Otto figli, otto soldati
Pagine poco note di eroismo familiare: i giovani Pazzaglia, tutti combattenti
GIORNALE D´ ITALIA
Le
due guerre mondiali, non solo per l’Italia ma anche per gli altri Paesi
coinvolti, hanno visto spesso intere famiglie consumarsi nel
sacrificio, con più di un componente mobilitato e in uniforme. E pronto a
rispondere alla chiamata delle armi. A tal proposito risultano
particolarmente esemplari le vicende di una famiglia di Montemonaco, in
provincia di Ascoli Piceno, che il blog “I segreti della storia” ha
brevemente ripercorso in un articolo recentemente pubblicato.
Siamo
nel periodo della conquista italiana dell'Eritrea e della Seconda
Guerra mondiale. E i Pazzaglia – questo il nome del nucleo familiare –
vedono ben otto giovani vestire l'uniforme, alcuni quella grigio-verde
dell'Esercito, alcuni quella nera dei Carabinieri Reali.
Sull'edizione del 10 maggio 1942 della Domenica del Corriere, in proposito, c'è trafiletto che recita: “Ecco
un superbo primato, che forse nessun’altra famiglia italiana potrà
contendere alla famiglia Pazzaglia di Montemonaco, sui monti del Piceno.
Ammirate questo ruolino degli otto figli: Giovanni, Carabiniere;
Giulio, Paolo e Antonio, Fanti; Quinto, Cavalleggero; Sesto, Settimio e
Ottavio, Carabinieri. Tutti, salvo l’ultimo che è appena diciottenne,
combattenti. Ma ciò che rende ancor più fulgida la balda schiera degli
otto fratelli è la medaglia proposta per Sesto (campagna albanese) e,
soprattutto, la Medaglia d’Oro già conferita al primogenito Giovanni,
caduto in Africa Orientale Italiana: esempio glorioso per i suoi
fratelli e per tutti gli Italiani”.
Il
Carabiniere Giovanni Pazzaglia infatti, dopo essere stato destinato
alla Legione di Asmara (di stanza in Eritrea), si trovò coinvolto nella
ribellione di alcune bande locali che scoppiò tra l’8 e il 10 ottobre
1937: sebbene in licenza – si legge su I segreti della Storia - preferì
rientrare al suo comando, offrendosi come addetto ad una mitragliatrice
in caso la situazione fosse peggiorata. E la situazione, purtroppo, effettivamente peggiorò.
Alle
12.00 del 10 ottobre, infatti, una folta schiera di assalitori attaccò
la piccola ridotta dei Carabinieri, i quali contrastarono con tutto il
loro coraggio le preponderanti forze nemiche. Gli scontri continuarono
per tutto il pomeriggio, mentre i militari cadevano uno dopo l’altro o
rimanevano feriti. Alle 18.00 finirono le munizioni. I pochi carabinieri
ancora vivi, tra cui Giovanni Pazzaglia, si riunirono attorno alla
bandiera italiana. E lì, senza possibilità di difendersi, trovarono la
morte.
Questa la motivazione della Medaglia d'Oro al Valore Militare alla memoria conferita al coraggioso militare: “Carabiniere
di una stazione, sede di residenza in territorio di recente conquista,
trovandosi per servizio lontano dalla sede e venuto a conoscenza di
gravi sintomi di ribellione serpeggianti nella giurisdizione della
propria stazione, insistentemente chiedeva di raggiungerla. Due giorni
dopo il suo arrivo, attaccato il fortino da preponderanti forze ribelli,
addetto all’unica mitragliatrice di cui disponevano i difensori, per
ben sette ore di accanito combattimento, con mano salda e cuore
intrepido, teneva testa al nemico facendone strage. Esaurite le
munizioni, unico nazionale ancora illeso fra i difensori, rendeva
inservibile l’arma, e sublime esempio di consapevole eroico sacrificio,
si adunava con i superstiti attorno alla bandiera innalzata al cielo al
centro del fortino e, fronte al nemico, trovava morte gloriosa. Arbì
Gherbià, Beghemeder, 10 settembre 1937”.
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