martedì 11 novembre 2014

CULTURA - India, banditismo sociale


CULTURA

India, banditismo sociale

di Antonella Ricciardi

Pochi luoghi, al pari dell'India, hanno esercitato un fascino imperituro, in Europa: fascino spesso intriso di suggestioni mistiche, arcane, impregnate di esotismo. Eppure, sia l'immagine che in Europa si ha di un'India "fantastica", che quella di un'India più legata alla realtà quotidiana, con i suoi progressi futuristici, e con i suoi problemi che si radicano nella notte dei tempi, vede spesso, da parte di gran parte degli europei, la mancanza di conoscenza, a volte totale, altre parziale, di aspetti fondamentali della vita sociale e culturale dell'India contemporanea.

Un esempio simbolicamente importante, tra i vari, è legato alla figura della celebre "regina dei banditi", Phoolan Devi, popolarissima in India, già dai primi anni '80, e semi-sconosciuta in Occidente. Solo da meno di un ventennio la conoscenza della vicenda di questa donna indiana, divenuta leggendaria in Patria, si è lentamente affacciata in Europa, attraverso, soprattutto, la traduzione di un'autobiografia, molto bella, intensa e sconvolgente, tradotta nelle principali lingue europee, e raccolta da due studiosi e scrittori europei (la francese Marie-Thérèse Cuny e l’inglese Paul Rambali); il titolo originario di tale opera, edita con la Sperling & Kupfer, è "Io, Phoolan Devi", ma è stato pubblicato in italiano con il titolo "Le mie cento vite", con allusione metaforica alle molto numerose volte in cui Phoolan era riuscita ad uscire da situazioni ai limiti… la toccante vicenda di Phoolan, così, ha ispirato articoli giornalistici, documentari, qualche lavoro teatrale. Inoltre, la diffusione di un celebre film del regista indiano Kahpoor (sia pur solo in parte rispondente alla realtà storica), circolato soprattutto in Inghilterra, e le più recenti vicende riguardanti la stessa Phoolan, che nel 2001 è stata vittima di un delitto politico, mente era impegnata a portare avanti i diritti dei più poveri con il partito socialista Samajwadi, hanno avuto una parte nella scoperta di questo personaggio. Spirito dell'India povera, in cerca di un giusto riscatto, la storia di Phoolan ne rappresenta, in realtà, milioni e milioni di altre: la sua vicenda, infatti, è un concentrato di temi, che variano dai problemi legati alla ricerca della giustizia sociale, in luoghi dell'India ancora feudali, dove la divisione in caste, abolita per legge da decenni, di fatto ancora sussiste,alla condizione della donna, frequentemente ancora in condizioni di drammatica marginalità, nel mondo rurale dell'India dei villaggi.

Per introdurre, comunque, alla toccante vicenda di Phoolan, e del contesto umano che fa da sfondo alla sua vicenda, è illuminante ricordare alcune considerazioni espressa dalla stessa Phoolan... tra queste, le seguenti, tra le tante, dalle quali emerge la consapevolezza dell'ingiustizia sociale che segna fin dalle origini e condiziona la sorte: "Per fare qualcosa di diverso, non dovevo nascere donna in una famiglia povera", ed ancora "Non so nè leggere nè scrivere. Questa è la mia storia...". Questa ed altre riflessioni, dalle quali emerge un dolore reale, infatti, esprimono, in modo limpido e molto lucido, il cuore del problema, che ha riguardato questa donna straordinaria, ma anche molte altre, sia pur, naturalmente, in circostanze mai del tutto identiche... Phoolan era nata nell'India del XX secolo, sebbene la sua storia sembri, a tratti, provenire da un passato remoto e non prossimo. Era venuta al mondo nel 1963 (sebbene alcuni dati facciano riferimento al 1957... Phoolan, tuttavia, aveva sempre affermato che la data veritiera fosse la prima), in un villaggio dell'Uttar Pradesh, Gurha Ka Purwa: vicino la metropoli di Mirzapur, nell'India settentrionale. Il suo nome aveva il significato poetico di "Fiore di Dio", poichè la piccina era nata durante la festa dei fiori, nel periodo della stagione delle piogge. Il nome fu uno dei pochi richiami gentili della sua infanzia. Vissuta, infatti, in una famiglia di bassa casta, i barcaioli, "mallah", Phoolan, pur amata dai genitori, dalle tre sorelle, Rukmini, Rakmali (detta Choti), Bhuri, e dal fratellino, Shiv Narayan, soffrì in prima persona l'oppressione sociale di cui era vittima la sua famiglia.

Nell'infanzia, Phoolan era una bambina vivace, con molti slanci: pur avendo cominciato tardi a parlare con gli altri, dato che inizialmente "parlava solo con se stessa", la bambina si faceva molte domande…c'erano giorni, ad esempio, in cui cercava Dio (pur essendo teoricamente politeista, la religione induista a volte vede interpretazioni che considerano gli dei espressione di un'unica potenza divina…per cui, a volte, anche tra loro l'espressione Dio viene usata al singolare). Phoolan, così, cercava Dio nel fiume Yamuna, dove venivano deposte le ceneri dei defunti, e si chiedeva se Dio le somigliasse. Il padre, Devidin, un uomo mite ed umile, le aveva spiegato che Dio fosse dappertutto; Phoolan si era interrogata anche sui musulmani, immaginandoli diversissimi...il padre, ancora una volta, le aveva spiegato che fossero, invece, persone non diverse da loro, che però, invece che andare nei templi, pregavano nelle moschee. Phoolan faceva ipotesi anche sulla vita dopo la morte, pensando, con una sorellina (non diversamente dai bambini di altri luoghi del mondo), di potere andare, dopo, su una stella: un astro che le somigliasse...non luminoso come le altre stelle, ma scuro come la sua carnagione..la stella "Kara" (nera), che faceva solo ombra...

La serenità di questi anni della prima infanzia, però, veniva turbata dalla vita di povertà del luogo... La madre di Phoolan, Moola, era una donna fiera, ma piegata ed indurita dalle ingiustizie; Phoolan, più volte, affermò di sentirsi come lei: "con troppa rabbia dentro...". Il nucleo familiare di Phoolan, già di per sè numeroso (i figli viventi dei suoi genitori erano, appunto, cinque, ma vi erano state anche due gemelline, decedute poco dopo la nascita), dovette affrontare difficoltà ulteriori, dovute ad un sopruso avvenuto anni prima: il padre di Phoolan, infatti, era stato defraudato di gran parte della sua terra dal fratello Bihari..il figlio di Bihari, Mayadin, aveva continuato, secondo la narrazione di Phoolan, ad avere un atteggiamento arrogante verso i parenti prossimi, ormai proprietari solo di una minuscola porzione di terra. I genitori di Phoolan avevano subito, così, varie persecuzioni giudiziarie ed erano stati pubblicamente picchiati, poichè si erano notevolmente indebitati, a causa delle espropriazioni subite: per tali motivi, avevano cercato un miglioramento della situazione economica dando in sposa la piccola Phoolan, a soli 11 anni, ad un vedovo di 35 anni: scelto anche perchè, in tale caso, la dote richiesta alla famiglia della sposa era minore. In cambio di una mucca e di una bicicletta, così, Phoolan venne consegnata ad un uomo che descriverà in quanto brutale, alcolizzato e giocatore d'azzardo accanito. In realtà, i genitori di Phoolan, pesantemente indebitati, cercavano, con tale matrimonio, un sollievo economico; nell'India rurale del tempo non erano rari matrimoni anche in età infantile...tuttavia, veniva considerato fondamentale che l'abitare insieme e l'unione sessuale tra gli sposi avvenisse, comunque, dopo l'inizio della pubertà. Erano diversi i casi, così, di matrimoni celebrati in età molto precoci, in cui gli sposini, però, iniziavano ad abitare insieme dopo degli anni; erano, peraltro, usanze di villaggio, in quanto la legge prevedeva i 18 anni per sposarsi di propria iniziativa del tutto autonoma. I genitori di Phoolan avevano cercato di proteggere la figlia da precoci ed innaturali attenzioni da parte del marito, cercando di convincerlo ad aspettare alcuni anni prima di prendere con sè la figlia, la quale, oltretutto, ancora non era maturata fisicamente, non avendo ancora visto il sorgere del ciclo mensile. Tuttavia, Putti Lal, questo il nome del marito, aveva insistito nel volerla portare con sè, nel suo lontano villaggio, affermando che Phoolan potesse essergli utile per le faccende domestiche, ed aggiungendo, comunque, che avrebbe aspettato riguardo la consumazione del matrimonio.

Sotto il ricatto della necessità economica, così, i genitori della bambina avevano ceduto. Questa triste situazione si era trasformata in una vera disgrazia per Phoolan, la quale si era trovata ad essere non solo schiava domestica, ma anche sessuale del marito, che, in breve tempo, l'aveva più volte violentata, mentre la ragazzina non poteva neppure comprendere chiaramente cosa le stesse succedendo. Solo a tratti, Phoolan era stata difesa da alcuni abitanti del nuovo villaggio, e dallo stesso suocero, che si era dichiarato disgustato dalle turpi e depravate azioni del figlio, intimandogli di non pensare di avvicinarsi alla ragazzina prima di alcuni anni... Putti Lal, tuttavia, aveva un atteggiamento altalenante, oscillante tra il fare entrare altre donne, stavolta adulte, nella sua stanza da letto (nonostante le proteste del padre, che gli ricordava, comunque, che ormai fosse sposato), ed il continuare a sottoporre a violenze la sventurata fanciulla... In questo contesto, misero e degradato, la situazione era precipitata ulteriormente: Phoolan, forse anche per le poche cure cui era stata sottoposta, si era seriamente ammalata...Qualcuno del villaggio, così, avendo avuto compassione per la sorte della piccola, e trovando ingiusta la sua situazione, aveva avvisato i suoi genitori, i quali erano, così, tornati a riprendere Phoolan, dato che non riceveva abbastanza cure. Il padre e la madre, così erano stati accolti dalla proteste di Putti Lal, ma anche dall'accoglienza più umana del suocero di Phoolan, il quale aveva regalato alcune rupie (la moneta locale) alla fanciulla. Phoolan, così, era riuscita a tornare al villaggio natìo, dove i genitori avevano appreso, con rabbia e dolore, degli abusi subiti dalla figlia: essi avevano, così, deciso di considerare non più valido il matrimonio di Phoolan, restituendo a Putti Lal i gioielli che erano divenuti di Phoolan con il matrimonio.

Le vicende di Phoolan, da questo periodo, alla sua vita coi banditi, sono varie, ma ancora marcatamente caratterizzate dall'ingiustizia: la giovanissima non riuscì a liberarsi subito da Putti Lal, che temporaneamente riuscì a riprenderla e torna a torturarla, prima che Phoolan riuscisse a ritrovare la strada per la libertà. Il suo carattere indomito non sopportava le vessazioni che i membri della sua comunità, appartenenti alla casta più bassa della gerarchia induista, subivano da parte dei latifondisti locali, che spesso li sfruttavano e consideravano un atto dovuto che le povere fossero a loro disposizione: così, due di loro entrarono con la forza nell'abitazione di Phoolan, che all'epoca aveva circa 14 anni, violentandola davanti ai suoi genitori. Phoolan che all'epoca si era sentita quasi soffocare per la rabbia e l'umiliazione, anni dopo ricorderà queste drammatiche circostanze con queste parole, volte a considerare anche quanto il linguaggio stesso, spesso, non renda abbastanza quanta sofferenza ci sia dietro tali vissuti: "Voi lo chiamate stupro, nel vostro vocabolario manierato,ma avete idea di cosa è la vita in un villaggio indiano? Quel che chiamate stupro avviene ogni giorno alle donne povere. E' dato per scontato che le figlie dei povere siano ad uso dei ricchi. Per loro, non siamo loro proprietà...". Attualmente, con i drammatici casi, all'ordine del giorno, sulle violenze carnali in India, tali parole ancora di più, tristemente attuali: ciò che è cambiato è una maggiore consapevolezza sociale del problema...Moralmente ancora più devastante dello stupro stesso, forse, fu per Phoolan la reazione di poliziotti, evidentemente corrotti e già vicini ai thakur (proprietari terrieri) autori del misfatto: dopo averla schiaffeggiata, le fu detto "Possono anche averti violentata, e allora? Non ti vergogni a venire qui ad accusarli? Come osi diffamare cittadini rispettabili? I thakur fanno un buon lavoro, tenendo in riga gente come te...". L’oltraggio dello stupro si era addirittura ripetuto, perpetrato dalla stessa tipologia di soggetti, poco tempo dopo; il padre, Devidin, pur affranto, tendeva al fatalismo, affermando che, purtroppo, quello fosse il loro destino, in quanto poveri, e raccontando di disgrazie ancora peggiori: ad esempio, della storia di una ragazza, rapita da criminali thakur, e costretta a servirli con il suo corpo, di villaggio in villaggio; tuttavia, Phoolan non si era rassegnata…in un certo momento, aveva affermato: "Perché è il mio destino? Non sono diversi da noi, hanno lo stesso sangue nelle vene. Noi abbiamo il nostro orgoglio e loro il loro, quindi perché noi?".

In quel periodo, poi, Phoolan era stata accusata di avere commesso furti di oggetti di calore in casa del cugino Mayadin: Phoolan, pur subendo la brutalità della polizia, riuscì, con l'aiuto di un avvocato, a dimostrare di essere stata altrove: era andata, infatti, ad accompagnare la sorella maggiore, Rukmini, ad abortire. Anche questo evento era legato alla povertà: la giovane Rukmini aveva già quattro bambini, e temeva che un quinto non potesse, comunque, sopravvivere; successivamente, Rukmini arrivò a farsi sterilizzare, tanto era spaventata dalla miseria… Pur istintivamente preferendo, entrambi, una possibilità diversa dall'aborto, il marito di Rukmini e Phoolan avevano, comunque, cercato di stare accanto alla ragazza, e Phoolan l'aveva, appunto, accompagnata... Gli eventi, poco dopo, subirono un'accelerazione: Phoolan venne presa con sè da un banda di predoni. L'episodio è controverso… varie furono le versioni al riguardo: secondo alcuni venne venduta, secondo altri si unì volontariamente... Alcune circostanze, narrate dalla stessa Phoolan, possono far ipotizzare che ella si sia unita volontariamente ai banditi, esasperata dalle angherie subite: poco tempo prima, era stata difesa dal cugino Kailash e da altre persone, contro i notabili del villaggio, e correva voce che qualcuno, armato, la proteggesse già lì; alcune fonti, non confermate dalla donna, sostennero che Phoolan si era unita a Kailash in un matrimonio religioso. Tuttavia, Phoolan, comunque, dichiarò, al riguardo di essere stata rapita, probabilmente su suggerimento di coloro che già le avevano reso ardua la vita nel suo villaggio.

La banda di briganti era composta da componenti di vari strati sociali: c'erano soprattutto poveri, ma anche alcuni rappresentanti di caste più elevate. Il capobanda, Babu, era un uomo brutale, anche lui incline ad abusare delle donne: tuttavia, Phoolan viene presa sotto la protezione di Vikram Mallah, un giovane della stessa banda, che riescì a sopraffare Babu. Vikram era, a sua volta, un mallah, secondo il richiamo del suo stesso cognome, e, pur essendo un fuori-legge, cercava di rispettare alcuni "codici d'onore", tra cui il rispettare le donne, il non uccidere nemici mentre sono inermi, ad esempio nel sonno, il cercare di aiutare i poveri oppressi da strutture sociali ancora feudali. Abituata a trovare uomini che volevano essere serviti e chiedevano obbedienza, Phoolan troverà in Vikram un uomo che le chiederà, con gentilezza, se lo trovasse degno di lei... Quando Vikram la baciò, per Phoolan fu il primo bacio, dato che in passato aveva subito solo brutali violenze sessuali... Phoolan diventa in breve tempo, nella giungla, la nuova moglie di Vikram, che la difese, coi suoi uomini, dalle insidie del mondo: ciò che i genitori di Phoolan non erano riusciti a fare, per la schiavitù economica, e che la polizia corrotta aveva rifiutato di attuare... In seguito, Phoolan scoprì dallo stesso Vikram che egli fosse già sposato: in effetti era possibile, sebbene raro, che degli induisti potessero avere più di una moglie: di solito, avveniva quando ci si fosse sposati molto giovani, senza una maggiore formazione della propria personalità; all'inizio, Phoolan aveva provato rabbia nell'apprendere ciò, ma poi si era calmata, dato che era una cosa avvenuta prima che si conoscessero, e Vikram le aveva raccontato la verità; anche la prima moglie di Vikram, abituata fin da piccola a questa mentalità, aveva avuto modo di conoscere ed accettare Phoolan.

Phoolan confidò a Vikram anche gli orrori vissuti con Putti Lal: Vikram, che pure nella sua vita di bandito ne aveva viste tante, rimase attonito: si fece giurare che la cosa fosse vera, e le disse che doveva dimenticare ciò, sebbene, prima, fosse giusto che avesse un po' di giustizia per le angherie subite. Una delle azioni attuate dalla banda guidata da Vikram e Phoolan fu, così, un duro pestaggio ai danni dello stesso Putti Lal... Vikram dichiarò di essere lui, adesso, il marito della giovane, mentre Phoolan non volle che Putti Lal venisse ucciso, ma che portasse addosso, per il resto della sua vita, i segni di quella rivalsa. Accanto a Putti Lal, ferito, venne lasciato un cartello, in cui venne scritto che questo era ciò che doveva accadere a persone più che adulte che approfittino di ragazzine. Per qualche tempo, pur in una condizione di grande precarietà, Phoolan conobbe l'amore e fu felice con Vikram; tuttavia, questa stagione della sua vita si rivelò breve: poco tempo dopo, Vikram venne assassinato, nel 1980, da banditi rivali, appartenenti ad una fazione di estrazione thakur.

In quei giorni, il dramma di Phoolan toccò un apice: straziata per l'assassinio del suo uomo, venne tenuta prigioniera dai suoi aggressori, che vollero che venisse violentata per settimane, di villaggio in villaggio. Da varie ricostruzioni, sembrerebbe che guadagnassero anche dal permettere a vari uomini di abusare di Phoolan, mentre lei, tutt'altro che consenziente, veniva tenuta immobilizzata... Ancora una volta, però, la sorte di Phoolan si dimostrò imprevedibile: apparentemente intenzionato ad abusare di lei, si presentò anche un anziano bramino...un uomo di alta casta, che però aveva sempre trattato Phoolan con gentilezza e rispetto: la ragazza era sconvolta all'idea che anche lui potesse pensare di approfittare in modo turpe della sua condizione… In realtà, l'uomo era lì per cercare di aiutarla, sebbene avesse dovuto fingere di essere intenzionato a condividere i criminali intenti degli altri. Egli aveva, così, aiutato Phoolan a fuggire, affermando anche che era una persona rispettata, ed i membri della gang non avrebbero osato fargli del male... Phoolan aveva, così riacquisito la libertà, ma la sorte del bramino era stata crudelmente sventurata: era deceduto, infatti, in seguito all'incendio appiccato alla sua abitazione, per rappresaglia rispetto al suo ruolo nella liberazione di Phoolan, che era stato scoperto.

Phoolan, invece, sopravvissuta agli stenti, oltre che alle violenze di gruppo, riuscì a raggiungere gli uomini di Vikram, che la riaccolsero e, anche per il valore da lei dimostrato mentre al suo fianco, la considerarono loro leader. La banda era composta sia da induisti poveri che da musulmani, i quali, solitamente, erano in povertà quanto i mallah; inoltre, la non ammissione delle caste, almeno sul piano dei principi, da parte dei musulmani, rendeva più facile e fruttuoso il rapporto di Phoolan con essi. La tolleranza religiosa era naturale nel gruppo guidato da Phoolan, ed i suoi uomini, a loro modo religiosi, donavano offerte sia ai templi induisti che alle moschee. Fedelissimo a Phoolan, in particolare, era il leale Man Singh, induista: da lei considerato un braccio destro, amico col quale avere un legame improntato a vera fratellanza morale. Phoolan, così, era a capo di una "formazione", tra il banditesco ed il rivoluzionario, che usava la forza dei fucili, saccheggiando i beni dei più ricchi della regione, oltre che intimidendo la polizia: una volta, depredarono anche il palazzo di un maharajah (pur non avendo più un valore legale, le famiglie nobili, in India, conservavano, solitamente, i propri beni, comprese sfavillanti dimore principesche...). Phoolan aveva notato, con irritazione, che la bellissima dimora del nobile era tanto vasta che avrebbe potuto ospitare tutto il suo villaggio… Gran parte dei soldi rubati, però, venivano regalati, da Phoolan e Man Singh in persona, ai poveri della regione: soprattutto alle donne senza mezzi. Inoltre, per approvazione generale del gruppo, Phoolan era diventata colei che giudicava i casi di abusi nei villaggi della regione: in particolare, ella puniva i proprietari terrieri sfruttatori ed i violentatori, che spesso erano le stesse persone.

Phoolan era convinta che quello fosse l'unico modo per avere giustizia, dato che la sua esperienza le aveva mostrato quanto la polizia non desse ascolto alla voce dei poveri; la giovane donna si considerava uno strumento di Durga, la dea induista della giustizia...già al tempo in cui era stata lei a subire abusi sessuali, aveva infatti pregato Durga, la dea che, pensava, dava forza ai miserabili, di resistere e non piegarsi alle umiliazioni, cosa che invece accadeva a tante altre donne. In particolare, queste erano le parole più accorate, di una preghiera che spesso ella rivolgeva a Durga: "Canta delle mie gesta/Narra le mia battaglie/Come sconfissi i demoni/Perdona le mie colpe/E concedimi la pace". Il fenomeno definito "banditismo", così, aveva in parte connotazioni di guerriglia sociale, sia pur in forma solo in parte auto-consapevole. Le azioni della banda di Phoolan erano quasi sempre incruente: tra le poche eccezioni vi fu l'eccidio di Behmai, la località dove, secondo Phoolan, si nascondevano i complici di Sri Ram, il bandito rivale, responsabile dell'assassinio di Vikram e delle torture ai suoi danni. Ventidue uomini, tutti appartenenti alla casta dei proprietari terrieri thakur, considerati suoi seviziatori, furono uccisi, e diverse feriti, durante l'attacco al villaggio, nel 1981. La polizia mise una taglia sulla testa di Phoolan, che superava le 11.000 rupie. Per alcuni anni, però, la giovane donna continuò a vivere alla macchia con i suoi uomini, continuando a condurre atti di banditismo-guerriglia a favore delle caste basse: sembrava imprendibile..si diffuse la voce che potesse diventare invisibile, mentre molti, tra i più derelitti, la divinizzarono.

Tuttavia, Phoolan ed i suoi uomini si resero conto che, in quel modo, non poteva durare a lungo: fu intavolata una trattativa tra la banda, da una parte, e gli organi di polizia e governo, dall'altra...circostanza che rende l'idea anche dell'appoggio sociale di cui godeva il gruppo, che gli forniva maggiore potere contrattuale. Inoltre, è possibile che, da parte del governo, ci fosse un reale tentativo di arrivare ad una pacificazione della regione, dove la devianza aveva, chiaramente, forti radici nella reazione ad ingiustizie sociali, attuali ed ancestrali. Nella trattativa furono coinvolti gli Stati federati indiani di Uttar Pradesh e Madhya Pradesh, e vi ebbe un ruolo la stessa premier dell'India, Indira Gandhi, che s'impegnò personalmente a salvaguardare l'incolumità personale di Phoolan e dei suoi uomini; Phoolan stessa le fu grata, ed affermò, anni dopo, di aver pianto lacrime amare dopo aver saputo che Indira Gandhi fosse deceduta a causa di un attentato... Le condizioni essenziali poste da Phoolan, ed accolte, erano le seguenti: che venisse evitata la pena di morte, ivi tramite impiccagione, per lei e gli uomini della sua banda; di una condanna non superiore agli otto anni di carcere; di essere giudicati ed imprigionati nel Madhya Pradesh e non nello stato originario dell' Uttar Pradesh, dove governavano i thakur, per cui c'era una maggiore probabilità che vi fossero pregiudiziali contro di loro; che in prigione non venissero separati, e venissero ben nutriti; che la sua famiglia venisse trasferita, a sua volta, nel Madhya Pradesh, dove poteva essere meglio accolta, e le venisse fornita una porzione di terra pari a quella che le era stata rubata.

La resa di Phoolan, avvenuta, nel febbraio 1983, alla presenza di molte migliaia di persone, tra folla locale, poliziotti, giornalisti, politici, fu spettacolare: la giovane donna, accompagnata da Man Singh e da altri 12 uomini della banda, che pure si arresero, depose fiori davanti al ritratto del Mahatma Gandhi, in segno di abbandono della violenza; elle depose, poi, le armi di fronte al primo ministro del Madhya Pradesh, toccandogli i piedi, in segno di umiltà. La cerimonia, voluta dai governanti di quel territorio, era della stessa tipologia di altre, che avevano visto la resa negoziata di altri banditi con motivazioni sociali. Una delle sorelle di Phoolan, a proposito delle drammatiche ed estreme circostanze che avevano portato Phoolan sulla via del banditismo, aveva espresso questa riflessione, densa di significato: "Dio trasforma gli uomini in santi, ma degli uomini hanno trasformato una donna in bandito...".

Phoolan scontò, in realtà, 11 anni: tre più del previsto, in quanto a differenza di altri membri della sua banda, che avevano accettati, successivamente, di essere estradati nell'Uttar Pradesh, che aveva fornito garanzie di incolumità, aveva preferito rimanere lontana da quel luogo. I capi di imputazione che la riguardavano concernevano rapine ed omicidi, ma la Devi non venne, effettivamente, processata; si trovò un accordo politico-giudiziario, per cui si ritenne che aveva ormai, comunque, scontato la pena che le sarebbe potuta essere comminata. Phoolan varcò i cancelli della prigione, così, nel 1994. Tornata in libertà, dopo qualche tempo si sposò nuovamente, stavolta con un deputato, oltre che agente immobiliare di Delhi: Umaid Singh. Nella loro casa di Delhi, Phoolan ed Umaid tenevano insieme i ritratti di Durga, di Buddha, di Gesù Cristo e di Bhimrao Ambedkar, uomo politico che, nato paria (intoccabile, ossia fuori casta), aveva poi, però, partecipato alla stesura della Costituzione dell'India. Storicamente, non è stato raro che i paria, e vari membri di caste povere, si convertissero a religioni che, almeno teoricamente, non prevedono caste (ad esempio, Buddhismo, Cristianesimo, Islam...); nel caso di Phoolan e del marito, non risulta una effettiva conversione, ma, piuttosto, una generica simpatia per le figure citate, e per ciò che rappresentano...cosa non rara anche tra altri induisti in situazioni simili.

 Le battaglie di Phoolan Devi, però, non erano terminate; le accuse principali nei suoi confronti erano state ritirate anche dal governo dell'Uttar Pradesh, e Phoolan, coinvolta dal leader socialista Yadav, che aveva mediato anche per la sua resa e liberazione, si candidò diverse volte per il partito socialista Samajwadi, venendo eletta deputata: per la prima volta, nel 1996. Il suo seggio in Parlamento era stato ottenuto attraverso moltissimi voti raccolti proprio nell'Uttar Pradesh. Nella giungla, Phoolan era sopravvissuta alla fame, alle fughe dalla polizia, ai banditi rivali, ma fu nella metropoli di Delhi che si arrestò la sua marcia: il 25 luglio 2001, subì un attentato, a colpi di pistola, da parte di tre sicari a volto coperto: colpita da più pallottole, venne trasportata in ambulanza, ma il suo decesso avvenne durante il percorso per arrivare in ospedale. Una sua guardia del corpo, rimasta ferita, era riuscita a dare l'allarme. Proprio pochi giorni prima, a Phoolan era stata diminuita la scorta, ridotta ad una sola persona. Al governo dell'India vi era il Bharatiya Janata Party, formazione di destra, nazionalista ed integralista, induista, più vicina agli interessi della caste alte. Il delitto era avvenuto durante la campagna elettorale, mentre si stava profilando una disfatta elettorale dei partiti che sostenevano le classi sociali più alte proprio nell'Uttar Pradesh. Dei sospetti, sorti per ipotesi sull’eredità di Phoolan, addirittura verso la famiglia della stessa Phoolan (di origine ed il nuovo marito), per motivi di eredità, vennero successivamente smentiti.

Gli esecutori materiali del crimine vennero arrestati: uno di essi, evaso in modo rocambolesco con la complicità di alcuni poliziotti, venne nuovamente arrestato solo nel 2006. Particolare indegno, ma significativo, fu la richiesta di ricevere una parte dell'eredità di Phoolan da parte di Putti Lal, primo marito di Phoolan; sebbene si trattasse di un matrimonio non anche civile, non essendo riconosciute dallo Stato indiano delle nozze ad un'età tanto precoce. Piuttosto che una vendetta per un passato molto lontano, appare molto probabile che si sia trattato di una manovra elettorale a sfondo delittuoso, che possa aver comportato una cospirazione; possibili mandanti, comunque, non sono stati attualmente individuati. Il Parlamento indiano aveva osservato un minuto di silenzio, comunque, in segno di rispetto per Phoolan, e lo stesso primo ministro dell'epoca, Vaypajee, aveva partecipato alla cerimonia funebre. Phoolan, così, era caduta, combattendo, stavolta, senza armi, mentre stava continuando a portare avanti i suoi ideali, a favore degli oppressi: di coloro che considerava fossero, moralmente, suoi fratelli e sorelle, umiliati e sfruttati; in particolare, infatti, Phoolan Devi stava promuovendo un disegno di legge contro il lavoro minorile ed a favore di censimenti più accurati nelle campagne.

La memoria di questa pasionaria rimane molto viva e popolare in India: in realtà, Phoolan non è stata uccisa del tutto, ma la sua anima è viva e presente, e continua ad ispirare chi cerchi giustizia e dignità rispetto ad inumani soprusi; alcuni atti compiuti da Phoolan e della sua banda possono venire considerati crudeli, certamente, ma le attenuanti non mancarono loro, assolutamente...inoltre, gran parte degli atti da loro compiuti rappresentarono, effettivamente, un più che giusto riscatto, in circostanze che impedirono a queste persone di delegare alla legge la possibilità di difenderli...

La storia di Phoolan può apparire lontanissima, nonostante sia, più o meno, contemporanea: giustamente ciò era stato sottolineato nell'opera teatrale, in Italia, a lei dedicata in Italia da Federico Bertozzi, con la collaborazione di Giorgio Zorcù, il quale notava quanto la prima impressione fosse la distanza, ma anche temporale, dato che le vicende sembravano ambientate in un disumano Medioevo europeo e non nella contemporaneità di un Paese che è anche temuta potenza nucleare; ancora Zorcù notava, altrettanto giustamente, che ad uno sguardo più attento, però, i temi riguardanti le sopraffazioni narrate in quella vicenda non sono poi tanto sconosciute alla storia europea: dall'oppressione feudale ai matrimoni combinati, alla violenza alle donne, ad altro ancora. A tali, profonde, osservazioni si può aggiungere che anche i sentimenti umani essenziali rimangono gli stessi, pur nelle sfumature sempre nuove che variano da persona a persona.

Anche il tema del banditismo in quanto protesta sociale non è nuovo alla storia europea: tuttora vengono ricordate le leggende (con parziale sfondo storico reale) di Robin Hood, e, per riferirsi ad un esempio più vicino, non è stato certo dimenticato il "brigantaggio" delle campagne italiane meridionale, che, in larga parte, fu una protesta sociale contro sopraffazioni non del tutto differenti...un banditismo che, in buona parte, fu, più propriamente, una forma di guerriglia causata dal disagio sociale... Rimanendo al Sud italiano, non è stata certo dimenticata l'indomita figura di una "brigantessa sociale": Michelina De Cesare..non l'unica, ma una delle più celebri, anche per la tragica sorte...violentata ed assassinata dalle forze che avrebbero dovuto riportare "legge ed ordine". Il corpo nudo di Michelina De Cesare venne esposto e fotografato...non diversamente da quello che avvenne, oltre un secolo dopo a Neera, moglie di un bandito musulmano della banda di Phoolan, Baba Mustakim: nel caso riguardante il cadavere di Neera, venne esposto in più villaggi, come un trofeo...

Del resto, le stesse vicende della banda di Phoolan, pur originarie dell'India profonda, sono meglio comprensibili inquadrandole in un contesto sociale più vasto ed eterogeneo, con in comune un disagio sociale radicato, sfociato nella protesta in forma di banditismo: si tratta, appunto, del fenomeno del banditismo sociale, particolarmente analizzato, in particolare, dallo studioso marxista Hobsbawm: un fenomeno che si è verificato dall'America Latina all’India, dall'Italia meridionale a molti altri luoghi del mondo. In India, in particolare, è stato diffuso (ed ancora, in parte, lo è) in territori ancora, in molta parte, feudali: In particolare, nell'Uttar Pradesh, nel Rajasthan nel Bihar, dove una struttura sociale fondata sul latifondo è aggravata da annosi scontri tra caste. In particolare, poi, l'Uttar Pradesh, territorio originario di Phoolan, era una zona di banditismo endemico, alimentato dal disagio sociale, già dal XIII secolo... Già in passato, c'era stato qualche caso di bandito che aveva poi assunto qualche carica politica, forte dell'appoggio di una parte significativa della popolazione. Anche la natura fisica di quella terra favoriva il fenomeno, tra i dirupi e le valli in cui scorre il fiume Chambal...un territorio tribale, sul quale lo Stato indiano, in parte, non aveva controllo…

Le vicende rievocate, così, apparentemente tanto lontane, sono, in realtà, preziose per comprendere meglio quanto sia radicata, sotto differenze di superficie, un’ essenza umana comune..concetto che traspare anche queste parole della stessa Phoolan Devi: "Volevo dimostrare che, qualunque siano le nostre origini, la nostra casta, abbiamo tutti un senso dell’onore".



                                                                                                                              
 

domenica 9 novembre 2014

RenzUsconi...dove va l'ibrido ? (Video N.10)

 
 
La strana creatura,partorita al Nazareno ma concepita nella "visita ad Arcore" dell'allora misconosciuto Putto fiorentino,ha contorni indefiniti...ma pure "aspettative di vita" tutt'altro che certe.
La parte...Usconi già a suo tempo aveva capito dove sarebbe finito l'originale intero,Berlusconi : nella m...a !!
Con le previste condanne e decadenze varie (persino dall'adorato Cavalierato),messe in conto la perdita del governo, di regioni,comuni e consigli di amministrazione, il Berlusca imprenditore (di se stesso) aveva pensato bene di salvaguardare quel che sarebbe rimasto del proprio impero.
Ovviamente prima finanziario e poi politico.
Ha quindi ceduto il potere al golpe di Napolitano senza eccessive proteste..."per il bene dell'Italia".
Ha sostenuto (si fa per dire) Monti e Letta  per poter uscire nel modo migliore dalla trappola della "Severino". Sbalzato dal seggio senatoriale ma salvaguardando gli esiti degli altri processi e le posizioni dei suoi piú fidi scudieri.
Con la invenzione di Alfano al governo e Forza Italia alla (finta) opposizione.
In questo percorso il Renzi astro nascente è divenuto valanga inarrestabile ma solo e soltanto perché al Nazareno è saltato fuori il "parto"...non il "patto" : RenzUsconi  .
Senza i voti di Forza Italia e Ncd,figli dello abortito PdL, il Putto mai e poi mai avrebbe potuto assurgere all'incarico affidatogli (in pieno accordo) da Napolitano e tantomeno mantenerlo fino ad oggi.
Reggerà il "parto del Nazareno" ? O RenzUsconi si scinderà nelle originarie componenti ?
Sinceramente a me non frega niente ma mi rendo conto che metà degli italiani vanno ancora a votare e credono nella partitocrazia.
Secondo la mia (modestissima) opinione dipende solo se Renzi ritenga giunto a livelli accettabili il disfacimento umano e politico di Berlusconi...per tentare nuove elezioni (a Napolitano piacendo).
Se no...vedremo,in Italia non si sa mai : ieri  si è avuto pure un "ménage a tre" con Grillo per i giudici....

Grazie per l'attenzione
Vincenzo Mannello

giovedì 6 novembre 2014

DA BABILONIA A BRUXELLES : IL SISTEMA BABILONESE DELLA MONETA DEBITO

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. AVV. E. LONGO

DA BABILONIA A BRUXELLES : IL SISTEMA BABILONESE DELLA MONETA DEBITO

di: Anonimo Pontino.
Per capire il sistema bancario corrente è necessario guardare alla storia.

La pratica truffaldina della RISERVA FRAZIONARIA (creazione di prestiti per un certo numero di volte in più della “moneta” reale che una banca ha nei suoi depositi o riserve)  era ben conosciuta dai banchieri mercanti e sacerdoti-re della più remota antichità, come pure la formula dell’interesse composto (capitalizzazione interessi maturati) come riporta lo studioso Alexander Del Mar. La novità consiste nel fatto che ora la verità può essere divulgata; una verità molto diversa da quella che ci hanno insegnato a scuola.


Il tutto comincia nell’antica Babilonia.

La prima crisi creditizia rintracciabile risale al XVIII secolo a.C., precisamente a Babilonia. A quel tempo i contadini depositavano il grano in silos governativi e in cambio ricevevano dei certificati di deposito (tavolette di argilla) che in seguito si trasformarono in comune moneta di scambio. I gestori dei certificati alla fine si convertirono in banchieri ed iniziarono a prestare ad interesse, usando un sistema di riserva frazionaria e, analogamente agli accadimenti odierni, ad un certo punto accadde che l’ammontare del debito superasse di molto il grano disponibile nei silos. Fu allora che il re Rim-Sin decretò la remissione, il perdono, dei debiti, pur se il suo vero intento era esclusivamente di ordine militare, infatti, il suo esercito reclutava soltanto contadini possidenti terrieri liberi: se li avesse rovinati tutti essi sarebbero stati costretti a vendersi.

Durante il regno di Hammurabi, gli storici hanno trovato la traccia incontestabile di quattro annullamenti generali del debito (nel 1792, 1780, 1771 e 1762 A. C.).

Gli annullamenti generali del debito si sono susseguiti in Mesopotamia per 1000 anni.

Le proclamazioni di annullamenti generali dei debiti non si limitarono al regno di Hammurabi: cominciarono prima di lui e si prolungarono dopo di lui. C’è la prova di annullamenti del debito che risalgono all’anno 2400 A. C., cioè sei secoli prima del regno di Hammurabi, nella città di Lagash (Sumer), i più recenti risalgono al 1400 A. C., a Nuzi. In totale, gli storici hanno identificato con precisione una trentina di annullamenti generali del debito in Mesopotamia tra il 2400 e il 1400 A. C.

Gli annullamenti generali del debito costituiscono una delle caratteristiche principali delle società dell’Età del Bronzo in Mesopotamia.

A partire dall’VIII secolo avanti Cristo si trovano anche in Egitto proclamazioni di annullamento dei debiti e di liberazione degli schiavi per debiti. Una delle motivazioni fondamentali degli annullamenti del debito era che il faraone voleva disporre di una classe contadina capace di produrre sufficienti alimenti e disponibile quando fosse necessario per campagne militari. Per queste due ragioni, era necessario evitare che i contadini fossero espulsi dalle loro terre a causa dell’influenza dei creditori.



Lo stesso successe a Gerusalemme, nel V secolo avanti Cristo. Come prova, nel 432 avanti Cristo, Neemia, certamente influenzato dall’antica tradizione mesopotamica, proclama l’annullamento dei debiti degli ebrei indebitati verso i loro ricchi compatrioti. È a quell’epoca che si redige la Torah. La tradizione degli annullamenti  generalizzati del debito farà parte della religione ebraica e tramite il Levitico si proclama l’obbligo di annullare i debiti ogni sette anni e in ogni giubileo, cioè ogni 50 anni.

Anche l’antica Roma propone situazioni che esprimono equivalenze con i tempi moderni. Le filippiche di Cicerone contro Catilina inducono lo studioso che non osserva il quadro completo ad accettare che quest’ultimo fosse uno sciagurato traditore. In realtà, ampliando la veduta si scopre che a quei tempi, attorno al 60 a.C., Roma era in piena crisi creditizia. Le famiglie patrizie avevano preso molti denari a prestito garantendoli con le proprie case ed i possedimenti agricoli. Il solito giochetto della riserva frazionaria sfociò per l’ennesima volta nella situazione in cui il debito superava di molto l’ammontare del denaro circolante, contingenza che si ripropone rigorosamente anche ai nostri tempi. Catilina si presentò allora alle elezioni sostenendo un programma di condono del debito per salvare la repubblica, rifacendosi alle precedenti esperienze babilonesi; ovviamente, ai banchieri romani, di radice babilonese-egiziana-greca, questo non piaceva affatto.

All'epoca dei babilonesi le ricevute in argilla erano un sistema di appianamento equiparabile ad assegni bancari. La massa monetaria in argilla era creabile solo dal Banco Di Fiera. Per mantenere una tale massa monetaria in argilla i mercanti dovevano pagare un interesse nei confronti dell'ufficio di emissione.
In breve i creatori del banco di fiera e i loro associati diventarono così potenti che al re-sacerdote non restava che assegnare loro un posto al proprio fianco in veste di custodi delle ricchezze del Tempio. Questa confraternita di BANCHIERI INTERNAZIONALI aveva un particolare interesse affinché i regni che cadevano sotto la sua influenza trasformassero il loro sistema monetario in uno basato su ARGENTO E ORO.

Come è possibile ciò, direte voi, visto che i grandi commerci dei mercanti si basavano proprio sul principio di minimizzare i pagamenti con monete metalliche?

Il dilemma è solo apparente. I mercanti dell'elite vollero tenere per se le conoscenze delle tecniche di appianamento bancarie e di emissione di lettere di credito. Infatti avendone capito le potenzialità e la potenza, pianificavano di trarre vantaggi personali da questo meccanismo.
Il sistema dei metalli preziosi come base monetaria, dietro l'apparenza di logicità, costituiva invece uno strumento di instabilità economica.

L'adozione di questo sistema monetario basato su oro e argento costrinse i governanti di tutto il mondo ad una corsa affannosa all'approvvigionamento di metalli preziosi, che già nel VI secolo a.C. viene testimoniata dall'agitazione con la quale Xenofonte chiede al governo di Atene di acquistare 10.000 schiavi, da dare in affitto ai proprietari delle miniere di Laureion.

Le numerose tavolette in argilla che sono state ritrovate in Atene pochi anni dopo mostrano che l'esportazione di argento ad Oriente stava man mano causando nella città-stato greca dei vuoti di contanti che venivano con successo riempiti dalle ricevute in argilla create dai banchieri.

Il potere economico che si è attribuito a un'alleanza di potenti banchieri babilonesi iniziò appena possibile a costituire delle filiali sulla costa della Grecia e nelle piccole isole del Mediterraneo.  Individui che "scrivevano in aramaico", emissari dell'elite di mercanti internazionali, raggiunsero le coste e le isole della Grecia . Dietro di essi compariva sempre il mercante di schiavi.

L'isola di Delo, sebbene praticamente improduttiva e senza speciali vantaggi, divenne molto ricca; un potente centro di commercio e di attività bancaria, e soprattutto un centro d'intenso commercio di schiavi. Lo straordinario commercio all'ingrosso a Delo non avrebbe potuto essere originato da nient'altro se non l'accettazione dei prestiti del Tempio da parte di quei forestieri-banchieri. Tali persone erano competenti cambia-valute, nati e formati tra le braccia dei maestri di sofisticazione finanziaria delle città di Babilonia, Aram, Fenicia, etc.

I cambiavalute, che costituivano la base di questa piramide di profitto, erano chiamati nell'antica Grecia TRAPEZITAE, perché si servivano di un banchetto a quattro gambe detto tetra peza.

Nel libro “The Origin of Tyranny” il Prof. P. N. Ure mostra che la cacciata dei discendenti del tiranno Pisistrato (510 a.C.) avvenne quasi immediatamente dopo aver perso le miniere della regione della Tracia.  Il che equivale a dire che se si dissolveva la fonte di metalli preziosi sui quali si fondava il potere del locale banchiere, il regnante che egli aveva promosso diventava obsoleto e inutile. Lo stesso accadde per i tiranni Trasibulo a Mileto, Ortagora a Sicione, Cipselo a Corinto, Procle a Epidauro, Teagene a Megara, Panezio a Leontini, Cleandro a Gela, Falaride ad Agrigento.

Vediamo un altro esempio d'interazione tra potere politico e mercanti.

Creso, figlio primogenito del re Aliatte di Lidia (610-561 a.C.), sapendo delle ambizioni del padre di conquistare la Caria, si accinse a chiedere un prestito per imbastire l'azione militare. Nicola di Damasco scrive:

"Con questo suo proposito in mente si recò da Sadiatte, il più ricco mercante della Lidia. Costui, occupato nelle sue abluzioni mattutine, prima fece aspettare un Creso impaziente alla porta. Poi gli accordò di entrare, ma ciò fu solo per comunicargli che rifiutava di concedergli il denaro: "Se devo prestare denaro a tutti i figli di Aliatte," egli gridò, "non ce ne sarebbe abbastanza". Respinto, Creso si recò ad Efeso dove grazie ad un amico ottenne aiuti finanziari. Creso, rifornitosi di truppe, fu il primo a unirsi all'esercito del padre, di cui riguadagnò il favore, e che lo ebbe come alleato nella spedizione che avrebbe conquistato la Caria. Creso più tardi si vendicò di Sadiatte, che lo aveva cacciato via, confiscandogli l'intero suo tesoro".

L'episodio illustra un chiaro esempio dello sforzo dell'elite dei mercanti di controllare la SUCCESSIONE POLITICA. Infatti la vera ragione del rifiuto del prestito a Creso, era che il potente mercante Sadiatte si era già impegnato ad appoggiare Pantaleone, fratellastro di Creso, che era visto chiaramente come più adatto, condiscendente e "non tutto d'un pezzo" rispetto al determinato Creso.

L'arroganza di Sadiatte nel far aspettare a lungo Creso alla porta, per poi riceverlo e rifiutargli senza mezzi termini il prestito di denaro richiesto, sicuramente costituì uno stimolo che portò Creso a voler capire di più sul raggiro del sistema del denaro basato sulle misure di metalli preziosi.

Creso capì che affinché il suo status di regnante avesse davvero un senso, sopra ogni altra cosa era necessario che l'emissione di massa monetaria fosse rimossa dal controllo di persone private, e ciò lo indusse ad effettuare una riforma monetaria nel suo regno.

Allora, l'elite internazionale dei banchieri diede rifornimenti di soldati mercenari e il meglio delle armi a Ciro. Creso li aveva offesi, non solo sottraendo il loro tesoro tenuto dall'emissario Sadiatte, ma anche eliminando i conii dei mercanti e facendo tornare al regnante il suo potere essenziale, cioè il controllo dell'emissione monetaria. Bisognava fare di questa vicenda un esempio che potesse funzionare da deterrente di simili azioni da parte di altri principi, e per operare fu scelto l'ambizioso Ciro, che non era altro che un insignificante principe persiano. La ferocia dell'annientamento da parte di Ciro dello sventurato Creso, che fu scuoiato vivo, senza dubbio fu effettuata allo scopo di ricordare ad altri re che mentre il loro potere era nazionale, c'era un altro POTERE INTERNAZIONALE, al di sopra e oltre quello di un qualsiasi regnante locale.

Dopo la totale umiliazione di Creso, avendo Ciro dato prova della sua sollecitudine nel promuovere i piani dei suoi sostenitori finanziari, il passo successivo fu la conquista relativamente facile di Babilonia, che fu organizzata per lui 14 anni dopo. Ciro fu da allora in poi nominato Il Grande. Egli restaurò e allargò i poteri dei Guardiani del Tempio di Babilonia, come testimoniano le inusuali circostanze dei sacerdoti del Tempio che osannano l'invasore e che ricevono privilegi e speciali concessioni da lui.

Le sventurate masse dell'Antico Oriente non immaginavano neppure lontanamente che il regnante che essi vedevano era tutt'altro che un essere divino sulla Terra, e che si trattava invece di un burattino manipolato dalle forze segrete esercitate dall'elite dei banchieri che cospiravano per diventare i controllori privati della INVISIBILE EMISSIONE DI DENARO.

Dei nuovi tiranni della Grecia, tra il 650 e il 500 a.C , il Professor Heichelheim scrisse: "Questi tiranni erano per lo più membri della nobiltà essi stessi, che avevano guadagnato tale titolo usando le nuove possibilità politiche ed economiche del loro tempo per rovesciare i loro stessi pari e soggiogare temporaneamente la città-stato".

La possibilità di armare eserciti non veniva negata ai tiranni condiscendenti con l'elite che manipolava la vita finanziaria delle nazioni. Anche Alessandro Magno istituì molte nuove zecche, ognuna posta sotto il controllo di ricchi mercanti-banchieri, e questi sicuramente lo ricompensarono non facendogli mancare armi ed eserciti.


L’ esempio di Sparta.



SPARTA, di tutte le città-stato greche, fu quella che fece più resistenza alle prevaricazioni della confraternita internazionale di banchieri e alla circolazione di metalli preziosi come mezzo di scambio.

Sappiamo per certo che nel 736 a.C. il re Teopompus di Sparta era sotto il controllo dei banchieri internazionali, dei cui ragionamenti erano impregnati i suoi discorsi.

Nel giro di qualche decennio, però, Sparta, arrivò a comprendere le distruttive forze esercitate dai controllori dei metalli preziosi e dai mercanti internazionali, ed il loro reale significato e attività verso la distruzione di qualsiasi volontà ed autonomia (soprattutto sulla questione dell’emissione monetaria). Sparta così si liberò della tirannia del re.

Licurgo era consapevole che uno stato che basasse il proprio sistema monetario sui metalli preziosi si mettesse alla mercé di forze organizzate di stranieri (tanto più se uno stato non aveva miniere sue), in quanto dietro le quinte questa confraternita regolava sia il prezzo che i volumi disponibili di tale metalli, potendo dunque affermare la sua avida legge o anche stritolare qualunque economia a suo piacimento.

le famose leggi , con le quali Licurgo adotta dei provvedimenti per prevenire il tentativo dei banchieri internazionali e del suo sistema monetario di entrare in Sparta, sono descritte da Plutarco:

“Licurgo stabilì che il ferro dovesse essere la sola forma di valuta in uso, una piccola somma di denaro la quale aveva una grossa mole e peso. Parliamo di monete di 30 o 40 chili di ferro il chè richiedeva un armadio alquanto grande, e per spostarlo non si sarebbe potuto evitare di andare a prendere i buoi. Questi “pelanor” servivano solo come accumulo di ricchezza e come base per lettere di pagamento, cioè ricevute che generalmente consistevano in note di cuoio. Sparta era di certo fortunata a possedere giacimenti di ferro molto ricchi. Perciò era indipendente sia per il suo denaro che per le sue armi, e da questi punti di vista la sua autonomia dall’estero era assoluta.

Licurgo fu senza dubbio ispirato nello scrivere le sue leggi dalla limpida comprensione degli infernali effetti dei sistemi monetari basati sull’argento e oro. Soprattutto egli sapeva che le monete di argento erano una valuta la cui totale circolazione lo stato NON POTEVA CONTROLLARE, a causa della domanda internazionale, della desiderabilità del suo materiale e delle decisioni arbitrarie della confraternita internazionale.

Il denaro che era stato istituito a Sparta costituiva valore solo per gli spartani, l’oro e l’argento non erano usati internamente: i metalli preziosi ricavati dalle vendite o dai bottini di guerra erano depositati presso il Consiglio dell’Arcadia, e parte di questi era usato, secondo Augustus Boeckh, per costruire navi o per rifornirsi di merci dall’estero.

L’uso di questa valuta nazionale fu la forza che diede a Sparta, nonostante l’EMBARGO INTERNAZIONALE, la leadership del mondo ellenico fino al termine delle guerre del Peloponneso. Il cosiddetto “modo di vivere spartano” derivava dalla necessità di questa città-stato di essere sempre pronta contro una guerra totale dall’esterno, che era scatenata contro di loro dalla stessa elite di banchieri internazionali che da essi era stata messa alla porta con l’editto di Licurgo.

Nella città di Sparta c’era stato un altro ostacolo, oltre alle leggi di Licurgo, all’attecchimento del potere dei banchieri, cioè l’Eforato (la cui istituzione anch’essa è dovuta a Licurgo), che era inteso a difendere l’indipendenza nazionale del sistema monetario. Sugli Efori possiamo dire che i loro obiettivi principali erano il mantenimento della difesa domestica ed il controllo delle attività del re, attraverso di cui di solito si insinuava mediante corruzione l’elite internazionale di banchieri.
 
Sparta visse questa condizione di autonomia per circa 300 anni.
Ma entro il 360 a.C. il sistema monetario di Licurgo era niente più che un ricordo, come testimoniato dagli scritti di Alexander de Mar. La guerra del Peloponneso si era trascinata dal 431 al 404 a.C. Il prestito di 5000 talenti di argento che Sparta ricevette nel 412 a.C. dalla Persia per la costruzione di navi ci dice che, in una Sparta stremata dall’esterno e logorata dall’interno, gli emissari dei banchieri erano già riusciti ad infiltrarsi e ad ottenere in una certa misura il controllo. A questo punto era conveniente per i banchieri finanziare sia lo sforzo bellico spartano che quello ateniese, perchè sostenendo entrambe le forze distruttive che si fronteggiavano si arrivava al massimo del risultato, a livello di dipendenza economica e perdita di autonomia di entrambi. L’elite dei banchieri internazionali sapeva che anche una Sparta vincente sarebbe stata loro fedele e la nuova classe dirigente che essi avevano selezionato per lei già avevano iniziato a rimuovere ogni ostacolo al loro insediamento. I discorsi del 428 a.C. di Archidamos, re di Sparta rivelano proprio questo, cioè la corruzione e l’ipocrisia tipica di un politico controllato dalla confraternita internazionale di banchieri.


lunedì 27 ottobre 2014

Maometto e la violenza -- di Ida Magli --





Maometto e la violenza

di Ida Magli
Il Giornale, allegato "Non perdiamo la testa" | 18.10.2014

  L'Italia, l’Europa, l’Occidente, sono sorpresi e sconvolti dall’assassinio messo in atto nei confronti di persone che non hanno fatto alcun male, ma che sono state prese prigioniere e condannate a morte perché appartenenti al mondo degli “Infedeli”. L’uccisione sacrificale avviene per sgozzamento (wa’d) con successiva decapitazione fino dal tempo dei sacrifici degli Arabi preislamici e confermata dal Corano: “Io getterò il terrore nel cuore di quelli che non credono e voi colpiteli sulle nuche” 1. Questo punto – il significato sacrificale dell’uccisione degli infedeli - non è stato preso in considerazione dai nostri politici e commentatori, mentre si tratta di un dato fondamentale non soltanto per cercare di capire gli avvenimenti, ma per studiare una forma di “risposta” fornita di logica. L’assoluta “ritualità” dello scenario che ci è stato presentato in video al momento dell’uccisione, è proprio ciò che l’ha reso terribilmente macabro, insopportabile ai nostri occhi: la veste apposita della vittima, l’inginocchiamento, la frontalità rispetto a coloro per i quali viene sacrificata, la presenza incombente del sacrificatore, sono tutti segni e simboli costitutivi del rito. Noi però siamo da lungo tempo disabituati al linguaggio del Sacro e alla sua Potenza per cui ne siamo stati colpiti senza comprenderlo.

 “Barbarie! Delirio di fanatici!” hanno esclamato concordemente i commentatori non riuscendo a credere, dato il tono minore che le religioni hanno ormai assunto negli accadimenti della storia, che all’improvviso si rivelino attori di una guerra spietata proprio dei “credenti”, dei fedeli di Allah o di qualsiasi altro Dio. Non ci sembra possibile che sia la religione a muoverli e di fatto siamo disarmati: non abbiamo neanche cominciato a cercare di capire, tanto meno a “ragionare”. Barbarie, certo: si tratta di gesti esclusi dalla moderna convivenza civile fra gli individui e fra le nazioni. È la nostra più alta conquista morale la consapevolezza e l’affermazione che nessun uomo può essere “strumento”. Ci ripugna talmente l’idea del sacrificio umano che  vorremmo quasi credere che non sia mai esistito. Ci piacerebbe dimenticare che perfino le guerre sono state causate molte volte nell’antichità dal bisogno di catturare dei prigionieri da sacrificare al proprio Dio.

 I giornalisti, esperti come sono delle quotidiane follie di cui è capace ogni essere umano, si aggrappano all’idea del “fanatismo” come unica spiegazione di una violenza inammissibile, mentre Obama non ha concesso né a se stesso né ai nemici un solo minuto di riflessione prima di “rispondere” a modo suo: con le bombe. Errore gravissimo, è evidente. Studiare il nemico prima di muoversi, prendere tempo con lunghe trattative, è la lezione fondamentale che ha dato l’autore del De Bello Gallico a tutti i comandanti di eserciti che si sono succeduti dall’epoca romana fino ad oggi. Ma soprattutto errore gravissimo per chiunque abbia a che fare con la mentalità araba, mentalità che è l’opposto di quella americana: lenta, aggrovigliata, sempre alla ricerca di astuzie e di sottigliezze che adombrino per ogni problema almeno dieci soluzioni; mentalità che del resto si rispecchia chiaramente nel Corano. Maometto è un arabo  ed è a lui che guardano i suoi credenti essendo Allah un Dio lontanissimo, al quale è impossibile rivolgersi direttamente e neppure pregarlo se non insieme al Profeta. L’obbedienza alla volontà dell’unico Dio-Allah coincide con l’obbedienza al Profeta il quale conosce questa volontà perché gli è stata rivelata con il Corano. Dal momento di questa rivelazione il termine “profeta”, usato largamente in precedenza durante tutta la storia ebraica e in quella cristiana, assume la qualità di “unico” e si identifica con Maometto. L’unicità del Dio è la stessa unicità del suo Profeta. Maometto insomma è il padrone assoluto del mondo islamico e ha sistemato alla perfezione i suoi rapporti tanto con Dio quanto con gli uomini. L’Occidente dovrebbe tenere sempre presente questa caratteristica, che fa dell’Islamismo una religione diversa da qualsiasi altra; diversa soprattutto (per quanto l’opinione pubblica sia convinta del contrario) dall’Ebraismo e dal  Cristianesimo. Diciamo meglio: l’Occidente deve guardare all’uomo-Maometto e non alla religione che ha costruito, perché è a quest’uomo che i suoi fedeli obbediscono.

 Se diamo un’occhiata ai pochi dati certi, o quasi certi, della biografia di Maometto, vediamo chiaramente che corrispondono ai costumi delle tribù nomadi, Arabe e Beduine, sparse quasi ovunque nel sesto e settimo secolo d.C. negli immensi deserti della Siria. Prima di tutto l’abitudine a non radicarsi in un territorio, tipica del nomadismo, combattendo di continuo contro le tribù vicine per appropriarsi dei loro terreni e di tutto ciò che di meglio possiedono: cammelli, uomini, donne, bambini, che vengono aggregati al gruppo in qualità di schiavi e costretti ad abbracciare la fede dei loro padroni. Per Maometto il nomadismo e il bisogno di razzia si trasformano nello strumento più utile per imporre con la guerra la sua religione presso le popolazioni che conquista. Non è difficile. A parte l’estrema aggressività dei suoi guerrieri e il valore del bottino sul quale contano (non c’è nessun pericolo di rimanerne privi in quanto spetta a Maometto, che fa le divisioni, la quinta parte di tutto ciò che viene conquistato), Maometto ha scelto i primi cinque libri dell’Antico Testamento come base del Corano. Sono i più antichi, rispondenti al pensiero dei pastori nomadi dell’epoca di Mosè, con la loro giustizia del taglione, il primato del capo famiglia su tutto il gruppo, la poligamia e l’inferiorità delle donne, un insieme di credenze e di comportamenti che i popoli di Siria, di Palestina, di buona parte dell’Africa già conoscono attraverso l’ebraismo e il cristianesimo. Ma è evidente che l’islamismo riesce a diffondersi con facilità perché, contrariamente a quanto succede nelle altre religioni “rivelate” in cui sussiste sempre un ambito di mistero e di dubbio interpretativo, Allah dice con chiarezza ciò che vuole dato che parla attraverso un uomo: è sufficiente obbedirgli alla lettera. La serie di gesti quotidiani di purificazione, di garanzie magiche fornite dall’esecuzione rituale della preghiera, l’aggregazione iniziatica al gruppo del popolo eletto per mezzo della circoncisione, danno forza concreta, tangibile, al sentimento della fede. Altrettanto succede per quanto riguarda l’ordine sociale, basato sul più istintivo concetto di giustizia, quello del taglione. L’occhio per occhio, dente per dente, morte per morte, è facile da comprendere e garantisce un’immediata e reale soddisfazione, quella sul corpo. Nell’islamismo sono in atto, quindi, le strutture universali del Sacro e la loro organizzazione sociale a livello elementare, strutture che vibrano spontaneamente nell’animo umano perché rispondono, acquetandolo, al bisogno di sicurezza che assilla ogni uomo.

  C’è un fattore in più, però, nella religione di Maometto che domina su tutti gli altri imprimendogli un’inesauribile vitalità: bisogna combattere per la vittoria di Allah. È l’ordine che Maometto ha dato fin dall’inizio e che ha garantito e garantisce tutt’oggi l’espansione dell’Islamismo: combatti e vincerai. Il termine “combattere” è uno dei più frequenti nel testo del Corano: Islam e battaglia vittoriosa sono la stessa cosa perché è Dio che combatte quando i suoi fedeli combattono. “Ricordati come il tuo Signore ti ha fatto uscire dalla tua dimora per la missione di verità” (VIII, 5); “Non voi li uccideste a Badr, bensì Dio li uccise, né tu scagliasti la sabbia nei loro occhi, quando la scagliasti, bensì Dio la scagliò” (VIII, 17); “Quelli che abbandonano il loro paese e combattono nella via di Dio, quelli possono sperare la misericordia di Dio” (II, 215); “Se non uscirete in campo, Dio vi punirà con un castigo doloroso e vi sostituirà con un altro popolo” (IX, 39); “Uscite in campo, armati leggermente e pesantemente, e combattete, colle vostre sostanze e con le vostre persone” (IX, 41).

 Quanto piace agli uomini sfidarsi! Quanto piace agli uomini combattere! Quanto piace agli uomini vincere! Maometto non ha avuto dubbi: non c’è differenza che tenga, né di razza né di lingua né di storia, di fronte alla voglia dei maschi di combattere e di vincere. Vincere significa che sei il più forte, che le tue idee sono quelle giuste, che la tua religione è quella vera, che tutto ciò che esiste nel mondo ti appartiene e che hai diritto ad impadronirtene. Parte da qui, dunque, la violenza insita nell’Islamismo. L’Occidente l’ha dimenticato; l’Europa soprattutto l’ha dimenticato, vedendo vivere tranquilli all’interno del proprio territorio tanti gruppi musulmani. Ma si tratta di un errore. I nostri maschi stanno morendo. Quelli musulmani moriranno insieme ai nostri? Sicuramente no. Si uniranno ai combattenti che già premono su di noi e vinceranno.

Ida Magli
18 ottobre 2014
(allegato a Il Giornale: “Non perdiamo la testa”)

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1 Il Corano, sùra VI, 137, nuova versione letterale italiana, Hoepli ed., Milano 1987, terza ediz. riveduta. Tutte le citazioni del Corano contenute nel testo sono tratte da questa edizione.


                                                                                                                                 
 

sabato 25 ottobre 2014

SE IN ITALIA CI FOSSE LA DEMOCRAZIA


            SE IN ITALIA CI FOSSE LA DEMOCRAZIA


Premettiamo che a noi la democrazia non piace per  “principio.
Senza scomodare il parere del grande politico del passato Tallyerand che diceva che “la democrazia è l’arte di contare i nasi anziché i cervelli”  non ci piace un sistema in cui le decisioni vengono prese a maggioranza da una maggioranza che rappresenta statisticamente l’insieme dei meno intelligenti e dei meno preparati e che quindi ha il massimo delle probabilità di prendere decisioni sbagliate!
Ricordiamoci che in natura la qualità è inversamente proporzionale alla quantità…!
Se in uno stadio raduniamo a caso 10.000 persone e ne valutiamo scientificamente le capacità intellettuali, troveremo tre o quattro geni, un centianio di intelligentissimi, un paio o tre centinaia di intelligenti, tre o quattromila mediocri e circa 6.000 cretini.
Ebbene, in democrazia a prendere le decisioni sarebbero quei 6.000 cretini..!!
Se poi andiamo a considerare quale sia effettivamente il grado di democrazia ( che significa “Governo del popolo” dal greco “Demos” e “Cratos “ ) in Italia, veniamo a scoprire che quella che governa NON è una democrazia nel senso compiuto della parola, ma una oligarchia di poteri che nascondono interessi privati e di gruppi ( ideologici, economici, finanziari e razziali ) che si nascondono dietro ai principi democratici per farsi concretamente “gli affaracci loro “ alla faccia dei cittadini.
Le cronache ripetute e ricorrenti dei decenni del dopo guerra sono lì a dimostrare con i fatti che abbiamo ragione e, nonostante le contingenti, ipocrite dichiarazioni d’intenti che ad ogni scandalo escono dalle direzioni dei vari partiti ( Tutti, nessuno escluso..) i propositi di cambiamenti hanno poi nella pratica l’efficacia delle famose “Grida manzoniane” contro i “Bravi” e cioè un bel niente..!
D’altronde, aspettarsi dai protagonisti degli scandali, delle ruberie, dei soprusi e della malversazione un rimedio che li colpirebbe, è come mettere le volpi a fare la  guardia al pollaio..!!
Sentiamo già ronzare nelle orecchie le proteste e le critiche a questo nostro dire.
Era scontato così come scontati sono i luoghi comuni che ad esse si accompagnano.
“ Sebbene imperfetta, la democrazia è ancora il sistema di governo meno negativo”
“ La sola alternativa alla democrazia è la dittatura che è molto peggio ..”
“ Senza democrazia non esiste libertà che è il bene più prezioso dell’umanità..”
E via banalizzando….!!
Ebbene, noi NON abbiamo la risposta definitiva, ma diciamo che se si dimostra che un sistema è sbagliato, quanto meno è doveroso, oltre che onesto, cercare un’alternativa ragionevole anziché respingere pregiudizialmente ogni discussione in proposito..!
Abbiamo comunque qualche ipotesi da proporre alla discussione:
-La Meritocrazia che ponga le candidature dei possibili eletti a governare SOLAMENTE in base a meriti accertati e certificati di intelligenza, competenza, comportamento sociale, fedina penale immacolata,  e che limiti la durata delle cariche istituzionali ad un periodo relativamente breve, tale da non assuefare troppo al potere ed alla tentazione della corruzione.
-Il “Vincolo di mandato” per gli eletti in modo tale che essi siano mandati a governare per realizzare le promesse fatte agli elettori  i quali, al termine del mandato, giudicheranno l’operato dei suoi rappresentanti in base alla loro coerenza, all’onestà intellettuale e morale con cui hanno agito ed in base a ciò li confermeranno o li bocceranno mandandoli a casa. ( magari anche con un referendum di controllo e di giudizio a metà mandato ).
-La condizione, per i candidati, di avere frequentato con successo una apposita scuola di amministrazione analoga alla “Ecole de l’adminitration publique” istituita in Francia da Napoleone e tuttora vigente ed obbligatoria per gli addetti alla pubblica amministrazione, tanto per evitare di vedere parlamentari e funzionari che nelle interviste dimostrano platealmente un’ignoranza asinina nelle più elementari questioni..!
E si potrebbe continuare, ma il succo del discorso è che non troviamo logico dovere scegliere tra il cancro e la polmonite, ma riteniamo doveroso di cercare una cura che ci guarisca da entrambe queste malattie..!!

Alessandro Mezzano
                                                                                                                             

giovedì 23 ottobre 2014

RAZZISMO O AUTODIFESA?

RAZZISMO O AUTODIFESA?



Nell’era che viviamo, le due cose importanti che determinano il grande potere a livello mondiale per coloro che le controllano sono: DENARO & INFORMAZIONE-COMUNICAZIONE.
Se andiamo a cercare chi, nel mondo intero, possiede il maggiore controllo su questi elementi, scopriamo che essi appartengono alla razza ebraica.
Da Hollywood, ai grossi concentramenti di media, alle grandi banche, ai grandi gruppi finanziari che controllano la finanza,  alla direzione della Federal reserve USA troviamo i Goldwin Mayer, i Mardoch, i Soros, i Rothscild, i Ben Bernanke, i Janet Yellen, ecc. ecc, TUTTI di razza ebraica.
Non è assolutamente detto che questi signori usino del loro potere nell’interesse generale, anzi, probabilmente lo usano  per scopi personali, di gruppo e per favorire le loro Lobbyes e lo stato di Israele cui sono legati da un cordone ombelicale.
E’ un potere che sovrasta quello dello politica e che lo condiziona rendendo vana ogni forma di democrazia..
Non è una affermazione razzistica, ma una semplice constatazione di fatti reali!
Ed allora la diffidenza verso gli ebrei che possiedono il controllo sugli elementi che oggi determinano il potere ci sembra più che giustificata dai fatti..!
Se quel controllo lo possedessero i Francesi o i cattolici, o gli omosessuali, oppure militari, saremmo diffidenti verso di loro….

Alessandro Mezzano

lunedì 20 ottobre 2014

DOGMI E CENSURE: FACCIAMO UN INVENTARIO - di Marco Della Luna (IMPORTANTE)


Dogmi e censure: un inventario

di Marco Della Luna
 
Notoriamente, se un’affermazione, per quanto falsa, viene ripetuta decine di migliaia di volte soprattutto dalla tv, alla fine la gente la sentirà come vera.
 
I regimi inculcano così dogmi, insiemi di dogmi, costituenti un senso comune artificiale, utile alla gestione del corpo sociale, a far accettare alla gente come giustificate le operazioni che si compiono sulla sua testa, sulle sue tasche, sulla sua vita, sui suoi diritti. Ma anche sulla società come tale. Un senso comune che produce quindi consenso (legittimazione democratica) e ottemperanza popolare (compliance).
 
Chi osa uscire criticamente dal recinto dei dogmi e della dialettica consentita tra i paletti, viene etichettato come antagonista, estremista, antisociale, populista, eccetera, e viene delegittimato culturalmente, emarginato – finché i fatti e le realtà censurate non rompono l’incantesimo del sistema dogmatico.
 
Facciamo l’inventario, o l’inizio dell’inventario, di questi dogmi nel nostro sistema, sempre più scosso e incrinato dalla pressione della realtà rimossa:
 
1) Dogma dei mercati efficienti: I mercati sono tendenzialmente liberi e trasparenti, prevengono o correggono inefficientemente le crisi e, realizzano l’ottimale distribuzione delle risorse e dei redditi, abbassano i prezzi e le tariffe; puniscono gli Stati inefficienti e spendaccioni mentre premiano quelli efficienti e virtuosi, perciò la regolazione della politica va ultimamente affidata ad essi.
 
2) Dogma della spesa pubblica: la spesa pubblica è la causa dell’indebitamento pubblico, il quale a sua volta è la causa delle tasse, della recessione e, dell’inefficienza del sistema; l’obiettivo è dunque tagliare la spesa pubblica come tale e affidare i servizi pubblici alla gestione del mercato, cioè alla logica del profitto.
 
3) Dogma dell’integrazione europea: l’integrazione europea è insieme benefica, possibile e inevitabile; chi si oppone si oppone a una tendenza naturale e storica, va contro la realtà e gli interessi di tutti; l’Europa quindi legittimamente detta le regole a cui tutti devono adeguarsi.
 
4) Dogma dell’euro moneta unica: l’euro moneta unica produce la convergenza delle economie europee, quindi sostiene l’assimilazione e integrazione tra i paesi europei, favorisce la nuova crescita economica e la loro solidarietà.
 
5) Dogma della preziosità e della scarsità oggettive della moneta: la moneta non è un simbolo prodotto a costo zero, ma è un bene, una commodity, con un costo di produzione che giustifica il fatto che coloro che la producono (come moneta primaria o creditizia), in cambio di essa, tolgano grandi quote del reddito a chi produce beni e servizi reali.
 
6) Dogma dell’immigrazione benefica: l’immigrazione va accolta anche sostenendo grosse spese perché essa è economicamente benefica ed indispensabile per compensare l’invecchiamento e il diradamento della popolazione attiva, quindi per sostenere il sistema previdenziale e per coprire i molti posti di lavoro che gli italiani rifiutano; non è vero che tolga posti di lavoro agli italiani, che faccia loro concorrenza al ribasso sui salari, che serva come manovalanza alle mafie, che comporti un apprezzabile aumento della criminalità o dei costi sanitari o assistenziali.
 
Carattere comune di questi punti dottrinali e propagandistici, è la censura od occultamento dei conflitti di interessi e di bisogni, e ancor più della lotta di classe in atto.
 
Soprattutto viene sottaciuto il conflitto di interesse tra classi sociali, specificamente tra classe globale finanziaria improduttiva parassitaria speculatrice e le classi produttive dell’economia reale, legate ai loro territori, e sempre più private di potere sulle istituzioni nonché di quote di reddito in favore delle rendite finanziarie.
 
Conflitto di interessi tra nord e sud d’Italia, in cui alcune regioni settentrionali patiscono un permanente trasferimento dei loro redditi in favore di alcune regioni meridionali onde tenere unito il sistema paese, ma questo trasferimento sta spegnendo le loro capacità economiche del nord e induce le loro aziende e i loro migliori lavoratori ad emigrare.
 
Conflitto di bisogni oggettivi tra paesi manifatturieri come Italia e Germania, nel quale la Germania ha interesse a tenere l’Italia entro una moneta comune per togliere all’Italia il vantaggio di una moneta più debole, quindi di una maggiore competitività rispetto alla Germania, così da prendere anche sue quote di mercato.
 
Conflitto di bisogni oggettivi tra paesi creditori, come la Germania, e paesi debitori, come l’Italia: i tedeschi, essendo detentori di crediti sia personali, previdenziali, da investimento, sia anche pubblici, sono interessati a mantenere forte il ricorso della valuta in cui quei crediti sono dedicati denominati, cioè l’euro – da qui l’esigenza di tenere stretti i cordoni della borsa, cioè di far scarseggiare la moneta per tenerne alto il corso; per contro l’Italia e gli italiani, essendo indebitati e avendo i loro investimenti perlopiù in immobili, hanno bisogno di una moneta meno forte.
 
Conflitto di bisogni tra paesi in recessione, che hanno bisogno di politiche monetarie espansive, e paesi in crescita, che hanno bisogno di politiche monetarie restrittive; e tra paesi ad economia manifatturiera-trasformatrice e paesi ad economia basata sui servizi finanziari e il commercio (Regno Unito): tutti conflitti che rendono dannosa l’unione monetaria, o meglio che fanno sì che la politica monetaria faccia gli interessi del paese più forte dentro di essa (Germania) a danno dei paesi meno forti.
 
Conflitto di interesse propriamente di classe tra imprenditori e lavoratori: i primi hanno interesse a togliere ai lavoratori quanto più possibile forza negoziale e capacità di resistenza, di sciopero, oltre che di salario. Conflitto di interesse tra cittadini utenti e monopolisti/oligopolisti di servizi pubblici: questi ultimi hanno interesse a imporre tariffe sempre più alte in cambio di servizi sempre più scarsi, onde massimizzare i loro profitti; da qui la privatizzazione sistematica di tali servizi.
 
In conclusione, il regime, cioè il sistema di spartizione del reddito tra le varie classi economiche – sistema che vede oggi la classe finanziaria prendersi tutto il reddito disponibile – si regge su un consenso e un’acquiescenza ottenuti tanto mediante l’indottrinamento con dogmi, quanto con il sistematico nascondimento di conflitti di interessi che non devono apparire onde evitare che la gente percepisca il male che le viene fatto.
 
È stato costruito, con la collaborazione dei media e dei politici (quasi tutti), un senso comune socio- economico, una percezione comune della realtà, che consente a una classe globale parassitaria di perfezionare la spoliazione dei diritti e dei redditi delle altre classi, facendola apparire come espressione naturale di leggi impersonali del mercato, non come una guerra di classe.
 
Di questo senso comune fa parte anche la concezione del genere umano come di una competizione assoluta e totale tra individui per la conquista della ricchezza e del potere – perché questa è l’ide(ologi)a del mercatismo: il bellum omnium erga omnes, un individualismo di massa (ciascuno è solo davanti allo schermo, davanti alle tasse, davanti alle banche, davanti ai problemi di salute, vecchiaia, disoccupazione; e soprattutto davanti a un sempre più impersonale e grande datore di lavoro), senza diritti comuni, senza solidarietà e garanzie, dove tutto è merce e prestazione, dove è proibito agli Stati persino introdurre tutele alla salute pubblica, se queste possono limitare il profitto delle corporations (norme del WTO e del TTIP).
 
Questo modello socio-economico, che viene costruito metodicamente, anche a livello legislativo e costituzionale, nazionale ed europeo, dalle nostre élites, e in Italia ultimamente dalla staffetta dei governi Berlusconi-Monti-Letta-Renzi (sotto la locale regia di Giorgio I), è marktkonform, conforme e ideale per le esigenze del mercato e del capitale e del profitto; però mi pare non molto compatibile con le esigenze psicofisiologiche dell’essere umano, inteso sia come individuo, che come famiglia, che come comunità sociale – esigenze che comprendono una prospettiva stabile per la progettazione e l’impostazione della vita, per la procreazione e l’educazione della prole; ma anche ambiti di non mercificazione e di non competitività, e la garanzia di una dimensione pubblica sottratta alla logica del profitto finanziario.