lunedì 23 giugno 2014

Il gioco del calcio nell'Europa di Bruxelles -- di Ida Magli -



Il gioco del calcio
nell'Europa di Bruxelles
di Ida Magli
ItalianiLiberi | 22.06.2014

  Il calcio è un gioco molto strano. Anzi, più che strano è assurdo, perché l’uomo non gioca tanto contro la squadra nemica, quanto contro se stesso, contro il suo essere “uomo”. Si avrebbe la tentazione di affermare, almeno come prima interpretazione, che è un gioco regressivo. Usare i piedi invece delle mani potrebbe significare una specie di sfida alla conquista della stazione eretta, una sfida a ogni ipotesi evoluzionistica: tanto l’uomo non è mai stato simile agli animali da essere padrone dei suoi piedi quanto delle sue mani. C’è da aggiungere poi, a questo primo e fondamentale dato, la raffigurazione simbolica della conquista della donna del nemico con lo stupro del goal (“porta” e “donna” sono la stessa cosa), conquista violenta, anch’essa chiaramente appartenente a tempi primordiali. È probabilmente questo il motivo principale per il quale il gioco del calcio ha suscitato in Europa, e in particolare in Italia, una passione che non ha confronto con nessun altro sport. Il calcio è un gioco molto strano. Anzi, più che strano è assurdo, perché l’uomo non gioca tanto contro la squadra nemica, quanto contro se stesso, contro il suo essere “uomo”. Si avrebbe la tentazione di affermare, almeno come prima interpretazione, che è un gioco regressivo. Usare i piedi invece delle mani potrebbe significare una specie di sfida alla conquista della stazione eretta, una sfida a ogni ipotesi evoluzionistica: tanto l’uomo non è mai stato simile agli animali da essere padrone dei suoi piedi quanto delle sue mani. C’è da aggiungere poi, a questo primo e fondamentale dato, la raffigurazione simbolica della conquista della donna del nemico con lo stupro del goal (“porta” e “donna” sono la stessa cosa), conquista violenta, anch’essa chiaramente appartenente a tempi primordiali. È probabilmente questo il motivo principale per il quale il gioco del calcio ha suscitato in Europa, e in particolare in Italia, una passione che non ha confronto con nessun altro sport.

 I Mondiali dell’anno 2014 hanno certificato però quello che da diversi anni era diventato ormai evidente: per l’Europa di Bruxelles, per l’Europa dell’unificazione, dell’uguaglianza, della bontà, dell’accoglienza, l’Era del calcio è finita. Il ricorso sempre più frequente all’acquisto di calciatori stranieri, provenienti per la maggior parte dall’Africa e dall’America Latina, ne è una prova incontrovertibile; e comunque questi acquisti sono dovuti alla necessità di provvedere ai bisogni del mercato del calcio, diventato uno “spettacolo” da vendere come ogni altro spettacolo nei programmi televisivi, non alla passione dei cittadini, sempre meno presenti negli stadi. I motivi di questa situazione non sono difficili da capire. Dalla firma del Trattato di Maastricht in poi i cittadini dell’Ue sono stati esortati ogni giorno alla remissività, alla non violenza, all’uguaglianza, all’accoglienza. Tutti i leader, dai sovrani delle varie nazioni ai presidenti delle repubbliche, ai vescovi, ai Papi, non hanno fatto altro che predicare una sola “verità”: nessun uomo è “altro da te”, nessun uomo è un estraneo, nessun uomo è nemico. La predicazione ha raggiunto il suo scopo: i maschi europei hanno concordemente ripudiato la vis, la forza della virilità, e se non sono diventati più “buoni”, sono sicuramente però diventati più femminei, tanto nell’uso del sesso, con il primato dei gay, quanto nella rinuncia alla lotta.

 Quello che sta succedendo alle maggiori squadre europee nei Mondiali di calcio ne è in un certo senso una prova e una rappresentazione. Perdono perché manca loro la potenza virile, la forza per la battaglia. La stessa cosa che è successa anche alla squadra italiana nella battaglia con il Costarica: è mancata l’aggressività, la capacità di combattere, di vivere il senso della battaglia, che è quello dello scontro fisico con il nemico perché “è il nemico”. In un certo senso Balotelli ha dato la misura di quest’incapacità e al tempo stesso l’ha simbolizzata. Nessuno più di lui, geneticamente dotato dei più potenti caratteri della fisicità africana, avrebbe potuto combattere davvero, scontrarsi con la violenza fisica della squadra nemica, e nessuno più di lui ha invece dimostrato di avere introiettato i comandamenti europei, quella debolezza femminea che, annullando la vis, rende l’uomo incapace di combattere.

 Nessuno si illuda: sul palcoscenico del mondiali di calcio è andata in scena la nuova Europa. Un’Europa femmina, accogliente, generosa; un’Europa di cui chiunque potrà impadronirsi perché non combatterà, non si difenderà.


Ida Magli


                                                                                                                                             

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