Palestina 1917-2017: cent’anni di menzogne e soprusi
di Enrico Galoppini
(*)
Il
2 novembre di quest’anno si compiono cent’anni esatti dalla “Dichiarazione
Balfour”, che, come tutti dovrebbero sapere, consisté nella promessa formale –
indirizzata dal Ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour ad un importante
referente della “comunità ebraica” inglese e del nascente Movimento sionista,
“Lord” Lionel Walter Rothschild – concernente l’impegno inglese nella
costituzione di un “Focolare Nazionale Ebraico” (Jewish National Home) in
Palestina.Per comprendere la portata di un simile impegno da parte della
principale superpotenza dell’epoca a favore di un influente settore
dell’Ebraismo le cui aspirazioni comprendevano l’edificazione di uno “Stato
Ebraico” sulla cosiddetta “Terra Promessa” (da Yahwè agli Ebrei) bisogna
collocare questo documento nel contesto che indubbiamente ne favorì la genesi.
Sul finire del 1917 l’Impero Ottomano, schierato
nel campo della Triplice Alleanza col Reich tedesco e l’Impero d’Austria-Ungheria,
non aveva ancora perso i territori palestinesi, per cui è opportuno sottolineare
che l’Inghilterra “promise” ciò che ancora non possedeva, in quanto le sue
truppe entreranno a Gerusalemme solo il 9 dicembre dello stesso anno. Ma tanto
per mettere le mani avanti, nella solenne dichiarazione a garanzia delle
aspirazioni sioniste si puntualizzava che le “comunità non ebraiche” colà
residenti non avrebbero avuto leso alcun loro diritto.
Nella Dichiarazione Balfour troviamo dunque già
due elementi caratteristici dell’ipocrisia moderna: vendere quello che non si
possiede (come nel mercato finanziario dei “futures”) ed ammantare
intenzioni non proprio benevole di altisonanti idealità candidate all’immediato
sacrificio in nome della politica del “fatto compiuto”.
A parte la strana coincidenza del 2 novembre
(Commemorazione dei defunti per il calendario cristiano cattolico), vi è da dire
che in quei giorni di novembre di cent’anni fa si susseguirono e s’intrecciarono
eventi di portata epocale, tra i quali la Rivoluzione cosiddetta “d’Ottobre” in
Russia (la conquista di Pietrogrado e Mosca da parte dei bolscevichi avverrà tra
il 7 e l’8 novembre). Una rivoluzione, quella dei bolscevichi, aiutata in ogni
modo dalle grandi banche d’affari di proprietà ebraica stabilite in America e
che vide tra i suoi agenti in loco il fior fiore del revanscismo anti-zarista
caratterizzato da una preponderante presenza ebraica nel primo Soviet supremo.
Dunque, nel giro di pochissimi giorni, l’Ebraismo aveva piazzato due carichi sul
tavolo della partita per il dominio mondiale: da un lato l’impegno della
principale superpotenza di assegnargli l’agognata “Terra Promessa”, dall’altro
lo stabilimento in Russia di un centro di propalazione della “rivoluzione
mondiale”. Il tutto con la benedizione ed i quattrini dei correligionari
dell’alta finanza che con la Prima guerra mondiale erano riusciti a ridurre
l’Inghilterra in una condizione d’indebitamento fino al collo, per cui ne andava
ad ogni costo impedita la débacle…
Ora, se tutto questo, col clima insopportabile di
caccia alle streghe dei nostri giorni, può sembrare una disamina “complottista”,
vi è da dire che se si osservano quei fatti e la loro concatenazione scevri da
ricatti moralistici ed autocensure si evince come la Prima guerra mondiale, tra
i suoi esiti, rappresentò una vittoria su tutta la linea per l’Ebraismo, o
meglio per un suo settore che a poco a poco finì per identificarsi col Sionismo
e soppiantare, quanto meno nei rapporti di forza interni all’Ebraismo stesso,
tutte quelle correnti e personalità indifferenti o addirittura ostili al
Sionismo per vari motivi, che vanno dalla “profanazione del nome di Israele” al
rifiuto di ridurre una religione ad una forma di nazionalismo esasperato.
La questione non è affatto di dettaglio, poiché è
bene sapere che all’inizio (quanto meno simbolico) di tutta questa storia gli
ebrei disseminati ovunque per il mondo (che naturalmente non potevano discendere
dagli “ebrei della Diaspora” in quanto sono attestate ovunque conversioni di
popoli interi all’Ebraismo) non erano affatto conquistati in maggioranza alla
causa del “Focolare Ebraico” in Palestina (termine, quest’ultimo, che con gli
anni avrebbero cercato di cancellare persino dalla memoria collettiva).
In tutti questi cent’anni, l’impegno dei fautori
del progetto sionista, a cominciare proprio dai Rothschild, è stato quello di
“convincere”, con le buone o le cattive, gli ebrei di tutto il mondo a stare
dalla parte del loro progetto, sostenendolo idealmente e materialmente, per
esempio rimpolpando i ranghi dell’emigrazione ebraica in Palestina col pretesto
del “ritorno”. Con le buone o le cattive: si dà il caso, infatti, che le
autorità del Terzo Reich attribuirono ad ebrei o mezzi ebrei la gestione della
“questione ebraica”, a riprova che la carta sionista è stata giocata da tutti
quanti, allo scopo di costituire – al di là delle attese “messianiche” dei più
convinti sionisti – una base sicura per la propria influenza in un’area di
vitale importanza dal punto di vista strategico, commerciale ed energetico.
Pertanto, se la Germania – prima e durante il
Terzo Reich – non ha mai disdegnato l’appoggio del Sionismo per fondare una
testa di ponte nell’area del Levante arabo, la Francia fece ancora di più,
proponendo già alcuni mesi prima della Dichiarazione Balfour una sua analoga
“dichiarazione” a favore delle aspirazioni sioniste, tant’è che quella
britannica sembra ricalcata sul modello francese (com’è documentato nel libro di
Philippe Prévost La France et l’origine de la tragédie Palestinienne.
1914-1922, Centre d’Études Contemporaines, Paris 2003).
Come
sono andate le cose è storia risaputa: l’Inghilterra, senza tanti complimenti
(ed alla faccia della “Cordiale Intesa” del 1904), ridimensionò le pretese
francesi nella regione ed istituì un “Mandato speciale” per la Palestina dove,
un poco per volta, il Sionismo impiantò la sua base operativa che perdura ancora
oggi. Ciò a prescindere dagli atteggiamenti tattici dell’Inghilterra stessa,
contro le cui rappresentanze civili e militari, al momento di realizzare lo
“Stato d’Israele” – riconosciuto per primi, nel 1948, da Stati Uniti e Urss… -,
si sarebbe scagliata la furia del terrorismo sionista, dentro e fuori la
Palestina.
Ma nel 1917, con l’America che era entrata in
guerra per un solo ed unico motivo – tutelare l’enorme massa di crediti che
vantava nei confronti dell’Inghilterra – i giochi non sembravano ancora fatti.
Ed ecco che per favorirli intervenne per l’appunto la Dichiarazione Balfour, che
in fin dei conti non fu altro che il riconoscimento britannico per l’impagabile
favore fatto dalla rete dei banchieri legati ai Rothschild ed influentissimi a
New York con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti (ufficialmente, il 2 aprile
2017), per lungo tempo riluttanti a gettarsi nel teatro bellico europeo (il
pretesto per entrare in guerra, ovvero l’affondamento del piroscafo Lusitania da
parte di un sommergibile tedesco, era del 7 maggio 1915!). Un intervento, quello
americano, praticamente senza senso se tentiamo di spiegarcelo solo con
categorie come “l’imperialismo” e “l’espansionismo” a danno di altri Stati a
Nazioni, oppure con la diffusione del Capitalismo e del Fordismo.
Nel frattempo, la stampa “autorevole” europea, e
soprattutto i bollettini interni alle “comunità ebraiche”, denunciavano,
riprendendo motivi già comparsi in altri precedenti contesti (anche vecchi di
decenni), il “massacro di sei milioni di ebrei” in corso sul suolo europeo a
causa delle violenze perpetrate dai tedeschi. Un particolare, questo, facilmente
verificabile ma mai spiegato da coloro che, non appena qualcuno chiede conto di
simili “coincidenze”, lanciano come un dardo mortale all’indirizzo del
“blasfemo” studioso l’accusa di “complottismo” e, ovviamente, di
“antisemitismo”.
Il contesto nel quale si colloca la Dichiarazione
Balfour è dunque quanto mai interessante e ci induce a pensare che se per un
verso i Rothschild ed i loro affiliati perseguono finalità (ricostruzione del
Terzo Tempio, Gerusalemme capitale mondiale eccetera) che vanno oltre ciò che
ingenuamente denunciano gli “antimperialisti” ed i vari “amici della Palestina”,
per un altro è valida l’analisi, suffragata da dati storici, per la quale il
“Focolare Ebraico” svolge la funzione di destabilizzare l’area vicino-orientale
ma anche quella mediterranea onde evitare l’emersione di potenze contrarie al
“dominio del dollaro” (trionfo della moneta-merce prestata ad interesse) che
potrebbe sfociare in quell’integrazione eurasiatica a guida russa (di una Russia
libera dal cappio al collo postole dagli usurocrati) in grado di serbare
sgradite sorprese ai fautori di un “Nuovo Ordine Mondiale”. Sorprese tra le
quali si annovera un’alleanza tra la Chiesa Ortodossa e l’Islam tradizionale non
infettato dalle ideologie provenienti da un altro baluardo dell’influenza
sionista nel mondo, l’Arabia Saudita.
In quest’epoca di riassestamento dei poteri
mondiali, anche la Russia ha aumentato la sua influenza nello Stato Ebraico, a
conferma che “Israele”, nazione ideocratica artificiale, sotto un certo aspetto
funziona come una “società a quote” che ricorda la funzione degli Stati crociati
di mille anni fa, con la non secondaria differenza che i ‘crociati’ di oggi sono
armati fino ai denti – anche di testate nucleari – e capaci di coinvolgere a
loro difesa la principale superpotenza militare, gli Stati Uniti d’America.
In
tutto questo, resta da dire qualcosa su quelli che hanno subito le peggiori
conseguenze dirette dalla Dichiarazione Balfour, ovvero gli abitanti della
Palestina. Cominciamo col dire che forse, anche perché sono rimasti direttamente
e pesantemente coinvolti, non sono riusciti a comprendere appieno la dimensione
del problema che gli ha rovinato l’esistenza. Essi ovviamente hanno venduta cara
la pelle (noi italiani ci saremmo estinti da un pezzo), opponendosi, coi
limitati mezzi a disposizione, i tradimenti “arabi” ed un’incredibile faziosità
interna, all’esproprio dei loro averi e persino della loro identità. I
palestinesi (musulmani, cristiani, drusi eccetera, e persino ebrei!) hanno fatto
la fine dei cosiddetti “pellerossa”. Umiliati, raggirati e diffamati anche
quando avevano ragione al 100% di fronte a “coloni” che, per continuare la
calzante analogia col Far West, somigliano per molti versi ai cowboy,
sia come modalità d’intervento in terre non loro sia per l’ideologia “puritana”
e “suprematista” che li anima.
I palestinesi hanno perso tutto (a parte le loro
dirigenze ben pasciute dall’occupante), eppure, in questo mondo orwelliano di
parole usate per esprimere il loro esatto contrario, dovrebbero perennemente
“scusarsi” per non aver “accolto” i “poveri ebrei”, tant’è vero che la tesi
dominante nella scuola e nell’intrattenimento mediatico è quella del “rifiuto
arabo” che fa pendant con lo slogan della “terra senza popolo per un
popolo senza terra”.
Trascorsi cent’anni dalla Dichiarazione Balfour,
al di là di tutto, possiamo senza dubbio affermare una cosa: che il popolo senza
terra è quello palestinese!
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