Karl
Marx é il padre del comunismo che si distingue dal socialismo per la
sua natura esplicitamente rivoluzionaria in contrapposizione a quella riformista del socialismo.
In
concerto con Hegel, ha predicato l’eguaglianza sociale, l’abolizione
della proprietà privata, la dittatura del proletariato da raggiungere
tramite la rivoluzione, la remunerazione del lavoro in funzione delle
neceessità individuali e non dei meriti e di conseguenza la
illegittimità della meritocrazia.
La
sua visione del mondo e della società civile si basa unicamente
sull’aspetto finaziario e riduce tutta la vita degli individui ad un
rapporto economico che è il principio fondatore del materialismo che
annulla o non tiene conto delle pulsioni spirituali, dell’intelligenza
nel suo insieme, delle passioni, delle aspirazioni ideali e di tutta
quella parte dell’uomo che esula dalla pura materialità e che è però
quella che lo ha trasformato nei secoli da animale irrazionale a
individuo intelligente, pensante e cosciente e che è la chiave
dell’evoluzione futura dell’umanità.
A
nostro parere, pur partendo da una analisi corretta dei meccanismi che
hanno creato nella società ineguaglianze e sfruttamenti inaccettabili si
spinge a totalizzare quegli aspetti parziali ed a non più vedere il
quadro d’insieme che non può essere e non è solo materialista ed
economico, ma che è molto più complesso e include aspetti e situazioni
altrettanto se non più importanti per la natura e lo sviluppo sociale e
culturale dell’umanità.
Karl
Marx è talmente innamorato di se stesso e delle sue teorie
rivoluzionarie da non riuscire più a vedere altro, ma da ridursi ad
essere ossessivamente condizionato e tarpato nel suo intelletto tanto da
non considerare la natura umana che essendo dominata più dall’EGO che
non dalla POLIS pretende remunerazione e considerazione per il proprio
talento anche in contrapposizione a coloro che sono privi di talento e
di voglia di lavorare.
In
parole più semplici Marx nega la meritocrazia che premia chi vale e
punisce gli inetti e lo fa negandola totalmente anziché, come sarebbe
più giusto e più ragionevole, regolamentandola affinché essa non porti a
ineguaglianze e squilibri sproporzionati.
Come dicevano gli antichi:” In media stat virtus “…!!!
Adam
Smith al contrario di Marx, teorizza che il capitalismo possiede
naturalmente in se stesso gli strumenti per evitare disuguaglianze
sproporzionate e che quindi esiste un automatismo per cui si stabilisce
un equilibrio tra la proprietà del capitale e la forza lavoro.
Nella sua principale opera:” Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni “
Adam Smith analizza gli aspetti del lavoro all’interno della
produttività, dello scambio e del valore di scambio ( Famosi gli esempi
del diamante, di nessuna utilità che vale molto di più dell’acqua,
elemento vitale per l’uomo o dello spillo lavorato a partire
dall’estrazione del ferro dalla miniera o partendo da un prelavorato
filo di ferro ) )
Anche
Adam Smith, a nostro parere, è talmente innamorato delle proprie teorie
da non vederne i liniti pratici e da illudersi che il capitalismo abbia
in se l’automatismo per limitare come invece possiamo constatare che
non avviene nella realtà quotidiana, gli eccessi di sfruttamento del
lavoro e l’eccesso di arricchimento del capitale.
Entrambi
dunque, Marx e Adam Smith peccano di un massimalismo ideologico che li
spinge ad eccessi interpretativi che non hanno poi alcun riscontro nella
realtà.
sembrerebbe dunque che non esista alcuna possibilità di coniugare la libertà di affermazione sociale ed economica insite per natura in ciascun individuo con l’equità sociale che dovrebbe evitare disuguaglianze sproporzionate ed ingiustificabili.
sembrerebbe dunque che non esista alcuna possibilità di coniugare la libertà di affermazione sociale ed economica insite per natura in ciascun individuo con l’equità sociale che dovrebbe evitare disuguaglianze sproporzionate ed ingiustificabili.
Secondo noi una possibilità esiste ed è la SOCIALIZZAZIONE.
Capitale
e lavoro, che sono gli elementi essenziali per la produzione di beni e
dunque per la ricchezza del Paese, sembrano a prima vista fattori con
finalità diverse ed antitetiche perché entrambi cercano la maggiore
remunerazione possibile e dato che entrambi traggono il loro guadagno
dagli utili che scaturiscono dalla produzione, la fetta maggiore per uno
significa una fetta minore per l’altro.
Questa
situazione ha creato, nei secoli, una acerrima lotta tra le parti, da
un lato per conservare guadagni e privilegi e dall’altra per aumentare
diritti e salari.
Il
risultato è stato una radicalizzazione dei contrasti che, nella scia
del comunismo marxista ha portato in alcuni Paesi alla rivoluzione, con i
risultati negativi per lo Stato e per i lavoratori che tutti abbiamo
visto nei Paesi Sovietici e nei loro satelliti..!
Il
Marxismo ha fallito perché ha cercato di eliminare il capitale (
sostituendolo con il capitalismo di Stato) senza capire che è contrario
alla natura umana privare l’individuo della propria iniziativa per
mettere a frutto il proprio talento.
Il
capitalismo ha sempre e solo fatto una cieca battaglia di retroguardia
per conservare posizioni di privilegio reprimendo le aspirazioni dei
lavoratori ad una più equa e dignitosa remunerazione per il proprio
lavoro.
Da
qui è nata la lotta di classe che, come tutte le guerre, non fa vincere
chi è nel giusto, ma solo chi è, al momento, più forte.
L’idea geniale, nella sua semplicità, della Socializzazione
è quella di trasformare la lotta di classe in collaborazione tra le
classi trasformando un sistema di forze contrarie l’una all’altra in un
sistema di sinergie che concorrono allo stesso fine.
Con la Socializzazione:
1°-
I lavoratori delle aziende sono, a tutti gli effetti, comproprietari ed
azionisti dell’azienda ed, in quanto tali, partecipano in modo
predeterminato alla divisione degli utili ed alla conduzione aziendale e
fanno parte, di diritto, del Consiglio di amministrazione aziendale.
2°-
I proprietari si trovano ad operare con lavoratori che non sono più
oggetto del lavoro, ma ne sono soggetti protagonisti per cui il buon
andamento dell’azienda diventa obiettivo comune che sarà perseguito da
tutti con diligenza e determinazione.
3°
Le rispettive conoscenze delle problematiche aziendali parteciperanno
ad un proficuo scambio tra proprietà e lavoro mettendo in atto quelle
sinergie di cui si accennava e porranno le parti in una situazione di
pari dignità entro la quale si prenderanno le decisioni importanti per
le aziende e per il loro futuro.
4°-
Proprietà e lavoratori, partecipando insieme al consiglio di
amministrazione, saranno sempre al corrente sulle possibilità e sulle
esigenze economiche dell’azienda e ciò faciliterà oltremodo sia le
trattative contrattuali che i progetti aziendali.
Pur
se ci rendiamo conto che oggi l’Italia non è pronta per fare un simile
passo tutto in una volta, ci pare che si potrebbe almeno iniziare
applicando l’articolo 46 della Costituzione, a tutt’oggi inapplicato, laddove recita:”..la
repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e
nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende”
Ed
allora, tra Karl Marx e Adam Smith si potrebbe citare anche Benito
Mussolini che in Repubblica Sociale Italiana inventò, propose e fece
diventare legge della stato ( prontamente abrogata alla fine della
guerra ) la SOCIALIZZAZIONE delle aziende che era, negli intenti il
proemio alla SOCIALIZZAZIONE DELLO STATO..!!
Alessandro Mezzano
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