“Suolo, sangue, spirito”. Intervista a Massimo Pacilio (Edizioni di Ar)
Sempre in vista della conferenza che si terrà a Roma, presso Raido, il “Suolo, sangue, spirito – la difesa delle identità oltre lo ius soli, durante la quale verrà presentata la nuova edizione di “Sintesi di dottrina della razza”
di Julius Evola, curata dalle Edizioni di Ar, proponiamo oggi
un’intervista esclusiva con il relatore della conferenza, Massimo
Pacilio, professore di storia e filosofia e storico collaboratore ed
autore delle Edizioni di Ar, con cui ha pubblicato “Conoscenza tradizionale e sapere profano – René Guénon critico delle scienze moderne”(1998) e, da pochissimi giorni, l’importante saggio a tema “L’invasione – prodromi di una eliminazione etnica”.
***
Introduzione (a cura di Rigenerazionevola.it):
Massimo Pacilio, membro del sodalizio
del Gruppo di Ar, nonché fra gli animatori delle omonime Edizioni, sarà
il relatore di una conferenza che si svolgerà a Roma presso la sede di
Raido il prossimo 14 ottobre. In quell’occasione, oltre alla
presentazione della nuova edizione di Sintesi di Dottrina della Razza di Julius Evola, ci si concentrerà sul tema della difesa delle identità oltre lo ius soli. Ne abbiamo approfittato per porgli qualche domanda decisamente “politicamente scorretta”.
Professor Pacilio, tra i vari testi che le Edizioni di Ar stanno ristampando negli ultimi mesi, spicca senz’altro Sintesi di dottrina della razza,
il celebre saggio in cui, com’è ampiamente noto, Evola espose in forma
compiuta la sua ricostruzione della nozione di razza, seguendo la
tripartizione tradizionale dell’essere umano, individuando una razza del
corpo, dell’anima, e dello spirito. Può darci alcune indicazioni sulla
nuova edizione di questo saggio, ampliata nei contenuti, e sui motivi
che hanno spinto le Ar a ristampare un testo che anche noi di
“Rigenerazione Evola” consideriamo centrale nell’opera evoliana e
spesso, volutamente, dimenticato?
Sintesi di dottrina della razza ‒ come è stato opportunamente sottolineato dal prof. Di Vona nella Presentazione
a questa nuova edizione ‒ è “il più difficile libro politico di Evola”.
Vi sono esposte idee, concetti, vedute e interpretazioni che
costituiscono, per certi versi, una ‘summa’ dell’insegnamento
dell’Autore. Studiare quest’opera ‒ al di là di quegli aspetti che
sembrano vincolarla esclusivamente alla politica fascista dei tardi anni
Trenta ‒ vuol dire, infatti, ripercorrere i contenuti delle principali
opere di Evola e assumere il punto di vista dal quale viene affrontata
la lettura della modernità. Numerosi, del resto, sono i rimandi –
espliciti – che vengono fatti a Rivolta contro il mondo moderno, a Il mito del sangue o – impliciti – a Imperialismo pagano e ai temi affrontati negli articoli apparsi sulle riviste con cui collaborava. Sintesi
si presenta, dunque, come un compendio teorico e, allo stesso tempo,
come un disegno politico indirizzato a chi, in quegli anni, ancora era
al governo dell’Italia. Proprio quest’ultimo aspetto potrebbe indurre a
imprigionarne le proposizioni entro una fase storica definita e
conclusa, ma sarebbe una limitazione ingiustificata, sul piano politico,
e illegittima, su quello filosofico. Lo testimonia ‘il punto di vista’
dal quale Evola tratta l’intera materia del suo saggio. In numerosi
passi, infatti, leggiamo il riferimento al “punto di vista
tradizionale”, che deve costituire – secondo il pensiero dell’Autore –
il fulcro di una dottrina della razza, che non si limiti alla
descrizione degli aspetti esteriori e contingenti di un popolo, ma
indichi, soprattutto, le modalità con cui risvegliare un tipo umano
superiore. Ciò che è “tradizionale”, del resto, non può esaurirsi
nell’arco temporale di una fase storica. Sintesi, pertanto, si
conferma nella sua funzione di testo-guida, per un’azione efficace di
contrasto al processo di decadenza della modernità. Gli scritti che gli
fanno da corollario – dalla Presentazione di Di Vona agli Exerga
del Gruppo di Ar – dimostrano che questo libro, anche in questa
particolare contingenza, è in grado di generare approfondimenti,
suscitare interpretazioni e segnalare direzioni.
Niente di più di quello che già espose in Rivolta o in Sintesi.
In effetti, Evola, nell’indicare “il punto di vista tradizionale” come
fondamento dell’opposizione alla modernità – in ciò raccogliendo e
reinterpretando l’insegnamento guenoniano –, riesce a mettere bene in
luce le premesse della situazione attuale. Ciò che oggi accade, infatti,
non è che lo sviluppo delle precedenti condizioni, e si sostanzia
nell’affermarsi di una concezione dell’uomo che pretende di fare a meno
delle qualità distintive, per far prevalere, invece, solo ciò che è
quantificabile. Le etnie, le razze sono giudicate, dal pensiero unico
imperante, come ostacoli all’avvento della nuova sub-umanità
indifferenziata. Per Evola la distinzione comincia dall’alto, dallo
spirito, e prosegue nei piani, gerarchicamente sottoposti, dell’anima e
del corpo. La qualità, dunque, ha sede in alto e si trasmette secondo
una sua particolare linea ereditaria. Oggi le qualificazioni interiori
degli uomini sono del tutto disconosciute; ad esse sono subentrate le
cosiddette “competenze” individuali, le quali sono acquisibili da ognuno
secondo una prospettiva affatto egualitaria. La differenza è un
ingombrante ostacolo, se non è riducibile ad una quantità misurabile.
Assunta la prospettiva quantitativa, non sorprende che anche la
‘cittadinanza’ vada via via slegandosi dalla discendenza e dalla stirpe e
si vincoli esclusivamente ad un àmbito burocratico-statistico. Nelle
condizioni generali di esistenza che si vanno imponendo, essa non è più
espressione del radicamento di un popolo in un territorio – retaggio di
un periodo storico in cui si sono formate le nazioni moderne –, ma è un
semplice strumento amministrativo, di cui la burocrazia si avvale – non
sappiamo fino a quando – per esercitare il suo controllo sugli
individui. Quando saranno elaborate soluzioni giuridiche meglio
rispondenti al destino di sradicamento di questo nuovo composto umano,
anche lo ‘ius soli’ verrà abbandonato, in favore di una cittadinanza
completamente deterritorializzata.
La visuale materialistica dominante non è
che una conseguenza dell’affermazione del “polo quantitativo”
dell’esistenza. Ogni aspetto del mondo appare decifrabile all’uomo
moderno solo se tradotto numericamente, secondo una concezione meramente
funzionale del numero. Ciò che è superiore al mero dato quantitativo,
invece, rientra nell’àmbito della qualità. In ogni suo aspetto, l’uomo
differenziato deve caratterizzarsi per una preminenza della qualità. Noi
abbiamo visto come, storicamente, i concetti di ‘nazione’ e di ‘patria’
si siano legati alle dichiarazioni rivoluzionarie del giacobinismo. Il
‘popolo’ – e quindi la continuità di sangue di un gruppo umano in un
territorio definito – ha potuto fungere da strumento sovvertitore
dell’aristocrazia, per imporre un’ideologia egualitaria nello spazio
politico-culturale europeo. Questi sono alcuni esempi di una visuale
materialistica e ‘quantitativa’ con cui vengono distorti e imposti
taluni concetti, inculcati poi nell’uomo moderno per condizionarne le
facoltà cognitive. Oggi è arduo sfuggire alla degradazione quantitativa
della conoscenza, pertanto risulta viepiù complicato vedere nitidamente
le ‘idee’ che permettono un’azione “in ordine”. Tuttavia, ogni spazio
conquistato alla lettura – che, non dimentichiamolo, è una severa
disciplina dell’animo –, o agli incontri con l’opera di autori come
Evola, costituisce la riconquista di uno spazio e di un tempo nei quali
si manifesta ancora la possibilità di riavvicinarsi alle ‘idee’ e di
confermarsi in esse.
Professor Pacilio, oltre a Sintesi di dottrina della razza,
quali altri testi pubblicati dalle edizioni di Ar, sia classici che più
recenti, suggerisce ai lettori per approfondire le tematiche legate a
identità, etnia, sangue, spirito, ecc. secondo l’impostazione di cui
parlavamo?
Le Edizioni di Ar hanno appena pubblicato un suo testo dal significativo titolo L’invasione. Prodromi di una eliminazione etnica. Ritiene che sia in atto un’aggressione delle nazioni europee con lo scopo di cancellare i popoli autoctoni?
In nessun’altra fase della storia
moderna abbiamo assistito a un avvenimento paragonabile all’attuale
invasione da parte delle popolazioni extraeuropee. Ciò nonostante, dai
mezzi di comunicazione proviene quasi esclusivamente la versione
edulcorata, se non addirittura travisata, di una ‘emigrazione’ causata
dalla guerra o dalla fame. Nel libro ho invece assunto una diversa
prospettiva – quella della verità – da cui giudicare questo avvenimento,
avvalendomi degli insegnamenti di autori fondamentali (Sombart,
Spengler, Schmitt, de Gobineau, Guénon), interpreti del rivolgimento
culturale, politico ed economico che ha segnato l’ultimo secolo. Ho
indicato quelli che considero gli attori principali e gli strumenti con
cui si persegue l’obiettivo non di una graduale “sostituzione” – come
viene purtroppo definita, per non rischiare di turbare la vita
tranquilla dell’uomo civilizzato europeo –, ma di una soppressione, di
una eliminazione definitiva di quel particolare tipo umano che è
stato il capostipite delle popolazioni europee. Ho ritenuto
indispensabile chiarire, inoltre, anche alcuni aspetti che la propaganda
globalista – particolarmente agguerrita su questi temi – non smette di
infondere nelle masse: dai numeri degli sbarchi fino alle spese che i
cittadini sono obbligati a sostenere. Nelle conclusioni di questo breve
saggio si mostra come il rapido avanzamento dello sfiguramento etnico
comporterà, giocoforza, una fase di conflittualità culminante nella
‘catastrofe’. Occorre, allora, fronteggiare questo destino incombente
sulle nazioni europee, trovando la risolutezza di un agire assoluto, di
una nuova Reconquista.
Consideri la nostra storia, magari passeggiando per il centro di Roma, o di Firenze, portando con sé una copia della Commedia
di Dante, dopo aver osservato gli affreschi delle Stanze Vaticane o il
museo archeologico di Napoli; provi a riflettere sul valore epico della
battaglia di Lepanto, mentre il rumore dei suoi passi risuona in una
calle nebbiosa di Venezia; osservi il perfetto disegno geometrico delle
città antiche, la valle dei templi, gli anfiteatri che sfidano i
millenni o i marmi possenti, in cui i nostri antenati hanno impresso le
figure ideali della nostra razza. I miei suggerimenti, si badi, non sono
che azioni quotidiane di tanti italiani, che hanno perso, tuttavia,
l’abitudine di meravigliarsi della propria grandezza. Concludo, allora,
con una domanda: chi potrebbe davvero sorprendersi se altri popoli, con
altre storie e altri caratteri, fossero mossi dalla volontà di
indebolirci, fino a cancellare ogni traccia della nostra presenza?
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