sabato 18 novembre 2017

Otto figli, otto soldati

 

Otto figli, otto soldati

Pagine poco note di eroismo familiare: i giovani Pazzaglia, tutti combattenti

 GIORNALE D´ ITALIA

Otto figli, otto soldati
Le due guerre mondiali, non solo per l’Italia ma anche per gli altri Paesi coinvolti, hanno visto spesso intere famiglie consumarsi nel sacrificio, con più di un componente mobilitato e in uniforme. E pronto a rispondere alla chiamata delle armi. A tal proposito risultano particolarmente esemplari le vicende di una famiglia di Montemonaco, in provincia di Ascoli Piceno, che il blog “I segreti della storia” ha brevemente ripercorso in un articolo recentemente pubblicato.
Siamo nel periodo della conquista italiana dell'Eritrea e della Seconda Guerra mondiale. E i Pazzaglia – questo il nome del nucleo familiare – vedono ben otto giovani vestire l'uniforme, alcuni quella grigio-verde dell'Esercito, alcuni quella nera dei Carabinieri Reali.
Sull'edizione del 10 maggio 1942 della Domenica del Corriere, in proposito, c'è trafiletto che recita: “Ecco un superbo primato, che forse nessun’altra famiglia italiana potrà contendere alla famiglia Pazzaglia di Montemonaco, sui monti del Piceno. Ammirate questo ruolino degli otto figli: Giovanni, Carabiniere; Giulio, Paolo e Antonio, Fanti; Quinto, Cavalleggero; Sesto, Settimio e Ottavio, Carabinieri. Tutti, salvo l’ultimo che è appena diciottenne, combattenti. Ma ciò che rende ancor più fulgida la balda schiera degli otto fratelli è la medaglia proposta per Sesto (campagna albanese) e, soprattutto, la Medaglia d’Oro già conferita al primogenito Giovanni, caduto in Africa Orientale Italiana: esempio glorioso per i suoi fratelli e per tutti gli Italiani”.
Il Carabiniere Giovanni Pazzaglia infatti, dopo essere stato destinato alla Legione di Asmara (di stanza in Eritrea), si trovò coinvolto nella ribellione di alcune bande locali che scoppiò tra l’8 e il 10 ottobre 1937: sebbene in licenza – si legge su I segreti della Storia - preferì rientrare al suo comando, offrendosi come addetto ad una mitragliatrice in caso la situazione fosse peggiorata. E la situazione, purtroppo, effettivamente peggiorò.
Alle 12.00 del 10 ottobre, infatti, una folta schiera di assalitori attaccò la piccola ridotta dei Carabinieri, i quali contrastarono con tutto il loro coraggio le preponderanti forze nemiche. Gli scontri continuarono per tutto il pomeriggio, mentre i militari cadevano uno dopo l’altro o rimanevano feriti. Alle 18.00 finirono le munizioni. I pochi carabinieri ancora vivi, tra cui Giovanni Pazzaglia, si riunirono attorno alla bandiera italiana. E lì, senza possibilità di difendersi, trovarono la morte.
Questa la motivazione della Medaglia d'Oro al Valore Militare alla memoria conferita al coraggioso militare: “Carabiniere di una stazione, sede di residenza in territorio di recente conquista, trovandosi per servizio lontano dalla sede e venuto a conoscenza di gravi sintomi di ribellione serpeggianti nella giurisdizione della propria stazione, insistentemente chiedeva di raggiungerla. Due giorni dopo il suo arrivo, attaccato il fortino da preponderanti forze ribelli, addetto all’unica mitragliatrice di cui disponevano i difensori, per ben sette ore di accanito combattimento, con mano salda e cuore intrepido, teneva testa al nemico facendone strage. Esaurite le munizioni, unico nazionale ancora illeso fra i difensori, rendeva inservibile l’arma, e sublime esempio di consapevole eroico sacrificio, si adunava con i superstiti attorno alla bandiera innalzata al cielo al centro del fortino e, fronte al nemico, trovava morte gloriosa. Arbì Gherbià, Beghemeder, 10 settembre 1937.


 

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