dovuto "anche" a lui. Il "piano" era della massima segretezza ed il Comando Alleato doveva fingere di non saperne nulla. Invece, De Courten ne parlò all'amm. Morgan. Naturalmente nella massima segretezza. La frittata era fatta.
    Leggiamo cosa scrive l'amm. De Courten, con riserva di fare alcuni commenti.
    "Nel luglio del 1944, poco dopo la liberazione di Roma, il Reparto Informazioni (c.v. Calosi - n.d.a.) mi comunicò alcune notizie raccolte presso profughi giuliani, residenti nelle Puglie, i quali erano instancabili nel mantenere contatti con le loro genti, dovunque esse si trovassero, e nel raccogliere informazioni relative alla Venezia Giulia.
    Secondo queste segnalazioni, gli Alleati, in vista della sempre più evidente tendenza degli iugoslavi a creare alle frontiere orientali una situazione di fatto suscettibile di giustificare, al termine del conflitto, le loro pretese all'attribuzione del territorio nazionale fino all'Isonzo non avrebbero visto di malocchio un'azione militare italiana che, al momento del crollo tedesco, precedesse quella iugoslava nell'occupazione della Venezia Giulia".
    "In considerazione del grande interesse di questi presunti orientamenti, incaricai il comandante Calosi di approfondirne la fondatezza.
    "Egli si mise in contatto, non solo con i profughi, ma anche con gli ufficiali posti alla direzione dei servizi informativi britannici presso le diverse autorità militari e navali, con le quali avevamo rapporti di collaborazione. Si constatò così che effettivamente esisteva una simile tendenza alleata, per lo meno nella sfera degli ambienti interpellati. In seguito fu possibile abbozzare il progetto schematico di un tempestivo sbarco di reparti della Marina e dell'Aeronautica (Reggimento "San Marco" e Battaglione "Azzurro" A.A.) nelle vicinanze di Trieste, dove queste truppe avrebbero dovuto essere trasportate da mezzi navali italiani: l'operazione sarebbe stata effettuata sotto l'esclusiva responsabilità del Comando Italiano, mentre gli Alleati avrebbero dovuto fingere di ignorarla" .
    E’ una totale conferma di quanto il com.te Borghese, il com.te Lenzi, io e qualcun altro sapevamo, quasi "in contemporanea", al Nord, di quanto scrissi nel 1986; di quanto mi rivelò e documentò Mastragostino.
    Anche De Courten ignorava l'esistenza di un reparto dell'esercito, probabilmente perché mai costituito per la sua inaffidabilità dopo la "prova" offerta all'8 settembre.
    Dopo avere così annunciato lo schema del "piano De Courten", in base al quale ci muovemmo al Nord e si mossero il "S. Marco" ed il Battaglione Azzurro di Mastragostino al Sud, ecco De Courten avanzare i primi dubbi ed iniziare la ritirata, ancora una volta senza avvertire i diretti interessati: Borghese e la "Lega degli Adriatici", di cui pare addirittura ignorare l'esistenza.
    Prosegue infatti così.
    "Pur rendendomi conto dei movimenti di queste modalità, intese a non compromettere gli Alleati agli occhi delle formazioni iugoslave, che nei Balcani stavano contribuendo alla guerra contro la Germania, rimasi perplesso sulla reale consistenza di questi approcci e sulle forme nelle quali l'operazione era concepita.
    Ai primi di settembre del 1944, in occasione di colloqui più impegnativi con rappresentanti qualificati Intelligence Service, il comandante Cigala-Fulgosi M.O. ebbe l'incarico di mettere in rilievo i seguenti punti di vista della Marina:
1) la questione della Venezia Giulia, che sta tanto a cuore a tutti gli italiani, è particolarmente sentita dalla Marina, che è disposta a fare qualunque sforzo e sacrificio per un suo favorevole sviluppo.
2) La Marina, al pari delle altre Forze Armate italiane, da molti mesi non chiede agli Alleati che di agire, in qualunque settore: anche per questa ragione un'operazione nella Venezia Giulia, affidata alla Marina, sarebbe oltremodo desiderata.
3) La Marina ha sempre lealmente e scrupolosamente adempiuto gli obblighi armistiziali, né intende allontanarsi da questa direttiva: in conseguenza, pur essendo disposta a lasciare apparire che essa agisca di propria iniziativa, non vuole fare nulla che possa essere considerato violazione dell'armistizio e desidera quindi ricevere formale autorizzazione all 'operazione, sia pure sotto il vincolo della segretezza.
4) D'altra parte mezzi e truppe italiani sono impiegati ed a disposizione dei Comandi Alleati, navali e terrestri, i quali dovrebbero ovviamente lasciare libere le forze destinate all'operazione per il trasferimento nei punti di addestramento, concentramento e partenza; questo a prescindere dalla necessaria cooperazione per la scorta aerea ai convogli e dalla non meno indispensabile sincronizzazione dello sbarco con le azioni svolte all'occupazione via terra della Venezia Giulia".
Le osservazioni affidate a Cigala-Fulgosi appaiono ineccepibili, ma sono equivalenti al dire agli ufficiali dell'OSS e dell’Intelligence Service: "non ci stiamo".
    Pretendere dagli Alleati un ordine scritto, seppure segreto, su di un'operazione definita "clandestina" è un modo elegante per sganciarsi da qualsiasi responsabilità e rischio, dato anche che in Italia la segretezza non è mai stata di moda.
"Il 7 settembre 1944 conferii a Taranto su questo argomento con l'ammiraglio Morgan, esponendogli quanto era a mia conoscenza e chiedendo la sua collaborazione per ottenere che mezzi da sbarco moderni fossero posti a nostra disposizione.
Gli manifestai il mio desiderio che egli ricevesse il comandante Cigala-Fulgosi, dal quale egli ebbe infatti dettagliate delucidazioni sulla consistenza e sull'organizzazione del Reggimento "San Marco", nonché sull'entità dei mezzi navali disponibili e di quelli occorrenti".
    De Courten continua ad ignorare Mastragostino ed il Battaglione Azzurro. Evidentemente li ignora, proprio perché Cigala-Fulgosi mantiene con lui quell'autentico rapporto di segretezza di cui ha parlato Mastragostino.
De Courten deve essere utilizzato solo per procurare i mezzi navali di trasporto e sbarco e Cigala-Fulgosi, davanti a De Courten, illustra a Morgan solo il "San Marco", di cui dovrebbe assumere il comando secondo i piani dell'OSS.
Dal racconto, non sembra che Morgan sia rimasto molto entusiasta, probabilmente perché già al corrente dell'operazione "clandestina", di cui lui non avrebbe dovuto sapere niente e invece se la vede spiegare in lungo ed in largo dal Ministro della Marina in persona, minacciando di comprometterlo. Ed infatti...
    "L'ammiraglio Morgan, da me ripetutamente interpellato per conoscere gli ulteriori sviluppi della questione, mi diede risposte sempre più vaghe ed evasive, dalle quali dedussi che il problema, portato nelle sfere più elevate ed aventi autorità determinante, aveva incontrato, se non aperta ripulsa perlomeno accoglienza riservata e dilatoria, il che non era promettente".
Insomma, De Courten non aveva capito (o non aveva voluto capire?) che un'operazione "clandestina" doveva essere "clandestina" in tutti i sensi e non un altro sbarco di Normandia e che i Comandi Alleati ufficialmente non ne dovevano sapere niente, mentre lui "ripetutamente" li interpella, "fino nelle sfere più elevate".
    Ma un'altra ipotesi può affacciarsi. Ho avuto De Courten come ammiraglio comandante la VII Divisione quando ero imbarcato nell'Incrociatore "R. Montecuccoli". L'ho conosciuto e di lui ho sentito parlare in diverse occasioni. Era un uomo di grande intelligenza, un comandante estremamente preparato e di grande prestigio, con un carattere deciso, quasi teutonico (nelle sue vene scorreva sangue tedesco), ma anche dotato di notevole diplomazia. Esaminando attentamente i quattro punti affidati a Cigala-Fulgosi, può essere affermato che, in essi, è più il diplomatico a parlare che l’ammiraglio.
    Infatti:
1) Dal Reparto Informazioni ha appreso che "gli Alleati... non avrebbero visto di malocchio un'azione militare italiana..."; quindi, l'idea dello sbarco di truppe italiane con navi italiane, da eseguire clandestinamente e, ufficialmente, all'insaputa del Comando Alleato, era degli Alleati.
2) Quello sbarco rientrava quindi negli interessi degli Alleati, che, però, non volevano lasciare le dita nella marmellata e chiedevano che le lasciassero i soliti italiani con le solite capriole.
Ed allora De Courten manda a dire, in sintesi, all'Intelligence Service:
a) che la questione della Venezia Giulia (ma perché non anche dell'Istria?) gli sta tanto a cuore;
b) che è da tanto tempo che la R. Marina pungola gli Alleati a muoversi e che la stessa R. Marina desidererebbe partecipare all'operazione per la Venezia Giulia;
c) che però non può parteciparvi, in quanto obbligata dalle clausole dell'armistizio, per cui "non vuole far nulla che possa essere considerato violazione dell'armistizio";
d) che però, se proprio lo vogliono, gli Alleati debbono fornire a lui "formale autorizzazione all'operazione".
E’ una risposta da maestro della diplomazia, equivalente ad un "arrangiatevi" più consono alla personalità dell'ammiraglio. Occorre infine mettere l'accento sul fatto che De Courten, pure con l’ltalia da tempo in stato di "cobelligeranza", agli Inglesi rammenta solo le durissime clausole dell'armistizio. Un autentico irrigidimento nei loro confronti.
Comunque, qualsiasi interpretazione si possa dare, è da quel momento che inizia la fine del "piano De Courten", la fine dell'organizzazione clandestina, dei Battaglione Azzurro, la fine delle speranze degli esuli istriani.
    Prosegue De Courten.
    "D'altro canto nel frattempo il Reggimento "San Marco", incorporato nella Divisione "Folgore", aveva preso posizione sui fronti di combattimento in forma tale da non rendere agevole un suo ritiro per altri scopi".
    L'ammiraglio continua ad ignorare l'esistenza del Battaglione Azzurro, del ten. col. Mastragostino, della Lega degli Adriatici, ma soprattutto punta tutto il suo ragionamento in merito all'abbandono del "piano" sulla mancata disponibilità del "San Marco". Non una parola sugli "N.P." che pure, sebbene solo per via terra, arrivarono per primi a Venezia per puntare subito su Trieste, dopo il frenetico abbraccio con gli "N.P." della X Flottiglia MAS. (Se erano arrivati per primi via terra, non sarebbero arrivati ancor prima via mare?)
    "L'incontro avvenuto il 27 febbraio 1945 a Belgrado tra il generale Alexander e Tito, a seguito di quello precedente di Bolsena del luglio 1944, diede ben presto la sensazione che fossero stati stabiliti accordi militari ben definiti sulla prosecuzione delle operazioni contro la Germania e sulle relative contropartite. In realtà quel periodo segnò la fine di ogni speranza che gli Alleati intendessero fiancheggiare e facilitare un'azione autonoma italiana di sbarco a Trieste, la quale sarebbe stata della massima importanza per il futuro della Venezia Giulia".
    Insomma, De Courten gioca in difesa ed incolpa gli Alleati in generale (ed Alexander unitamente a Tito in particolare) del fallimento del "piano" che, per noi del Nord, portava il suo nome, continuando a sorvolare sul fatto fondamentale che Tito non avrebbe dovuto sapere niente ed avrebbe dovuto trovarsi di fronte al fatto compiuto, con il territorio cui aspirava (fino all'Isonzo e al Tagliamento) ben presidiato dai 5.000 uomini venuti dal Sud, mentre Alexander avrebbe dovuto semplicemente cadere dalle nuvole, (rinforzando nel contempo quella testa di sbarco).
    A questo punto potrei scrivere la parola fine sull'argomento del "piano De Courten", ma De Courten non me lo permette, perché torna sulla Venezia Giulia, ma in modo inaspettato, anche se ben conosciuto e pubblicizzato sia da Borghese, che da Ricciotti Lazzero (X Flottiglia MAS - Ed. Rizzoli) e da me nel citato libro.
    "Nel frattempo, peraltro, si stava delineando un’altra possibilità, suscettibile di arrivare a concrete realizzazioni ai fini sempre presenti nella mia mente".
    Quale era questa possibilità'? L'invio "nell'ltalia del Nord" di missioni con l'intento di prendere contatto con l'Ammiraglio Sparzani, Sottosegretario di Stato della Marina Repubblicana della R.S.I. e con il com.te Borghese, Capo di Stato Maggiore Operativo, nonché comandante la X Flottiglia MAS. Scopi? Difesa delle industrie del Nord. Difesa dell'italianità di Trieste.
De Courten riporta brani delle relazioni del t.v. Zanardi, parla delle M.O.V.M. Marceglia e dell'lng.Giorgis e dei loro appunti. Ma si tratta sempre della difesa dell'italianità dell'Istria, del Friuli e della Venezia Giulia. Nulla che interessi uno sbarco di truppe italiane del Sud.
    "L'azione di difesa della Venezia Giulia fu praticamente nulla" conclude De Courten.
    Ha ragione. A nulla è valsa la morte di centinaia, di migliaia di ragazzi, alpini del "Tagliamento", bersaglieri del "Mussolini" e del "Mameli", marinai della "X Flottiglia MAS", "CC.NN." di Libero Sauro, caduti sui monti del Friuli, sul San Gabriele, sul San Michele, nell'Ortigara, nella Selva di Tarnova, scomparsi nelle foibe istriane, a Lussinpiccolo, Cherso, a Kurzola, a Pola, Lanzana, Fiume, nelle profondità dell'Adriatico.
    Erano più importanti le "contropartite" freddamente e cinicamente trattate come merce di scambio tra Alexander e Tito.
Che poteva fare De Courten, povero ammiraglio di una Italia sconfitta? - Cosa poteva ottenere il "piano De Courten"?.
"L'azione di difesa della Venezia Giulia fu praticamente nulla".
    Ma da parte di chi?
 
 
                                                                                                                                

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