Ancora violenze partigiane
Brigata Garibaldi
Questa storia, tratta da “Il Triangolo della Morte” Ed. Mursia, di Giorgio e Paolo Pisanò, ripercorre una delle tante eroiche imprese della Brigata Partigiana per eccellenza: “La Brigata Garibaldi” ovvero il nucleo partigiano che ha combattuto con tenacia e sprezzo del pericolo per la libertà e la democrazia.
Ines Gozzi, una bella ventiquattrenne di Castelnuovo Rangone (MO), è
una studentessa universitaria, laureanda in lettere. Conoscendo la
lingua tedesca è diventata l’nterprete del locale Comando Germanico. Ciò
ha significato la salvezza del paese quando i partigiani hanno ucciso
due soldati tedeschi nella zona e questi volevano distruggere l’abitato.
E’ stata proprio Ines Gozzi a interporsi e a battersi perchè la
rappresaglia fosse evitata. Così, da quel giorno, tutti gli abitanti di
Castelnuovo Rangone lo sanno e gliene sono grati.
Ma tutti sanno anche che la ragazza è
fidanzata con un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana e questa
è una colpa imperdonabile agli occhi dei “partigiani assassini -salvatori della patria- ed eroi coraggiosi pluridecorati“!
La notte del 21 gennaio 1945 una squadra di partigiani della brigata “Garibaldi” fa irruzione in casa Gozzi prelevando Ines e suo padre.
I due vengono portati in un casolare in
aperta campagna e qui, davanti al genitore legato, la ragazza subisce le
più atroci sevizie e le violenze più indicibili da tutti i “coraggiosi” componenti dell'”onorata” Brigata Garibaldi.
I partigiani garibaldini ubriachi la
posseggono a turno, la picchiano, gli sputano addosso, le tagliano le
unghie fino alla carne, gli spengono dei mozziconi di sigaretta negli
occhi, poi le urinano addosso.
Tutto questo orrore davanti al padre legato, costretto ad assistere al
martirio di quell’unica figlia nell’impotenza e nella consapevolezza che
non ne sarebbero usciti vivi. Dopo essersi accaniti contro la povera
Ines, i partigiani infieriscono su quel padre che oramai non si rendeva
più conto di cosa stesse accadendo tanto era il dolore che gli avevano
provocato quei porci stramaledetti!
All’alba del 22 gennaio 1945, dopo la lunga notte di baldoria, i “coraggiosi partigiani garibaldini” finiscono padre e figlia con numerosi colpi di pistola alla testa. Verranno ritrovati e riesumati alcuni giorni dopo. I
l corpo della ragazza è tanto straziato, tanto sfigurato da dover essere nascosto agli occhi della madre.
Sui muri di Castelnuovo Rangone qualcuno scrive: “Bestie, avete ucciso la nostra salvatrice“.
Era una notte calda e umida a Bastiglia (MO) quando la sera del 27
aprile 1945 alcuni partigiani (Brigata Garibaldi) si introdussero
nell’abitazione di Walter Ascari, lo derubarono, fecero razzia di carni e
salumi; lo prelevarono e lo trasportarono in aperta campagna.
Ascari non era fascista, ma neanche comunista, era un benestante e questa era una grandissima colpa durante le “Radiose Giornate” quindi colpendo Walter Ascari avrebbero colpito lo “Stato Borghese“.
Giunti in località Montefiorino alcuni
partigiani estrassero dei bastoni e cominciarono a colpire il
malcapitato come dei forsennati; altri con l’ausilio di una canna di
bambù lo seviziarono fino a rompergli l’ano e parte dell’intestino. Ma
era ancora ben poca cosa, una fine orrenda attendeva il povero Walter
Ascari. “A morte!” “A morte!” Urlavano gli assassini…
Per la sua mattanza finale, i gloriosi e pluridecorati eroi garibaldini
pensano a qualcosa di diverso dalla solita raffica di mitra… Qualcosa
di speciale… Qualcosa che soltanto la loro mente perversa e assassina
poteva immaginare, qualcosa che va aldilà dell’umana cattiveria.
Lo appesero per i polsi ad un grosso ramo
in modo che il corpo del moribondo fosse ben teso assicurandolo per i
piedi al terreno con una corda. Poi, con una grossa sega da boscaiolo a
quattro mani, lo tagliarono in due! Da vivo! Il suo corpo fu gettato in
seguito in una porcilaia. Quando lo ritrovarono, ben poco era rimasto di
quel pover’uomo.
Nel Modenese la “
giustizia proletaria” fu esercitata con
particolare ferocia contro le donne, fasciste o presunte tali. Oltre
alle violenze consumate sulle malcapitate già destinate a morte, subito
prima della loro soppressione, non furono pochi i casi di sevizie e
violenze d’ogni sorta.
Episodi di sequestro e di detenzione di prigioniere prelevate e tenute in vita fino all’inservibilità delle medesime come “
oggetti sessuali” per i loro partigiani sequestratori, nella sola provincia di Modena, se ne contano circa duemila.
E’ noto il caso di Prima Stefanini
Cattabriga e Paolina Cattabriga, di Cavezzo (MO) madre e figlia,
quest’ultima di 15 anni, prelevate il 16 aprile 1945 dalla tristemente
nota “banda di Cavezzo” il nucleo partigiano alle dirette
dipendenze della Brigata Partigiana Garibaldi, e costrette ad un
calvario di 12 giorni prima di ottenere la “grazia della morte“.
“Azione di guerra“, naturalmente, così il C.L.N. commentò l’accaduto.
Un altro membro della famiglia
Cattabriga, Angiolino, fratello di Paolina, in seguito alle percosse,
mutilazioni, bruciature in quasi l’80% del corpo da parte dei sanguinari
partigiani, impazzì e morì nell’ospedale di Mirandola.
Un altro caso conosciuto (sono assai di
più quelli di cui non se ne sa niente…) è quello di Rosalia Paltrinieri,
di Medolla. Ella aveva il “torto” di essere la segretaria del
Fascio femminile locale, nel quale si era impegnata prodigandosi e
mettendosi a disposizione di tutti i suoi concittadini.
Era convinta di non avere nulla da temere, perciò, nonostante nella zona
si vociferava su quanto stessero combinando i partigiani, preferì
rimanere al suo posto. Nonostante tutto, aveva fiducia nei propri
simili… perchè aveva avuto la “sbadataggine” di considerare i partigiani appartenenti alla specie umana…
Ma pagò per la sua “colpa“: un
gruppo di gappisti le invasero la casa, bastonarono a morte il marito
così violentemente da fargli schizzare via il cervello dalla scatola
cranica; poi la violentarono davanti ai suoi tre bambini.
Alla fine, come da copione, le svaligiarono l’abitazione e la portarono
con loro conducendola in un casolare in aperta campagna, dove nel
frattempo era stata trascinata anche una certa Jolanda Pignatti.
Qui, le due sventurate ebbero modo di “espiare” ancora a lungo la “colpa” di essere fasciste (violenze d’ogni genere) finchè furono costrette a scavarsi la fossa.
Ma Rosalia Paltrinieri, la morte se la dovette proprio guadagnare: “non le fu fatta la grazia di un colpo alla nuca“. Venne legata e fatta stendere viva nella fossa che lei stessa aveva scavato; a questo punto i “coraggiosi partigiani patrioti” la ricoprirono accuratamente di terra.
Uno dei coraggiosi partecipanti a questa “eroica azione di guerra“,
ebbe modo di vantarsene nei giorni successivi, insistendo compiaciuto e
soddisfatto sul particolare che Rosalia Paltrinieri, mentre soffocava
sotto le palate di terra che le venivano gettate addosso, invocava
ancora i suoi bambini.
NOVARA
Nel campo sportivo sono rinchiusi un centinaio di appartenenti a
formazioni militari fasciste operanti nel vercellese. Vengono in seguito
condotti all’Ospedale psichiatrico; una notte, i “partigiani”
di Moranino, li uccidono nei modi più barbari. Molti furono schiacciati
sotto le ruote di pesanti automezzi, e tutti subirono atroci sevizie.
SANTUARIO DELLA GRAGLIA (BIELLA)
Un gruppo di Ufficiali, 23, più cinque donne ausiliarie e due mogli di
Ufficiali, che erano stati catturati dopo un aspro combattimento a
Cigliano e che si erano arresi poiché era stata loro promessa salva la
vita, sono condotti ai piedi del Santuario di Graglia nei pressi di
Biella e rinchiusi in uno stanzone dell’albergo Belvedere; a piccoli
gruppi furono prelevati e condotti in luoghi diversi nei dintorni del
Santuario. Furono trucidati in modo bestiale, compresa la moglie di uno
degli ufficiali che attendeva un bambino; terminata la strage, gli
assassini si divisero il bottino composto da tutto quello che avevano
addosso le vittime.
ODERZO (TREVISO)
Centodiciassette allievi ufficiali del Collegio Brandolini, nonostante
le promesse fatte da parte del CLN di mantenere salva la vita ai militi
fascisti, sono tutti fucilati sul Ponte della Priula. Uno degli scampati
ha raccontato che i suoi camerati furono legati alle mani con fili di
ferro, seviziati, raccolti in gruppo presso l’argine del fiume e
falciati con il fuoco delle armi automatiche.
SCHIO (VICENZA)
Cinquantacinque fascisti o presunti tali, detenuti nel carcere di Schio
sono uccisi in una delle più bestiali esecuzioni di massa. In due
stanzoni sono rinchiusi novanta prigionieri, dodici partigiani armati di
fucili mitragliatori, sparano all’impazzata sul gruppo di uomini e
donne che, in un caos immaginabilmente incredibile, cadono gli uni sugli
altri in un impressionante lago di sangue. 55 di questi risultarono
uccisi e 31 feriti gravemente.
REVINE LAGO (TREVISO)
Ventuno militari fascisti furono trucidati in quella località in una zona in prossimità delle fornaci.
RECOARO TERME (VICENZA)
Diciotto persone sono trucidate il 21 Maggio, ma molte altre in quei
giorni persero la vita in quella località: si può citare la sorte
toccata a due militi prelevati dai partigiani, condotti sulle rive del
Brenta e bastonati a sangue; nella sabbia del fiume fu scavata una buca e
i due furono interrati. Solo le loro teste affioravano dal suolo. E su
quelle teste alcuni di quei criminali si esercitarono al tiro a segno
tra schizzante ed insulti atroci. Le urla dei due disgraziati non ebbero
altro effetto che quello di divertire i loro carnefici. Poi gli spasimi
dei due, oramai moribondi, furono soffocati dalle palate di terra con
le quali ricoprirono le loro teste. Poi il Brenta si ingrossò, rimosse
la sabbia e restituì alla luce i due volti deformati. I cani randagi
banchettarono quel giorno con i miseri resti, e brandelli di carne umana
furono disseminati lungo la riva. Poi gli “eroi” ritornarono e
cosparsero quello che rimaneva dei due cadaveri, con benzina e vi
appiccarono fuoco.
MONDOVI’ (ASTI)
Dodici alpini della Divisione Monterosa sono massacrati dopo essere stati tenuti per tre giorni completamente senza alimenti.
ROVETTA (BERGAMO)
Quarantacinque giovani appartenenti alle formazioni della Legione
camicie nere “Tagliamento”, sono fucilati in questa località; la loro
età oscillava tra i quindici anni del più giovane e ventidue anni il più
vecchio.
S. MARTINO D’ALBARO (GENOVA)
Trenta persone imprigionate nelle scuole di quel centro, sono prelevate
dai partigiani e portate in località sconosciuta: di loro non si avrà
più nessuna notizia.
VADO (SAVONA)
Undici persone sono prelevate dalle carceri, fucilati e sepolti in una
fossa comune. Uno dei disgraziati è stato sepolto ancora in vita.
ONEGLIA (IMPERIA)
Trentun fascisti vengono prelevati dal carcere di Oneglia; con le mani
legate dietro la schiena da filo spinato vengono bestialmente percossi,
poi condotti al cimitero e dopo averne mutilati diversi, tutti vengono
trucidati e sepolti a fior di terra, accanto ai cadaveri di alcune donne
prima stuprate e poi fucilate.
BAJARDO (IMPERIA)
In questa località è trucidata la famiglia Laura, composta di sette
persone. La madre ed un figlio di undici anni furono trovati in aperta
campagna sepolti sino al collo con il capo spaccato in due.
BORGHETTO VARA (LA SPEZIA)
Ventitré militi della GNR, oltre ad un ufficiale ed un maresciallo sono
prelevati dai partigiani: bastonati a sangue, sono condotti a Costa
Cavallara, dove saranno fucilati e fatti precipitare dentro una caverna
BOLOGNA
Davanti alle macerie dell’Ospedale Maggiore sono massacrati decine e decine di fascisti assieme a parecchie donne.
DECIMA DI PERSICETO (BOLOGNA)
Dodici cittadini di Decima, rinchiusi in una stanza del Dopolavoro
locale sono torturati per vari giorni, poi una notte caricati su di un
camion sono portati in località sconosciuta. I loro corpi non furono mai
ritrovati.
Altre 8 persone, tra le quali due sorelle di sedici e diciotto anni furono uccise in questa località.
SALA BOLOGNESE (BOLOGNA)
Trentanove furono i trucidati fascisti in questo piccolissimo centro.
FERRARA
Strage nelle carceri ferraresi; diciassette fascisti sono barbaramente trucidati all’interno di una delle celle.
COMACCHIO (FERRARA)
Undici persone sono prelevate dalle carceri per essere interrogati
presso la sede dell’ANPI (Ass. Naz. Partigiani), due sono bestialmente
percossi poi tutti vengono condotti a morte.
REGGIO EMILIA
Venticinque fascisti vengono prelevati dalle carceri e su di un camion
condotti verso Bagnolo in Piano, per un’uscita di strada del camion, tre
riusciranno a fuggire, gli altri verranno tutti trucidati.
NOVELLARA (REGGIO EMILIA)
Il Dott. Barbieri, per pochi mesi segretario del locale fascio
repubblicano, dopo essere stato violentemente percosso, veniva rinchiuso
in una gabbia di legno ed esposto agli insulti della plebaglia. Dopo
alcuni giorni di torture veniva finito a colpi di arma da fuoco.
IMOLA
Diciassette fascisti appartenenti alla Brigata Nera, provenienti da Verona, vengono trucidati in questa località
CODEVIGO
Ventisette fascisti ravennati vengono condotti in questa località e fucilati.
SUSEGANA (TREVISO)
Venti appartenenti alla Guardia Nazionale Repubblicana di questa zona vengono brutalmente trucidati.
VITTORIO VENETO
Nel “bus de la luna”, baratro profondissimo del Monte Cansiglio,
centinaia di catturati della Repubblica Sociale Italiana, vengono
precipitati dentro dai partigiani; in un sol giorno vengono “infoibati”
sessanta alpini del battaglione di Conegliano Veneto.
MIANE (TREVISO)
In località Combai viene esumata una fossa con quaranta salme
irriconoscibili; erano stati prelevati dai partigiani a Cernaglia della
Battaglia.
SALESINO (PADOVA)
Sei fascisti vengono trucidati; tra loro il segretario comunale di quel
paese: venne ucciso dentro una cassa irta di chiodi che gli si
conficcarono nella carne straziandolo sino alla morte.
CHIOGGIA
Venti persone vengono prelevate dalle carceri, alcuni appartenevano alle BB.NN.; vennero portati alle foci del Brenta e trucidati.
PORDENONE
Undici fascisti vennero prelevati dalle carceri e poi fucilati.
ISTRIA E VENEZIA GIULIA
Migliaia e migliaia furono gli italiani “infoibati” dai comunisti
italiani e titini. Il loro numero non è mai stato stabilito con
esattezza.
Mentre i reparti militari si andavano smobilitando e i loro uomini
erano catturati, tanti si arrendevano ai partigiani, anziché attendere
le truppe anglo-americane, poiché questi giuravano e spergiuravano che
avrebbero avuto salvata la vita e non avrebbero torto loro un capello.
Moltissimi reparti, anche numerosi, che
avrebbero potuto almeno contrastare le forze delle bande partigiane con
possibilità di sopravvivenza sino all’arrivo di truppe regolari,
caddero, invece, nei tranelli delle promesse dei partigiani.
Le formazioni comuniste si dedicavano al lavoro che chiamavano di “ripulitura“.
Nelle case, nelle strade vi fu una battuta di caccia senza precedenti,
condotta con accanimento, determinazione e programmazione.
Basti pensare che nella sola città di
Milano. nelle giornate di fine Aprile 1945, si rinvenivano giornalmente
nelle strade, in media, oltre duecento morti, generalmente abbandonati
senza documenti che ne potessero rendere possibile l’identificazione.
Vi erano in giro, come al tempo dei
monatti di manzoniana memoria, appositi automezzi che caricavano i
cadaveri e li trasportavano negli obitori, dove vi era in continuazione
un lunghissimo pellegrinaggio di parenti che, a rischio della loro vita
andavano alla ricerca dei congiunti.
Le donne che non furono uccise, furono costrette a subire oltraggi degni delle orde barbariche di Gengis Kan.
Tutta la ferocia, il livore, l’odio e lo spirito di vendetta esplosero
in un modo irresponsabile, alimentato da uomini della sovversione rossa
che agivano con disposizioni ben precise.
Un’intera classe dirigente e politica fu eliminata in un gigantesco genocidio.
Fu una cosa selvaggia, che non si può spiegare solamente come
l’esplosione della rabbia e della vendetta del periodo della guerra
civile, in quanto uccisioni, ritorsioni e rappresaglie furono compiute
da entrambi gli schieramenti, ma è appunto spiegabile solamente come
vera e propria programmazione delle centrali moscovite in quanto si
doveva eliminare il maggior numero tra coloro che, con tutta certezza,
si sarebbero opposti con tutte le loro forze alla penetrazione comunista
che cercava di prolungare la guerra civile in un’illusoria speranza di
conquista del potere assoluto.