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COMUNICATO STAMPA
AGOSTO 2014
SCONTRO TRA TITANI ALLE
PORTE DELL'ESTATE:
GLI PSICOFARMACI PER BAMBINI INDUCONO AL SUICIDIO? SI, NO, FORSE…
GLI PSICOFARMACI PER BAMBINI INDUCONO AL SUICIDIO? SI, NO, FORSE…
Ricerca Italiana versus ricerca Svedese, 1 a 0 per l'Istituto Superiore di Sanità nel dimostrare la necessità di prudenza nella somministrazione di psicofarmaci ai minori: "Le affermazioni dei ricercatori del Karolinska sono fuorvianti e pericolose".
Ha
fatto molto discutere nella comunità scientifica lo studio pubblicato poco prima
della pausa estiva sul British
Medical Journal a
firma di un gruppo di ricercatori del Karolinska
Institute di Stoccolma, nel
quale si sostiene con dovizia di dati che la somministrazione di psicofarmaci a
bambini e adolescenti “ADHD” (sofferenti di iperattività e deficit di
attenzione) non solo non
induce potenzialmente al suicidio come
fino ad oggi sostenuto da molti specialisti nonché dalla Food and Drug
Administration USA, l’ente americano di controllo sanitario, ma anzi potrebbe al
contrario “ridurre
o limitare” le
ideazioni suicidarie dei piccoli pazienti in cura. Uno studio solo
apparentemente inoppugnabile, quello del Karolinska, ma che contiene
invece molte falle,
come hanno evidenziato i ricercatori di un altro primario istituto di ricerca di
fama internazionale: l’italianoIstituto
Superiore di Sanità.
Secondo gli esperti nostrani, infatti, le “crepe” nello studio svedese sarebbero
a ben guardare notevoli, tali da pregiudicare senza appello i risultati della
ricerca. Non solo: le affermazioni “tranquillizzanti” arrivate da Stoccolma
sull’opportunità di utilizzare in modo disinvolto questi discussi strumenti
terapeutici sarebbero secondo l’ISS “fuorvianti
e pericolose”.
Le
modalità di progettazione dello studio sarebbero discutibili: uno studio
longitudinale, invece che un più solido studio prospettico con un lungo
follow-up. Inoltre, lo studio svedese avrebbe tratto le sue conclusioni
basandosi su dati estratti dal Registro nazionale ADHD svedese, dati registrati solo
per scopi statistici e amministrativi e non per scopi clinici. Gli
svedesi avrebbero poi escluso – guada caso – 120 pazienti che sono morti o hanno
abbandonato il territorio svedese, rendendo quindi le loro conclusioni
inattendibili. Gli psicofarmaci paragonati nella ricerca svedese sono molto
differenti l’uno
dall’altro nel loro meccanismo di azione, e di questa differenza non si tiene
minimamente conto, e inoltre nessun rilievo è stato dato a informazioni su
utilizzo di altre sostanza psicoattive o stupefacenti precedentemente alla
presa in carico per la cura dell’ADHD. I ricercatori italiani evidenziano come
lo studio svedese presenti forti
limiti, giungendo a conclusioni sbagliate anche a causa di evidenti errori di
classificazione nei
campioni statistici utilizzati, e fornendo quindi a medici e specialisti uno
spaccato del tutto semplicistico, parziale e frammentario: ad esempio, uno dei
macro-gruppi analizzati include minorenni e maggiorenni, ovvero indistintamente
la popolazione tra i 10 e i 24 anni di età, che presenza invece differenze
enormi dal punto di vista emotivo e cognitivo, delle
quali lo studio svedese non tiene minimamente conto. I ricercatori dell’ISS
adombrano inoltre un sospetto: perché
la ricerca del Karolinska non fa alcuna menzione di eventuali FINANZIAMENTI
ricevuti da industrie farmaceutiche? La
replica dei ricercatori italiani, anch’essa pubblicata sul BMJ
(1),
si conclude infine con un duro appello: “Come
medici pediatri che lavorano in contesti di ricerca e clinici (…) quando
analizziamo l’associazione tra psicofarmaci e suicidi, abbiamo bisogno di
revisioni sistematiche ben progettate sulla base di studi clinici di buona
qualità, in grado di affrontare i molteplici fattori sociali e familiari
responsabili dell’iperattività infantile. Informazioni
di questo tipo potrebbero incoraggiare un trattamento multimodale e ridurre la
terapia farmacologica inappropriata per i bambini e gli adolescenti con ADHD. Se
un bambino ha l’ADHD, nulla riuscirà a convincere i genitori che il bambino può
essere curato senza farmaci. E, peggio ancora, i genitori di bambini con l’ADHD
comunemente soffrono di problemi depressivi, non diagnosticati o mal
diagnosticati, ignorano le prescrizioni mediche, e danno ai loro figli farmaci
prescritti a loro stessi. Per questo l’applicazione dei risultati controversi (dello
studio svedese, ndr) potrebbe
avere conseguenze pericolose”. “Una
presa di posizione –
ha commentato Luca
Poma,
giornalista e portavoce di“Giù
le Mani dai Bambini”, la
più rappresentativa campagna di farmacovigilanza pediatrica in Italia (www.giulemanidaibambini.org)
– netta
e chiara, quella dei ricercatori dell’ISS, che si distingue con coraggio da
altre ‘voci’ di enti di ricerca come l’Istituto
Mario Negri di Milano, da
sempre favorevole alla medicalizzazione dei bimbi troppo agitati o distratti: ‘piccoli
notai dell’ADHD’ che usano un immaginifico pallottoliere per giustificare la
somministrazione di psicofarmaci ai bambini sulla base di classificazioni di
stampo anglosassone come “lieve”, “medio” e “grave”, come se per il disagio di
un bimbo a scuola o in famiglia – che ha radici profonde e coinvolge
innumerevoli e complessi fattori – fosse
individuabile una soglia al di sopra della quale è opportuno drogare un minore e
una al di sotto della quale non farlo. Questi
psicofarmaci hanno un effetto solo
sui sintomi, sono potenzialmente dannosi sul lungo periodo, distraggono dalla
ricerca delle vere cause del disagio, e anche qualora utilizzati per casi acuti
e per periodi limitati di tempo, non curano nulla. Nessuna
prova scientifica seria è mai stata prodotta circa il fatto che bimbi in cura
con questi prodotti abbiano avuto un qualunque giovamento duraturo dal loro
utilizzo, semplicemente perché tali prove non esistono. Sono
anni
– conclude Poma – che
promuoviamo un operazione-verità sul
marketing miliardario delle multinazionali farmaceutiche: se
le stesse ingenti risorse finanziarie usate per aumentare le vendite di questi
psicofarmaci venissero utilizzate per individuare le
cause ambientali e sociali dell’iperattività
e della distrazione dei bambini, probabilmente
l’ADHD semplicemente cesserebbe di esistere”.
(1) http://www.bmj.com/content/348/bmj.g3769/rr/761450
11/08/2014
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