La storia d’Italia fu fermata nel 1943 per essere sostituita da quella delle turlupinature più abiette, da quella delle menzogne più efferate, delle falsità più luride, secondo un piano ben preciso che prevedeva la sepoltura della nostra grande Nazione, nelle loro cloache do viziosamente definite “liberatrici”.
…Nel
suo nuovo libro di rivelazioni “I File di WikiLeaks”, presentato in
questi giorni alla Tv RT, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange
dedica un intero capitolo alla Siria con informazioni risalenti al 2006,
quando ancora nessuno poteva immaginare che sarebbero esplose, di lì a
poco, le Primavere Arabe.
Durante
la trasmissione “Going Underground” di RT, Assange rivela il piano di
Washington mirato a rovesciare il regime di Bashar al-Assad, programmato
molto prima del 2011. Un piano contro il governo di Damasco che poco
c’entra con l’apparente rivolta spontanea del popolo siriano….
Nulla
di nuovo se non la riprova che la “democratica” America è la chiave di
volta di manovre a dir poco scorrette per piegare la politica mondiale
ai suoi interessi oppure, come in questo caso, a quelli dello stato
sionista di Israele che aveva nella Siria di Assad uno dei suoi
principali nemici ed antagonisti in medio oriente!
Perché,
guarda caso, ogni volta che Israele ha un nemico, anche se esso vuole
solamente difendere i diritti di un popolo dalle mire imperialiste di
Israele che mira all’obiettivo espansionistico della “Grande Israele” ( come apertamente dichiarato in passato dai sui maggiori esponenti politici
) l’America democratica e pacifista si trova SEMPRE al suo fianco nel
perseguire politiche di oppressione, di sterminio e di genocidio.
Vedi Palestina…!!
D’altronde
è logico che in uno stato come l’America, dove solo il dio denaro conta
ed ha valore, sia fortissima l’influenza politica di chi, come il
sionismo, ha sul denaro un grande controllo..
Né
la grande America guarda e si cura delle disastrose conseguenze come ha
fatto in Iraq, come ha fatto in Afganistan, come ha fatto in Libia e
come sta facendo in Siria dove la rivolta contro Assad si è servita
degli estremismi tra sciti e sunniti edha fatto nascere il “Califfato dell’ISIS” che sta ora imperversando in tutto il mondo e che ha messo in pericolo la stessa Europa..!
Il
che dimostra che oltre ad avere tanto pelo sullo stomaco gli americani
sono pure un poco cretini dato che le conseguenze delle loro azioni sono
spesso, alla lunga, negative anche per loro stessi..!!
Quanto
poi ad Israele che in questo caso è stato l’ispiratore e l’istigatore,
nemmeno tanto nascosto, di questa azione, ai sionisti non frega un
cavolo del resto del mondo dato che loro sono “i prediletti da Dio”,
sono “habram” e cioè “Uomini” mentre il resto dell’umanità è ”Goym” e
cioè “animali”…!!!
Ad
entrambi, America ed Israele, auguriamo di finire nello stesso modo in
cui essi hanno fatto finire i loro nemici: distrutti per sempre..!!
Ci risiamo (anzi,non si è mai smesso): non appena gli eventi della
politica nazionale ed estera richiedono un sostegno mediatico,Radiouno
corre in prima linea !! Con la forza delle trasmissioni 24h,condotte
generalmente da buoni "mestieranti",si martella la testa degli
ascoltatori con un'informazione quasi esclusivamente di parte e
molto,molto lacunosa...pur se subdolamente mascherata come "servizio
pubblico" e pure "pluralista". Sono io (e tanti altri) esagerato e fazioso ? Sottopongo ai lettori queste mie considerazioni,poi decidano loro... Dove
entrano istituzioni e partiti (praticamente tutto)...ascoltate le
trasmissioni che ospitano politici,opinionisti,economisti ed esperti
vari...(sindacalisti compresi) : rappresentano "tutti" una qualche
formazione politica sempre presente in parlamento o fanno riferimento a
correnti e correntine varie che ambiscono ad entrarci !! Peccato
che,attualmente,quasi (o più) della metà degli italiani (me compreso)
non votino !! Per decine di motivi diversi...ma non votano !! Piú che
altro per assoluta e crescente sfiducia nelle istituzioni e nei
partiti...dico il falso ? Ebbene,qualcuno ha mai sentito a Radiouno
un qualunque ospite, intervistato su qualsivoglia tematica,dichiararsi
"astensionista" o magari singolo rappresentante di questa decina di
milioni di cittadini italiani ?? Io,mai...e voi ?? Come è
possibile che un "servizio pubblico" ignori volontà,esigenze,aspettative
di quanti non credono piú nella partitocrazia imperante (pure in Rai)
?? Possibilissimo,avviene "minuto per minuto" (mi perdonino gli
ottimi,innocenti conduttori di trasmissioni sportive e musicali fuori
discussione)...basta seguire l'informazione per un paio di ore,poi balza
evidente ! Idem,se addirittura non in maggior misura,per tutto ciò
che è "Europa" comunitaria,quella di Bruxelles...che decide tutto su
tutti,anche sui cetriolini !! A fronte di un 60% di europei che non
votiamo,più milioni di "euroscettici" che sono ostili alla UE,gli
ineffabili conduttori delle varie trasmissioni ci presentano il regime
UEista (tale sicuramente è per milioni di persone) come il paradiso in
terra,la panacea di tutti i mali e l'unica speranza possibile per il
futuro d'Europa. Ospitando si,perché rappresentati in parlamento,pure
"euroscettici" di casa nostra (cui non credo per nulla) ma rovesciando
sui "populisti" nostrani ed esteri (che di UEismo non vogliono sentir
parlare) tonnellate di offese ed insulti che vanno dallo "xenofobo" al
"razzista" e pure "nazista"!! Tutto,rigorosamente,senza alcun diritto di replica o rappresentanza....!! Quanto sopra ancor più reso evidente da queste giornate di esodo di decine di migliaia di profughi,veri o presunti che siano. Dimenticando
(perché amici strettissimi ideologicamente) i muri eretti dagli Usa e
da israele,Radiouno ha cavalcato,via inviati speciali,la caccia ad Orban
ed alla Ungheria per la costruzione del muro (??) con interventi
lacrimevoli e feroci nel sottolineare l'atteggiamento brutale e
"nazista" del governo ungherese... Qualcuno ha potuto ascoltare alla
radio nazionale una sola intervista diretta all'ambasciatore,ad un
ministro,ad un esponente di Jobbik (partito vituperato di estrema
destra) o ad un solo difensore di Orban ?? Per i giornalisti Rai non
esistono....questa la verità !! La Siria e tutte le tragedie che la
riguardano : chiamano tutti,esclusi i legittimi (anche per l'Onu,non
solo per Putin) esponenti del governo siriano...mai uno qualunque di
quanti,pur presenti,si spendono per Assad su internet...non a
Damasco,qui in Italia e con nome e cognome. Insomma,spero di aver reso l'idea : RadioTiranauno trasmette sempre la stessa musica !! ...e non è balcanica
...sono il problema !! Con
l'immagine sconvolgente del piccolo Aylan tutti abbiamo avuto sbattuto
in faccia il dramma dei profughi siriani in fuga dalle loro città e del
loro peregrinare per mari e monti,destinazione Germania. Le
posizioni su questo dramma (unito a quelli di altre nazioni da dove si
scappa pure per fame) sono piú o meno risapute da quanti leggono questa
mia riflessione...uniscono o dividono l'opinione pubblica sull'onda
delle emozioni e delle varie opinioni politiche di ciascuno di noi....e
su questo,sorvolo. Ritengo sia preminente porre l'attenzione su
quanto accade in Siria e sui riflessi futuri di ciò che potrebbe
accadere...,argomento che (generalmente) i media principali evitano di
analizzare e sottoporre al loro (numericamente) grande pubblico. Per
non ingenerare timori piú che sacrosanti,visto il pericolo che realmente
esiste di un cataclisma militare,politico e sociale di enormi
proporzioni. Oggi,in Siria,la situazione è questa : circa 1/5 del
territorio è effettivamente sotto controllo dell'esercito governativo di
Bashar al Assad,ma è la parte più popolosa della nazione..la piú
produttiva (almeno lo era) e quella con le migliori infrastrutture
industriali e sociali. La capitale Damasco,patrimonio storico
dell'umanità,è fortemente a rischio di cadere nelle mani dell'azione
congiunta Isis-AlNusra-ribelli (che ne controllano alcuni sobborghi)
qualora le linee di difesa governative cedessero. Sarebbe una
ecatombe di militari e civili,basti guardare cosa accade ad Aleppo (ex
seconda città piú importante) dove i due fronti di scannano da anni per
averne una minima idea. Un'altra parte della Siria (ancora minore,ma
pure densamente popolata) è controllata dal fronte eterogeneo
AlNusra-ribelli,all'epoca armato e finanziato dagli Usa e dai paesi
europei con la scusa delle "primavere arabe". Senza il determinante
sostegno degli occidentali,dell'Arabia Saudita e degli Emirati sarebbe
stato spazzato via già nel 2011 e non ci si ritroverebbe in questa
situazione. Sempre una consistente parte del territorio siriano (ai
confini con Turchia ed Iraq) è sotto controllo dei Curdi,spesso alleati
degli Assad,la cui fama di combattenti non abbisogna di delucidazioni. Oggi combattono per la sopravvivenza contro l'Isis (e la Turchia). Lo
Stato Islamico,sorto e dilagato in soli tre anni,controlla gran parte
della Siria,risorse energetiche comprese,però con territorio desertico e
scarsamente popolato. A parole,e con qualche bomba sganciata dagli
aerei della #coalizionecrociata (con aggiunta di alleati musulmani),lo
combatte tutto il mondo...nella realtà si amplia,si pompa (di petrolio e
gas) e si prepara all'assalto finale. So benissimo che,solo a
leggere le righe soprastanti,già gira la testa...insomma,si capisce poco
o nulla...io stesso faccio fatica a cercare di spiegare sintetizzando. Uno sforzo ancora,per favore Ci
si mette pure la religione a complicare tutto : sunniti (tutti gli
schieramenti anti Assad) contro sciiti,alauiti,cristiani e pure drusi e
curdi (di fatto pro Assad). Chi perde...rischia fisicamente di perdere tutto,compresa la testa... Li lasciamo al loro destino ? Se la vedano tra di loro ? Non
è più possibile,non dovevamo interferire prima,nel 2011,per "esportare
la democrazia" !! Non era bastato l'Iraq,neppure la recente Libia...dopo
i guai creati laggiù dovevamo cacciare il "dittatore" Assad (peraltro
eletto dal suo popolo)...oggi ci ritroviamo con 5 milioni di profughi
siriani che vogliono venire in Europa,con destinazione Germania e Svezia
!! Finito ? Quando mai,il peggio deve ancora venire...se cade Assad !! Damasco
e tutta la fascia costiera,abitate da alauiti,sciiti,cristiani e drusi
diverrebbe un lago di sangue...presto l'Isis prevarrebbe sui mercenari
AlNusra-ribelli e ci ritroveremmo con il Califfo Al Baghdadi più potente
del mitico Saladino. Pensate alla Siria all'Iraq,alla Libia,al Sudan,alla Nigeria e magari al rischio Egitto e vedrete che prospettiva... Nel contempo,mentre scrivo,cosa accade ? Israele,bontà sua,bombarda a Zabadani le truppe di Assad per appoggiare gli "amici" di AlNusra... Francia ed Inghilterra,come contro Gheddafi,vogliono cacciare il "malvagio" Assad. BombObama...pure,però giura di combattere (???) l'Isis. L'Iran,capito
di essere il prossimo bersaglio dello Stato Islamico (e degli
occidentali) ha già truppe iraniane ed alleati (Hezbollah) sul terreno. Putin,che
fesso non è, ha compreso che il Califfo spingerebbe il proprio
interesse pure in Cecenia e dentro la Federazione russa...e sta inviando
armi e (forse) truppe di terra a Tartus (base navale russa in Siria). Come finirà ?? Figurati se posso saperlo io ma credo proprio che finirà male !!
"Una delle conseguenze del "Quarantotto Arabo" è il
fallimento dell'Islam Politico "moderato", disposto ad accettare il processo
elettorale e, almeno per ora, i diritti delle minoranze.
Gli islamisti, disillusi sulle possibilità di arrivare al
potere democraticamente, si sono riversati in massa in opzioni radicali,
intransigenti e insurrezionali come Daish". (Daniele Scalea)
Canzano 1- Dalla Primavera Araba, ai disordini in Egitto di
questi giorni.
SCALEA
– La "Primavera Araba" è stato un movimento storico che, apparentemente,
avrebbe scalzato i vecchi regimi nazionalisti e laici, ormai privi dello
slancio dei primi decenni del dopoguerra, a vantaggio di nuove realtà
d'ispirazione religiosa, per lo più legate ai Fratelli Musulmani. Nei primi
mesi delle rivolte, quindi nel pieno degli eventi, pubblicai un piccolo
libro sul tema. Tra gli scenari futuri ipotizzati, c'era quello di un
"Quarantotto arabo": esattamente come l'analogo europeo, la spinta politica
emergente, dopo i successi iniziali, sarebbe stata soffocata. E' quel che è
successo, con l'Arabia Saudita a giocare il ruolo che fu della Russia
zarista. Ciò non significa che l'Islam Politico non tornerà a bussare alla
porta del potere, presto o tardi.
Canzano 2- La Libia del dopo Gheddafi è diventato un terreno
dove non c’è legge e tutto il territorio è in un continuo caos.
SCALEA – La Libia era un paese artificiale, un castello di
carte in delicato equilibrio che Gheddafi, pur con tutti i suoi difetti,
sapeva mantenere, garantendo standard di vita ineguagliati in Africa.
Francia, GB e USA hanno voluto distruggere quell'equilibrio e, ciò ch'è
peggio, una volta che l'hanno fatto si sono subito disimpegnati,
accontentandosi di qualche contratto petrolifero. Il risultato è quello
sotto gli occhi di tutti.
Canzano 3- La legge islamica in mano ai
califfati?
SCALEA – Una delle conseguenze del "Quarantotto Arabo" è il
fallimento dell'Islam Politico "moderato", disposto ad accettare il processo
elettorale e, almeno per ora, i diritti delle minoranze. Gli islamisti,
disillusi sulle possibilità di arrivare al potere democraticamente, si sono
riversati in massa in opzioni radicali, intransigenti e insurrezionali come
Daish.
Canzano 4- I Paesi Arabi in guerra solo per questioni
economici?
SCALEA – No, credo che in questo caso contino molto di più
politica e ideologia. L'Egitto combatte in Libia per non avere un paese
vicino sotto l'influenza dei Fratelli Musulmani odiati
da al-Sisi. L'Arabia Saudita impegna ovunque i suoi petrodollari per
ribattere l'influenza di Turchia e Iran, e anche del Qatar che, pur essendo
wahhabita come lei, ha strategie e interlocutori diversi sullo scacchiere
regionale.
Daniele Scalea è Direttore Generale
dell'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG),
Condirettore di "Geopolitica", Cultore di Geografia Politica ed Economica
all'Università Sapienza di Roma, Blogger per "L'Huffington Post". Autori di
alcuni libri e svariati articoli su temi storici e geopolitici, è frequente
commentatore dei fatti internazionali, apparso tra gli altri su Rai 1, Rai
3, Radio Rai 1, Radio Rai 3, ADN Kronos, Class News CNBC, L'Indro, Il Secolo
d'Italia, La Voce della Russia, IRIB, IRNA
Aggredita
da disertori siriani una anziana italiana al confine italo – austriaco :
volevano rubarle l’ auto per entrare in Austria. “Ho visto le immagini dei profughi che entrano
felici e saltellanti in Germania. Tutti uomini in ottima salute dai 20 ai 30
anni. Poi ho pensato ai loro confratelli che combattono e muoiono in patria
cercando di ostacolare i tagliagole dell'Isis”.( Alfio Krancic, collaboratore
de Il Giornale ).
Per avere questa
notizia, di un fatto accaduto il 4
Settembre alla frontiera tra l’Italia e l’Austria, siamo dovuti ricorrere ai
media polacchi. Il che dice tutto, sul livello di manipolazione mediatica in
cui versa la stampa italiana. Il
giornale polacco Niezalesna , seguito poi da altri giornali, racconta
la disavventura capitata a un giornalista - blogger polacco , Kamil
Bulonis, proprio passando il confine fra Italia e Austria . Di seguito
riportiamo l' articolo :
Mezz’ora fa, al confine
tra Italia e Austria, con i miei occhi ho visto un enorme numero di immigrati …
Con tutta la
solidarietà che ho per le persone in difficoltà, devo dire che quello che ho
visto suscita orrore …
Questa enorme massa di
persone – mi dispiace doverlo scrivere – ma deserto assoluto … volgarità,
lancio bottiglie lancio, grida di “Vogliamo la Germania” – e la Germania ora è
un paradiso?
Hanno circondato l’auto
di un’anziana donna italiana, l’hanno presa per i i capelli e trascinata fuori
dalla macchina: volevano prenderla per andare in Germania.
In che modo pensano di
assimilarli in Germania? Ho sentito per un attimo come di essere in una guerra
…
Abbiamo passato tre ore
alla frontiera. I passeggeri di un bus sono stati aggrediti, il bus è stato
danneggiato, fatto oggetto di lancio di merda, sputi. Hanno cercato di
ribaltarlo, distruggendo i finestrini. Erano selvaggi.
Tra questi, c’erano
pochissime donne, senza figli – la stragrande maggioranza erano giovani
aggressivi …
Proprio ieri avevo letto la notizia dei profughi su tutti i siti,
e mi dispiaceva per loro, oggi, dopo quello che ho visto ho solo paura e allo
stesso tempo sono contento che non scelgano il nostro paese come destinazione.
Noi polacchi semplicemente non siamo pronti ad accettare queste persone – sia
culturalmente che finanziariamente. Non so se qualcuno è pronto.
Ad un bus turistico
francese, hanno aperto il bagagliaio e rubato tutto il bagaglio. Ci sono voluti
la polizia austriaca e diverse ore di scontri per respingere la folla al
confine italiano.
Questo
dossier è stato ritrovato dentro un archivio informatico del nostro
ufficio storico. Lo riproponiamo nella forma originale, perché ricco di
dati, eventi e circostanze di indubbio interesse storico e documentale,
riguardante gli eventi della Guerra Civile 1943-1945.
IL MARTIRIO DELLA FAMIGLIA UGAZIO
Augusto Pastore, Articolo tratto da “L’ultima Crociata” del 1998.
La tragedia della famiglia Ugazio vien
voglia di scriverla con l’inchiostro rosso. Un rosso sangue. E ci
vorrebbero anche le tonalità espressive di Eschilo per rendere con
chiarezza l’atmosfera allucinante nella quale venne consumata una strage
orribile che lascia increduli, inorriditi. Le malvagità della sporca
bestia umana toccano vertici sconosciuti alla bestia stessa. certo che
al cospetto del calvario di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio la più
maledetta iena proverebbe un moto di sgomento.
Galliate è un grosso centro
agricolo-industriale, posto ad una decina di chilometri da Novara. Si
allunga a levante, fino alle rive del Ticino.
In questo pezzo di valle padana l’inverno
è rigido, umido: una cappa pesante di nebbia avvolge tutto. D’estate
l’afa, stagnante e le zanzare fanno attendere il calare del sole come
una benedizione del Padreterno. Allora la gente esce di casa e si siede
sui gradini. Aspetta il ristoro di un filo d’aria.
Anche la sera del 28 agosto 1944, dopo una giornata arroventata, a Galliate si aspettava il sollievo del tramonto.
Giuseppe Ugazio, un brav’uomo di 43 anni,
segretario del Fascio locale, si intratteneva con alcuni amici presso
la trattoria S. Carlo. Discuteva della guerra, delle terrificanti
incursioni sul ponte del Ticino spaccato in due dalle bombe inglesi.
Cornelia, la figlia di 21 anni, simpatica
e bella studentessa in medicina, si era recata da conoscenti che
l’avevano pregata per alcune iniezioni. Mirka, l’ultima creatura di
Giuseppe Ugazio, era saltata sulla bicicletta e si divertiva a pedalare
forte con la gioia innocente dei 13 anni! Ma in quella sera del 28
agosto 1944, il destino di Mirka, Cornelia e Giuseppe Ugazio si compie.
Un gruppo di partigiani, usciti dalla boscaglia, come lupi famelici
attendono i tre. Con un pretesto qualsiasi distolgono Giuseppe Ugazio
dalla compagnia degli amici, poi, camuffati da militi della R.S.I. in
borghese, fermano Cornelia. Mirka, la dolce bambina di 13 anni con le
trecce avvolte sulla nuca e il vestitino bianco a fioroni rosa, viene
spinta dalla camionetta in corsa sul bordo della strada. La raccolgono
in fretta, senza dare nell’occhio, accorti come una banda di bucanieri.
Una sporca e nodosa mano le comprime la bocca mentre l’automezzo si
rimette in marcia. Il tragico appuntamento per le tre vittime è fissato
presso la tenuta «Negrina», un cascinale isolato a mezza strada tra
Galliate e Novara. Sono le 21 della sera del 28 agosto 1944, un cielo
calmo, dolce, pieno di stelle. Dalle risaie si alza il concerto
gracidante delle rane: alla tenuta «Negrina» incomincia invece la
sarabanda, la macabra giostra. I partigiani, una ventina circa, hanno
tanta fame e sete, ma per fortuna il pollaio è portata di mano e la
cantina a due passi. Un festino in piena regola per tutti quanti ad
eccezione dei tre prigionieri. Mirka piange ed invoca la madre.
Cornelia, dignitosa come la donna di Roma, sfida con gli occhi quel
banchetto di forsennati. Papà Ugazio è cereo in viso: avverte la
tragedia immane che pesa nell’aria. Avanti, è ora. Il vino ha raggiunto
l’effetto e a calci e a pugni la turba di delinquenti spinge Giuseppe
Ugazio nel boschetto adiacente la tenuta. Lo legano ad un fusto, gli
spengono i mozziconi di sigarette sulle carni e, sotto gli occhi
terrorizzati di Mirka e di Cornelia, lo finiscono a pugni in faccia e
pedate nel basso ventre. Il calvario dura più del previsto perché la
fibra fisica dell’Ugazio resiste. La gragnuola di pugni infittisce, i
calci si fanno più decisi. Ora si ode soltanto il rantolo: «Ciao Mirka,
ciao Cornelia» e Giuseppe Ugazio spira. Adesso inizia l’ignobile. Sono
venti uomini avvinazzati su due corpi indifesi. Mirka è una bambina e
non conosce ancora le brutture degli uomini degeneri. Dapprima non
comprende, non sa, poi tenta un’inutile resistenza. Cornelia si difende
ma è sopraffatta. Sette ore di violenze ancestrali, sette ore di schifo e
di urla. Poi l’alba. Mirka e Cornelia non respirano più. Conviene
togliere di mezzo i cadaveri e ritornare nella boscaglia. Si scavano
venti centimetri di terra e si buttano le vittime. Le zolle fredde al
contatto delle carni riaccendono un barlume di vita e i due corpi
sussultano ancora. Ma è questione di un momento per i partigiani: a
Cornelia spaccano il cranio con il calcio del mitra e sul collo di
Mirka, la bambina, si abbatte uno scarpone che la strozza. La tragedia è
finita.
Sull’orizzonte si alza il sole, il sole insanguinato del 29 agosto 1944, a soli otto mesi dalla “liberazione”.
A mamma Maria Ugazio, il giornalista
chiede di fargli vedere un ricordo personale di Mirka. Allora gli fu
mostrato un album di famiglia un poco ingiallito dal tempo. Sul retro di
una foto scattata nei giardini dell’Isola Bella la mano infantile di
Mirka aveva scritto nel 1943 queste parole: «Al mio papalone che mi ha
portato a fare questa bella gita, la sua Mirka».
Per i comunisti i parroci erano tra gli
oppositori più efficaci, quindi molto pericolosi. Avevano confessionali
in cui sapere anche la verità sulla violenza rossa che, fuori, nessuno
osava dire.
Avevano pulpiti da cui parlare e
condannare, gente ad ascoltare. Erano organizzati con oratori, consigli
comunali, formavano diocesi. Quattro volte più numerosi di oggi, erano
disseminati ovunque. Più dei carabinieri, più dei farmacisti. Persino
più delle case del popolo. E se la loro parrocchia disponeva di benefici
terrieri, ebbene, erano da odiare due volte, una perché preti, l’altra
come padroni, e rientravano perciò doppiamente in quell’assunto che,
dalla fine della guerra, girò per anni tra le squadre d’azione
comunista, in cellula e nelle case del popolo:
«Se dopo la liberazione ogni compagno
uccidesse il proprio parroco e ogni contadino il padrone, il problema
sarebbe già risolto».
E non è vero che ad ogni don Camillo
rispondesse un Peppone. I primi furono tanti, dei secondi in questo
amaro viaggio di triangolo della morte non vi è traccia. Non c’è parroco
che non abbiano intimidito, isolato. Tantissimi furono scherniti,
derubati, rapinati. Ora io vi racconterò di quelli che, dopo aver già
tanto sofferto in tempo di guerra da tedeschi, fascisti e partigiani
rossi, sono stati martirizzati in tempo di pace dalla violenza
comunista. Nell’allora folto branco di parroci può magari scapparci, che
so, lo scapestrato, il disattento, l’arricchito. Non però tra le decine
uccisi.
Ogni assassinato è perbene. E tra i più
attivi, equilibrati, generosi, attenti alla propria gente. E’ seguito,
amato, perciò un maledetto nemico del popolo, dunque va soppresso,
distrutto e che ogni assassinato sia esempio per gli altri, che tengano
la bocca chiusa. E c’è un motivo, più d’ogni altro: essi hanno in sé e
con sé Dio.
Il 25 aprile è la Liberazione, la fine
della guerra, e da adesso i parroci dell’Emilia Romagna, ma anche delle
regioni vicine, ogni sera, nell’ultimo segno della croce, non sanno se
rivedranno l’alba o se capiteranno in casa gli assassini, come accade la
sera del 16 gennaio ’46 a don Francesco Venturelli, arciprete di
Fossoli, nel Modenese vicino Carpi.
E’ stato cappellano nel campo di
concentramento della sua parrocchia, è un tipo che non chiede che
tessera politica hai, che assiste tutti quanti, inglesi, fascisti,
partigiani, collaborazionisti. E’ uno che dopo la Liberazione detesta la
brutalità e gli eccidi che si ripetono nel Carpigiano contro fascisti e
presunti fascisti. E dunque è sera, uno sconosciuto lo chiama fuori di
canonica chiedendo di accorrere per un incidente mortale sulla
provinciale. Don Francesco corre e si trova invece davanti a un plotone
di rossi che lo falcia col mitra.
Invece don Gianni Domenico, trentenne,
celebra messa ai giovani soldati repubblichini. Il 24 aprile ’45
all’arrivo degli alleati corre tra la sua gente a San Vitale di Reno: in
chiesa lo stanno aspettando i partigiani comunisti, lo gettano in un
porcile, lo denudano, lo violentano. Ci sono anche donne tra loro, e una
in particolare, è la più ardente nel seviziarlo. Il lungo martirio si
conclude a colpi di mitra e ai parrocchiani si impedisce per giorni di
seppellire il martirizzato.
Don Giuseppe Tarozzi è parroco a Riolo di
Castelfranco, diocesi di Bologna, severissimo nell’amministrare
un’opera pia fa il diavolo a quattro per tener lontano da essa la
politica e ladri. Notte del 25 maggio ’45: i commandos comunisti
fracassano a colpi di scure la porta della canonica, lo strappano dal
letto, lo pestano, poi lo trascinano via in camicia da notte. La gente
vede un’ombra bianca sospinta fuori a calci, il suo cadavere non sarà
mai più ritrovato.
Ancora diocesi di Bologna: don Giuseppe
Rasori, sessantenne a San Martino Casola ha solo due parrocchiani non
iscritti al PCI. Sberleffi, minacce, assalti alla chiesa. Vive nella
paura ma resta. Nel pomeriggio del 2 luglio ’46 in canonica, dove in
guerra ha nascosto tanti partigiani, lo ammazzano con un colpo di
pistola al collo. Il suo successore poco tempo dopo in chiesa parlando
della passione di Gesù accenna allo straccio rosso con cui fu coperto
per derisione. Deve fare ripetute e pubbliche scuse, i comunisti l’hanno
presa come ingiuria alla loro bandiera.
Don Alfonso Reggiani, parroco di Anzola
di Piano, Bologna, il 5 dicembre ’45 sta pedalando di ritorno da una
visita ai suoi ammalati, lo fermano in due, l’ammazzano a raffiche di
mitra, se ne vanno sulle biciclette. Una cigola e gli assassini dicono:
«L’ungeremo a casa, adesso che abbiamo ammazzato il maiale». Al funerale
di don Alfonso, reo di battute umoristiche sui comunisti, ci sono solo
cinque bambini e qualche donna.
Un prete semplice, conciliante, don
Enrico Donati, ma è parroco a Lorenzatico, Bologna, della famiglia del
sindacalista bianco Giuseppe Fanin, che sarà massacrato, nel ’48 a colpi
di spranga dai comunisti. Il 13 maggio ’45 quattro compagni con la
scusa di portare don Donati al comando partigiano per formalità, lo
feriscono a colpi di mitra, gli legano le mani, lo infilano in un sacco e
lo gettano con due sassi per zavorra in un macero colmo d’acqua.
La sera del 25 luglio ’45 un altro
comando chiama don Achille Filippi, parroco di Maiola, sull’uscio della
chiesa e l’uccide: cancellando anni ed anni di lavoro e bontà per la
gente, le colonie per i bambini, la povertà degli anziani. Ma il gran
farabutto in chiesa biasimava le violenze e i soprusi dei comunisti; a
morte.
Già un altro era stato condannato a morte
un mese prima della Liberazione a Santa Maria in Duno per aver
rinfacciato ai partigiani rossi efferatezza durante la guerriglia: il
primo marzo ’45 si presentano due armati travestiti da tedeschi,
irrompono in canonica con due donne anch’esse armate, dicono di essere
di un comitato, legano Don Corrado Bortolini, rubacchiano e poi lo
portano via in motocicletta. Mai più trovato, anche se tutti sanno che è
stato torturato, strangolato, gettato in una fossa. Al suo successore
c’è chi ammonisce di non interessarsene: «Tanto don Corrado dorme in un
campo di fiori».
Don Tino Galletti, nella chiesa di
Spazzate Sassatelli, a Imola, è un altro che non parla bene dei
comunisti in una parrocchia rossa, non più di sei persone alla messa
domenicale. Il 9 maggio ’45 è ucciso a colpi di pistola e per non
mandarlo via da solo ammazzano anche tre dei suoi sei fedeli. Non un
cane ai funerali.
Implora pietà invece don Luigi Lenzini,
parroco di Crocetta di Pavullo, nel Modenese, la notte in cui un gruppo
di comunisti, gente del paese, lo trascina in camicia da notte dalla
canonica alla vigna e qui lo seviziano da stramaledetti e poi gli
spaccano la testa: ha condannato il metodo di «far fuori la gente» dei
comunisti.
Freddati a pistolettate il parroco di
Mocogno e di Montalto, cioè il canonico Giovanni Guizzardi e don
Giuseppe Preci, nel Modenese. Morte lenta per l’anziano don Ernesto
Talè, parroco di Castellino delle Formiche, modenese, e per la donna che
stava accompagnandolo da un ammalato, «quella carogna non voleva morire
… », dirà al bar, vantandosi con gli amici, uno dei “coraggiosi
partigiani” torturatori del prete.
Nel Reggiano non ammettono gli eccessi
disumani di chi, partigiano comunista, scredita il movimento di
Resistenza e sono freddati col mitra don Giuseppe Lemmi, cappellano di
Felina e don Luigi Manfredi, parroco di Budrio.
E’ il 14 settembre ’45, l’assassino che
spacca il cranio a don Tebaldo Dapporto, parroco di Casalfiumanese di
Imola, corre alla Camera del Lavoro a vantarsi d’aver fatto fuori il suo
prete-padrone.
Don Carlo Terenziani, prevosto di
Ventosa, la mattina del 29 aprile ’45 è preso dai partigiani rossi che
lo fanno girare per le strade come un Cristo schernito, sputato,
ingozzato di vino all’osteria, battuto e infine fucilato a sera.
Don Giuseppe Pessina, parroco di San
Martino di Correggio, piange diciannove parrocchiani assassinati dai
comunisti e sa troppe cose: ucciso a colpi di mitra mentre la sera del
18 giugno ’46 rintocca l’Ave Maria… Purtroppo, l’elenco delle vittime
delle radiose giornate non finisce qui,
tanti preti martiri in Emilia, tanti Toscana e in altre regioni…
Tutto questo orrore non vi è bastato?
Credete ancora alla favola dei partigiani combattenti per democrazia e per la libertà?
"Macché poveri e disperati. Questi sono falsi profughi"
Anna
Bono, professoressa di Storia ed esperta d'Africa: "Da noi emigranti
scolarizzati e benestanti". Nella maggior parte dei casi le richieste
d'asilo sono ingiustificate
«Quando
sento parlare di disperati che scappano dalle bombe, a proposito degli
emigranti dall'Africa subsahriana, resto abbastanza sconcertata»
confessa la professoressa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni
dell'Africa all'Università di Torino, una studiosa fuori dal coro che
conosce bene l'Africa (ci ha lavorato per anni, parla lo swahili).
«Certo arrivano da Paesi dove la democrazia non ha raggiunto
vette esemplari, e dove pure non mancano conflitti, ma salvo pochissimi
casi sono Paesi che non giustificano una richiesta di asilo, e chi la
inoltra infatti raramente la ottiene. Io li chiamo come si sono sempre
chiamati: emigranti». Professoressa, sta dicendo che
l'immagine del profugo che scappa dalla miseria e dalle guerre non
corrisponde del tutto alla realtà? «Ripeto, se parliamo
di chi arriva da paesi dell'Africa subsahariana, come il Senegal, il
Ghana, ma anche la Somalia e la Nigeria e altri, lì chi fugge da guerre
cerca rifugio o in zone più sicure dello stesso Paese oppure in un Paese
vicino, non parte per l'Europa. Il caso della Somalia è esemplare. La
diaspora somala è tra le più grandi al mondo, però centinaia di migliaia
fuggono nel vicino Kenya, e da quando il governo ha sottratto ad Al
Shabaab (gruppo terrorista islamico, ndr) le città più importanti,
migliaia di somali cercano di rientrare in patria. Chi decide di
emigrare, con tutti i rischi e le incognite che questo comporta, lo fa
per altri motivi, non perchè è in pericolo di vita, o vive nel terrore
di un regime spietato, e nemmeno per la miseria estrema». Chi sono allora gli emigranti che arrivano da noi sui barconi? «In
maggioranza non appartengono ai ceti più poveri della società africana.
Le caratteristiche che mi sembrano accomunarli sono: giovani, in
prevalenza maschi, sicuramente scolarizzati anche con titoli di studio
da scuola media superiore, in grande maggioranza partiti da centri
urbani dove avrebbero potuto continuare a vivere, in situazioni che
magari ai nostri occhi sembrano invivibili, ma che in Africa
rappresentano già un traguardo rispetto alle centinaia di milioni di
persone realmente in miseria». Insomma sulle barche della speranza c'è la middle class africana? «Diciamo
il ceto intermedio, che però teme di scendere di uno o più gradini
nella scala sociale. E lì basta poco: una malattia, la perdita di un
famigliare ben inserito, un intoppo burocratico. E poi sono attirati
dalla propaganda che dipinge l'Italia e altri paesi europei come
l'Eldorado, posti dove risolveranno tutti i problemi, troveranno un
lavoro e il benessere. Questo è un aspetto poco considerato, ma come per
altre attività redditizie anche il business del traffico di emigranti
non aspetta il cliente, se lo va a cercare. E la propaganda è talmente
forte ed efficace che i governi, come quelli dell'Etiopia, Tanzania,
Mali e Nigeria stanno provando a combatterla con campagne di
dissuasione. Nelle strade si trovano grandi manifesti con scritto «Il
nostro Eldorado è il Mali», mentre in Nigeria può capitare di vedere un
manifesto con un uomo che, sullo sfondo un aereo in volo, dice ad una
ragazza: «Ti trovo un lavoro in Italia». E sotto: «I trafficanti di
uomini conoscono molti trucchi. Rifiuta!». I trafficanti vendono speranze per 3-4mila euro a testa. «Anche
di più, quelle sono le cifre per chi parte già nei pressi del
Mediterraneo, ma tanti partono da molto più lontano, e pagano di più». Come fanno a permettersi cifre che valgono il reddito di diversi anni? «Le
modalità di pagamento sono molto diverse. C'è chi paga subito, oppure è
aiutato dalla famiglia allargata, o vende qualcosa, o ancora si
indebita. Il fatto che possano pagare cifre molto alte dimostra appunto
come, in molti casi, non siano i poveri a partire ma chi è al di sopra
della soglia di povertà».