LE
“FAVOLOSE RICCHEZZE DI MUSSOLINI NASCOSTE ALL’ESTERO”
di Maurizio Barozzi
«Il
mito che Mussolini morì senza una lira è stato smentito dalla rivista “Oggi” con
la scoperta nel dicembre 2000 negli archivi statunitensi di un rapporto
declassificato dell’OSS, scritto da Allen Dulles a Berna il 4 aprile 1945 e
indirizzato al Dipartimento di stato (sic!), intitolato Flight of Italian
Capital. Il rapporto (650.3/SH-O) descrive il modo nel quale Mussolini aveva
trasferito ingenti somme fuori dall’Italia prima e durante la Seconda guerra
mondiale nascoste in conti cifrati presso banche svizzere. Secondo il Bulletin
de Crédit et de Finance, banche svizzere accumularono 300 milioni di franchi
svizzeri in settanta conti segreti di italiani dei quali 2500 miliardi in lire
(di oggi) nel conto a nome di Mussolini».[1]
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Con queste apodittiche e infami parole (in quanto appunto non dimostrate) uno scrittore,
che con molta superficialità alcuni vogliono far passare per storico, ex agente
dell’Oss in Italia, tale Peter Tompikins, che noi nelle nostre ricerche ne
abbiamo da tempo cancellato i testi da consultare, dopo averne riscontato la
ricorrente inattendibilità, volle riallacciarsi ad un servizio del settimanale,
di certo non “storico” (anzi palese rotocalco anche sensazionalistico e
scandalistico) “Oggi”, [2] per rilanciare questa che, a nostro avviso, non era
altro che una diceria nata all’estero, forse per supportare a latere una
campagna di stampa internazionale (probabilmente ispirata dal World Jewish
Council) e inerente presunti ingenti fondi ebraici occultati dai nazisti in
banche svizzere e di cui si voleva poi chiedere la restituzione.
Con il
tempo infatti questa “diceria” su Mussolini non ha avuto riscontri concreti, ed
è stata abbandonata da molti storici, tranne ovviamente quelli che si rifanno
alle tesi, o per meglio dire, a quelli che per noi sono “teoremi”, dello
storico Mauro Canali da tempo impegnato a sostenere presunte tangenti che
venivano riscosse da Mussolini & Co. e che, secondo lui furono la causa del
delitto Matteotti. [3]
Ma andiamo per ordine e consideriamo prima questa diceria, rilanciata dal
Tompkins e ripresa dal servizio del settimanale “Oggi”, ovvero la
vicenda dei segreti “arricchimenti” di Mussolini nascosti all’estero, una
inchiesta però con omissioni nel fornire precisi riferimenti, tante assurdità,
imprecisioni e sballati riferimenti storici, secondo la quale
il Duce, secondo certa stampa americana, costituì una fortuna all’estero, ma non
ebbe modo di utilizzarla né poterono farlo i suoi discendenti.
Secondo i denigratori di Mussolini e antifascisti vari:
«Verrebbe
a cadere, così, una delle apologie che il postfascismo ha sempre coltivato:
Mussolini, fucilato a Dongo e poi appeso a testa in giù in piazzale Loreto, morì
povero, tanto che dalle sue tasche non cadde neppure un centesimo».
A nostro avviso
non vale neppure la pena di riassumere questa storia così campata in aria,
oltretutto sarebbe una fatica improba dovendo contestare tutto quello – ed è
molto - che non ha chiari riferimenti, quindi inattendibile o quello che è
palesemente inesatto, bastano e avanzano le considerazioni di uno storico serio
come Alessandro De Felice, parente del più noto Renzo, che in un suo eccezionale
e voluminoso lavoro: “Il gioco delle ombre”,
[4] gli
ha dedicato alcune pagine ridimensionandola ed evidenziando i tanti dati
carenti, errati e riferimenti sballati che finiscono per renderla
inattendibile.
Rimandiamo quindi al citato lavoro
di Alessandro De Felice, il quale dopo aver rilevato che
la
ricostruzione di Tompkins appare alquanto confusa e piena di inesattezze e per
il citato documento o rapporto “650.3/SH-O del 4 aprile 1945”, indirizzato al
segretario di Stato americano, nel quale si legge: “Il Dipartimento ha
ordinato una indagine per confermare un rapporto dell’agenzia sovietica Tass,
riguardante una grossa somma di danaro e altri valori che sono stati trasferiti
nelle banche svizzere da Mussolini e dai suoi complici”, ha fatto
giustamente notare:
«Il
tasso di veridicità ed attendibilità dei lanci della Agenzia russa Tass in tempo
di guerra (e di guerra fredda) è, secondo noi, per usare un eufemismo, molto
“approssimativo”, opinabile quando non unicamente politico, cioè inquinato di
notizie manipolate ad arte o inventate di sana pianta»
[A. De Felice, op. cit.].
Quindi dopo aver ampiamente
riassunto il servizio di De Stefano, correlato alle tesi Canali, riportate dal
settimanali “Oggi” e fatto notare varie inesattezze e incongruenze, Alessandro
De Felice osserva giustamente:
«Sul sentito
dire di un rapporto dell’intelligence USA, Canali e De Stefano costruiscono un
castello accusatorio di sabbia che assume poi la forma di un edificio farinoso e
friabile esclusivamente basato sul “collante” del fumus persecutionis quando il
De Stefano parla di fantomatici conti cifrati, di cui non si forniscono i
numeri, di fantomatiche banche svizzere (quali?) che avrebbero consegnato agli
archivi statunitensi fantomatici documenti inerenti i presunti conti cifrati.
De Stefano
dice poi che le banche svizzere sarebbero “state messe colle spalle al muro”, e
per questo – affermazione altrettanto grave ed arbitraria – gli stessi
imprecisati istituti di credito elvetici, attraverso loro emissari-sabotatori
occulti, avrebbero provocato negli Stati Uniti gli incendi e la distruzione di
“ben ottomila casse di documenti” conservate negli archivi americani (quali?).
E, ci chiediamo noi, il governo di Washington nulla avrebbe sospettato e nessuna
inchiesta avrebbe aperto?». [A. De Felice, op. cit.].
Ogni ulteriore
commento è superfluo.
Le
“favolose” ricchezze di Mussolini
Era per tutti
ovvio che l’affermazione: “dalle tasche del Duce, appeso per i piedi a
Piazzale Loreto , non cadde una lira”, stava a significare che Mussolini
non si era appropriato di denaro pubblico o altrui, per tutti tranne che per
coloro che con queste storie sguazzano nelle dicerie.
Rivediamo
allora, con precisione storica, quali erano i beni, di sua proprietà, che
risultavano a Mussolini nel momento in cui si allontanava dalle zone dove
stavano per arrivare gli Alleati, al fine di restare libero e poter trattare una
dignitosa resa, forte anche di importanti documentazioni che gli furono
sottratte e fatte sparire. [5]
Come noto,
invece, venne catturato a Dongo, la mattina del 27 aprile 1945.
En passant,
facciamo notare, come oramai l’altra diceria, quella che voleva Mussolini in
quelle ore in fuga verso la Svizzera, è stata abbandonata dalla storiografia
seria, dopo che il ricercatore storico Marino Viganò, di certo non di parte
fascista, ne ha dimostrato l’inconsistenza [6].
Dunque: i beni
di Mussolini riscontrabili, al momento della sua morte (a parte la residenza
della Rocca delle Caminate vicino Predappio, che negli anni venti, fu totalmente
restaurata con un “prestito littorio”, una sottoscrizione indetta fra i
cittadini della Romagna, per poi essere donata a Mussolini che la elesse sua
residenza estiva migliorandola poi con fondi propri), erano costituiti dai
proventi della cessione degli stabilimenti e macchinari del Popolo d’Italia,
avvenuta in quei giorni, all’industriale Riccardo Cella (che li comprava per
conto di terzi) e che il Duce aveva diviso con i suoi parenti, eredi del
fratello, del figlio Bruno e la sorella Edvige), e dalla rimanenza di una
liquidazione appena riscossa per i diritti d’autore di suoi scritti. La moglie
Rachele inoltre, aveva con sé (oltre parte di questi proventi) gioielli di
famiglia e molti regali, anche di valore, avuti dal Duce nel ventennio, che
gli furono sequestrati dagli Alleati e poi restituiti riconoscendogli la
proprietà.
Noto è che
durante la Rsi, Rachele, protestò più volte con il marito, perché con il modesto
stipendio di Stato che percepiva, non ce la faceva, a far fronte alle spese di
una famiglia allargata a vari rifugiati, ma lui si rifiutava di farsi concedere
altro che pur gli poteva spettare. Nel dopoguerra poi non sembra proprio che
Rachele Guidi vedova Mussolini e i suoi figli, abbiano condotto una vita
lussuosa, anzi tutt’altro e neppure che abbiano rivendicato beni nascosti
al’estero, cosa che non poteva restare nascosta e si sarebbe risaputa.
Vediamo adesso,
un altro aspetto a questo correlato re legato anche al delitto Matteotti, ovvero
le presunte tangenti riscosse da Mussolini e le ricostruzioni storiche, o meglio
la metodologia usata dallo storico Mauro Canali su questo argomento, e che noi
definiamo un “teorema”, rimandando anche alla nostra inchiesta sul delitto
Matteotti, reperibile nel sito:
https://www.facebook.com/sharer/sharer.php?app_id=309437425817038&sdk=joey&u=http%3A%2F%2Ffncrsi.altervista.org%2FIl_delitto_Matteotti.html&display=popup&ref=plugin.
Il teorema di Canali
Riflettendo
attentamente sui lavori e le analisi di Mauro Canali (dei quali, per
carità,
apprezziamo le ricerche documentali) possiamo, in definitiva sostenere
che
questo storico, che si vuol sostenere sia andato più in là di Renzo De
Felice, ha scoperto l’acqua calda: il partito fascista, il Popolo d’Italia, e
ambienti dell’entourage del governo di Mussolini, intascavano tangenti (oltre ad
articoli e interviste, questo tema è sviluppato nei suoi: Il delitto
Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Il Mulino,
1997, e la sua riedizione del 2004, più snella, elisa di alcune documentazioni,
ma sostanzialmente uguale; e in Mussolini e il petrolio iracheno. L'Italia,
gli interessi petroliferi e le grandi potenze, Einaudi, 2007.
Ma si ritiene veramente che Renzo De Felce non conosceva questo andazzo,
che si
pratica dalla notte dei tempi, che era, ed è ancora, mezzo consueto di
finanziamento dei partiti anche della Repubblica democratica del
dopoguerra,
tanto da causare la famosa “tangentopoli” che portò alla Seconda
Repubblica (un “mani pulite” i cui veri fini non potevano di certo
essere la fine di questo
atavico sistema di finanziamento, visto che, infatti, è proseguito
imperturbabile anche nella attuale Seconda Repubblica e nonostante che
ora i
partiti abbiano lauti finanziamenti di Stato.
Certo che De Felice conosceva queste cose, ma non ha scavato in tali ambiti come
ha fatto Mauro Canali, perchè da buon storico sapeva perfettamente che non è in
questo modo che si possono sciogliere certi dubbi e interpretare le vicende
storiche.
Per altri versi sarebbe come stabilire che siccome Lenin prese ingenti
finanziamenti da Wall Strett e dal servizio segreto tedesco, se se deducesse che
Lenin era un uomo dell’Alta finanza e uno strumento del Kaiser. Oppure che
Hitler avendo avuto finanziamenti anche da banche ebraiche era uno strumento
dell’ebraismo; o ancora che Mussolini, siccome prese finanziamenti per creare il
Popolo d’Italia da tutti quegli ambienti, in genere massonici,
interessati a portare l’Italia in guerra a fianco dei franco britannici, e
durante la guerra venne anche finanziato dagli inglesi per tenere il “fronte
interno” del paese, questi era uno strumento al servizio della massoneria e un
agente inglese.
Chi ragiona in questo modo dimostra di non conoscere le leggi storiche, leggi
che attestano che sempre e comunque ci sono poteri e interessi che hanno
convenienza a finanziare “qualcosa” o “qualcuno” e uomini e movimenti che hanno
necessità di farsi finanziare.
Per la verità le presunte tangenti che Mauro Canali pretende di aver scoperto a
vantaggio di Mussolini, il fratello, il Popolo d’Italia e il partito
fascista, di fatto passano qui quale un interesse personale, un arricchirsi,
sfruttando la raggiunta posizione di potere e questo assume un diverso aspetto,
finendo per configurare Mussolini e il suo governo come una specie di Al Capone
e il suo sistema gangsterico.
A parte che tutti questi illeciti arricchimenti, per la famiglia Mussolini, non
si sono poi evidenziati ovvero non ci sembra che siano stati usufruiti né da
lui, né dagli eredi, ci si chiede: ma come può lo storico Canali (ben noto anche
all’estero, già allievo di Renzo De Felice e che è stato professore ordinario di
Storia contemporanea all’Università di Camerino), preso da fazioso furore nel
dimostrare la corruzione del Duce, corruzione che lo farebbe diventare
l’assassino di Matteotti, come può dedurne, dicevamo, solo perché alcuni
documenti gli fanno presupporre che una certa ricevuta, un certo versamento, un
certo finanziamento, passato per le mani di Mussolini o comunque secondo lo
storico, non poteva essere estraneo al Duce, la sua corruzione e tutto un
sistema corruttore da questi messo in auge?
Quando invece evidenti prove e vicende dimostrano che Mussolini non poteva
essere stato il mandante di quel delitto, che anzi quel delitto lo danneggiava
enormemente, molto più di una denuncia per presunte tangenti; che il contesto
politico del tempo dimostra che Mussolini non ha alcun interesse a far fuori
Matteotti, mentre ci sono poteri forti che hanno interesse a tacitare Matteotti
e far cadere Mussolini; che l’attitudine di potere di Mussolini, non è quella
di un Al Capone, ma è chiaramente finalizzata a curare gli interessi della
nazione; che il suo dirigismo nella prassi governativa dà enormemente fastidio
ai suddetti poteri forti; che il Duce, non a caso, si è rimangiato certe
promesse che aveva fatto all’Alta Banca che lo aveva finanziato nell’ascesa al
potere, come quelle di creare uno Stato non ferroviere, non postelegrafonico,
ecc., quindi una stato totalmente liberista, ingolosendo gli interessati alle
“privatizzazioni” e invece ora mira a rafforzare lo Stato, a riportare gli
interessi privati nell’interesse pubblico, e così via.
Non è questa della corruzione la prassi, l’ideologia e l’essenza politica di un
uomo che poi realizzerà lo Stato del Lavoro e lo Stato sociale, la costituzione,
al tempo rivoluzionaria, dell’IRI, la società socialista con la RSI, e la
formulazione dottrinaria del “tutto nello Stato, niente fuori dello Stato e
soprattutto niente contro lo stato”, e che invece, praticamente, si
sottende, che avrebbe preso il potere per il potere, per arricchirsi, per
sviluppare un sistema di corruzione e tangenti per se, per il partito, per i
suoi uomini e affiliati.
Da storico accorto il Canali come può non considerare, per esempio, che la
lettera - memoriale di Dumini, rimasta negli archivi statunitensi e secondo lui
la prova regina che indicherebbe Arnaldo Mussolini quale fruitore di una
tangente petrolifera, è una prova inattendibile, tanto più per metterla in
relazione alla volontà omicida di Mussolini che freddamente organizzerebbe e
dirigerebbe la soppressione di Matteotti?
Intanto il Dumini, super, reiterato e comprovato bugiardo, non è certo un teste
attendibile; che le circostanze e le necessità che lo indussero a scriverla
non garantiscono di certo che quanto riportato sia veritiero; che se Mussolini
se la portava dietro in quelle sue ultime e pericolose ore di vita, molto
probabilmente, anzi sicuramente, questa lettera era in un contesto di documenti
che la confutavano e che, infatti, antifascisti nostrani e Alleati, fecero poi
sparire [7]; che la presunta tangente passava per Arnaldo Mussolini, ma non è
detto che era per lui personalmente; che il tutto infine, va poi
contestualizzato all’epoca, e così via.
Il Canali però sorvola su tutto questo e afferma che quel reperto è la prova
del coinvolgimento del Duce nel delitto.
E la stessa sicumera “tangentista” la ripete quando afferma in una intervista di
aver trovato almeno tre prove di tangenti a Mussolini, una delle quali
consisterebbe nella lettera delle ferrovie circa la vendita di residuati
bellici, che Mussolini riceve e sigla “riservatissimo”.
Orbene,
riportiamo da uno stralcio del citato servizio su “Oggi”, proprio questo
passaggio, perché evidenzia bene le forzature e le congetture usate dal Mauro
Canali, il quale riscontrando “ricevute” passate per Mussolini, le interpreta
come una riscossione personale di tangenti.
«“Nel mio libro sulla genesi
del delitto Matteotti”, precisa lo storico [Mauro Canali, n.d.r.], “sono
riuscito a dimostrare almeno tre tangenti sicure e non è certo facile trovare le
prove materiali della corruzione…
C’è poi una lettera del
commissario straordinario delle Ferrovie, incaricato di vendere i residuati
bellici della prima guerra mondiale, che scrive a Mussolini: “Le 250 mila lire (circa
400 milioni attuali, n.d.r) che ebbi a consegnarvi poche sere or sono
provengono da una vendita di materiali esistenti in magazzini di corpo
d’armata”. E Mussolini, sull’appunto, verga la parola “riservatissimo”. Vi sono
poi altre sicure tangenti, come una di 750 mila lire (circa un miliardo di
oggi, n.d.r.) fatta passare per donazione a un istituto per ciechi”».
Anche qui, commenta lo storico Alessandro De Felice, nella sua opera citata:
«Si tratta
in questo caso di un leit motiv caro a Canali, il quale, nel suo saggio sul
delitto Matteotti teso a dimostrare la colpevolezza di Benito Mussolini
nell’omicidio del deputato socialista veneto avvenuto nel giugno 1924, cerca di
costruire un circuito storico univocamente monocorde con non poche forzature
interpretative legate ad episodi per nulla inerenti l’oggetto della sua –
peraltro apprezzabile – ricerca»
E non potrebbe avere, per esempio, aggiungiamo noi, quel versamento, finalità
che non si conoscono, al limite anche tangenti, ma non necessariamente
intascate personalmente dal Duce, tanto che sigla “riservatissimo, ma a quanto
pare non lo fa
E comunque quante storie di questo genere potevano girare attorno ad un capo di
governo e capo del partito fascista al potere? Molte ovviamente, ma andrebbero
tutte contestualizzate al particolare momento storico, andrebbero messe in
relazione con la politica pluriennale di Mussolini e allora ci si accorgerà
facilmente che quella del Duce è una politica finalizzata allì’interesse
nazionale, non a quello privato!
Uno “storico” veramente singolare questo Mauro Canali, nonostante gli indubbi
meriti nelle sue ricerche, visto che costruisce un vero teorema, al pari di un
giudice inquirente, laddove prima interpreta la eventuale tangente, l’eventuale
finanziamento, da lui scoperto, come un interesse privato della famiglia
Mussolini (in primis il fratello Arnaldo) e dei suoi intimi, quindi eleva,
questa che è più che altro una sua congettura, in un movente perchè asserisce
che Matteotti, sarebbe a conoscenza di questi scandali e li sta per denunciare.
Ma che Matteotti intendeva denunciare varie malversazioni, in particolare le
tangenti petrolifere e quelle per il gioco d’azzardo (e neppure si sa fino a che
punto e in che termini le avrebbe denunciate), sembra indiscutibile, ma che il
parlamentare socialista voleva chiamare in causa personalmente Mussolini non
risulta da nessuna parte.
E quindi il Canali, presupponendo di avere il movente, chiude il suo teorema e
indica anche il mandante dell’omicidio di Matteotti, incurante del fatto, che
smentisce la sua ipotesi, che poi questo “mandante”, cioè Mussolini, prima,
durante e dopo il delitto da lui ordito si comporterebbe come un imbecille
(Cfr.: Maurizio Barozzi, Il delitto Matteotti, op. cit.).
E dove sta poi scritto, ammesso e non concesso, che Mussolini avesse avuto
personalmente paura di eventuali denunce di Matteotti alla Camera e quindi
decida di risolvere il problema con il mezzo, l’assassinio, più pericolo e
deleterio per lui, e non invece di confutarlo, di negarlo, di batterlo sul
terreno a lui più consueto quello della abilità dialettica, del carisma, della
forza che gli conferiva una inattaccabile maggioranza, come è ovvio e logico che
sia?
Oltretutto era prevedibile fosse molto improbabile che Matteotti pubblicasse
documenti “esplosivi”, tali da non poter essere confutati, discussi, tanto è
vero che poi questi “documenti esplosivi” nessuno ha mai tirato fuori! E semmai
ci fossero stati, non potevano di certo essere in mano solo a Matteotti e
quindi era perfettamente inutile sopprimerlo.
Ci meravigliamo quindi che, tranne coloro che sono andati pedissequamente dietro
al Canali nell’ottica cdi sviluppare temi antifascisti e dietrologie sul Duce,
tanti altri hanno fatto spallucce e hanno considerato il “teorema” di Canali,
come tale, come forzature e congetture?
Ma vediamo infine questa storia del fratello del Duce, Arnaldo Mussolini.
Arnaldo Mussolini
Un “cavallo di
battaglia” dello storico Mauro Canali è infatti l’asserzione che il fratello
del Duce Arnaldo, amico di Filippo Filippelli (giornalista, affarista e
faccendiere implicato nel delitto Matteotti, n.d.r.), dovrebbe intascare una
tangente petrolifera di 30 milioni (dalla americana Sinclair Oil per aver
ottenuto la famosa “Concessione” nel nostro paese), cosa che non poteva essere
ignorata dal Duce (se non ne fosse anche lui cointeressato) e quindi saputo che
Matteotti avrebbe denunciato il malaffare, diede ordine di uccidere il
parlamentare socialista.
Arnaldo Mussolini (11 gennaio 1885 – Milano, 21 dicembre 1931), di due anni più
giovane di Benito, era una delle pochissime persone di cui, il malfidato
Mussolini, si fidava e apprezzava, facendone il suo uomo di fiducia e
confidente. Gli aveva affidato la carica, importante di direttore amministrativo
del Popolo d’Italia e poi, dopo la marcia su Roma, quella di Direttore
del giornale.
Si dice che fosse sensibile a qualche intrallazzo e quindi, facilmente, si
facesse coinvolgere in qualche giro, ma intanto bisognerebbe distinguere tra
possibile interesse personale e necessità di finanziamento del giornale di cui
dirigeva l’amministrazione, perché quello che si conosce della vita e della
personalità di Arnaldo non attesa che questi sia un furfante.
Si parla anche di interessi sulla Legge che doveva istituire le bische e il
gioco d’azzardo (che poi Mussolini in qual che modo bloccò) e che lui avrebbe
avuto alcune azioni, ma non ci sembrano comunque “traffici” di eccessiva
importanza, né facilmente provabili e da giustificare un omicidio per non farli
venire a galla.
Costituiscono, tutto al più, degli “scheletri nell’armadio” che potevano frenare
Mussolini in qualche dura polemica con avversari facenti parte di poteri
forticome infatti avvenne dopo il delitto Matteotti.
Per la presunta tangente petrolifera da 30 milioni ovviamente la cosa sarebbe
diversa.
Per prima cosa però che Arnaldo abbia veramente intascato, lui personalmente,
tutta o rate di questa tangente è da dimostrare, e l‘accusa si basa più che
altro su delle congetture.
Ma per un momento diamolo per scontato e vediamo come potrebbero stare le cose,
perché l’esame di tutti gli elementi, con confermano le asserzioni del Canali.
Dunque, Arnaldo intascherebbe questa grossa tangente (per lui personalmente o
per il giornale?) la prima cosa che viene in mente sono due domande di non poco
conto:
primo, come mai che poi, una volta morto Matteotti, che si sostiene ne aveva le
prove e voleva denunciarle, nessuno presentò più queste prove, eppure il
Matteotti da qualcuno doveva per forza averle avute, almeno che non fosse solo
una “voce”, ma allora la cosa sarebbe quasi insignificante, una diceria.
Secondo, sappiamo che poi a novembre del 1924, Mussolini fece cadere gli
accordi e la convenzione raggiunta dal suo governo con la Sinclair Oil: ebbene
cosa fece Arnaldo, restituì la tangente? E i petrolieri che videro saltare il
loro affare, a cui tanto avevano penato, cosa fecero, restarono zitti e buoni?
Come si vede siamo nel campo di illazioni e congetture, neppure troppo
realistiche.
Ma quello che comunque smentisce questa ricostruzione del Canali, è l’assurdità
complessiva di tutta la faccenda.
Consideriamo infatti che Mussolini al momento del delitto Matteotti era
saldamente a cavallo di un governo che nelle recenti elezioni aveva vinto alla
grande e quindi la maggioranza che ne scaturiva poteva vivere giorni quasi
tranquilli. La stesa faccenda delle denunce di brogli e violenze fatta da
Matteotti il 30 maggio alla camera, era stata brillantemente parata da Mussolini
con il suo discorso del 7 giugno nel quale anzi aveva rilanciato offerte di
partecipazione governativa ai socialisti.
L’unico cruccio che assillava Mussolini, infatti, oltre alla necessità di
normalizzare l’ordine pubblico, era come poter raggiungere una intesa e portare
al governo i socialisti moderati e i Confederali, al fine di dare al suo governo
una spinta sociale e una saldezza morale che gli consentissero di varare riforme
e programmi che, viceversa, avrebbero sollevato evidenti reazioni tra i
conservatori e i poteri speculativi. E’ questa una fotografia di quel momento
storico, ben dettagliata da Renzo De Felice e da testimonianze, sulla quale non
si possono avere dubbi.
Ebbene dovremmo, invece, ritenere ora che Mussolini informato che Matteotti
avrebbe denunciato la faccenda delle tangenti alla Camera e quindi coinvolto il
fratello Arnaldo, se non lui stesso, ha pensato di farlo ammazzare e, detto
fatto, darebbe l’ordine omicida, senza curarsi oltretutto, di nascondere minacce
e acrimonia contro la sua vittima e poi, a delitto consumato, farsi travolgere
dallo scandalo.
Intanto non si comprende da chi o cosa Mussolini avrebbe avuto la certezza e il
dettaglio di questa specifica denuncia che Matteotti si stava accingendo a fare,
perché tutto sta a indicare che Matteotti, nel suo imminente discorso, non
avrebbe attaccato Mussolini direttamente, ma la sua politica che, come scrisse
in quei giorni, stava facendo degenerare il fascismo in uno strumento del
capitalismo e delle speculazioni.[8]
Anzi, era questo di Matteotti, quasi un invito a cambiare rotta, di cui
Mussolini, intento a trovare un approccio con il PSU, passato il momento a caldo
di reazione collerica, poteva benissimo apprezzare ed agganciarsi, anche perché
sapeva che Matteotti stava dicendo il vero.
Ergo le minacciate denunce di Matteotti, solo relativamente potevano preoccupare
Mussolini, ma preoccupavano di certo gli ambienti interessati a quelle
speculazioni.
Ma anche ammettendo che invece Mussolini si sia veramente preoccupato di un
possibile scandalo che coinvolgeva magari lui, il partito e il fratello, cosa
farebbe, risolverebbe il caso con un omicidio del segretario del partito
socialista, uomo noto anche all’estero e che passa come un irriducibile
avversario de fascismo?
Ma non scherziamo! Intanto Mussolini, se pure si preoccupava di eventuali prove
che poteva pubblicare Matteotti, doveva ben sapere che non è con il liquidarlo e
sottrargli le sue documentazioni che risolverebbe il problema, anzi, con un
delitto, metterebbe in condizioni, chi ha la copia di quelle prove, di
sbandierarle con ancora più forza devastante. Quindi Mussolini, da uomo
intelligente e buon tempista com’è, sa bene che non dovrebbe fare altro che
prepararsi alla eventuale buriana, perché lui abile oratore ed esperto
manovratore, forte di una inattaccabile maggioranza di governo, in qualche modo
riuscirà a negare o tamponare queste denunce al parlamento, mentre invece,
facendo assassinare Matteotti, gli crollerebbe il mondo addosso.
Come si vede quindi queste ricostruzione del Canali sono più che altro
teoremi, che in alcuni punti non stanno né in cielo né in terra e vanno
decisamente ridimensionate.
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