venerdì 7 gennaio 2022
OPERE DEL REGIME da UOMINI DI UN TEMPO
da UOMINI DI UN TEMPOPRIMA DELL'OTTO SETTEMBRE. C'ERA UNA VOLTA LA PATRIA. CITTA' E OPERE NEL VENTENNIO
FASCISTA
OPERE DEL REGIME:
LE CITTA' DI MUSSOLINI. QUANDO L'ARATRO TRACCIAVA IL SOLCO... Pietro Chiari Dopo che a Milano in
galleria ed alla stazione centrale delle ferrovie erano state allestite,
a cura di Palazzo Marino, analoghe manifestazioni, nel 1984 a Roma fu aperta
al pubblico una mostra per illustrare i più svariati aspetti dell'economia
italiana tra le due guerre mondiali nel periodo coincidente con il ventennio
fascista. Sedi migliori non avrebbero potuto essere scelte se si pensa
che ad accogliere gigantografie, pannelli e vetrine traboccanti di testimonianze
merceologiche, oggetti e mezzi profusi in quell'epoca furono utilizzate
due metropoli e, nella Capitale, uno dei più tipici esempi della
romanità tanto cara al Regime: il Colosseo. La partecipazione del pubblico
fu ben superiore al previsto e se l'intento era quello di far sorridere
per il divario tra i prodotti 80 fa e lo sviluppo tecnologico
di oggi, fu invece unanime la sorpresa, sia nei più giovani sia
negli anziani che avevano dimenticato, nel constatare una realtà
che ci aveva resi giustamente orgogliosi allora di essere Italiani. Di fronte ad un campione così
eclatante di oscuramento della memoria giova quindi ricordare alcune delle
più significative opere del Regime, a riprova di un periodo ove
accanto alla retorica si realizzavano programmi che sono ancora sotto gli
occhi di tutti; accenniamo a queste opere e ci riferiamo a città,
borghi e villaggi creati dal nulla in pochi anni che già nel 1939
furono oggetto di una pubblicazione del giornalista sardo Stanis Ruinas
"Viaggio attraverso le città di Mussolini". Vediamole ora rapidamente,
una per una, queste "città", anche se non tutte - lo ripeto
arrivarono a tale livello di strutture, di sviluppo e di popolazione per
le loro differenziate vocazioni. Ovviamente la maggior parte
ebbe proiezione agricola, susseguente per lo più a bonifica del
suolo da acquitrini e paludi, data la lotta alla piaga dell'urbanesimo
che veniva combattuto anche nelle scuole con il cosiddetto ruralismo magnificante
in tutti i possibili modi e con tutti i mezzi di propaganda a disposizione,
le virtù di un ritorno alla terra e la più naturale esistenza
in campagna, di contro al crescente e minaccioso inurbamento, purtroppo
vincente alla fine. E cominciamo con la dolente
nota di chi è venuto via, esule in Patria, o all'estero (e furono
350.000 persone!) e di ciò che è rimasto nelle zone perdute
ormai fuori dai confini politici orientali. FELICIA, ora la croata Cepie
o slovena Cvic, edificata nella piana prosciugata dell'Arsa in provincia
di Fiume all'altezza di Bersezio sul Quarnero, seguita, a partire dal 1936,
da FERTILIA (chiamata temporaneamente FERTILIA JULIA) in Sardegna presso
l'aeroporto della catalana Alghero dove, intorno agli anni Cinquanta, vennero
"dirottate" perché ingombranti, aliquote di profughi della
Venezia Giulia e della Terza Sponda adriatica, affinché vi... dimenticassero
l'Istria e la Dalmazia natìe perdute. Si tratta in entrambi i casi
di piccolissimi abitati colonici restati tali, a parte qualche successiva
appendice turistico-balneare. TORVISCOSA in mezzo ad un
autosufficiente comprensorio friulano di bonifica, dove all'agricoltura
si unisce l'allevamento del bestiame ed una ricca produzione lattierocasearia.
Avrebbe dovuto forse chiamarsi FRIULIA, nata con l'investimento di capitali
dell'industriale Marinotti. Invece prevalse, fissata nel suo nome, la memoria
di fibre tessili (la viscosa della SNIA appunto) sperimentali, donde il
Lanital, la lana artificiale italiana derivata dal latte. Per rimanere in tema ecco
in una incalzante sequenza le più famose città dell'Agro
Pontino redento, costruite tutte nell'arco di appena otto anni: LITTORIA (oggi LATINA) fondata
il 30 giugno ed inaugurata il 18 dicembre 1932 divenuta capoluogo dell'allora
più giovane provincia italiana il 18 dicembre 1934. Essa è
tuttora alla testa di un comprensorio industriale oltre che agricolo in
dinamico equilibrio di efficiente produzione economica. SABAUDIA fondata in omaggio
alla dinastia di Savoia allora regnante il 5 agosto 1933 ed inaugurata
il 15 aprile 1935. PONTINIA fondata il 19 dicembre
1934 ed inaugurata il 18 dicembre 1935, Giornata della Fede. APRILIA fondata il 25 aprile
1935 ed inaugurata il 29 ottobre 1937 anno XV dell'Era Fascista. POMEZIA fondata in ricordo
di un'antichissima città laziale mai rintracciata, il 22 aprile
1938 ed inaugurata il 28 ottobre 1940, capodanno dei XVIII E.F. Ma assai prima di esse il
28 ottobre 1928 era stata fondata nell'Oristanese MUSSOLINIA DI SARDEGNA
eretta a Comune nel 1930 e divenuta ARBOREA nel 1944, sul terreno della
bonifica di Terralba dove fra l'altro si produce il rinomato vino di Torrevecchia. Nasce nella grossetana bonifica
prossima alla foce dei Fiume Albegna, in Toscana, ALBINIA che rimane un
gruppo di case vicino alla ferrovia con il silos dell'acqua e la chiesa,
come del resto MUSSOLINIA Di SICILIA inaugurata nel 1939 quasi alla vigilia
della guerra, ed oggi frazionata tra Botteghelle e Mazzarrone e contratta
nel nome troppo semplicisticamente camuffato di CASE MOLINIA a sud di Caltagirone,
in vista della piana di Gela e Comiso che, al di là dei mare, guarda
lontanissima la Quarta Sponda africana. In Puglia a sud di Foggia
abbiamo borgo SEGEZIA con il vicino Ovile Nazionale e quindi centro agro-zootecnico
e nella Basilicata, allora Lucania, non lontano da Pisticci MARCONIA. Presso Fano alla foce dei
Metauro, nelle Marche, ecco ancora nel 1938 sull'Adriatico sorgere a cura
dell'Opera Nazionale Combattenti METAURILIA. Essa unisce nel suono del
nome del vicino storico fiume quello dei "suovetaurilia" il cruento
sacrificio agli dèi pagani dell'Urbe di un majale (sus) una pecora
(ovis) ed un toro (taurus) per propiziarne la prosperità e la sorte. Infine VOLANIA prossima al
Po di Volano, nel Ferrarese, presso Comacchio, nascerà con una grossa
fattoria cinta da un muro che la fa apparire quasi un centro fortificato
più che agricolo. Forse avrebbe potuto meglio chiamarsi BALBIA dedicata
al Trasvolatore dell'Atlantico e Governatore della Libia, Italo Balbo,
caduto nel 1940. Per tutti questi abitati
e per le fertili e variegate coltivazioni circostanti ben si addice l'espressione
mussoliniana dell'epoca "Questa è la guerra che noi preferiamo"
vincolata all'altra. "E' l'aratro che traccia il solco, ma è
la spada che lo difende", alludenti alla sfida insita in una più
che pacifica attività contadina abbinata alla tenace volontà
di difendere, contro chiunque, la sorgente autarchia cerealicola. E ciò
nonostante le inique Sanzioni economiche, applicate inutilmente da 52 nazioni
all'Italia, per soffocare la conquista del nostro posto al sole in Abissinia.
Qui, nel Galla e Sidamo, ed in altre plaghe interne etiopiche, alcune aree
di messa a coltura, tra le diverse realizzazioni di civiltà, che
ebbero vita effimera ma ugualmente indicativa: una "Romagna d'Etiopia",
una "Puglia d'Etiopia" ed un"Veneto d'Etiopia", dissodate
per lo spazio di appena un lustro coi sudore dei coloni provenienti dalle
omonime regioni nazionali! Ed ancora, alla periferia
dell'Urbe, oltre l'EUR (allora detta Eur '42) verso quello che fu chiamato
Lido di Roma (ex ed attuale Lido di Ostia) ecco VITINIA ed ACILIA del 1939,
centri satelliti. Oggi quartieri estremi della Città Eterna. Nel 1938 andarono in Libia,
antico granaio dell'Italia romana, 20.000 agricoltori per redimere, alla
fecondità, la Gefara e l'altipiano tripolino nonché il Gebel
cirenaico, un tempo verde . E lì, i nostri coloni
hanno trovato pronti 25 villaggi agricoli: OLIVETTI, BIANCHI, GIORDANI,
MICCA, TAZZOLI, BREVIGLIERI, MARCONI, GARABULLI, CRISPI, CORRADINI, GARIBALDI,
LITTORIANO, CASTEL BENITO, FILZI, BARACCA, MADDALENA, SAURO, OBERDAN, D'ANNUNZIO,
RAZZA, MAMELI, BATTISTI, BERTA, LUIGI DI SAVOIA, GIODA. Intanto, fianco a fianco,
Arabi e Berberi indigeni imparavano a lavorare e a far fruttare la loro
terra in altre in altre dieci località nuove dai poetici nomi di
EL FAGER (Alba), NAHIMA (Deliziosa), AZIZIA (Profumata), NAHIBA (Risorta),
MANSURA (Vittoriosa), CHADRA (Verde), ZAHRA (Fiorita), GEDIDA (Nuova) e
MAMHURA (Fiorente) nonché l'odierna EL BEIDA già BEDA LITTORIA
(la Bianca) che Idris el Senussi, nel dopoguerra fatto Re dagli Inglesi,
volle sua residenza. Arabi e Berberi concorrevano così inoltre a
contenere e bloccare mediante le colture agricole ed arboree l'espansione
della sabbia avanzante del Sahara. Sempre nelle quattro Province
metropolitane della Libia (Tripoli, Misurata, Bengàsi e Derna) si
ebbe la modernizzazine di 17 centri abitati costieri e dell'entroterra:
APOLLONIA, TOLMETTA (Tolemaide), LEPTIS MAGNA (ar. Homs Lebda) etc. Né può essere
tralasciato, anche se dovuto esclusivamente alla personale, solitaria iniziativa
fiorente degli anni Venti del Duca degli Abruzzi (che vi volle esser sepolto)
il nascere ed il prosperare di una enorme Azienda agricola modello per
quei tempi, centro pilota di una esemplare pluricoltura nell'arida Somalia
presso il fiume Uebi Scebeli, VILLABRUZZI (sintesi di VILLAGGIO DUCA DEGLI
ABRUZZI) oggi Jawhar nel Corno d'Africa. Ma torniamo in Italia per
rintracciare sempre negli anni Trenta le città minerarie e carbonifere
di ARSIA fondata il 27 ottobre 1936 ed inaugurata nel novembre 1937, oggi
purtroppo la croata Rega, presso Albona, pardon Labin in croato, nell'Istria,
e, fondata il 17 dicembre 1938 nel Sulcis (Iglesiente) della Sardegna CARBONIA
che con alterne vicende ha superato ormai i 33.000 abitanti, come preconizzato
dal Duce al momento della inaugurazione. Abbiamo poi TIRRENIA presso
Livorno, città cinematografica della fu "Pisorno" che
accompagna e segue Cinecittà del 1936. GUIDONIA città aviatoria,
anzi delle ali e della scienza dell'aria, sede di studi ed esperienze d'avanguardia
della Forza Armata del cielo, consegnata il 31 ottobre 1937 all'Aeronautica
ed inaugurata nel 1938 sotto Montecelio, verso Palombara Sabina. Ed infine,
sorta nel 1936, CERVINIA, città sciatoria con Breglio (Breuil) in
Val d'Aosta. Fin qui si è
elencato quanto è stato creato ex novo magari vicino ad altre sedi
abitative lasciando al "libro dei sogni" le realtà in
progetto ed allo studio rimaste in pectore nella Madrepatria ed Oltremare,
abbandonate allo scoppio della seconda guerra mondiale. Non possono altresì
essere passati sotto silenzio, anche se in parte accennati sopra, i centri
monofunzionali inseriti organicamente nell'Urbe quali: - la città
sanitaria Ospedale del Fascio, poi San Camillo, Spallanzani e Forlanini
nella cosiddetta "zona del silenzio", del 1929; - la città
dello sport Foro Mussolini oggi Foro Italico del 1932; - la città militare
Cecchignola con l'adiacente successivo Villaggio Giuliano-Dalmata; - la città del cinema
Cinecittà del 1936; - la città dell'esposizione
universale romana E. '42 (EUR del 1947). Per concludere, secondo il
buon senso che consigliava e consiglia, contro l'eccesso di campanile,
il trovare ed incoraggiare motivi di unione e di fusione rispetto a ciò
che troppo individualisticamente tende a dividere e separare, è
bene enumerare, nelle nuove denominazioni allora assunte, Massa e Carrara
in APUANIA, Intra e Pallanza in VERBANIA, Oneglia e Porto Maurizio in IMPERIA
(dal torrente Impero che scorre tra esse), Anzio e Nettuno in NETTUNIA
fino al 1946. E come elemento onomastico di proiezione al futuro ma ricavandolo
dalla tradizione classica, CORRIDONIA in luogo di Pausula nelle Marche,
tralasciando volutamente le "puristiche" italianizzazioni di
nomi dal suono straniero come ad esempio in Val d'Aosta PORTA LITTORIA
in luogo di La Thuile (fr. La Tegola), CUORMAIORE in luogo di Courmayeur
dal lat. Curia Major, ed altre. Il Fascismo tuttavia - è
bene riaffermarlo , non compì certo solamente opere materiali murarie
e d'asfalto quali le prime autostrade. Come dimenticare infatti l'Accademia
d'Italia, il nuovo Codice Civile e Penale "Rocco", l'Opera Nazionale
Maternità e Infanzia, l'Eneiclopedia Treccani, le Carte del Lavoro,
dello Sport e della Scuola, le Colonie marine e montane per i figli del
popolo, etc. esortando gli Italiani ad andare al mare ed a volare (Giornata
dell'Ala)? Quella che abbiamo presentato
è senza dubbio una panoramica necessariamente non approfondita,
ma tale da far conoscere l'entità gigantesca dello sforzo e dell'erculeo
impegno affrontato in quegli anni, oltre alle innumerevoli iniziative ed
attività eseguite nelle città italiane, ed in tutto il territorio
nazionale, di qua e di là del Mare Nostrum in un amplissimo programma
di realizzazioni che attinge l'universale. Non vuole essere sterile e
banale ironia, ma si avanza prepotente a questo punto il bisogno di un
confronto tra il tanto deprecato Ventennio imperiale ed il mezzo secolo
di repubblica democratica e tangentopolitana che ancora ci ammorba dall'inizio
degli anni Novanta. Cos'è stato meglio? Quell'Era "nera"
detta fascista o questo cinquantennio di vergogna e di dissipazione? Ogni
ulteriore commento è evidentemente scontato! Tuttavia lascio ai Lettori
vecchi e giovani, memori, smemorati od ignoranti - e non per colpa loro
- la risposta. NUOVO FRONTE n. 168 Novembre 1996)
SPIGOLANDO TRA I RICORDI DI
UN OTTUAGENARIO Sintesi di una Conferenza di Giuseppe Rocco
al "Windsor Hotel" di Milano il 14-12-1995 da UOMINI DI UN TEMPO Il tema della chiacchierata di questa sera è
il PNF. Non la storia del Partito Nazionale Fascista, ma solo qualche divagazione
sul tema. So che è una pretesa ridicola, da parte mia,
parlare a un gruppo come voi, che conosce l’argomento quanto se non più
di me. È difficile che possa raccontare particolari a voi sconosciuti.
Forse però qualcuno ha dimenticato – ed è mia illusione,
dato che ho qualche anno più di tutti i presenti, e nel periodo
dal 1935 al 1940, mi sono interessato soprattutto di politica – poter essere
di aiuto per ricordare molti aspetti scarsamente ricordati. Alcuni di voi
erano troppo giovani (molti lo sono ancora) e per aver vissuto il periodo
esaltante ed esclusivo della RSI sono portati a ritenere valido solo il
fascismo dell’ultimo periodo di guerra. Un mio "pallino" è di non aver
mai accettato il dispregio con cui, al tempo della Repubblica, si parlava
di quanto era avvenuto in Italia dal 1919 a 1943. Poiché questo stato d’animo è in molti
ancora presente, spero di trovare qualche argomento per convincervi che
prima del 25 luglio, il fascismo aveva fatto, in pochi anni, tante di quelle
cose valide da gratificare per un secolo un normale governo, sia in campo
internazionale che in campo locale. In tema economico, operativo, legislativo
e spirituale. Non intendo annoiarvi con l’esposizione che farò;
tutti conoscete quello che dovrei dirvi e tutti sapete cosa è stato
realizzato nel Ventennio Littorio. Permettermi di parlare per i giovani
e per gli smemorati: un bagno nel passato che ci aiuti a dimenticare il
presente, senza velleità, per pura e semplice malinconica nostalgia. (...) Per sgomberare il campo da un aspetto della
vita del Regime Fascista, che spesso ci ha indotto a dare maggior rilievo
agli uomini che alle opere, dobbiamo ricordare che anche i collaboratori
del Duce erano "italiani". Sia i modesti capetti locali, che
i grossi papaveri (chiamiamoli pure ironicamente gerarchi) erano tutti
italiani. Tutti individualisti, tutti "prime donne" in attività
o in attesa di diventarlo; invidiosi, calunniatori, cannibali, spesso arrivisti,
ambiziosi. Ma coraggiosi, generosi, quasi sempre eroici, mai ladri. Le caratteristiche negative le troviamo anche negli
esponenti del dopoguerra, con la differenza che questi si sono dimostrati
sempre vili, neghittosi e quasi sempre ladri. Salvo rare eccezioni, era questo il materiale umano
di cui il Duce poteva disporre. I tentativi effettuati nei primi mesi di governo,
di recuperare qualche elemento valido dell’antifascismo, andarono tutti
a vuoto. Alla fine Mussolini dovette rendersi conto che chi non aveva capito
il fascismo dall’inizio era perché mancava di quelle doti che hanno
reso gli uomini del Regime dei giganti in confronto alle masse: lo spirito,
il senso della patria, la generosità, il coraggio (anche da parte
di molti di quei traditori, giustamente condannati a Verona, ma che nel
nostro intimo non ci sentiamo sempre di rifiutare). Non possiamo dimenticare
gli anni del loro lavoro fecondo. (...) I vecchi gerarchi erano esposti alle barzellette
irridenti, considerati ignoranti, al più ex-maestri di ginnastica,
incapaci di parlare italiano. Se poi ci capitava di conoscerne qualcuno
personalmente, ci accorgevamo che, pur non essendo dei semidei, salvo qualche
meritorio autodidatta, nella maggior parte, anche se uomini d’azione, erano
in possesso di lauree, di esperienze giornalistiche, culturali e accademiche
di primissimo ordine. Il guaio era che anche noi eravamo sempre pronti
a bere tutto ciò che la propaganda avversaria faceva circolare. Durante il Ventennio, c’era sempre alle spalle il
Duce, c’era sempre nell’aria la sua immagine incombente, si respirava un’atmosfera
che induceva tutti a far bene, a operare per la comunità, chiamata
allora Patria. Eravamo ispirati dalla voglia di contribuire, di portare
la nostra pietra al cantiere; voglia che prendeva tutti, dal più
umile operaio o contadino, al più grosso industriale. Tutti sempre
desiderosi di far sapere al Duce che avevano fatto qualcosa, che avevano
agito con la coscienza di compiere il proprio dovere. Dal balillino dell’orticello
di guerra, al legionario nel deserto libico, o nelle ambe abissine. Tutti
brontoloni, sempre scontenti, ma sempre fieri di partecipare, da protagonisti
in prima fila, a una fase eccezionale della storia d’Italia. Tutti intimamente
orgogliosi di appartenere a quel blocco dei famosi otto milioni di baionette.
Coscienti che la massa non annullava l’individuo, ma che l’unione delle
volontà esaltava ogni singolo. (...) Purtroppo, quello spirito che aveva conquistato
la grandissima parte degli italiani, e affascinato molti stranieri, compresi
numerosi antifascisti, era in fase di flessione proprio nel momento più
critico, cioè negli anni 1938/39. Anche i più entusiasti
avevano bisogno di riposo spirituale. I continui successi, le continue
sollecitazioni al nostro orgoglio per le vittorie militari, i primati sportivi,
i traguardi in tutti i campi, tecnici, scientifici, diplomatici, ecc.,
avevano portato a una assuefazione anche alle notizie di conquiste reali
o apparenti, che la propaganda diffondeva. Ci voleva un periodo di rallentamento,
una sosta per tirare il fiato. Purtroppo il tempo mancò. La guerra, prevista e preventivata, arrivò
troppo presto. Tanti programmi vennero sacrificati. Compreso quello
staraciano di creare una classe di capi sportivamente efficienti, ed esteticamente
rappresentativi, all’inglese, per costituire l’ossatura del futuro corpo
di funzionari coloniali, prestigioso anche nelle apparenze che si pensava
fosse necessario per la reale colonizzazione all’italiana, oltre all’imprenditore
operoso. Come non riuscì il tentativo di Muti di rivitalizzare
il Partito, diventato ormai un organo statale burocratico, senza vita propria,
senza la funzione di spinta, di crogiolo di idee, che avrebbe dovuto integrare
l’apparato statale e non aggregarsi a esso. Quel poco di spirito rimasto era tutto nelle organizzazioni
giovanili, anche queste private dei migliori elementi dirigenti, chiamati
o volontari alle armi. Muti organizzò la Marcia della Giovinezza,
rivelatasi una splendida dimostrazione di entusiasmo e di organizzazione
e che alla fine ebbe la sua esaltazione a Bir-el-Gobi. Nel contempo il Partito si impoverì. Fu troppo drastico il cambiamento fra i due segretari
del Partito, e gli scossoni impressi da Muti, che sarebbero stati utilissimi
in un altro periodo, furono in quel momento deleteri. Servirono solo a
deprimere gli entusiasti, e a far alzare la testa all’antifascismo serpeggiante. (...) Ma è forse più piacevole parlare
di cose concrete, delle realizzazioni. Per esaurire questo argomento basterebbe leggere
un qualsiasi elenco, anche scheletrico, delle opere del fascismo, riprodotto
nell’indice di uno dei tanti libri di storia del Ventennio. È difficile stilare una graduatoria di importanza,
perché molte opere modeste, o di scarsa eco propagandistica, avevano
finalità più solide di altre di facile presa sull’opinione
pubblica. (...) Mussolini fu incaricato di formare il nuovo
governo il 29 ottobre 1922; il 30 giunse a Roma da Milano e il 31 portò
alla firma del re i decreti di nomina dei nuovi ministri che si riunirono
per la prima volta il 1° novembre. ...Efficienza! Già la lista dei ministri rappresentava un
esempio di alta politica; come più volte aveva dichiarato nei giorni
precedenti, il nuovo capo del governo non voleva strafare. Aveva telegrafato
a D’Annunzio: "Saremo tanto intelligenti da non abusare della vittoria".
Non era un Saint-Just che voleva tutto distruggere per imporre poi la sua
immagine di umanità. Non amava la rivoluzione per la rivoluzione.
Il suo impegno era di rimettere ordine e disciplina nello stato, per ricreare
un clima favorevole all’economia, che solo avrebbe potuto dare benessere
al popolo italiano. Tutto quello che poteva essere utile a questo scopo,
si sarebbe dovuto potenziare. Sia le opere di prima necessità, sia
quelle che avrebbero dato prestigio e grandezza alla nazione, e conseguente
sviluppo economico. ...Mussolini diceva: "Quando vado a Messina
mi chiedono case e non libertà, e io do loro le case; quando vado
a Matera, la gente mi chiede acqua, e io do l’acqua". (...) Sul piano economico e sociale, era talmente
chiaro e semplice il pensiero mussoliniano che gli avversari, irritati
da non trovare motivazioni filosofiche e metafisiche per confutarlo, lo
negavano. L’idea fondamentale era il superamento della lotta di classe,
che poteva avere un senso nel secolo XIX ma non nel secolo XX. Non la lotta ma la collaborazione, per l’aumento
della produzione, sola fonte di benessere. Il giornale di Mussolini, Il
Popolo d’Italia, aveva per sottotitolo: "Giornale dei produttori",
siano essi lavoratori o datori di lavoro. Per questo sono oziose le disquisizioni
su destra o sinistra quando si parla di fascismo sul piano sociale. Tutti i documenti fondamentali, dalla Carta del
Lavoro alla legge sulle Corporazioni, ai 18 punti di Verona, alla socializzazione,
sono ispirati a tale principio. A questo il Duce pensava quando lo vedevamo
a torso nudo trebbiare il grano del risanato Agro Pontino, o alla guida
di un trattore per dissodare la terra in Sardegna. Proclamava: "Questa
è la guerra che noi preferiamo". (...) Purtroppo la guerra ha rovinato tutto. Quella
guerra che ci è caduta addosso non ricercata, ma alla quale non
potevamo sottrarci pena la squalifica. Ricordatevi che se l’Italia è ritornata uno
stato accettato fra le grandi potenze, è perché abbiamo combattuto,
anche se con avversa fortuna, anche se sconfitti. Noi della RSI abbiamo
l’orgoglio di aver contribuito a dimostrare, con il nostro rifiuto al tradimento,
che gli italiani sanno anche battersi. (...) Del Ventennio non dobbiamo ricordare soltanto
i discorsi altisonanti, che avevano lo scopo di preparare il popolo ad
affrontare il cimento inevitabile; dobbiamo pensare anche a tutto quello
che il Duce tentò per salvare la pace, per indurre Hitler alla cautela. Già il 30 maggio 1939, subito dopo la firma
del "Patto d’Acciaio", egli scrisse una ferma lettera prospettandogli
la nostra situazione economica e militare, per la quale erano necessari
almeno tre-quattro anni di tempo per portare a termine i nostri piani di
preparazione, prima di intraprendere iniziative pericolose per la pace. Dopo alcune premesse scrive: "Le due potenze
europee dell’Asse hanno bisogno di un periodo di pace di durata non inferiore
ai tre anni. È solo dal 1943 in poi che uno sforzo bellico può
avere le più grandi prospettive di vittoria. Un periodo di pace
è necessario all’Italia per le seguenti ragioni: a) per sistemare militarmente la Libia, l’Albania
e pacificare l’Etiopia, dalla quale deve uscire un’armata di mezzo milione
di uomini; b) per ultimare la costruzione e il rifacimento
delle sei navi di linea attualmente in corso; c) per il rinnovamento di tutte le nostre artiglierie
di medio e grosso calibro; d) per spingere innanzi la realizzazione dei piani
autarchici che devono rendere vano ogni tentativo di blocco delle democrazie
possidenti; e) per realizzare l’Esposizione del 1942, la quale
oltre a documentare il primo Ventennio del Regime può fornirci riserve
di valuta; f) per effettuare il rimpatrio degli italiani dalla
Francia, problema di natura militare e morale molto serio; g) per ultimare il già iniziato trasferimento
di molte industrie di guerra dalla valle del Po nell’Italia meridionale; h) per approfondire sempre più i rapporti
non solo fra i governi dell’Asse ma fra i popoli, al che gioverebbe indubbiamente
una distensione dei rapporti tra Chiesa e Nazismo, distensione che è
molto desiderata dal Vaticano. Per tutte queste ragioni l’Italia Fascista non desidera
di anticipare una guerra di carattere europeo, pur convinta che essa sia
inevitabile". (...) La guerra europea ha stroncato il processo
di maturazione economica in corso dopo la guerra d’Africa e la sconfitta
ha riportato indietro la storia d’Italia di almeno trent’anni, rimettendo
sul tappeto tutte le vecchie magagne sociali sulle quali campavano i partiti
antifascisti. È indubbio però che se nel dopoguerra
l’economia italiana in pochi anni è risorta e ha raggiunto un livello
di vita notevolmente superiore all’anteguerra, è stato possibile
per il concorso di due fattori essenziali: 1°) le strutture solide ed efficienti dello
stato fascista erano rimaste in piedi. Non c’era ancora la corruzione e
l’incompetenza che ha in seguito tutto infangato. L’amministrazione pubblica
funzionava ancora con la vecchia legislazione e con la vecchia burocrazia
del regime. 2°) l’Italia, a guerra finita, era la nazione
europea meno danneggiata, con le industrie quasi tutte intatte, con una
disponibilità di manodopera addestratissima e abbondante, con una
classe imprenditoriale lanciata dalla politica industriale corporativa
del fascismo e "aguzzata" dalle necessità autarchiche
e dalla produzione bellica. (...) Il Fascismo, alle origini, aveva ereditato
uno stato di miseria non più concepibile, sconosciuta alle nuove
generazioni, ma in pochi anni di governo, nonostante la grande crisi mondiale,
aveva raggiunto la quasi totale occupazione, il pareggio del bilancio,
e nel 1934 si cominciava a notare qualche segno di ripresa economica, continuata
anche attraverso la guerra fino al boom degli anni ’60. Mediante una capillare organizzazione statale, con
funzionari (moltissimi non iscritti al Partito) contagiati dal clima generale
di buona volontà, una vigile opera sindacale sulle assunzioni al
lavoro, una serie di opere pubbliche, e una rigida amministrazione tributaria,
già prima della guerra d’Etiopia rapidamente aumentava la diffusione
del benessere. Il livello di vita raggiunto nel secondo dopoguerra
può far dimenticare le basi sulle quali questo benessere si fonda,
può far ritenere che tutto il nostro bagaglio ideologico sia sorpassato,
"cose d’altri tempi!". Invece dobbiamo essere coscienti che i principî,
lo spirito, le leggi fondamentali, i documenti statutari del fascismo sono
ancora validi e vitali anche al presente e in futuro, perché non
sono semplici ideologie, ma concetti eterni costanti della nostra civiltà. Una semplice elencazione, sicuramente incompleta,
senza ordine cronologico o di importanza, basta per convincerci che l’intimo
orgoglio che ci prende quando pensiamo alla nostra gioventù, è
pienamente giustificato. RICORDI DI UN OTTUAGENARIO Conferenza di Giuseppe Rocco (anno 2000) da UOMINI DI UN TEMPO. Giuseppe Rocco. Anno di edizione 2000. Greco&Greco
editori.
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